26 Febbraio 2000 Strage di Strongoli (Crotone). Resta ucciso anche Ferdinando Chiarotti, pensionato di 73 anni, vittima innocente di una guerra tra clan.
Ferdinando Chiarotti, un pensionato di 73 anni, il 26 febbraio del 2000 stava prendendo il sole su una panchina di Strongoli quando è stato raggiunto da una pallottola sparata contro una delle vittime di un regolamento di conti tra clan. È morto pochi istanti dopo aver raggiunto l’abitazione del fratello, situata poco distante dal luogo dell’agguato. Agguato mafioso avvenuto in pieno centro, affollato di gente, che ha causato, oltre la morte dei tre giovani destinatari, anche il ferimento di un altro anziano e di un carabiniere che, insieme ad altri colleghi si era lanciato all’inseguimento degli assalitori.
I presunti colpevoli furono arrestati ma il processo si concluse il 7 settembre del 2006 con otto assoluzioni “per non aver commesso il fatto” e una condanna a 16 anni per l’unico che si autoaccusò della morte delle 4 persone per omicidio plurimo aggravato.
Articolo del 27 Febbraio 2000 da archiviostorico.corriere.it
Sparatoria in strada, ucciso un passante
di Carlo Macrì
La ‘ndrangheta colpisce in Calabria: quattro morti, carabinieri feriti nell’ inseguimento
STRONGOLI (Crotone) – Una strage di ‘ndrangheta e una vittima innocente. Un pensionato, Ferdinando Chiarotti, 73 anni, raggiunto da una pallottola vagante destinata a una delle vittime dell’agguato mafioso: Salvatore Valente, 39 anni, Massimiliano Greco, 24 anni e Otello Ciarratano, anche lui di 24 anni, tutti di Strongoli. I loro cadaveri sono rimasti sull’asfalto in una pozza di sangue. Avrebbero dovuto morire sabato scorso. Ma allora l’«Alfetta» blindata su cui viaggiavano li aveva protetti dalle raffiche di Kalashnikov e P38. Ieri i killer non hanno fallito. All’imboscata, in mezzo a centinaia di persone, è sfuggito soltanto un fratello di Ciarratano, Francesco, di 28 anni, che forse si era accorto della trappola. Firmata dalla ‘ndrangheta: le vittime, infatti, apparterrebbero tutte alla cosca dei Giglio.
Una strage avvenuta a pochi metri da una pattuglia dei carabinieri, in servizio poco distante: i militari, che erano in abiti civili, si sono subito lanciati all’inseguimento, cercando di fermare l’auto dei killer, una «145» nera, diretta sulla strada che collega Strongoli a San Nicola dell’Alto, verso l’entroterra. Ma il commando ha reagito facendo fuoco: un carabiniere è stato ferito a una gamba, un altro è rimasto colpito dalle schegge di vetro del lunotto, andato in frantumi. La pattuglia si è dovuta fermare, altre auto-civetta hanno tentato di bloccare la fuga del commando. Ma i killer, per aprirsi la fuga, hanno speronato una vettura dei carabinieri che li affiancava, facendola uscire fuori strada, in una scarpata. L’Alfa dei malviventi, nello scontro, ha subito gravi danni, ma ha proseguito comunque la fuga, inseguita da un’altra auto dei carabinieri, che però ha avuto un incidente (per fortuna senza gravi conseguenze per i tre militari a bordo). A questo punto i killer, approfittando del vantaggio accumulato, hanno abbandonato la macchina danneggiata (dentro hanno lasciato anche le armi) e fermato un automobilista di passaggio, costringendolo a consegnare loro la vettura. Con quella si sono dileguati, imboccando la strada che porta verso la montagna.
All’interno della «145» sono state trovate le armi usate per l’agguato e i guanti da chirurgo utilizzati dagli assassini per non lasciare impronte. Secondo le prime testimonianze raccolte sul luogo dell’agguato, i tre killer, dopo aver parcheggiato l’auto in una via secondaria, avrebbero seguito a piedi le loro vittime per circa 100 metri, nel corso, prima di aprire il fuoco. Ciarratano, Valente e Greco sono stati raggiunti da una pioggia di proiettili alle spalle. I tre sono morti sul colpo.
Ferdinando Chiarotti, il pensionato che prendeva il sole su una panchina del corso, benché ferito è riuscito a raggiungere l’abitazione del fratello: ma, appena entrato in casa, è morto.
L’agguato di ieri pomeriggio si inquadra nella faida che da qualche anno vede protagonisti i componenti della cosca Giglio. Una lunga catena di morti, una guerra condotta senza tregua, nello stesso clan, per il controllo del territorio. I tre uccisi ieri, però, evidentemente si sentivano al sicuro: nonostante il fallito agguato della settimana scorsa, pensavano, forse, di non correre rischi passeggiando per la strada principale del paese. Invece i killer non hanno esitato a sparare nel mucchio, uccidendo un innocente.
Sul luogo dell’agguato si è recato il procuratore antimafia di Catanzaro Mariano Lombardi. Duro il segretario nazionale del «Libero sindacato di polizia», Luigi Ferone: «Questa strage richiede una presenza dello Stato più incisiva, un rafforzamento delle forze di polizia sul territorio». Un grido d’allarme purtroppo non nuovo. Quattro anni fa, a Casabona, un paese poco distante da Strongoli, ci fu un’altra strage. Anche allora i morti furono quattro. E anche allora i killer spararono nel mucchio.
Articolo del 27 febbraio 2000 da repubblica.it
Nel pomeriggio i funerali dell’anziano rimasto coinvolto nell’agguato nel quale sono morte altre tre persone
Strongoli, il giorno dopo – In manette i killer – Cinque i fermati, tra loro il fratello di una delle vittime
STRONGOLI (Crotone) – Un funerale denso di commozione, quello di Ferdinando Chiarotti, la vittima innocente dell’agguato di ieri a Strongoli, un brutale regolamento di conti fra clan nel quale hanno perso la vita altre tre persone. L’uscita della bara fuori dall’abitazione in via Provvidenza è stata accompagnata da un lungo applauso. E anche all’interno della chiesa la piccola comunità di seimila abitanti in provincia di Crotone si è raccolta per riflettere sulla tragedia. In mattinata, intanto, sono state fermate dalla polizia cinque persone tra le quali si sospetta ci siano i mandanti e gli esecutori della sparatoria.
A far visita ai familiari di Chiarotti siè presentato oggi anche il sottosegretario all’Interno Massimo Brutti. Una visita di condoglianze, ma anche un gesto per testimoniare la presenza dello Stato in un momento così drammatico. “Non abbandonateci, non dimenticatevi di Strongoli”, è stato l’appello lanciato dalla famiglia dell’anziano a Brutti.
Le indagini, comunque, non si sono fermate. Secondo la polizia la strage sarebbe maturata all’interno della cosca Giglio, per il predomino nella zona a avrebbe avuto come motivo scatenante l’uccisione, nel novembre scorso, di Otello Giglio. I cinque fermati sono: Salvatore Giglio, di 35 anni, Francesco Giarratano (28), Rocco Laratta (28), Francesco Rizza (25) e Vito Mazzei (24).
Il ruolo da loro svolto non è ancora chiaro. Gli inquirenti hanno solo confermato come i cinque siano indiziati di pluriomicidio. Giglio potrebbe essere stato il mandante della strage di ieri pomeriggio e anche dell’agguato fallito sulla statale jonica di una settimana fa. Il tutto per vendicare il fratello assassinato il 14 novemnre scorso, fatto che è all’origine della faida fra i due clan. Francesco Giarratano, fratello di Otello Giarratano (24), uno degli assassinati di ieri, potrebbe invece avere svolto un ruolo proprio nell’omicidio di Otello Giglio. Rocco Laratta, Francesco Rizza e Vito Mazzei potrebbero aver fatto parte del gruppo che ha sparato ieri.
Ecco la ricostruzione dei fatti: un’Alfa “145” con tre uomini a bordo, nel pomeriggio, si è accostata a un gruppetto di tre persone, che passeggiavano in corso Biagio Miraglia. E dai finestrini sono cominciati a partire i colpi di un kalashnikov e di due pistole. Le tre vittime si sono subito accasciate sull’asfalto, ferite a morte.
Ma nelle vicinanze c’era anche Ferdinando Chiarotti, 73 anni, pensionato. Era seduto su una panchina, poco distante dalla sua casa. È stato colpito dai proiettili esplosi dai killer. È riuscito comunque a trascinarsi fino all’abitazione della cognata. Ma era troppo tardi: è morto immediatamente dopo essere entrato.
La condanna a morte contro le tre vittime designate era dunque stata già emessa da tempo dai capi della criminalità organizzata calabrese. Salvatore Valente, 39 anni, Otello Giarratano, 24 anni, e Massimiliano Greco, 24 anni, tutti con precedenti penali, erano infatti legati alla famiglia mafiosa dei Valente. E già sabato scorso avevano subito un feroce agguato. Si trovavano a bordo di un’Alfetta blindata, quando un gruppo di fuoco su una Fiat Croma ha cominciato a sparare. Si sono salvati solo grazie alla blindatura della loro auto. L’episodio era stato segnalato alla polizia da una telefonata anonima. Quando però gli agenti sono arrivati sul posto non c’era più niente. Le due auto sono state ritrovate solo successivamente, e portavano ancora i segni della sparatoria. Quando ieri i malviventi ci hanno riprovato non c’è stata però alcuna speranza.
Alla caccia dei killer si sono subito lanciate due pattuglie dei carabinieri, che hanno sentito gli spari dalla caserma, poco lontana dal luogo del delitto. L’inseguimento è proseguito lungo la strada che collega Strongoli a San Nicola dell’Alto, verso l’entroterra. I banditi hanno continuato a sparare: hanno centrato il parabrezza della prima volante, che è andato in frantumi ferendo il carabiniere che era alla guida. L’altra auto è invece stata coinvolta in un incidente, e anche i tre militari che erano a bordo hanno riportato ferite non gravi.
Gli assassini si sono potuti così dileguare. Hanno abbandonato la “145” sul ciglio della strada. Poi hanno fermato un passante e, sempre sotto la minaccia delle armi, si sono fatti consegnare la sua auto e sono fuggiti.
Articolo di La Repubblica del 28/02/2000
Calabria, presi sicari e mandante
di Pantaleone Sergi
Ignaro passante resta ucciso durante un agguato tra pregiudicati. Nella sparatoria resta ferito gravemente anche il pensionato Giuseppe Marasco.
STRONGOLI (Crotone) – La paura non passa, i segni del lutto e della strage di un “giorno qualunque” sono invadenti. Li trovi in ogni vicolo, in ogni strada, davanti alla chiesa, sui volti smarriti di tanti giovani e su quelli cupi dei loro padri. Eppure hanno preso mandante e presunti sicari, hanno preso anche il fratello di una delle vittime, sfuggito egli stesso a due agguati ma non all’accusa di avere ucciso in questa faida. Cinque fermi non bastano a dare coraggio. Volendo usare un’immagine del parroco don Rosario Morrone, il quale dal pulpito della vecchia chiesa del Vescovado, affollata durante il funerale di Ferdinando Chiarotti, il pensionato ucciso da una pallottola vagante, condanna la mafia che deve essere distrutta e chiama figli i mafiosi perché possono essere recuperati, avere “estirpato” poche piante malvagie non basta per dire che il campo è pronto per far crescere il grano.
Cinque fermati, dunque, rappresentano la svolta immediata in quelle che si annunciavano indagini complesse, e forse vane, sulla strage che ha lasciato per strada, in via Biagio Miraglia, Salvatore Valente, i suoi guardaspalle Massimiliano Greco e Vincenzo Otello Giarratano, e un ignaro passante, Ferdinando Chiarotti, 73 anni (nella violenta sparatoria è rimasto ferito gravemente – e nessuno l’altra sera ne sapeva nulla – un altro pensionato settantenne, Giuseppe Marasco, che un compaesano aveva portato in ospedale dove nella notte è stato operato).
Una mano agli inquirenti l’avrebbero data alcune delle stesse persone nottetempo portate in caserma. Pare infatti che Salvatore Giglio, 35 anni, il numero uno di quel tabellone sulle ‘ndrine di Strongoli appeso nella sala biliardo della caserma dei carabinieri di Cirò Marina, dove un maresciallo traccia una croce sulla foto segnaletica dei morti ammazzati, si sia tradito al telefono parlando con qualcuno: “Li avete stesi tutti? Ora stiamo attenti…”. Stavano attenti anche i carabinieri. Le conversazioni incrociate sono finite nei nastri. Il cerchio si stringe, il magistrato dispone i fermi, ma tutto ciò non cancella l’allarme per possibili ritorsioni. E però la legge, una volta tanto, si è mossa con celerità. Giglio, il cui trono mafioso era in pericolo, uscito dal carcere proprio il giorno in cui in ospedale spirava il fratello Otello ferito in un agguato a lupara, avrebbe ordinato la strage ingaggiando un commando di sicari in un paese vicino, Papanice, frazione di Crotone. I carabinieri pensano così di essere arrivati ai sicari. Un nome viene tenuto celato, gli altri due sospettati di avere imbracciato mitra e pistole assassine sono Rocco e Pantaleone Laratta. Una quinta persona è stata fermata nel fronte avverso: si tratta di Francesco Giarratano, 28 anni, scampato ai fucilieri del clan, sospettato del delitto di Otello Giglio.
“Stiamo indagando”, si limita a dire il capitano Giuseppe Giorgino, “non chiedeteci altro”. L’unica cosa certa è che siamo in presenza di una strage annunciata, preparata nel quadro di una guerra che terrorizza la gente di Strongoli. “Eppure bisogna riappropriarsi delle strade”, incita don Rosario dopo ogni delitto. Ma è un’ impresa ardua. Basta ricostruire per grandi linee gli eventi sanguinari di questa guerra interna che sta disintegrando una delle cosche più potenti del Crotonese per rendersene conto. Con i processi Olimpia ed Eclisse il ko sembrava definitivo. Poi, pian piano i mafiosi sono tornati per le strade, riprendendosi territorio e affari.
Alla fine del 1997 tornarono liberi Otello Giglio e Salvatore Valente, i due luogotenenti del boss Salvatore Giglio. Chi doveva guidare la cosca, Giglio perché fratello del capo ancora in carcere o Valente che aveva dato prova di avere forza e carattere? A cadere per primo fu Michele Benincasa. Era il dicembre 1998. Il delitto segnò la frattura del clan un tempo monolitico. Da una parte Valente con i giovani, dall’ altra Giglio che reclutò nuove leve. A marzo ’99 la prima lupara bianca. Vittima uno dei Valente, Domenico Serra. I contrasti diventarono allora esplosivi: ad aprile veniva ucciso e bruciato Emiliano Dima, il 10 novembre sfuggiva a un primo attentato Salvatore Valente (nell’ agguato rimase ferito a un piede un gregario, Salvatore Cosentino), subito dopo qualcuno sparava contro Vincenzo Otello Giarratano, morto nella strage di sabato scorso, dopo 4 giorni finiva nel mirino dei sicari Otello Giglio, ucciso davanti al bar “Da Roberto” davanti a tanti testimoni, quindi si doveva registrare un’altra lupara bianca, la scomparsa nel nulla di G. C., per arrivare al fallito attentato dell’altro sabato e a quello tragicamente portato a segno tre giorni fa, con vittime anche innocenti.
In prefettura a Crotone s’ è svolto un vertice sull’ordine pubblico, il sottosegretario Massimo Brutti, che ha presieduto la riunione, ha voluto rendere omaggio alla salma del pensionato ucciso. “Non abbandonate Strongoli, non dimenticate i nostri giovani”, gli hanno chiesto con dignità i nipoti della vittima. “Ci vuole tempo”, dice don Rosario, “ma riusciremo a far vincere la cultura dell’amore”.
Articolo di La Stampa del 28 Febbraio 2000
Strage di Strongoli, cinque fermati
di Rocco Valenti
Il parroco: uscite dalle case, altrimenti la mafia vince
CROTONE «Non dimenticatevi di Strongoli, non abbandonateci»: eccola l’angoscia di un paese, all’indomani della strage nella quale sono morte quattro persone e tra queste un pensionato, Ferdinando Chiarotti, ammazzato per caso solo perchè si trovava lungo la traiettoria di un colpo di Kalashnikov. «Non abbandonateci», hanno detto i parenti di Chiarotti, ieri, al sottosegretario agli Interni Massimo Brutti, a Strongoli per rendere omaggio alla salma del settantatreenne, nel giorno dei funerali.
Meno di 24 ore per archiviare la fine senza senso di un uomo che aveva solo amici. Omaggio alla memoria di una persona perbene, che si era guadagnata la stima generale per la dedizione al suo lavoro, duro, nei campi. Omaggio sentito, nel giorno in cui i carabinieri, a poche ore dall’eccidio, hanno fermato cinque persone: avrebbero responsabilità dirette nella strage di sabato. C’era molta gente ai funerali, nella chiesa madre. «Non abbandonateci» : l’appello si indovinava dai volti delle centinaia di persone che guardavano verso i quattro metri quadrati di asfalto, nel corso Biagio Miraglia, in cui era avvenuto l’agguato. Era rassegnazione, non indifferenza. Perché da anni la guerra di ‘ndrangheta insanguina le strade di Strongoli. E dopo ogni delitto, che in genere non guadagnava altrettanto clamore, si tornava punto e a capo: nel terrore di uscire a fare una passeggiata perché ci si poteva trovarsi nel mezzo di una sparatoria. E i carabinieri non hanno colpe, dicono i parenti di Chiarotti: «Che cosa possono fare in pochi?». Lo sanno bene: qualche anno fa, fu segnalata ai carabinieri la presenza di un cadavere in una certa zona in modo che i killer avessero campo libero per colpire il proprio bersaglio in un’altra.
«Non bisogna chiudersi in casa, altrimenti la mafia vince»: lo aveva detto di recente altre due volte don Rosario Morrone, giovane parroco a Strongoli; quelle parole le aveva pronunciate quando ci furono i funerali degli ultimi due morti ammazzati e le ha ripetute ieri, nell’omelia per l’estremo saluto a Ferdinando Chiarotti. E don Morrone conosce bene la situazione: «Con loro io parlavo, e loro rispettavano quello che io dicevo», ha detto riferendosi alle vittime della strage. «Quello che serve è far crescere la cultura dell’amore, perché la mafia è come il grano: cresce solo se il terreno è predisposto».
La rassegnazione è evidente nei volti, ma trapela anche dalle parole di un anziano che preferisce restare nell’anonimato: «Ho fatto sei anni di guerra, ma queste cose non le ho mai viste». E un altro: «Quando mi sposto da qui quasi mi vergogno di dire che sono di Strongoli, paese ostaggio della ‘ndrangheta, teatro di scontri sanguinosi per profitti anche minimi. Dopo l’eccidio di sabato, seguito da una sparatoria tra killer e carabinieri (sta meglio il militare rimasto ferito ad una gamba: ne avrà per una ventina di giorni), gli investigatori hanno bruciato le tappe di un lavoro che li impegnava da tempo, da quando si era cominciato ad avere la certezza che a Strongoli fosse riesplosa una battaglia all’interno della stessa cosca.
All’alba di ieri i cinque fermati erano già in caserma. Tra questi, Francesco Giarratano, ventottenne, scampato nell’agguato di sabato (nel quale, oltre a Chiarotti, sono morti un fratello di Giarratano, Otello, di 24 anni. Salvatore Valente, 39, e Massimiliano Greco, 26). Sarebbe ritenuto implicato nell’omicidio di Otello Giglio, nel novembre scorso. Delitto, quest’ultimo, che avrebbe scatenato la reazione concretizzatasi con l’eccidio in corso Biagio Miraglia. E tra i fermati di ieri c’è anche Salvatore Giglio, fratello di Otello, 35 anni, ritenuto dagli investigatori a capo della ‘ndrina», quando questa era ancora unita. Altri tre giovani (i carabinieri del comando provinciale di Crotone non hanno dato indicazioni sui ruoli che attribuiscono agli indagati) sono di una frazione di Crotone, Papanice.
Articolo del 28 Febbraio 2000 da ilcrotonese.it
Ucciso come un cane
Il sottosegretario Brutti ai funerali di Chiarotti
STRONGOLI – La bara con le spoglie di Ferdinando Chiarotti è uscita tra gli applausi della gente, tanta gente, dalla soglia di casa in via della Provvidenza dove abitava insieme alla famiglia del fratello, Domenico. Un applauso che è durato a lungo e che racchiude il sentimento di solidarietà di questa comunità di 6 mila abitanti che capisce come non mai di essere finita in un vicolo cieco se non riuscirà a trovare già al suo interno la forza per reagire alla barbarie della mafia.
Tanti fiori, una commozione visibile ma composta, mentre il corteo, tra il salmodiare delle preghiere, giunge alla chiesa del vescovado.“E’ accaduto che i nostri sogni di modernità si siano infranti – ha detto nell’omelia il parroco don Rosario Morrone – . Non si può pensare di sognare un cambiamento se poi affermiamo che alla fine questi ‘sono affari loro’.
“Se non siamo in grado di generare pensieri diversi – ha proseguito don Morrone – questi fatti purtroppo si ripeteranno”.
Don Rosario ha parlato con fervore ma con pensieri semplici ed efficaci di Ferdinando Chiarotti: ”Un giorno me lo sono visto nell’orto della parrocchia. ‘Io so fare solo questo, zappare, e lo metto a disposizione della Chiesa’, mi ha detto. Ferdinando era una persona umile e gentile -, ha sottolineato ancora Don Rosario – che dava agli altri quello che aveva. La sua morte serva ad una missione: tutti insieme si costruisca una nuova civiltà dell’amore, per scongiurare che l’odio crei odio, che l’indifferenza crei indifferenza”.
“Ma un sacerdote – ha ancora aggiunto il parroco di Strongoli – deve essere come un padre, come una madre per i quali non ci sono figli buoni o cattivi, caso mai ci sono figli che hanno bisogno di più attenzione perché più discoli”.
Al termine della messa, la salma è uscita di nuovo tra gli applausi sul sagrato della chiesa mentre intorno ai familiari si è stretta, per dare loro conforto, la gente di Strongoli.
Prima che la salma venisse prortata in chiesa per i funerali il sottosegretario agli Interni, Massimo Brutti ha voluto rendere omaggio alla salma del pensionato rimasto vittima innocente del fuoco dei killer nell’agguato di ieri a Strongoli, recandosi nell’abitazione in cui è stata allestita la camera ardente.
“Non abbandonateci, non dimenticatevi di Strongoli”. E’ stato questo l’appello pronunciato in maniera accorata quanto dignitosa al sottosegretario Brutti dai familiari di Ferdinando Chiarotti. “Mio zio, non ha smesso un solo giorno di lavorare nella sua vita non meritava di morire come un cane”, ha deto un nipote tra le lacrime.
Ma sono state le uniche parole di recriminazione dette dinanzi all’uomo di Governo. Le altre sono servite a descrivere la grave situazione di Strongoli (che è poi quella di tanti altri paesi del sud), che rischiano di rimanere dissanguati dall’emigrazione se lo Stato non riuscirà a dare una prospettiva al futuro di tanti giovani disoccupati. Parlando, quasi a nome di tutta la comunità, i nipoti e la cognata di Ferdinando Chiarotti, Giuseppina Laurenzano, hanno formulato una domanda che oggi è sulla bocca di tanti genitori: “Oggi come possiamo impedire ai nostri figli che hanno compiuto 18 anni di fare le valige e di andare via da questa terra se non c’è alcuna possibilità di lavoro per loro?”.
I nipoti del pensionato, interpretando i sentimenti che accomunano tutti i cittadini di Strongoli, hanno descritto così la sensazione che attanaglia oggi il paese: “Abbiamo paura per i nostri bambini, persino quando andiamo a fare la spesa”. Ma parole di grande apprezzamento sono state rivolte ai Carabinieri: “Noi abbiamo visto solo l’Arma. Ma che che cosa possono fare in pochi? Ecco perché vogliamo garanzie o saremo tutti costretti ad andare al nord, ad emigrare”. Poi le parole conclusive rivolte al sottosegretario: ci auguriamo che la morte di nostro zio possa contribuire a fare qualcosa per questo paese, che la sua morte cioè non sia stata inutile”.
Sul volto della gente che, a piccoli capannelli, stazionava fin dalla mattinata sulla via principale del paese, il giorno dopo la strage che è costata la vita a quattro persone, si coglie apprensione e sgomento. La gente è restia a commentare l’episodio di sabato, la mattanza che ha macchiato di sangue il corso principale del paese, ma qualcuno facendosi forza confessa: “sì abbiamo paura. Quello che è accaduto ieri ci ha sconvolti. Strongoli è un paese abbandonato a se stesso tanto che le stesse amministrazioni comunali non hanno vita lunga da noi”.
Il comune di Strongoli è infatti commissariato da qualche mese dopo le dimissioni di oltre la metà dei componenti il Consiglio comunale. Il sindaco uscente è Luigi Arrighi che capeggiava una Giunta Pds-Cdu-Indipendenti, Si. Non è la prima amministrazione che finisce anzi tempo il periodo di gestione amministrativa e questo non fa altro che aumentare il senso di provvisorietà in paese.
Fonte: archivio.unita.news
articolo del 28 febbraio 2000
«Una zona cruciale che fa gola alla ’ndrangheta»
di Roberto Monforte
Intervista a ENZO CICONTE, studioso di criminalità organizzata
ROMA «A Strongoli, purtroppo il sangue tornerà a scorrere». Non ha dubbi Enzo Ciconte, calabrese, già parlamentare Pci e uno dei massimi conoscitori del fenomeno ‘ndrangheta, suoi sono i libri «La ’ndrangheta dall’unità ad oggi» e «Processo alla ‘ndrangheta» per Laterza.
Ciconte, ma perché questa strage?
«La situazione di Strongoli è delicata perché da una decina di anni a questa parte, vi è la ripresa di questa faida in modo ricorrente. Prima vi era una cosca unitaria, quella di Bruno Dima che poi si è sfasciata e si sono creati due tronconi tra i quali i Giglio ed i Valente. L’area di Strongoli confina con la zona di Sibari e con il Cosentino, terre di alleanze molto forti. E poi Strongoli rappresenta un’area particolarmente appetibile…»
Perché appetibile?
«Per il traffico della droga che arriva via mare dallo Jonio e prende la strada del Nord. E la droga crea forti appetiti economici. Un tempo nella zona c’erano due cosche molto forti, quella degli Arena di Isola Capo Rizzuto e dei Maesano,che controllavano tradizionalmente la Guardiania e tutta la zona dei villaggi turistici, e che trattavano anche droga. Ma queste due cosche, anche perché bersagliate dalle forze dell’ordine, si sono indebolite e il loro posto è stato preso da altre cosche mafiose. Bisogna anche considerare un altro fattore. Molte cosche del Crotonese sono emigrate, un po’ al Nord e un po’ all’estero, in particolare in Germania….»
Cosa intende per emigrate all’estero?
«Che si sono trasferite organicamente all’estero, mantenendo però un collegamento con la famiglia nel territorio d’origine. A differenza della mafia e della camorra, la ‘ndrangheta è un’associazione a rigida organizzazione familiare. Può quindi succedere che pezzi di una famiglia decidano trategicamente di spostarsi e diano vita a delle vere e proprie colonie. La ‘ndrangheta è un’organizzazione stanziale, e quindi molto collegata al territorio, ma contemporaneamente capace di varcare i confini»
Ma perché vanno fuori?
«Per due ragioni. Alla ricerca di situazioni di maggiore ricchezza che si possono trovare al Nord e all’estero. È una scelta che finirà per dare più forza e mezzi alla famiglia che resta in Calabria. Vi è poi una seconda ragione: il rispetto del territorio. Una famiglia che non voglia aprire una guerra, non può espandere la sua influenza su di un territorio che appartiene già ad un’altra cosca».
Questo in generale, ma a Strongoli cosa sta succendendo?
«Questa guerra è determinata sia dal controllo del mercato della droga, che dal tentativo di controllare la provincia di Crotone, interessata ai contratti d’area e quindi a un rilevante flusso di investimentie di appalti».
Un’aggravante è che il comune di Strongoli è commissariato da anni…
«Certo, mancando un potere democratico, aumenta il rischio di una penetrazione malavitosa nel settore degli appalti. Tenga conto anche del fatto che a novembre è stato ammazzato Otello Giglio, un personaggio che tentava di mettere pace tra le due cosche in lotta, quella dei Giglio e dei Valente. Questo è stato il segnale inequivocabile che si sia scelta la strada stragista della guerra tra le famiglie. A conferma di quanto le dicevo prima sui collegamenti esterni al territorio calabrese, uno dei Valente è stato ammazzato nel’89 a Bologna da ‘ndranghetisti che venivano da Milano. L’ordine è partito da Strongoli. Chi lo ha deciso si è messo in contatto con la ‘ndrangheta dei De Stefano di Reggio Calabria che hanno dato l’ordine alla cosca di Milano».
Sono storie poco conosciute…
«Certo, perché la ‘ndrangheta a differenza di Cosa Nostra o della camorra opera in un cono d’ombra. È un’organizzazione mafiosa che ha sempre cercato di non emergere all’esterno, che lavora in silenzio e cerca di evitare gli atti clamorosi, eccetto che per le guerre di mafia. Ma dal ‘91 ad oggi, dalla pace di Reggio Calabria, gli omici di mafia sono stati ben pochi. Nel silenzio si fanno meglio gli affari. Questo vuol dire che a Strongoli si è rotto un equilibrio».
Ma la strage di Strongoli sembrava una strage annunciata…
«Si, ma le faccio notare che le tre vittime erano state oggetto di un attentato una settimana fa, eppure sono stati sorpresi dai killer camminare per strada e disarmati. Questo vuol dire che erano talmente tracotanti, che si sentivano talmente sicuri…. Ma hanno fatto un errore tragico di valutazione. E poi quelli che hanno sparato lo hanno fatto a viso scoperto…».
E questo cosa vuol dire?
«O che venivano da fuori, o che sono persone del posto conosciute da tutti, ma che hanno una tale sicurezza che nessuno parli da sparare a viso scoperto… Ora si fronteggiano i Valente e di Giglio e le famiglie a loro collegate e imparentate».
Cosa fare?
«A Strongoli e nel Crotonese vanno rafforzati gli apparati dello Stato e non si tratta soltanto di numeri, ma anche di qualità della presenza delle forze dell’ordine. Devono riuscire a capire quello che si muove nella ‘ndrangheta».
Cosa possiamo aspettarci?
«Dipende dalla capacità di reazione del clan delle persone colpite, che visto l’atteggiamento di sicurezza delle vittime,ritengo che esista e che sia forte».
Allora scorrerà altro sangue?
«Tutto lascia prevedere di sì, almeno che un’autorità mafiosa più forte,collegata alla ‘ndrangheta di Reggio Calabria, per limitare il danno che una massiccia presenza sul territorio delle forze dell’ordine comporterebbe per gli affari malavitosi, non riesca a metterli tranquilli. Questo, insieme alla capacità offensiva degli organi di polizia»
Articolo dell’11 dicembre, 2009 da calabrianotizie.it
“Per la strage di Strongoli l’ok dei Papaniciari” – La rivelazione del pentito Vincenzo Marino durante la sua deposizione al processo a carico delle nove persone imputate per quel massacro
Il Giornale di Calabria
CATANZARO – Il pentito Vincenzo Marino ha riferito dell’appoggio dei “papaniciari” per la strage di Strongoli, ieri durante la sua deposizione al processo davanti alla Corte d’assise d’appello di Catanzaro a carico delle nove persone imputate per quel massacro. Proprio come aveva fatto alla scorsa udienza del 23 ottobre l’altro collaboratore Ferruccio Arcuri, anche Marino, comparso in videoconferenza, di spalle e con addosso un giubbotto antiproiettile, ha confermato la presenza fisica di esponenti del clan crotonese durante la strage, rispondendo alle specifiche domande degli avvocati Claudia Conidi, Luigi Falcone, Francesco Verri.
Marino ha inoltre spiegato che, durante la sua detenzione nel carcere di Crotone, seppe da Pasquale Giglio che la strage sarebbe stata commissionata – per vendicare la morte di Otello Giglio – a Francesco Abruzzese, del clan di Cassano (Cosenza), che l’avrebbe portata a termine proprio come atto richiesto per “affrancare” la cosca cosentina e renderla autonoma.
Sulle medesime questioni Marino dovrà essere controinterrogato ancora all’udienza del 20 gennaio dagli avvocati che ieri erano assenti.
A voler sentire i due pentiti Arcuri e Marino è stato il sostituto procuratore generale Domenico Prestinenzi che, all’avvio del processo d’appello, ha chiesto ed ottenuto di riaprire l’istruttoria dibattimentale, ed acquisire in questa sede le dichiarazioni fatte dei collaboratori in seguito alle recenti indagini sulla faida di Papanice, nel Crotonese, sulle quali non si potè contare in primo grado.
Il processo per la strage di Strongoli davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro si concluse infatti il 7 settembre del 2006, con otto assoluzioni “per non aver commesso il fatto”, una condanna per Cosimo Scaglione, che si autoaccusò della morte di 4 persone, e un reato di “strage” che fu riqualificato in omicidio plurimo aggravato ##; mentre all’ultimo accusato, il pentito Scaglione, vennero inflitti i 16 anni di reclusione richiesti dal pm Sandro Dolce.
I fatti del processo risalgono al pomeriggio del 26 febbraio 2000 quando, sul corso della cittadina del Crotonese, un commando scatenò una pioggia di fuoco che falciò senza pietà i pregiudicati Otello Giarratano, Salvatore Valente e Massimiliano Greco, ma anche il pensionato Ferdinando Chiarotti, reo di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato.
Nella sparatoria rimase gravemente ferito anche il pensionato Giuseppe Marasco, nonché uno dei carabinieri a bordo dell’auto che si lanciò all’inseguimento dei killer e su cui questi spararono all’impazzata.
Un massacro che sarebbe stato generato dal precedente assassinio del 30enne Otello Giglio (avvenuto il 14 novembre del ’99), ritenuto dagli investigatori uno dei capi della cosca Giglio, in guerra con la famiglia dei Valente per il controllo del territorio.
Questa la ricostruzione della Procura effettuata, dopo una prima richiesta di archiviazione, a quattro anni di distanza dalla carneficina anche grazie al contributo di tre collaboratori di giustizia: Di Dieco, 41 anni, ex boss di Castrovillari, Gaetano Greco, appartenente alla stessa cosca di Castrovillari, e Cosimo Alfonso Scaglione, 36 anni, ex killer del clan del Pollino, che si è autoaccusato degli omicidi di Strongoli.