10 gennaio 1984 Mantova. Rapito Bruno Adami, 31 anni, figlio di un industriale. Buttato nel Po, dopo il pagamento del riscatto, con mani e piedi legati, da quella che fu definita “la Banda dei Giostrai”

Negli anni Ottanta la Mala del Brenta ebbe un ruolo anche nel tragico sequestro del geometra di Volta Mantovana Bruno Adami, 31 anni, rapito davanti alla sua abitazione, sotto gli occhi terrorizzati della moglie, la sera del 10 gennaio 1984. La Mala, attraverso un suo componente, gestì la carcerazione, che si concluse con la morte dell’ostaggio. Non sarebbe stato il solo rapito ad essere tenuto incarcerato dall’Organizzazione. A mettere a segno il rapimento fu la Banda dei Giostrai, che aveva il suo quartiere generale nel Veneto, e più precisamente nel Padovano. Banda che, secondo gli investigatori, agiva in talune circostanze in stretto contatto con la Mala del Brenta. Due Organizzazioni che hanno seminando terrore per anni. Quella dei giostrai, tra il 1975 e il 1986, ha messo a segno tra il Veneto e la Lombardia qualcosa come 20 sequestri di persona. (Articolo del 19 gennaio 2006 da gazzettadimantova )
 

 

 

Fonte: archiviolastampa.it 
Articolo dell’11 gennaio 1984
GIOVANE INDUSTRIALE PICCHIATO E RAPITO
Ieri sera a Volta Mantovana

MANTOVA — Ancora un sequestro di persona. Bruno Adami, 31 anni, geometra e figlio del medico condotto di Volta Mantovana comune in provincia di Mantova è stato sequestrato ieri sera da quattro banditi che lo hanno aspettato davanti alla villa dove abita con la moglie Graziella, 26 anni, i tre fratelli (la sorella gemella Rita, Pino di 33 anni e Paolo di 23) e i genitori.

Con il padre, dottor Isacco, Bruno Adami è titolare della «Cip Zoo» di Brescia, un’azienda specializzata nell’allevamento e nel commercio di polli. Isacco Adami è Inoltre conosciuto nella zona per essere proprietario di un lussuoso residence, con piscina a Pozzolo di Volta Mantovana.

I quattro banditi hanno aspettato Bruno Adami fuori dal cancello della villa, lo hanno picchiato e costretto a salire sulla sua stessa auto, una Mercedes di colore grigio metallizzato targata Brescia. È stata la moglie Graziella, 26 anni, che si è accorta del rapimento, sentendo le urla del marito. Gli altri familiari erano in casa, ma a quell’ora (erano le 21 circa) erano riuniti davanti al televisore e non avevano udito nulla. Graziella Adami ha visto invece il marito lottare invano contro i banditi, che si sono allontanati con lui a bordo dell’auto di grossa cilindrata. È stata lei a telefonare ai carabinieri che, con la polizia di Mantova, hanno setacciato tutte le strade della zona, però senza alcun risultato. Volta Mantova si trova in collina e la visibilità è buona, ma in tutta la zona circostante grava una nebbia fittissima con visibilità pressoché nulla che ostacola notevolmente le ricerche.

 

 

Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 12 gennaio 1984
Rapito imprenditore mantovano
Si teme per le condizioni di salute di Bruno Adami, portato via da quattro banditi l’altra sera: ritrovata la macchina con tracce di sangue

MANTOVA —  Familiari e inquirenti temono per la incolumità di Bruno Adami, titolare della «Cip Zoo», rapito l’altra sera da quattro banditi che lo hanno atteso davanti alla sua villa di Volta Mantovana, prelevandolo al termine di una dura colluttazione.

Ieri pomeriggio, infatti, è stata ritrovata in un viottolo di campagna l’auto del rapito, una Mercedes grigia, con numerose tracce di sangue sul sedile posteriore. Si teme che durante la colluttazione che aveva preceduto   il sequestro, Bruno Adami abbia riportato qualche ferita e che le sue condizioni di salute possano quindi risultate precarie.  Intanto i banditi tacciono: fino a ieri sera non c’è stato alcun contatto fra sequestratori e familiari del rapito.

Bruno Adami, 31 anni, geometra, è proprietario della  «Cip Zoo» un’azienda di pollicoltura con stabilimento a Brescia.  Il padre del rapito è il dottor Isacco, medico condotto di Volta Mantovana che abita insieme alla nuora Graziella, di 26 anni e agli altri figli, Rita, Pino e Paolo, nella stessa villa davanti alla quale è avvenuto il sequestro.

La moglie di Bruno Adami, Graziella, ha assistito impotente alle fasi del rapimento portato a termine davanti al cancello della villa.  La donna era accorsa alla finestra udendo le grida di aiuto del rapito mentre tutti gli altri membri della famiglia si trovavano davanti al televisore.

Quello di Bruno Adami è il primo rapimento del 1984 in Lombardia

 

 

Articolo del 6 Novembre 1984 da  ricerca.repubblica.it 
PER IL SEQUESTRO ADAMI UN ARRESTO NELLA CAPITALE

ROMA – La polizia ha arrestato il giostraio Franco Suffrè di 26 anni, ritenuto uno dei responsabili del sequestro di Bruno Adami, di 31 anni, figlio di un industriale, sequestrato la sera del 10 gennaio scorso nei pressi della sua abitazione di Volta Mantovana. La polizia è giunta a Suffrè dopo aver localizzato una cabina telefonica nell’ ospedale San Camillo di Roma, da dove i banditi telefonavano alla famiglia. I malfattori però avevano scritto con un pennarello, all’ interno della cabina, i numeri del telefono dell’ avvocato della famiglia Adami, nonchè il numero del telefono e il tipo e il numero di targa dell’ intermediario che doveva recarsi a Roma con il denaro pattuito per la liberazione dell’ ostaggio, circa 800 milioni di lire. Sulla base di questi e di altri elementi la polizia ha rintracciato Franco Suffrè sul quale si appuntavano i sospetti. In tasca all’ uomo è stato trovato un biglietto con alcuni dati riguardanti un facoltoso industriale che la polizia ritiene dovesse essere sequestrato. Le due scritture – quella nella cabina telefonica e quella sul biglietto – secondo gli esperti erano state vergate dalla stessa mano.

 

 

Articolo del 28 Dicembre 1984 da ricerca.repubblica.it 
CATTURATA LA ‘MENTE’ DI OTTO SEQUESTRI

ROMA – Un giostraio originario della provincia di Treviso, il quarantaquattrenne Olivo Suffrè, ritenuto uno dei capi del cosiddetto “clan dei giostrai” responsabile di numerosi sequestri di persona avvenuti soprattutto nel Veneto, è stato arrestato a Roma dai carabinieri del reparto operativo. Suffrè, che si era reso irreperibile da due mesi, è stato intercettato mentre era a bordo di una Volvo “760”. Il giostraio, un “capo-clan” residente a Roma ma in realtà senza fissa dimora, è accusato di essere l’ organizzatore di otto sequestri che hanno fruttato circa sei miliardi di lire e i cui esecutori materiali e carcerieri, tutti dell’ ambiente dei giostrai, sono già in carcere. I sequestri di cui egli è ritenuto essere stato la “mente” sono quelli del proprietario terriero Marco Aurelio Pasti, dell’ allevatore Bruno Adami e degli industriali Antonio Piarotto, Alberto Finco, Livio Bernardi, Mario Mastrotto, Alessandro Cardi e Sergio Mosole. Nei confronti di Suffrè sono in corso ulteriori accertamenti in relazione al sequestro dell’ allevatore Gianni Comper di 34 anni, di Verona, che dal 2 ottobre scorso è nelle mani dei rapitori. Anche Bruno Adami, rapito il 10 gennaio di quest’ anno nella provincia di Mantova, non è stato rilasciato nonostante il pagamento di un miliardo e 850 milioni. Suffrè, che è pregiudicato per vari reati, è proprietario di una giostra che gli inquirenti ritengono valere circa mezzo miliardo, con la quale faceva la spola soprattutto tra Roma e il Veneto. Viveva in una abitazione mobile del valore di circa 120 milioni. Al “clan” di Olivo Suffrè appartenevano anche i tre giostrai uccisi dai carabinieri durante il recente tentativo di sequestro dell’ industriale Dario Snaidero, il 25 ottobre scorso nella provincia di Udine.

 

 

Articolo del 11 Dicembre 1986 da ricerca.repubblica.it
TRE ARRESTI PER IL SEQUESTRO E L’ASSASSINIO DI ADAMI

VENEZIA Prima si erano fatti pagare un riscatto da un miliardo e mezzo, poi l’ avevano gettato nel fiume Po, con le mani e i piedi legati. Così era finito Bruno Adami, 30 anni, il medico mantovano sequestrato nella sua città il 10 gennaio di due anni fa. Nei giorni scorsi i carabinieri del nucleo operativo di Venezia hanno arrestato tre persone accusate del suo rapimento, ma le indagini continuano e gli inquirenti sospettano che la banda di cui facevano parte abbia messo a segno almeno dieci sequestri nel Veneto, in Emilia Romagna ed in Lombardia, tra cui quello tentato nei confronti del re della maglieria, Luciano Benetton. In manette per ora sono finiti Giovanni Bernasconi, 63 anni, di Alessandria, Maurizio Serafin, 36 anni, padovano, e Paolo Murano, 47 anni, veneziano. Ai tre va aggiunto Giuseppe Lazzari, il carceriere dell’ industriale di Reggio Emilia Severino Salati liberato dai carabinieri a Oriago, un paesino in provincia di Venezia, il 27 novembre scorso. Le indagini sulla banda sono scattate proprio dopo l’ arresto di Lazzari, candidato socialista alle elezioni circoscrizionali. Il passo successivo alla liberazione di Salati è stata la scoperta del luogo dove è stato tenuto per quasi sei mesi Bruno Adami. La sua prigione era in un centro a pochi chilometri da quello dell’ industriale di Reggio Emilia.

 

 

 

Fonte:  ricerca.repubblica.it
Articolo del 27 maggio 1997
IN CARCERE DA TREDICI ANNI LA CASSAZIONE RIAPRE IL CASO

MILANO – È in carcere da 13 anni, dovrebbe restarci per tutta la vita, ma da sempre sostiene di essere innocente e da ieri, nel suo futuro di ergastolano, si è accesa una speranza. Franco Cavazza, 33 anni, giostraio, condannato per il sequestro e l’omicidio di Bruno Adami, il figlio di un industriale di Volta Mantovana, potrebbe essere processato di nuovo da una Corte d’assise dopo che la Corte di Cassazione, preso atto delle prove emerse dopo che è stata pronunciata la sentenza definitiva, ha dato il via libera alla revisione del processo.

Due capelli sono l’esile filo di speranza sul quale il Comitato di solidarietà verso Franco Cavazza ha costruito la richiesta di un nuovo dibattimento. Ma due capelli erano anche l’esile prova sulla quale – soprattutto – si era basata la sentenza di condanna. Era il marzo dell’87 quando Cavazza venne condannato per l’orrida fine di Adami, un medico di 30 anni, rapito nel gennaio dell’84 e poi gettato nel Po con le mani e i piedi legati, nonostante la famiglia avesse pagato un riscatto di un miliardo e 200 milioni. Su un passamontagna, ritrovato nel luogo del rapimento, c’erano due peli che secondo una perizia tricologica avrebbero potuto essere di Cavazza.

Ora, però, un altro esame, quello del Dna, reso possibile grazie all’intervento del pubblico ministero di Brescia Antonio Chiappani, il quale l’ha richiesto nell’ambito di un altro procedimento, ha escluso che quei capelli possano appartenere al giostraio veneto. Cavazza, che è detenuto nella Casa circondariale di San Giminiano, che ha moglie e una figlia di 13 anni, era stato assolto in primo grado ma condannato all’ergastolo in appello.
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