10 Gennaio 1974 Palermo, borgata San Lorenzo. Ucciso Angelo Sorino, 57 anni, Maresciallo di Polizia in pensione.
Angelo Sorino, 57 anni, era un maresciallo di Polizia in pensione; era stato in forza al Commissariato di Pubblica Sicurezza del quartiere Resuttana di Palermo, dove era considerato un «archivio ambulante» sulla mafia di borgata. Anche dopo essere andato in pensione, non aveva mai smesso di essere e comportarsi da poliziotto e le sue giornate le trascorreva raccogliendo informazioni, che puntualmente riferiva ai colleghi. Questo i capifamiglia della zona non potevano consentirlo e non glielo perdonarono. Fu ucciso il 10 gennaio 1974.
Nota di Caduti di Polizia: cadutipolizia.it
Angelo Sorino, 57 anni
Maresciallo di Polizia in pensione
Palermo, borgata San Lorenzo, 10 Gennaio 1974
Era in forza al Commissariato di Pubblica Sicurezza del quartiere Resuttana di Palermo (oggi Commissariato San Lorenzo).
Aveva lasciato la Polizia nel 1971 per limiti di età e, su sua richiesta, era stato richiamato in servizio per altri otto mesi e, il primo gennaio del 1973, dovette abbandonare per sempre l’uniforme.
Un anno dopo, il 10 gennaio del 1974, venne ucciso a colpi di pistola: un sicario gli sparò alle spalle in Via San Lorenzo, nell’omonimo quartiere palermitano ad alta densità mafiosa, dove il sottufficiale abitava. Il killer lo colpi da distanza ravvicinata con una calibro 38. Sorino stramazzò sull’asfalto, stringendo ancora in mano l’ombrello col quale si era riparato dalla pioggia ed aveva accennato ad un’ultima, disperata quanto inutile difesa.
L’assassino gli esplose contro altri due colpi di pistola e fuggì a bordo di una Fiat 500, guidata da un complice. L’utilitaria, rubata ventiquattr’ore prima, fu ritrovata il giorno dopo nella vicina borgata Pallavicino. Sulla matrice mafiosa dell’omicidio gli inquirenti non ebbero, fin da subito, alcun dubbio: “cosa nostra” aveva deciso di ucciderlo perché, anche senza vestire più l’uniforme, non aveva mai smesso di essere e comportarsi da poliziotto e le sue giornate da pensionato le trascorreva raccogliendo informazioni, che puntualmente riferiva ai colleghi. E, questo, i capifamiglia della zona non potevano consentirlo e non glielo perdonarono.
Articolo da L’Unità del 12 Gennaio 1974
L’agguato mafioso al maresciallo che sapeva troppo
di Vincenzo Vasile
Così lo hanno ucciso a Palermo davanti a casa
Fulminato a colpi di pistola mentre rientrava – « Era un archivio ambulante di nomi e fatti » dicono i colleghi – Un pensionato da eliminare – Il figlio commissario
Tanti, troppi elementi dell’agguato mortale teso nella tarda serata di ieri all’ex maresciallo di PS in pensione, Angelo Sorino, 64 anni (quattro figli) nella borgata palermitana di Resuttana, richiamano alla memoria il più classico repertorio dei delitti di mafia: e che questa sia la matrice del delitto, non c’è dubbio neanche per gli inquirenti, per il capo della Mobile, che stamane ha parlato schiettamente, ai giornalisti, di una classica « vendetta mafiosa ».
I richiami e le analogie che si ricavano dalla impressionante sequenza di eventi — seguiti passo passo dalla moglie e da una figlia della vittima, affacciate al balcone — sono molti: innanzitutto la tecnica dell’agguato, compiuto con la complicità delle ombre della sera da un killer sceso da un’auto rubata (una «500» ritrovata poi a meno di un chilometro) che ha atteso il poliziotto dietro l’angolo di casa, il volto protetto da un cappuccio, secondo un informatore della questura che si cela, per prudenza , dietro l’anonimato, o col bavero rialzato e
la falda di un cappello sugli occhi, stando ad un altro testimone; poi l’uso di una micidiale pistola di grosso calibro, una «38», secondo i risultati dell’autopsia condotta questa sera, sulla salma, dai periti della Medicina legale; infine, e soprattutto , questa estrema decisione e freddezza «da professionista» esperto e sperimentato, che fa pensare ad un delitto su commissione.
Il commando era formato da due uomini — uno che ha sparato, l’altro alla guida dell’auto. Poi, per cambiar macchina sulla strada che si snoda verso l’aeroporto di Punta Raisi, a pochi minuti dal crimine, doveva esserci, dietro, una organizzazionee efficiente, decisa ad uccidere ed a far perdere ogni traccia.
Ma, oltre alle intuizioni fornite dalla nera evidenza dei fatti, c’è qualche cosa che desta curiosità e allarme nel meccanismo di questo delitto accaduto nel bel mezzo dei giardini che fanno gola alla ultima ondata di speculazione sulle aree palermitane, a poche centinaia di metri da località che costituiscono lo scenario di una sfilza di sequequestri, uccisioni ed agguati attorno a cui si è snodata la cronaca criminale di questi anni. A cadere sotto i proiettili è stato, questa volta, un poliziotto che questo mestiere faceva da 34 anni, da quando
— compiuto il corsoo sottufficiali della scuola di Caserta — fu assegnato alla polizia giudiziaria della borgata, dove aveva prestato servizio fino alla soglia della pensione.
E da questo mestiere Angelo Sorino non si era potuto staccare: vi aveva avviato unfiglio, il dottor Giuseppe Sorino, 43 anni, dirigente della «squadra politica» di Caltanissetta. Egli stesso, dopo la pensione, aveva ottenuto una «rafferma » di sei mesi.
la a a uPer la questura resta un «collega»: anzi — si sono lasciati scappare questa notte alcuni inquirenti — era un vero e proprio «archivio ambulante» sulla mafia di borgata: una affermazione, questa, che porta dritto ad una ipotesi più che credibile: che cioè, rotti gli equilibri che si reggevano sulla carica «ufficiale» detenuta dal Sorino fino allo scorso gennaio. Il suo ruolo di super-informatore abbia cominciato a scottare.
A voler fare l’elenco del « casi» su cui Sorino aveva indagato nella sua lunga carriera, rischiamo di perderci: nel mazzo ci sono pure la strage di mafiosi di viale Lazio e il sequestro De Mauro.
Articolo da L’Unità del 20 Marzo 1974
Presi 9 per l’omicidio dell’ex maresciallo PS
Nell’ambiente mafioso di Palermo
PALERMO, 19. La squadra mobile e i carabinieri hanno arrestato la scorsa notte nove persone. nel quadro delle indagini sull’uccisione del maresciallo di pubblica sicurezza in pensione
Angelo Sorino. Oltre ai nove, abitanti nelle borgate di San Lorenzo Colli e Resuttana, sono state colpite da mandato di cattura altre due persone, attualmente irreperibili. Come si ricorderà. l’omicidio di Angelo Sorino venne compiuto la sera del 10 gennaio scorso, davanti all’abitazione dell’ex sottufficiale, che si trova, appunto, in via San Lorenzo Colli. Un
uomo, appostato nei pressi del portone, esplose contro Sorino quattro colpi di rivoltella e si dette, quindi, alla fuga, a bordo di una «500» condotta da un complice.
Il presunto omicida sarebbe stato ora individuato dalla squadra mobile in Mario Guttilla, di 29 anni. Gli altri otto, che devono rispondere di associazione per delinquere. concorso in omicidio ed altri reati sono: Benedetto Ferrante, Vincenzo Pedone. Vincenzo Gambino. Luigi Ferrante, Carlo Montalto. Filippo Giacalone, Giovanni Ferrante e Gaetano Pedone. Tutti gli arrestati sono, secondo gli investigatori, elementi di spicco delle cosche mafiose di San Lorenzoo Colli e di Resuttana, due borgate della immediata periferia nord di Palermo. L’eliminazione del maresciallo Sorino, originario di Montopoli, vicino Bari, ma residente a Palermo da circa quarant’anni, sarebbe stata decretata — sempre secondo gli investigatori — da un «tribunale mafioso». In sostanza, pur essendo in pensione, l’ex maresciallo si sarebbe reso colpevole agli occhi delle consorterie mafiose di aver indagato su alcuni delitti, avvenuti in seguito a contrasti fra opposti gruppi delinquenziali.
Articolo da L’Unità dell’1 Agosto 1974
Sfuma nel nulla ancora un’indagine antimafia
Dieci prosciolti a Palermo
Rimarrà impunito l’assassinio di un ex poliziotto?
PALERMO, 31
Come se non fosse bastata la «doccia fredda» della mite sentenza contro i boss della cosiddetta «nuova mafia», un altro inquietante delitto a sfondo mafioso si avvia a rimanere
impunito a Palermo: dieci esponenti, delle cosche della borgata di S. Lorenzo Colli, accusati dalla polizia di aver commissionato sette mesi addietro l’assasinio del maresciallo di P.S. in pensione Angelo Sorino, hanno superato infatti, pressoché indenni, lo scoglio della requisitoria del P.M. Terranova, cui la procura di Palermo ha affidato l’istruttoria.
Secondo il magistrato, icolleghi del maresciallo Sorino non sarebbero infatti riusciti a raccogliere prove sufficienti per giustificare l’imputazione di omicidio a loro carico. Il P.M. si è limitato a richiedere perciò il rinvio a giudizio dei dieci boss sotto l’imputazione di associazione per delinquere.
Nelle tasche della giacca del maresciallo, ucciso da un commando di tre killer sotto casa la sera del 10 gennaio scorso, venne ritrovato un appunto con dieci nomi. Tanto è bastato perché la polizia indicasse in essi i mandanti dell’omicidio.
Prove più concrete, al contrario vennero raccolte, (ma solo per caso) a carico di un giovane, Mario Guttilla, 25 anni, indicato da un testimone oculare come uno dei killer. Il magistrato ha cancellato la maggior parte delle tesi degli inquirenti.
v. va.
Fonte: isiciliani.it
Articolo del 10 gennaio 2014
10 gennaio 1974, Angelo Sorino, il poliziotto che non smise mai di esserlo
Per loro, per i mafiosi, era un poliziotto nell’anima. Lo dimostrava il fatto che, nonostante avesse raggiunto i limiti d’età e che dopo 54 anni di polizia potesse aspirare in piena legittimità alla pensione, aveva accettato di prestare servizio ancora per un po’, otto mesi in tutto. Il maresciallo di pubblica sicurezza Angelo Sorino, 57 anni, si era ritrovato così in forza al quartiere Resuttana di Palermo, poi divenuto San Lorenzo, fino al 1 gennaio 1973. Poi basta, la divisa l’aveva messa via.
Però continuava, il sottufficiale, a essere poliziotto. Passeggiando per il quartiere, andando al mercato o al bar, chiacchierava, ascoltava, appuntava mentalmente informazioni che poi riferiva ai colleghi ancora in servizio. Informazioni talvolta utili a contrastare i clan di quella zona di Palermo, una zona dove la mafia si era diffusa fin troppo capillarmente. E quell’attività del poliziotto, ai boss di quel rione, proprio non andava giù.
Quando non faceva ciò, però, Sorino cercava di dedicarsi alla famiglia, ai quattro figli, anche se la sospirata pensione se la poté godere solo un anno: il 10 gennaio 1974, un lunedì piovoso, giunse la fine a pochi passi da casa sua. Accadde nel quartiere San Lorenzo e il killer che lo uccise non ebbe nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia. Infatti il maresciallo Sorino fu colpito alle spalle con una calibro 38 e a nulla valse quell’ultimo tentativo di ripararsi dai proiettili con l’ombrello che aveva portato con sé. Chi lo ammazzò, prima di darsi alla fuga, poi sparò ancora un paio di colpi. Ad attenderlo, per portarlo via, un uomo alla guida di una Fiat 500 rubata e a quel punto i due si diedero alla macchia.
Fonte: stampacritica.it
Articolo del 15 gennaio 2016
Mafia e impunità: il delitto Sorino
di Luca De Risi
Se la brutale ed efferata violenza delle sue esecuzioni, è servita alla Mafia per espandere ed affermare le sue attività criminali, ha avuto negli anni anche la funzione di spaventoso deterrente alla condanna dei suoi uomini. Mafia e Impunità – ancora oggi – sono termini che vivono appaiati nel senso comune: quasi che a dire l’uno, si evochi – ineluttabile – l’altro.
Allora, ricordare l’esecuzione di Angelo Sorino – l’ex poliziotto ucciso il 10 gennaio del 1974 sotto casa da un killer che lo ha freddato con 4 colpi di pistola – significa riannodare anche i lacci della storia giudiziaria di questo paese e di una ‘classe’ di giovani magistrati capaci di difendere la Legge a costo della vita.
Che l’omicidio di Angelo Sorino fosse di stampo mafioso, fu subito chiaro a tutti. Intanto per le modalità del delitto: una vera e propria esecuzione, con la vittima che, colpita a pochi passi dalla sua abitazione, tentò una inutile resistenza difendendosi con l’ombrello, ma che poi agonizzante venne freddata sull’asfalto da un colpo di grazia esploso a bruciapelo.
E poi, per il ‘messaggio’ che esprimeva la sua uccisione. ‘Cosa nostra’ aveva voluto sbarazzarsi di un pezzo di ‘memoria’, di una abilità investigativa che, per quanto fosse in pensione, consentivano ad Angelo Sorino di restare in attività. Di fatto funzionava da ‘archivio vivente’ per i colleghi più giovani in servizio, che al suo fiuto e alle sue conoscenze facevano continuo ricorso, per dipanare la matassa di crimini della mafia a Palermo.
Ma, dicevamo, significativa è anche la storia processuale di questo fatto di mafia, che – guarda caso – si colloca negli anni delle sentenze miti o accomodate contro gli uomini della cosiddetta “nuova mafia” degli anni settanta.
Per descrivere il clima storico e giudiziario di quegli anni ci avvaliamo della ricostruzione del giornalista Francesco Deliziosi il quale ricorda come “nel dicembre del ’69 killer travestiti da poliziotti firmarono la strage di viale Lazio (quattro morti), sparando all’impazzata negli uffici di un costruttore. Nel settembre del ’70 venne sequestrato e ucciso il giornalista Mauro De Mauro, il 5 maggio del ’71 fu assassinato il procuratore Pietro Scaglione. La reazione di politici, magistrati e forze dell’ordine a una simile offensiva si risolse, nel giro di pochi anni, in un buco nell’acqua. Nel 1973 ai settantacinque imputati per l’omicidio Scaglione vennero inflitte pene minime e solo per associazione a delinquere. Nel ’74 il processo per la cosiddetta “nuova mafia” si concluse con l’assoluzione di quarantasei imputati.”
Alle indagini, agli arresti e ai processi, erano quelli gli anni, in cui seguivano ‘docce fredde’ per magistrati e inquirenti, con ‘picciotti’ e uomini d’onore mandati quasi regolarmente assolti.
Fu, lo stesso, al processo per i presunti mandanti e per i presunti killer di Angelo Sorino. Furono arrestati in dieci: uno riconosciuto addirittura come il killer, da un testimone oculare, gli altri ad esso collegato figuravano in un elenco di mafiosi redatto su un foglietto dallo stesso Sorino.
Ma secondo la Pubblica Accusa mancavano prove sufficienti per l’imputazione di omicidio, si limitò quindi a rimandarli a giudizio con la sola accusa di associazione per delinquere. Nel 1974 i mandanti le fecero franca.
Continuarono a farla franca per oltre un decennio. Poi sulla scena irruppero magistrati e investigatori, che dichiararono guerra alla ‘cupola’: tra i loro nomi figurano quelli di Giovanni Falcone, Pietro Grasso, Sergio Borsellino, Giuseppe Ayala, Domenico Signorino. Molti di loro confluirono nel leggendario ‘pool antimafia’ – coordinato da Antonino Caponnetto – che portò allo storico maxiprocesso del 1984.
Ebbene tra i tanti delitti di cui dovettero rispondere i ‘padrini’ di Cosa Nostra – stiamo parlando di boss del calibro di Luciano Liggio, Michele e Pino Greco, Giuseppe Bono, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano – ci fu anche il delitto dell’ex poliziotto Angelo Sorino, commesso una decina di anni prima.
La mafia si combatte così: senza mai dimenticare e inseguendo sempre una insaziabile ‘fame’ di giustizia. Certo, ci piacerebbero sentenze rapide e definitive ma è la complessità stessa del fenomeno mafioso a rendere le cose tremendamente difficili.
È la collusione tra criminalità, affari e potere politico che fa delle inchieste anti-mafia il punto più avanzato della lotta alla criminalità: una lotta dove servono una costante riformulazione dell’immagine stessa dell’organizzazione mafiosa e, al contempo, un’idea più pervasiva delle dinamiche interne alla nostra società civile.
Siamo partiti da Angelo Sorino, siamo arrivati dopo 10 anni alla sentenza di condanna per i suoi assassini grazie ad eroi dell’antimafia come Giovanni Falcone.
Sta a noi fare in modo che – per quanti lutti e sconfitte colpiscano lo Stato –nell’esempio di chi è caduto per la Giustizia, si rinnovi lo sforzo per non dimenticare, perché resti – inestinguibile – la sete di Verità.