Portella della Ginestra, un sottile filo nero di L. Amerio, L. Baino e S. Mariani
Articolo del 24 Ott 2016 da narcomafie.it
Portella della Ginestra, il peccato mortale del potere
di Piero Ferrante
“Quel giorno ebbe inizio come le feste dei santi patroni nelle ricorrenze che si celebrano nei paesi della Sicilia, quando anche l’aria è pervasa dall’attesa e improvvisamente i mortaretti rompono il torpore del sonno, annunciano all’alba il giorno che viene, col suo carico di preparativi, di speranze e di riti”. Ogni qualvolta gli si domandava di parlare della strage della Piana degli Albanesi, di quel primo maggio 1947, Giuseppe Casarrubea, che alla piana non poteva esserci piccolo com’era, partiva con questo racconto. Lui, lo storico rigoroso e, insieme, il siciliano ferito. Lui, tra i primi, a fine anni Settanta, a provare a illuminare quella zona nera dove si incontravano mafiosi, fascisti, settori deviati di Stato.
C’è molto di Casarrubea nel graphic novel Portella della Ginestra. Un sottile filo nero, in uscita giovedì (27 ottobre) per la casa editrice BeccoGiallo. Sceneggiato dal duo Luca Amerio-Luca Baino e illustrato da Susanna Mariani, ripercorre le vicende di una delle pagine più oscure della Storia repubblicana. E lo fa con il grande merito di non limitarsi a narrare una vicenda (col rischio dietro l’angolo, di farne una sorta di fiaba popolare o di leggenda o, peggio, di perpetuarne burocratiche menzogne), bensì di provare a scoprirne le trame sepolte, seguendo i fili più intricati e resistenti, quelli che vanno ben oltre l’invisibile barriera alzata dal timbro del segreto di Stato e che piuttosto tenta di arrampicarsi su, più su, fino in cima, fino ai potentissimi pupari. In uno stile secco e privo di deviazioni barocche, veloce ma riflettuto, rafforzato da tratti grafici evocanti i fotogrammi del Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo e il Todo modo di Elio Petri, Portella riporta a galla la coscienza sporca che insozza l’anima di una fetta d’Italia: Turiddu Giuliano e fra’ Diavolo, Mario Scelba e Giulio Andreotti, l’ingerenza statunitense, i mafiosi, i militari, i golpisti e i massoni. Le trame e i mandanti; le stragi e gli esecutori; le nebbie dense del silenzio, cupo, calato sull’Italia come una cappa che opprime. Verità reale che sfuma in verità di comodo, con colpevoli scelti di volta in volta prima di diventare a loro volta di troppo, scomode presenze per un sistema che si alimenta di omertà, occhi bendati, bocche cucite, orecchie serrate.
Ed è questo il senso più profondo del fumetto: la divaricazione tra ciò che è stato e ciò che viene fatto credere sia stato. La Storia non come patrimonio collettivo, ma come un numero da circo, come una maschera tragica sul viso di un attore tragico, come un gioco truccato dove le regole le stabiliscono, prima-durante-e-dopo i vincitori. Che poi sono sempre gli stessi, quelli che possono cambiare di abito, possono mutare l’accento e il tono di voce, pur rimanendo in ogni caso identici a se stessi.
Ma Portella si staglia come un atto di ribellione. E’ il dito che in pochi hanno osato alzare per invocare chiarezza, per spiattellare in faccia al potere il suo peccato originale reso evidente da quel pomo d’Adamo che, ancor oggi, gli sporge dalla gola. Eppure, quello che il libro lascia in eredità non è la certezza del conoscere, quanto piuttosto ila rivendicazione di mettere un altro gigantesco punto di domanda, l’ennesimo, dietro quelle verità cosiddette ufficiali.
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Da qualche parte, in Sicilia
di Matteo Raimondi
Portella. Tutti sappiamo di cosa si tratta. È stata una strage. Una strage di mafia. Da qualche parte, in Sicilia. In Sicilia, tutte le stragi sono mafiose.
Quando nel 2013 andai a Piana degli Albanesi, Portella della Ginestra era per me esattamente questo. Una strage di mafia. Come tutte le altre. Giravo un documentario sui Fasci Siciliani dei Lavoratori, un movimento proletario con idee socialiste e indipendentiste che dal 1891 al 1894 sconvolse l’isola con la richiesta di diritti e garanzie, e Piana degli Albanesi era uno dei maggiori centri del movimento. Anche quella volta la protesta si risolse in carneficina. Di Stato. La mafia lì non c’entrava nulla. Ma decidemmo comunque di fare tappa a Portella per omaggiare quei lavoratori morti per i propri diritti nel 1947.
Quando le nostre guide ci portarono a Portella, scoprii che a Piana si parla ancora della Strage. A quasi 70 anni di distanza, quell’evento è ancora vivo nella memoria. Molti sono figli o parenti di coloro che furono uccisi in quella piccola radura sui monti siciliani, e fu davvero strano apprendere che anche a Portella, la mafia, non c’entrava quasi nulla. A quei tempi la mafia non era ancora la Mafia. E io, da siciliano, non lo sapevo.
Spesso lo si dà per scontato, ma c’è stato un tempo in cui la mafia non era la Mafia. Poi scopri le pressioni Usa, lo spettro del comunismo, la debolezza dello Stato, e ti rendi conto di come la strage di Portella segni un punto di passaggio tra quelle lotte proletarie della fine dell’800 e le guerre di Mafia iniziate negli anni ’50-’60.
È sempre stata una lotta per la terra, qui in Sicilia, ma in quest’isola i siciliani non hanno mai vinto. E a furia di perdere la voglia di combattere ti passa. Poi ti capita di scoprire che ogni due, tre generazioni qualcosa accade, e si ricomincia a lottare per i propri diritti e per fare di questa terra un posto migliore in cui vivere. Qui in Sicilia niente è semplice, eppure tutto sembra facilissimo. Bisogna sempre parlare, perché la chiarezza e la consapevolezza sono l’unica chiave per raggiungere la dignità nelle cose e nella vita di tutti i giorni. Dignità che è stata tolta ai morti di Portella della Ginestra, e a tutte quelle morti che hanno afflitto la Sicilia e l’Italia sin dalla sua costituzione. E della cui verità ancora non si sa abbastanza.
La verità è che non tutte le stragi sono mafiose, in quest’isola, e parlarne apertamente è il sintomo che qualcosa cambia. Sintomo che la Sicilia e l’Italia, della mafia, non hanno più bisogno.
[per gentile concessione della casa editrice BeccoGiallo, pubblichiamo, in anteprima, l’introduzione al libro Portella della Ginestra. Un sottile filo nero per la sceneggiatura di Luca Amerio e Luca Baino e illustrazioni di Susanna Mariani]
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Raccontare per capire. Intervista tripla agli autori di Portella della Ginestra
di Piero Ferrante
Susanna Mariani alle matite. Luca Amerio e Luca Baino alla voce. Nasce così il graphic novel Portella della Ginestra. Un sottile filo nero, che uscirà giovedì (27 ottobre) per quelli di BeccoGiallo. Un fumetto intenso, dolente e vero, giocato sul confine tra Storia e inchiesta. Abbiamo intervistato i tre autori.
Perché Portella della Ginestra?
Luca Baino (LB): Io e Luca Amerio siamo al nostro terzo libro BeccoGiallo. Abbiamo esordito con Il Caso Calvi e poi seguito con un’inchiesta più moderna su L’Aquila. Questo libro ci è stato proposto dalla redazione BeccoGiallo durante un momento importate per la casa editrice: il decimo compleanno. Dopo dieci anni si tirano delle somme e se da una parte c’era la loro voglia di andare avanti con nuove tipologie di narrazione, intrattenimento e informazione, dall’altra c’era anche la volontà di non abbandonare un certo fumetto d’inchiesta e di impegno civile. La BG ha così ritenuto che noi due potessimo mantenere viva questa linea editoriale originale con un nuovo prezioso tassello. Ovviamente io e Luca ne siamo stati onorati ed entusiasti.
Luca Amerio (LA): Si, la scelta di raccontare la strage di Portella nasce da una chiacchierata con Guido (il nostro editor). La ricordavo dal film Salvatore Giuliano di Francesco Rosi e quindi ho subito detto di sì, era un evento storico che volevo raccontare e approfondire perché oggi non se ne parla, visto che è avvenuto in un momento politico e in un contesto storico e geografico molto particolare, facilmente etichettabile sotto le voci banditismo e mafia.
Susanna Mariani (SM): Perché a oggi il sottile filo nero di vicende sanguinose di cui l’unico dato certo sono le vittime, non ha ancora smesso di essere tessuto, e la sua prima comparsa si può far risalire proprio alla strage di Portella della Ginestra. Si tratta di una vicenda che mette in discussione l’idea di bandito (“Io non sono un bandito” afferma quasi offeso Gaspare Pisciotta) e capovolge il concetto di eroismo (“Nuatri semu eroi” dice Fra Diavolo “vivi o morti vinciamo comunque”). Una vicenda che ha lasciato che la strage di mafia si confondesse con il banditismo, occultando il primissimo tentativo di strategia della tensione in Italia. E’ dunque una parte della storia del nostro Paese di cui non si può smettere di parlare.
Un fumetto che inizia con un’immagine di tribunale e una frase: “La legge è uguale per tutti” e termina, 120 pagine dopo, con un epilogo disarmante e amaro in cui si mettono in fila, per tappe, le brutte fotografie politiche, sociali, storiche di settant’anni d’Italia. Dalla possibilità alla presa di coscienza, in un cammino di consapevolezza che non risponde per nulla all’imperativo del lieto fine. Quanto è stato difficile, per voi, capire e raccontare Portella della Ginestra?
SM: Da disegnatrice, il mio compito rispetto a Portella della Ginestra è stato quello di proporne una rappresentazione. Mentre la comprensione della vicenda in sé, attraverso il disegno progettuale degli sceneggiatori, ha preso forma in modo quasi naturale, seguendo da un lato la documentazione e dall’altro la trama della sceneggiatura, nonostante le note controversie del fatto di cronaca; la vera difficoltà per quanto mi riguarda è stata il percorso di appropriazione di un tempo, uno spazio e in particolar modo di personaggi a me distanti. A fine lavorazione posso dire che tramite il processo creativo che ha avuto luogo dall’incontro tra le documentazioni storiche e l’immaginario non solo mio, ma anche degli sceneggiatori, la sensazione è di conoscere personalmente ognuno dei personaggi che mi sono trovata a raccontare per immagini. Trattandosi però di un fatto storico, mi auguro di essere riuscita nel mio intento principale: trattarli con il massimo del rispetto, e rappresentare la vicenda con il tatto che merita.
LA: Per comprendere un evento come quello di Portella siamo andati a ritroso, partendo dalla fine. Era importante capire come, nonostante certe prove evidenti, le indagini e la magistratura e, più in generale la politica, si fossero mosse in determinate direzioni piuttosto che in altre. Raccontare la strage di Portella è stato diverso, avevamo il dovere di raccontare, di spiegare al lettore non solo la strage ma anche le cause e gli effetti: per fare questo abbiamo anche utilizzato dei personaggi di fantasia, da affiancare a quelli reali, come veicoli dei nostri messaggi.
LB: Capire…. molto. Raccontare… più facile, ma lì entra in gioco anche il mestiere sviluppato in anni di sceneggiature. Capire non è facile. Siamo nati negli anni Ottanta, abbiamo vissuto la fine del secolo. Immedesimarsi in dinamiche sociali, politiche ed economiche di cinquant’anni prima è dura per chiunque. Abbiamo letto, ci siamo documentati, abbiamo fatto ipotesi. Una procedura del tutto simile ai nostri lavori precedenti ma indiscutibilmente più complessa per il tempo intercorso. Raccontare è stata, come sempre, una scelta. Cosa mostrare e cosa suggerire, come veicolare concetti complessi in modo semplice… e così via. Noi siamo molto soddisfatti del risultato finale e speriamo di cuore che lo siano anche i lettori.
Portella è solitamente (e spesso anche frettolosamente) bollata come una strage mafiosa. E in parte è così. Eppure voi andate oltre e indagate tutti i rivoli che sono confluiti, infine, a Piana degli Albanesi e che poi dalla Piana degli Albanesi sono usciti (in forma di processi e insabbiamenti). Ne fate un evento gemello dei tanti che hanno insanguinato le strade e le piazze d’Italia. Il primo capitolo della strategia della tensione, nato per estromettere una parte politica dalla costruzione del Paese. Come tutte le altre stragi, Portella della Ginestra parla molto anche per immagini. Qual è quella più evocativa?
SM: Trattandosi di un fumetto, in cui per antonomasia l’immagine si accompagna alla parola, trovo particolarmente evocativa l’assenza di questo secondo elemento in tutte le tavole che raccontano il momento della strage. Una confusione così assordante da ridursi a immagini silenziose, che per tre volte nel volume si prendono lo spazio di una doppia splash page. Il connubio di esplosione visiva e completa mancanza di battute come sintesi di una vicenda che ancora oggi nega qualsiasi tipo di didascalia.
LA: L’immagine per me più evocativa è stata quella della messinscena relativa al cadavere di Giuliano. È un simbolo. Così come lo sono tutte le vittime della strage. Di Portella e di tutte quelle che sono seguite. È la dimostrazione che, per “ragioni di Stato”, si possono usare le persone come strumenti per il raggiungimento di un bene destinato a pochi. E all’interno di una democrazia questo non può esistere.
LB: Si tratta di eventi passati, finiti, andati. I cui echi stanno scomparendo nelle onde del tempo. Le conseguenze invece sono vive ma tutto questo ha poca importanza perché ormai, questi eventi sono Storia! Quando si racconta la Storia, si può cambiare punto di vista infinite volte ma i fatti rimangono. Quindi, personalmente, tendo a raccontarla e a viverla sempre con l’ineluttabilità del destino che si sta compiendo. L’immagine più potente? Una distesa di innocenti morti, travolti da pallottole inaspettate, a casa loro. Prima c’erano, dopo non più. Appunto, l’ineluttabilità del destino che si compie. Un destino di morte. Per le persone e per una nazione.
Date una traccia come colonna sonora al fumetto…
LA: Tutta la colonna sonora del film The Untouchables, composta da Ennio Morricone.
LB: Pensando a qualcosa fuori dagli schemi: Castel of Glass dei Linkin Park.
SM: Mozart, Messa di Requiem in Re minore K626.