1 Giugno 2016 Marsala. Assassinato Silvio Mirarchi, maresciallo capo dei Carabinieri, durante un appostamento con un collega nei pressi di una serra di marijuana.
“Silvio Mirarchi, vice comandante della stazione di Ciavolo, si trovava in appostamento con un collega in una zona molto periferica, non illuminata, e nei pressi di una serra di marijuana.
I due carabinieri hanno notato qualcosa e sono scesi dall’auto, una volta intimato l’alt e dopo essersi identificati come carabinieri a loro indirizzo sono stati esplosi diversi colpi di pistola. Uno di questi ha reciso l’aorta al maresciallo Silvio Mirarchi. Da lì subito la corsa in ospedale a Marsala e poi il tentativo disperato di salvargli la vita al Villa Sofia di Palermo. Non c’è stato nulla da fare. Mirarchi è morto il giorno dopo.”
Articolo del 31 Dicembre 2016 da tp24.it
L’omicidio del maresciallo Silvio Mirarchi a Marsala
E’ stata la notizia più scioccante. Quella che ha scosso tutti nel 2016. E’ l’omicidio del Maresciallo dei Carabinieri Silvio Mirarchi, avvenuto a Marsala la notte del 31 maggio scorso in contrada Ventrischi.
Mirarchi, vice comandante della stazione di Ciavolo, si trovava in appostamento con un collega in una zona molto periferica, non illuminata, e nei pressi di una serra di marijuana.
I due carabinieri hanno notato qualcosa e sono scesi dall’auto, una volta intimato l’alt e dopo essersi identificati come carabinieri a loro indirizzo sono stati esplosi diversi colpi di pistola. Uno di questi ha reciso l’aorta al maresciallo Mirarchi. Da lì subito la corsa in ospedale a Marsala e poi il tentativo disperato di salvargli la vita al Villa Sofia di Palermo. Non c’è stato nulla da fare. Mirarchi è morto il giorno dopo. Per la sua morte hanno espresso cordoglio le più alte cariche istituzionali, a cominciare dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha definito un “brutale agguato” quello in cui è caduto il militare. Si sono svolti nella Chiesa Madre di Marsala i funerali solenni, alla presenza delle autorità civili, militari e religiose. Parole di sostegno sono state rivolte alla moglie e ai due figli per i quali nelle settimane successive è stata fatta una raccolta fondi per una borsa di studio.
Gli investigatori, dopo l’omicidio dell’esponente dell’Arma, hanno condotto un’indagine serrata su ciò che si muoveva in quelle zone, sulla piantagione di marijuana. Hanno arrestato prima un uomo, titolare della serra con sei mila piante di marijuana. Poi sono andati avanti dell’inchiesta e si è arrivati all’arresto di Nicolò Girgenti, ritenuto uno degli autori dell’omicidio. Il bracciante agricolo è stato fermato tre settimane dopo dall’omicidio, dopo le analisi svolte dai Ris di Messina e i vari indizi raccolti. Innanzitutto le dichiarazioni di Girgenti a cui si è arrivati ricostruendo la cerchia di persone che gravitava attorno alla piantagione. Girgenti ha fornito agli investigatori una ricostruzione “non veritiera rispetto all’esito dei riscontri investigativi”. Gli inquirenti hanno controllato anche l’auto utilizzata da Girgenti che è stata ripresa da due telecamere a circuito chiuso mentre percorreva “la possibile via di fuga dal luogo dell’omicidio”. La prova madre, per gli inquirenti, è invece lo Stub, il tampone che permette di rilevare le tracce da sparo. I Ris hanno infatti riscontrato tracce negli indumenti di Girgenti. Per gli inquirenti le tracce sono riconducibili esclusivamente allo sparo di armi da fuoco che “non possono essere in alcun modo dovute alla contaminazione da concimi e ferilizzanti usati per lo svolgimento della sua professione di vivaista”. Così gli inquirenti hanno risposto alla tesi della difesa di Girgenti rappresentata dall’avvocato Vincenzo Forti secondo cui, appunto, ci sarebbe stata una “contaminazione” dei campioni e che quelle tracce si riferivano ai materiali usati da Girgenti nella sua professione. “Nei fertilizzanti – evidenziò il legale – sono presenti rame, zinco e nichel”. E anche negli ultimi giorni, l’avvocato Forti l’ha ribadito, aggiungendo che su una mano di Girgenti “è stata trovata una sola particella che potrebbe far presumere l’uso di armi da fuoco, mentre secondo la dottrina ne occorrono dieci”. Il legale ha, inoltre, affermato che il suo cliente gli ha riferito che quando i carabinieri hanno preso i suoi vestiti non avrebbero utilizzato guanti, tute e mascherine. Li avrebbero presi da una cesta, sempre secondo Girgenti, e messi dentro il portabagagli. “E dentro il portabagagli delle auto-pattuglie – dice l’avvocato Forti – di solito ci sono armi e munizioni. Secondo il mio consulente, poi, tutte queste particelle su quattro diversi capi d’abbigliamento sono la prova che c’è stata contaminazione ambientale”.
Intanto non è stata trovata né l’arma del delitto, né gli eventuali altri complici. In questo senso le indagini proseguono.
Quello del maresciallo Mirarchi è stato certamente un attentato alla comunità, come l’abbiamo definito. Avvenuto in un periodo in cui succedevano cose strane in quella zona, in cui la coltivazione di marijuana si era fatta troppo imponente.
Subito dopo l’omicidio infatti sono arrivati i carabinieri della squadra Cacciatori di Calabria, che hanno setacciato tutta la zona. E anche le altre forze dell’ordine hanno incrementato i controlli sulle piantagioni di marijuana. La provincia di Trapani così si è rivelata la capitale delle coltivazioni di marijuana.
Con oltre 26 mila piantine sequestrate dall’inizio dell’anno la provincia di Trapani ha il primato sulla coltivazione di marijuana in Italia.
E’ un business illegale in espansione quella delle piante di marijuana in Italia, l’oro verde che fa ricchi i trafficanti. Un procedimento semplice che arriva nelle piazze di spaccio e che coinvolge diverse fasce d’età.
Un business milionario che aumenta sempre di più, soprattutto in Sicilia, soprattutto in provincia di Trapani.
In Italia nel 2016 sono triplicati i sequestri di piante di marijuana rispetto all’anno precedente. In tutto il 2015 le forze dell’ordine hanno scoperto circa 139 mila piantine di cannabis. Nei primi 9 mesi del 2016 i sequestri effettuati, dal Nord al Sud Italia, sono di 405 mila piante, con un picco a settembre, mese in cui ci cominciano a raccogliere i primi frutti.
Nel 2016 sono state 56 mila le piante sequestrate in Sicilia. Di queste quasi la metà solo in provincia di Trapani che secondo i dati del distretto antidroga del Ministero dell’Interno ha il primato italiano.
Negli ultimi mesi in provincia di Trapani c’è stata una escalation di sequestri e operazioni delle forze dell’ordine per contrastare la coltivazione e lo spaccio di cannabis. E i dati possono essere in difetto se si considerano alcune operazioni effettuate tra Marsala e Mazara.
I controlli si sono intensificati soprattutto dopo l’uccisione del maresciallo dei carabinieri Silvio Mirarchi. Da quel momento sono entrati in azione nel territorio della provincia di Trapani la squadra dei “Cacciatori di Calabria” dei Carabinieri, e sono fioccati i sequestri e gli arresti.
Attorno alla droga, alle piantagioni di marijuana, che sono diventate un business milionario, sono avvenuti delitti e fatti di sangue raccapriccianti. Come l’uccisione di un uomo di nazionalità romena colpito alle spalle e poi bruciato perchè stava rubando della marijuana in una maxi piantagione in zona Ferla, tra Marsala e Petrosino. Per omicidio e soppressione di cadavere sono stati arrestati due fratelli, Signorello, e altri due romeni. Un fatto che ha preceduto solo di qualche giorno quanto accaduto a Mirarchi.
La più grande piantagione di marijuana mai sequestrata a Marsala è stata scoperta però in contrada Cozzaro. L’operazione è stata svolta dalla Polizia di Marsala dopo un anno di indagini, segnalazioni, riscontri. Sono state trovate due colture intensive, in un esteso terreno recintato, per un totale di 15.000 piante, 4,5 tonnellate di marijuana. Il valore della droga sul mercato è di 22 milioni e mezzo di euro.
In questo business i signori della marijuana fanno affidamento sui piccoli agricoltori in crisi che affittano i terreni a poco prezzo. Dove una volta c’erano ortaggi e verdure adesso c’è la marijuana. Dove c’erano i vigneti, le serre, si coltiva l’oro verde.
Fonte: penitenziaria.it
Articolo del 2 marzo 2020
Maresciallo dei carabinieri Silvio Mirarchi ucciso con un colpo alla testa: ergastolo confermato dalla Corte di Appello di Palermo
Ergastolo confermato dalla Corte d’Appello di Palermo per Nicolò Girgenti, vivaista di 48 anni, per l’omicidio del maresciallo dei carabinieri Silvio Mirarchi (Medaglia d’oro al valor civile, alla memoria), ucciso a 53 anni in un agguato avvenuto la notte del 31 maggio 2016 nelle campagne di Marsala.
I giudici della prima sezione, presieduta dal giudice Mario Fontana, hanno dunque confermato le valutazioni della corte d’Assise di Trapani nell’autunno 2018. In fase di requisitoria il pg Ettore Costanzo aveva precisato che Girgenti “o ha sparato o è stato molto vicino a chi lo ha fatto”, ha detto durante la requisitoria.
A uccidere il maresciallo – quella notte impegnato in un sopralluogo nei pressi di una serra con 6000 piante di canapa afgana in contrada Ventrischi (Marsala) – fu un proiettile sparato da una semiautomatica Star, modello Bs calibro 9×19 ma sul luogo, oltre ai bossoli del collega che era dotato di una semiautomatica Beretta, vennero trovati i bossoli di unaterza arma.
“Arrivati all’incirca dove ci sono le serre il maresciallo ha acceso la lampadina e abbiamo intimato: ‘alt, fermi, Carabinieri’. Ma non abbiamo finito di dire le parole che ci hanno sparato addosso”, raccontò l’appuntato Antonello Massimo Cammarata, che si trovava assieme a Mirarchi durante il sopralluogo.
In seguito all’agguato i militari dell’Arma indagarono su un gruppo di persone che gravitava attorno alla gestione della serra poi sequestrata e il 22 giugno fu arrestato Girgenti che da allora si trova detenuto al ‘Pagliarelli’ di Palermo. L’uomo fu sottoposto allo stub, un tampone simile al guanto di paraffina analizzato dai Ris di Messina rilevando un’alta percentuale di sostanze (nichel e rame) che – secondo i legali dell’uomo – erano riconducibili alle sue attività agricole.
Nella sentenza di primo grado la Corte d’Assise di Trapani confermò la compatibilità tra le tracce di polvere da sparo ritrovate sui vestiti di Girgenti e l’arma che uccise Mirarchi. Per la gestione della serra di marijuana invece il Tribunale di Marsala condannò Girgenti a 2 anni e mezzo di carcere, Francesco D’Arrigo (gestore della serra) a 3 anni e mezzo e Fabrizio Messina Denaro (nessuna parentela con l’omonima famiglia mafiosa) a 3 anni.