19 Agosto 1982 Palermo. Assassinato Giovanni Gambino, 36 anni, imprenditore nel settore alimentare, voleva denunciare una richiesta estorsiva. Vittima del racket.
Giovanni Gambino, proprietario di una azienda di imbottigliamento di bibite a Brancaccio (Palermo), ucciso il 19 Agosto del 1982 perché deciso a non cedere a una richiesta estorsiva. Aveva 36 anni.
Foto e Nota dal figlio Giuseppe
che ringraziamo
L’uomo in foto si chiamava Giovanni Gambino, titolare della famosa (all’epoca dell’evento) Soft Drinks nota ai più come Partanna Bibite, quella della partannina va’, la più famosa limonata dell’epoca, parliamo degli anni 80. La stessa azienda che faceva il passito e la mitica (per me) Sanguinella, bibita a base di succo di arancia sanguinella, pensata e fatta realizzare dallo stesso Uomo di cui sopra. Nel lontano, ma non per me (io avevo 12 anni), Agosto del 1982 la criminalità organizzata, la mafia, la delinquenza organizzata, la nostra forma di terrorismo locale, chiamatela ed indentificatela in chi e cosa volete, chiedeva tramite una telefonata 300 milioni delle vecchie lire. L’uomo di cui sopra non aveva la minima idea di accettare la richiesta estorsiva, così come non poteva permettersi di mandare alle ortiche un’azienda che assicurava da vivere a 40 famiglie. Della telefonata ne aveva parlato con un amico ispettore di polizia che gli aveva suggerito di sporgere denuncia, ma non arrivò a farla.
Il 19 agosto del 1982 il Sig. Giovanni Gambino veniva ucciso dentro la sua auto in Via Regione Siciliana all’altezza di Bonagia da due balordi a bordo di una moto di grossa cilindrata; aveva 36 anni, 6 mesi ed un giorno. Quell’uomo era mio Padre.
Articolo del 20 Agosto 1982 da archiviostorico.unita.it
Ucciso a Palermo
È il 95° dall’inizio di questo anno
Non s’arresta a Palermo la scia di sangue. Ieri sera, attorno alle 19,15, è stato compiuto un altro omicidio in piena città. La vittima si chiamava Giovanni Gambino e aveva trentasei anni. È stato assassinato in viale Regione Siciliana, all’angolo con Via Belmonte Chiavelli, in una zona dove in questi ultimi mesi sono cadute, sotto i colpi dei killer mafiosi, numerose altre persone. A sparare contro Giovanni Gambino
è stato — secondo una prima ricostruzione del delitto — uno dei due occupanti di una motocicletta di grossa cilindrata che subito dopo si sono allontanati a forte andatura. La vittima è stata raggiunta da numerosi colpi di pistola mentre si trovava a bordo di una Fiat «126» alla quale i killer si sono avvicinati: Giovanni Gambino è caduto riverso tra il posto di guida e il sedile anteriore destro.
L’uomo, che era incensurato, è la novantacinquesima vittima della strage di mafia a Palermo e nei dintorni dall’inizio di questo anno. Anche per questo ennesimo delitto le prime indagini di polizia e carabinieri non hanno accertato il movente.
Articolo del 1 Settembre 1982 da archiviostorico.unita.it
Il racket brucia un’azienda presso Palermo, rivolta tra gli operatori
PALERMO – Se lo Stato dovesse mostrarsi ancora una volta assente, gli imprenditori palermitani, i pochi che operano nella «zona industriale» di Brancaccio, si dicono pronti a far le valigie.
Per rompere gli indugi, con dicvhiarazioni clamorose, c’è voluto un rogo durato dieci ore che ha totalmente distrutto una gigantesca fabbrica di candele. Un perimetro di 1.800 metri quadrati, che pompieri giunti da ogni angolo della Sicilia hanno stentato a tenere sotto controllo.
«Perché non molliamo tutto e ce ne andiamo?», dicono con rabbia i primi imprenditori accorsi sul luogo del disastro a dar solidarietà ai fratelli Gange, bersaglio inequivocabile del racket, mentre il fumo è ancora visibile da ogni parte della città.
È un dialogo fra vittime. I Gange, infatti, sono gli ultimi di una lunghissima lista. Se loro accusano in questi giorni una debacle quantificabile in 3 miliardi di danni e 50 operai senza lavoro, i loro colleghi ricordano altrettanti episodi, forse meno eclatanti, sicuramente non meno allarmanti.
Tante sigle per altrettanti attentati. Come l’argentiera di Salvatore Di Cristofalo, la poligrafica Salerno, la Calcestruzzo, 18 attentati a Brancaccio fra luglio e agosto. Fra gli altri non vennero risparmiati il deposito del colorificio Max Meyer, la Parmalat, i negozi di abbiglaimento Barone e Dumas. Si riaprono gli archivi: forse il commerciante Giovanni Gambino, fulminato il 19 agosto, aveva detto no.
E che a Palermo, dal piccolo esercizio al grosso industriale paghino tutti, è cosa risaputa. Tempo fa la Confesercenti lanciò un appello-questionario chiedendone conferma. E le conferme, anche se naturalmente anonime, non mancarono.
Industriali e commercianti però questa volta vogliono fare sul serio. Giuseppe Viola, direttore della Sicindustria, la federazione siciliana degli industriali, si è rivolto allo Stato sollecitando energici provvedimenti a tutela di un’imprenditoria fragile e ricattata. Più di due mesi fa il comitato nazionale per il Mezzogiorno della Confindustria aveva chiamato in causa Spadolini e Rognoni: «Subiamo estorsioni, attentati dinamitardi, sequestri di persona, omicidi: questa situazione è un pericolosissimo disincentivo all’attività produttiva».
Ancor più duro Elio Sanfilippo, segretario della federazione comunista di Palermo: «Le cosche pretendono ormai tangenti esorbitanti. Alcuni imprenditori sono sull’orlo del fallimento. Ma attenzione: la mafia interviene in ogni aspetto della conduzione delle aziende; dalle assunzioni alle forniture, dalle guardianie agli approvvigionamenti, avvantaggiandosi dell’assenza delle istituzioni tradizionali». Dopo aver concluso l’elenco di tutto quanto sarebbe necessario per rendere Brancaccio «sona industriale moderna e pulita» conclude il colloquio con questa affermazione: «Ma lo sai – dice – che in questa borgata non c’è neanche una stazione dei carabinieri?». S.L.