4 Maggio 1980 Monreale (PA) Ucciso il Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, impegnato in indagini sulla mafia della zona, soprattutto attraverso accertamenti bancari.
Emanuele Basile, 30 anni, capitano dei Carabinieri, sposato e padre di una bimba di quattro anni fu ucciso dalla mafia il 4 maggio del 1980 mentre passeggiava con la moglie e la sua piccola tra le braccia.
Si era impegnato in indagini sulla mafia della zona, soprattutto attraverso accertamenti bancari. Subito dopo l’omicidio furono arrestati i mafiosi Armando Bonanno, Giuseppe Madonia, figlio del capomafia Francesco, e Vincenzo Puccio, che dichiararono di trovarsi nelle campagne di Monreale per un appuntamento galante. Prima assolti, poi condannati all’ergastolo, dopo vari annullamenti da parte della Cassazione, la sentenza definitiva arrivò dopo nove anni dal delitto. Nel frattempo sia Puccio che Bonanno furono uccisi.
Fonte: Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” Palermo
Viene ucciso la sera dei festeggiamenti del santo patrono. Aveva in braccio la figlia di pochi anni.
Si era impegnato in indagini sulla mafia della zona, soprattutto attraverso accertamenti bancari. Subito dopo l’omicidio furono arrestati i mafiosi Armando Bonanno, Giuseppe Madonia, figlio del capomafia Francesco, e Vincenzo Puccio, che dichiararono di trovarsi nelle campagne di Monreale per un appuntamento galante. Prima assolti, poi condannati all’ergastolo, dopo vari annullamenti da parte della Cassazione, la sentenza definitiva arrivò dopo nove anni dal delitto. Nel frattempo Puccio è stato ucciso in una cella dell’Ucciardone e anche Bonanno è stato ucciso.
Biografia
Terzo di cinque figli, frequentò l’Accademia Militare di Modena. Prima di intraprendere la carriera militare, riuscì a superare il test di Medicina e a sostenere il difficile esame di Anatomia, ma i sentimenti di giustizia e legalità, valori fondamentali nella sua vita, ebbero il sopravvento sulla professione medica. Fu così che entrò nell’Arma dei Carabinieri. Prima di giungere a Monreale comandò le compagnie di altre città, tra cui quella di Sestri Levante (GE), e se la mafia non avesse interrotto la carriera del giovane carabiniere di 31 anni, la successiva destinazione sarebbe stata quella di San Benedetto del Tronto (AP). Precedentemente al suo assassinio, aveva condotto alcune indagini sull’uccisione di Boris Giuliano, durante le quali aveva scoperto l’esistenza di traffici di stupefacenti. Tuttavia, apprestandosi a lasciare Monreale, si era premurato di consegnare tutti i risultati a cui era pervenuto a Paolo Borsellino.
L’assassinio ed i processi
La sera del 4 maggio 1980 mentre con la figlia Barbara di quattro anni e alla moglie Silvana Musanti aspetta di assistere allo spettacolo pirotecnico della festa del Santissimo Crocefisso a Monreale, un killer mafioso gli spara alle spalle e poi fugge in auto atteso da due complici. Basile viene trasportato all’ospedale di Palermo dove i medici tenteranno di salvargli la vita con un delicato intervento chirurgico ma il carabiniere muore durante l’operazione lasciando nel dolore la moglie e lo stesso Paolo Borsellino che era corso in ospedale. Vincenzo Puccio, il suo assassino, verrà catturato dai carabinieri subito dopo l’omicidio ma verrà assolto tre anni dopo, creando sgomento e rabbia sia nei magistrati sia nei suoi colleghi. Tre anni dopo la sua morte, il 13 giugno 1983, morirà ucciso il Capitano Mario D’Aleo sempre per mano di Cosa Nostra, D’Aleo aveva preso il posto di Basile come comandante della Compagnia dei carabinieri di Monreale.
Onorificenze
Medaglia d’oro al valor civile
Comandante di Compagnia distaccata, già distintosi in precedenti, rischiose operazioni di servizio, si impegnava, pur consapevole dei pericoli cui si esponeva, in prolungate e difficili indagini, in ambiente caratterizzato da tradizionale omertà, che portavano alla individuazione e all’arresto di numerosi e pericolosi aderenti ad organizzazioni mafiose operanti anche a livello internazionale. Proditoriamente fatto segno a colpi d’arma da fuoco in un vile agguato tesogli da tre malfattori, immolava la sua giovane esistenza ai più nobili ideali di giustizia ed assoluta dedizione al dovere.
— Monreale (Palermo), 4 maggio 1980
Articolo da L’Unità del 25 Febbraio 1987
Gli assassini dell’ufficiale di Monreale erano stati arrestati con le armi ancora calde
Annullata un’altra sentenza sulla mafia
di Gino Brancato
«Assolti i killer del colonnello Basile, in fumo anni di indagini».
Reazioni indignate tra i magistrati di Palermo dopo il verdetto della Cassazione – La prima sezione, presieduta da Corrado Carnevale, aveva già annullato molti altri processi.
Palermo l Il magistrato è irritato «E proprio vero che la normalizzazione avanza», dice. E non aggiunge altro. Aspetta prudentemente di vedere come la Cassazione motiverà il nuovo robusto colpo di spugna che ha riportato al punto di partenza anche il processo per l’omicidio del capitano Emanuele Basile, assassinato davanti alla moglie e alla figlia la sera del 4 maggio 1980 a Monreale.
Una decisione, si limita a notare il sostituto procuratore Guido Lo Forte, che finisce per mandare in fumo anni di indagini e per allontanare ancora il momento della verità.
A palazzo di giustizia la notizia diffonde stupore, amarezza, perfino preoccupazione «Se si cavilla attorno ad una pretesa nullità in un giudizio con tre imputati figurarsi cosa accadrà quando il processo giungerà in Cassazione», confida al cronista un altro giudice che chiede di restare anonimo solo perché non vuole ridurre la questione ad una contrapposizione fra la Cassazione e i magistrati palermitani «Io non credo alla concatenazione casuale dei fatti. Ci sono troppi episodi — aggiunge — che mi fanno pensare ad una regìa» Tutti i commenti concordano nel sottolineare un semplice dato di fatto tutte le decisioni più controverse recano l’impronta della prima sezione della Cassazione, quella presieduta da Corrado Carnevale.
E’ la stessa sezione che nel giugno scorso annullò la condanna all’ergastolo ai fratelli Michele e Salvatore Greco per la strage Chinnici. Seguirono polemiche durissime. Ma già prima di allora la prima sezione aveva ridisegnato, a colpi di annullamento, il quadro accusatorio del maxiprocesso. Trenta mandati di cattura erano stati annullati durante l’istruttoria, altri trenta dopo il deposito dell’ordinanza di rinvio a giudizio. Con gli annullamenti a catena è stato via via ridimensionato anche il contributo di Tommaso Buscetta e di Totuccio Contorno alle cui dichiarazioni la Cassazione ha finito per negare diritto d’ingresso nel processo. L’opera di demolizione si è estesa anche al maxi!processo-bis costruito in buona misura sulle rivelazioni di Mariano Marsala su certi illuminanti collegamenti tra la mafia di provincia e alcuni personaggi politici. Inutile dire che fa Cassazione ha buttato a mare anche lui.
Dai colpi di scure non si sono salvati neppure quei processi dovei «pentiti» non erano mai entrati. E’ il caso del procedimento contro «i cavalieri del lavoro» di Catania, arrestati dal giudice Carlo Palermo per un giro di false fatture Iva. I provvedimenti furono annullati, il processo trasferito a Catania dove proprio ieri il pubblico ministero Giuseppe Bertone ha chiesto il rinvio a giudizio dei maggiori imputati (Rende, Costanzo, Oraci, Parasiliti). Anche il processo per l’omicidio del maresciallo Jevolella, ucciso a Palermo nel 1981 dopo un’indagine su una cosca coinvolta nel traffico della droga, ha subito la sorte degli altri.
Nelle decisioni della prima sezione una formula ricorre frequentemente «difetto di motivazione» oppure «motivazioni contraddittorie». Il confine tra il giudizio di merito e quello di legittimità è dunque molto sottile. E per questo Carnevale è stato anche accusato di aver introdotto nei giudizi della Cassazione criteri “innovativi”. Ma al «Corriere della Sera» ha dichiarato «Io non ho innovato nulla. Ho riportato alla luce quello che era stato dimenticato nell’oblio degli anni Settanta ed Ottanta. Era mio dovere farlo. Il fenomeno delle prove “non vestite” deve cessare».
Per annullare l’ergastolo al tre presunti killer di Basile — Armando Bonanno, Vincenzo Puccio e Giuseppe Madonia arrestati praticamente con le pistole fumanti — stavolta Carnevale non è entrato nel merito ha usato un metro rigorosamente formale. Ha colto un insanabile «vizio procedurale» nel fatto che, nel processo in corte d’assise d’appello, era stata sbagliata la data di estrazione dei giudici popolari nell’avviso spedito al difensori.
La corte aveva superato il problema sostenendo che, trattandosi di una «mera irregolarità», non era in grado di intaccare il diritto di difesa. E in questa tesi era confortata da una costante giurisprudenza. Nell’ordinanza era, tra l’altro, richiamata una decisione analoga assunta in via incidentale, dalla Corte costituzionale. Al contrarlo della Consulta Carnevale ritiene invece che quell’errore è proprio irreparabile.
In questo modo è stato scritto l’ultimo sconcertante atto di una vicenda più che tormentata. I tre imputati, catturati senza un alibi subito dopo il delitto mentre vagavano per le campagne di Monreale, erano stati assolti in primo grado per insufficienza di prove. Dissero, e furono creduti, che erano reduci da un «convegno d’amore» con donne sposate. E da uomini d’onore non fecero mai nomi. Scarcerati e inviati al confino in Sardegna, tagliarono la corda prima del giudizio d’appello che invece li condannò all’ergastolo. Solo Puccio è stato ripreso tre mesi fa a resterà in carcere perché è imputato, come suoi amici, nel maxiprocesso.
Articolo da La Repubblica del 25 Febbraio 1987
‘COSÌ VANNO IN FUMO ANNI DI INDAGINI’
di Giuseppe Cerasa
PALERMO Ecco come vanno in fumo anni di sacrifici e di durissimo lavoro. Ecco come si allontana l’ accertamento di una verità che sembrava abbondantemente acquisita. Guido Lo Forte, uno dei giudici di punta della Procura della Repubblica di Palermo commenta così le decisioni della Cassazione che lunedì sera ha annullato le condanne all’ ergastolo per Giuseppe Madonia, Vincenzo Puccio e Armando Bonanno, considerati i killer del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, ucciso a Monreale il 3 maggio del 1980. Lo scriva pure, siamo profondamente amareggiati. Chi fa ogni giorno i conti con le organizzazioni di Cosa Nostra non può che guardare con preoccupazione a segnali che si sommano uno dopo l’ altro. Quali siano questi segnali Lo Forte non lo dice, ma in procura e all’ ufficio istruzione si vive ormai la sindrome dell’ accerchiamento. Prima le polemiche sui maxiprocessi e sull’ utilizzo delle dichiarazioni dei pentiti. Poi la sentenza della prima sezione della Cassazione che ha annullato il processo d’ appello per l’ omicidio Chinnici, ma ha così messo in libertà anche gli uomini d’ onore di Cosa Nostra accusati dal pentito Vincenzo Marsala. Poi ancora la vicenda Sciascia, le accuse ai professionisti dell’ antimafia, l’ insistenza con cui si chiede l’ abolizione delle scorte e il ridimensionamento dei servizi di sicurezza, per finire all’ imminente riforma della procedura penale. Non può non esserci una regia in tutto questo, dicono i magistrati che da anni lavorano a delicate inchieste sulla piovra e che adesso debbono registrare senza batter ciglio una pericolosissima inversione di tendenza. I timori maggiori riguardano il maxiprocesso in corso nell’ aula-bunker contro 475 uomini d’ onore e superboss accusati di appartenere a Cosa Nostra. Quale sia la linea della Cassazione è già emerso nei mesi scorsi quando decine di mandati di cattura, confermati dal Tribunale della libertà, sono stati annullati dalla Suprema Corte. E adesso c’ è chi teme il peggio. Gli errori possono sempre accadere, osserva Leonardo Guarnotta, uno dei giudici che ha lavorato all’ istruzione del maxiprocesso. E se è già difficile arrivare alla sentenza definitiva in vicende di mafia con solo tre imputati, immagini cosa significa provvedere a 475 notifiche, senza considerare gli obblighi per le parti civili, i termini per gli avvocati e gli imputati a piede libero. Tra i difensori degli imputati al processone contro Cosa Nostra c’ è chi ha già sommato 200 motivi di nullità e si ripromette di farli valere in Cassazione. E adesso sulla regolare conclusione del maxiprocesso incombe la richiesta del legale di Luciano Liggio, avvocato Salvatore Traina, che ha chiesto il blocco delle udienze e il rinvio degli atti alla Corte costituzionale. La sentenza della Cassazione costringerà probabilmente lo stesso Ayala a rivedere alcuni passaggi della sua requisitoria che si occupa tra l’ altro anche dei mandanti dell’ omicidio Basile, cioè della commissione di Cosa Nostra che avrebbe avuto un ruolo decisivo anche nell’ esecuzione del comandante del gruppo dei carabinieri di Monreale. In ogni caso non ritengo che la decisione della Cassazione possa avere ripercussioni immediate sul maxiprocesso, rassicura Giuseppe Ayala. Soddisfazione invece tra i penalisti che hanno rappresentato davanti alla Suprema Corte gli interessi di Puccio, Bonanno e Madonia. Quella sentenza non poteva reggere, nota l’ avvocato Carmelo Cordaro. Non si fondava su elementi tecnici di prova ma su circostanze generiche. I difensori tra l’ altro avevano inutilmente chiesto alla Corte il parziale rinnovo del dibattimento di primo grado, concluso con l’ assoluzione dei tre imputati per insufficienza di prove. E questo per verificare anche i tempi necessari per raggiungere il luogo dove era stata abbandonata l’ auto usata dai killer dal punto in cui furono arrestati i tre presunti assassini del capitano dei carabinieri, bloccati nelle campagne di Monreale poche ore dopo l’ agguato.
Maffia / Mafia – scenario Omicidio del Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile
Fuma che ‘Nduma – Pubblicato il 25 giu 2012
Maffia
Scenario – omicidio Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile
Regia di Giuseppe Porcu
Spettacolo realizzato dagli allievi del Liceo “Arimondi” di Savigliano il 5/6 giugno 2012
nell’ambito del progetto “Il Ruggito delle Pulci”
Sono morti per noi ed abbiamo un grosso debito verso di loro. Questo debito dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera, rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne, anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro, facendo il nostro dovere. La lotta alla mafia deve essere un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.
Monreale non dimentica, cerimonia per il capitano Emanuele Basile
Redazione MonrealePress – Pubblicato il 4 mag 2016
Trentasei anni fa veniva assassinato il capitano dei carabinieri.
Presenti le più alte cariche militari, civili e religiose.
Fonte: antimafiaduemila.com
Articolo del 4 maggio 2018
Emanuele Basile, il carabiniere dalla schiena dritta
di Davide de Bari
Ancora oggi i suoi valori sono impressi nella memoria collettiva
La domenica del 4 maggio 1980, Emanuele Basile stava rientrando a casa, insieme a sua moglie e sua figlia di quattro anni, dopo aver assistito alla processione per la festa del Santissimo Crocifisso a Monreale. L’Ufficiale aveva in braccio la figlia Barbara addormentata quando i sicari di Cosa nostra gli spararono numerosi colpi di arma da fuoco. Basile fece da scudo a sua figlia per proteggerla dai proiettili, compiendo l’ultimo gesto eroico. La moglie Silvana cercò di proteggere il marito, mettendosi sul bersaglio dei sicari; ma fortunatamente un colpo di pistola andò a finire su un’agenda con copertina in argento massiccio che aveva con sé, che risparmiò la donna. A nulla servì poi il trasporto in ospedale, perché il capitano morì durante l’operazione lasciando nel dolore la moglie e il suo amico e giudice Paolo Borsellino.
Il carabiniere ucciso dalla mafia
Emanuele Basile nacque a Taranto il 2 luglio 1949. Frequentò l’accademia Militare di Modena e si iscrisse alla Facoltà di Medicina, superando anche il test d’ammissione. Il sentimento della giustizia e della legalità lo spinse però ad entrare nell’Arma dei Carabinieri. Come prima Compagnia comandò quella di Sestri Levante (GE) e poi arrivò in Sicilia a Monreale nel settembre 1977. Dove si occupò delle indagini sull’omicidio del capo della Squadra Mobile, Boris Giuliano, ucciso da Cosa nostra il 21 luglio del 1979. Seguendo le tracce di Giuliano, Basile scoprì l’esistenza di traffici di stupefacenti in cui era coinvolta la cosca dei Corleonesi, che a quel tempo era in piena ascesa. Come il capo della Mobile, anche Basile, grazie ad accertamenti bancari, comprese il nuovo business della mafia. Questo lo portò a comprendere anche i legami tra la cosca di Altofronte e quella corleonese. Le indagini portarono il carabiniere, il 6 febbraio 1980, ad arrestare i membri delle famiglie del mandamento di San Giuseppe Jato, rappresentato dall’epoca da Antonio Salamone e Bernando Brusca, e alla denuncia di altri sodali tra cui Leoluca Bagarella, Antonino Gioè, Antonino Marchese e Francesco Di Carlo. Le attività delle cosche portarono Basile a formulare l’ipotesi che le famiglie facevano capo a Salvatore Riina. Infatti, lo scrisse nel suo ultimo rapporto del 16 aprile 1980 che poi nello stesso giorno consegnò, insieme al resto della documentazione, al giudice Paolo Borsellino. Basile, come Giuliano, fu tra i primi a capire il peso dell’intromissione del clan corleonese nel traffico di droga. Una “grave colpa” per i vertici di Cosa nostra che portò la commissione a decidere il suo assassinino il 4 maggio del 1980.
Un percorso di giustizia lunghissimo
I sicari furono arrestati poco dopo il delitto mentre cercavano di far perdere le loro tracce. Si trattava di Armando Bonanno poi sparito con la “lupara bianca”, Vincenzo Puccio ucciso in carcere a colpi di bistecchiera in ghisa e Giuseppe Madonia figlio del boss di San Lorenzo. La vicenda giudiziaria dell’omicidio fu molto lunga e frastagliata. Il processo di primo grado, nonostante la testimonianza diretta della moglie Silvana, portò all’assoluzione dei tre che vennero scarcerati e inviati al soggiorno obbligato in Sardegna. La Corte d’Appello ribaltò l’esito della sentenza di primo grado condannando all’ergastolo gli assassini. Ma il processo fu annullato in Cassazione dal giudice Corrado Carnevale (soprannominato l’ammazza sentenze, ndr) per dei vizi di forma. La Corte d’Appello di Palermo presieduta dal giudice Antonino Saetta (poi ucciso da Cosa nostra il 25 settembre 1988) condannò nuovamente i colpevoli all’ergastolo, ma la Corte di Cassazione annullò il processo per difetto di motivazione. Arrivati al settimo processo, insieme agli esecutori, finirono condannati anche i mandanti: Totò Riina, Michele Greco e Francesco Madonia, mentre furono assolti: Pippo Calò, Bernando Provenzano, Bernando Brusca e Nenè Geraci. Invece Giovanni Brusca ammise di aver collaborato nel progetto di omicidio.
Per i valori di cui il capitano è stato portatore, per i quali si batteva e difendeva, per l’alto senso dello Stato, per l’amore della divisa e soprattutto per aver combattuto Cosa nostra il 3 maggio 2011, l’Università di Palermo gli ha conferito la Laurea Honoris Causa in Giurisprudenza. Inoltre, il 13 giugno 2013, il sindaco di Monreale, Filippo Di Matteo, dopo la delibera del Consiglio Comunale, ha conferito la cittadinanza onoraria al capitano Basile. Ma prima ancora di queste, il 6 giugno 1982 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini gli conferì la medaglia d’oro al valore civile per essersi “distinto in precedenti, rischiose operazioni di servizio, s’impegnava, pur consapevole dei pericoli cui si esponeva, in prolungate e difficili indagini in ambiente caratterizzato da tradizionale omertà, che portavano alla individuazione ed all’arresto di numerosi e pericolosi aderenti ad organizzazioni mafiose operanti anche a livello internazionale. Proditoriamente fatto segno a colpi di arma da fuoco in un vile agguato tesogli da tre malfattori, immolava la sua giovane esistenza ai più nobili ideali di giustizia ed assoluta dedizione al dovere”.
Fonte: filodirettomonreale.it
Articolo del 30 aprile 2019
“Premio Emanuele Basile”, stasera l’assegnazione nella chiesa della Collegiata
Durante la manifestazione si esibirà in concerto la Fanfara del 12° Reggimento Carabinieri Sicilia
Monreale, 30 aprile 2019 -È stato istituito qualche anno fa, oggi il “Premio Emanuele Basile” è un appuntamento inserito nel programma religioso, stilato dalla Confraternita del SS.Crocifisso di Monreale.
Nella chiesa della Collegiata, ore 21, verranno assegnati i premi alle scolaresche monrealesi che hanno prodotto degli elaborati in memoria del capitano Basile. Durante la serata ci sarà il concerto della Fanfara del 12° Reggimento Carabinieri Sicilia.
Prenderanno parte il sindaco Piero Capizzi, il vicario generale della diocesi, monsignor Antonino Dolce, il colonnello Luigi De Simone, comandante del Gruppo carabinieri Monreale, il capitano Guido Volpe, comandante della Compagnia di Monreale.
Il premio “Emanuele Basile” è riservato alle scuole di Monreale ed è stato istituito qualche anno fa dalla Confraternita del SS.Crocifisso per ricordare il capitano Basile ucciso dalla mafia il 4 maggio del 1980.
Fonte: cosavostra.it
Articolo del 5 maggio 2019
Emanuele Basile. Il Capitano dei Carabinieri di Monreale
di Francesco Trotta
A Monreale, cittadini e forestieri più attenti, persi ad ammirare la bellezza di una città che non si esaurisce nel solo Duomo, avranno fatto caso ad una targa commemorativa che reca scritto il nome di Emanuele Basile, Capitano dei Carabinieri. Vittima innocente di mafia; ucciso il 4 maggio 1980. Basile, nato in Puglia, a Taranto, era arrivato nella città della provincia di Palermo dopo una rapida carriera nell’Arma.
E qui era arrivato in qualità di pretore anche Paolo Borsellino che con Basile avrebbe condiviso una certa “vicinanza” di intenti: quelli per lo Stato e per la giustizia.
In effetti c’è un’altra targa che ricorda questo passaggio, installata sulla palazzina occupata dal futuro giudice: “In questa pretura ha svolto la funzione di pretore il dott. Paolo Borsellino, procuratore della Repubblica ucciso unitamente alla scorta in data 19 luglio 1992 dalla vile mano mafiosa. La città di Monreale ne ricorda le grandi doti di saggezza e di equilibrio nell’amministrazione della giustizia. 18 luglio 1994”.
Non solo, l’ufficio della Pretura era alle spalle della stazione dei Carabinieri di Monreale guidata proprio da Emanuele Basile. Borsellino, arrivato in città a ventinove anni, sarebbe rimasto lì per altri sei anni e con il Capitano il rapporto lavorativo si sarebbe trasformato anche in stima e affetto reciproci.
La morte del Capitano.
La notte tra il 3 il 4 maggio 1980, Basile, insieme alla moglie e alla figlioletta di quattro anni che teneva in braccio, addormentata, stava tornando in caserma dopo aver assistito ai festeggiamenti del Santo Patrono.
Nell’ordinanza di rinvio a giudizio del 1981, curata da Paolo Borsellino nei confronti di Armando Bonanno, Giuseppe Madonia e Vincenzo Puccio – i tre sicari di Cosa Nostra – leggiamo la ricostruzione dell’accaduto: “Alle ore 1.40 del 4 maggio il Capitano Emanuele Basile, comandante della Compagnia dei Carabinieri di Monreale, dopo aver partecipato ad un ricevimento offerto presso quel Municipio in onore del Santo Patrono della città, percorreva a piedi, unitamente alla moglie Silvana Musanti ed alla figlia Barbara, che teneva in braccio, la via Pietro Novelli, diretto al suo alloggio, presso la sede del Comando. Allorché era giunto già nelle vicinanze della caserma, due individui a viso scoperto gli esplodevano contro, alle spalle ed a ravvicinata distanza, numerosi colpi di rivoltella calibro 38, colpendolo al torace e al capo. Altro colpo, diretto verso la Musanti, veniva fortunatamente deviato da una borsetta che la donna teneva a tracolla. Gli aggressori quindi si allontanavano di corsa, raggiungendo un’autovettura A112, parcheggiata nelle vicinanze della caserma, che prontamente avviatasi, imboccava la strada provinciale in direzione di Pioppo[…]. Frattanto il Capitano Basile veniva soccorso ed accompagnato dapprima presso la Clinica Ingrassia di Palermo e quindi presso l’Ospedale civico regionale, ove, a causa delle gravi ferite riportate, decedeva intorno alle ore cinque del mattino”.
Il ricordo di quella tragica sera procede ora con quanto troviamo scritto nell’ordinanza del Maxi processo: “Nella stessa notte i Carabinieri di Monreale procedevano, a pochi chilometri di distanza dal centro abitato, all’arresto di tali Giuseppe Madonia, Vincenzo Pucco ed Armando Bonanno, sorpresi in sospette circostanze ed in condizioni tali da far con certezza ritenere si fossero poco prima dati alla fuga a piedi lungo la campagna circostante Monreale, nei cui pressi era stata rinvenuta l’auto con la quale i malviventi si erano subito dopo l’omicidio allontanati. I tre davano risibili giustificazioni in ordine ai loro movimenti e fornivano, comunque, alibi risultati falsi. Venivano incriminati per l’omicidio dell’ufficiale, il tentato omicidio della moglie Silvana Musanti e vari reati connessi […]. Dopo complesse vicende dibattimentali i tre imputati venivano assolti dalla Corte di Assise per insufficienza di prove ed immediatamente scarcerati”.
Da quest’estratto possiamo già intuire una caratteristica – purtroppo non unica, che si sarebbe ripetuta in altre vicende giudiziarie – circa la difficoltà di poter condannare gli esecutori del delitto Basile.
Infatti, nonostante la testimonianza della moglie Silvana, i tre mafiosi sarebbero stati in primo grado assolti. E, nonostante in appello la sentenza fosse stata ribaltata, con la condanna all’ergastolo, in Cassazione, nuovamente, Bonanno, Puccio e Madonia sarebbero stati assolti per “vizi di forma”, secondo quanto stabilito dal giudice Corrado Carnevale, soprannominato appunto “l’ammazzasentenze”.
Processo da rifare, dunque. Nuovamente condannati dal giudice Antonino Saetta, poi ucciso nel 1988, la Cassazione avrebbe ancora annullato la sentenza di appello per difetto di motivazione. Sarebbe servito un altro processo, il settimo, per condannare all’inizio degli anni Novanta, precisamente nel 1992, almeno i mandanti: Totò Riina e Francesco Madonia, mentre per Michele Greco, soprannominato “il Papa”, anche lui a giudizio coi predetti, il processo sarebbe continuato con un nuovo rinvio in appello e poi nuovamente in Cassazione, alla fine dello scorso secolo; tant’è che possiamo leggere ancora nel 1999 un articolo su “La Repubblica” in cui si parla del “caso Basile”, simbolo dei processi aggiustati, del caso che non deve finire mai.
Almeno i mandanti, appunto. Perché intanto Bonanno sarebbe sparito per “lupara bianca” e il suo corpo non sarebbe più stato ritrovato, mentre Puccio sarebbe stato ucciso in carcere nel 1989 a colpi di bistecchiera.
Perché era stato ucciso Emanuele Basile? Il Capitano dei Carabinieri aveva raccolto l’eredità di Boris Giuliano, ucciso nel 1979. L’eredità consisteva nell’indagine sul traffico di stupefacenti che coinvolgeva le famiglie mafiose della provincia palermitana, indagate con l’allora innovativa ipotesi di un’organizzazione unica – la mafia, appunto, che ancora non esisteva come reato nel nostro codice penale – capace di fare affari con le altre famiglie criminali d’oltreoceano.
Non a caso, il 6 febbraio 1980, venivano arrestati alcuni componenti della cosca di San Giuseppe Jato, il mandamento alleato ai “Corleonesi” e centrale nella strategia di Totò Riina per impossessarsi di Cosa Nostra. Leggiamo, sempre nell’ordinanza del “Maxi”: “Trascorso qualche mese tuttavia le indagini subivano una decisiva svolta. Il capitano Emanuele Basile […] il quale sin dal 25 luglio 1979, occupandosi della scomparsa dei fratelli Melchiorre e Giuseppe Sorrentino, risalente all’inizio di quel mese, aveva chiesto alla Procura della Repubblica di Palermo l’emissione di provvedimenti tendenti ad accertare la consistenza patrimoniale e le disponibilità bancarie dei Di Carlo, del Gioè, del Marchese e del Vanni Calvello, provvedeva autonomamente, in data 6 febbraio 1980, all’arresto di Giulio e Andrea Di Carlo, Salvatore e Giuseppe Lo Nigro, Giuseppe Cusimano e Giacomo Bentivegna, alla denuncia del Gioè e del Marchese […], e di Leoluca Bagarella […], nonché alla denuncia in stato di irreperibilità di Francesco Di Carlo, loro addebitando di essere i componenti di vasta associazione per delinquere con ramificazioni ad Altofonte e a Palermo, alla cui attività dovevano farsi risalire anche numerosi omicidi in quel periodo in Altofonte verificatisi”. E ancora nell’ordinanza si legge: “Nell’aprile 1980 il Giudice Istruttore ed il P.M., accompagnati dal Capitano Basile, si recavano nel comune di Medicina (Bologna), dove venivano escussi in qualità di testi tali Giacomo Riina e Giuseppe Leggio. […] Contestualmente, a cura del Capitano Basile, veniva eseguita perquisizione presso le loro abitazioni in Medicina e Budrio. Veniva in casa di Riina sequestrata ampia documentazione comprovante i suoi rapporti con i Di Carlo e con il loro congiunto Benedetto Capizzi, sicché, con il rapporto del 22 aprile 1980, a firma del Capitano Basile, il Riina e il Capizzi venivano anch’essi denunziati per il reato di associazione per delinquere e colpiti con da mandato di cattura con il quale tale delitto veniva loro contestato”.
Nell’ordinanza, quindi, si evince l’importanza dell’attività investigativa svolta da Basile e si sottolinea nelle successive righe anche il legame tra l’attività dello stesso Capitano e quella di Giuliano: “Col rapporto del 22 aprile 1980 usciva di scena il Capitano Basile, fino ad allora infaticabile animatore delle indagini iniziate il 7 luglio 1979 dal dr. Giorgio Boris Giuliano”. Basile si era affrettato a consegnare il rapporto al suo amico giudice, Paolo Borsellino; il quale, dopo l’omicidio del Capitano, avrebbe detto malinconicamente e non senza emozione: “Non possiamo gettare la spugna. Sennò facciamo il gioco dei mafiosi”.
La notte del 4 maggio, Borsellino, appreso al telefono dell’omicidio di Basile, era scoppiato a piangere nella sua intimità. Fu quella la prima volta che la moglie Agnese lo vide piangere. Fu allora che per il Giudice iniziò una vita sotto scorta.
Sopravvivere alla morte di un marito e di un papà. “È colpa mia se adesso è morto”. Sono queste le parole che una bimba non dovrebbe mai pronunciare e non non vorremmo mai ascoltare, specialmente se dirette al tragico ricordo dell’omicidio del proprio genitore. “Mamma, è stata colpa mia. Non ho avvertito in tempo papà, non ce l’ho fatta a dirgli che doveva scappare”. Barbara quella notte era in braccio al papà, con la testa appoggiata sulla sua spalla. Assonnata, vide probabilmente quegli uomini avvicinarsi al Capitano Basile, estrarre le armi. Vide… ma probabilmente non avrebbe mai potuto immaginare che quegli uomini erano assassini, che quelle armi erano strumenti di morte.
Si incolpava, la piccola Barbara, di non aver fatto abbastanza.
Eppure dopo l’omicidio del padre, la bambina, che aveva ancora la polvere da sparo sulla manina, non parlò per tre giorni, non proferì nulla. I mafiosi non la colpirono per puro caso; ma i proiettili la sfiorarono. Poi una notte avrebbe confessato alla madre quel dubbio atroce, quella colpa che non avrebbe mai potuto avere. E sarebbe stata la mamma a placare la sua innocente angoscia, spiegandole che i proiettili corrono più veloci delle gambe. Neppure al funerale del padre le fu detta la verità e quando chiedeva dove fosse papà, la mamma le rispondeva che lui aveva solo piccole ferite, che lo stavano curando. Che sarebbe tornato presto…
Silvana e Barbara, moglie e figlia di Basile, andate via da Palermo, ancora oggi non hanno più messo piede in Sicilia. A Monreale, pochi giorni dopo la sua morte, sarebbe giunto Mario D’Aleo. Anche lui sarebbe stato ucciso da Cosa Nostra nel giugno del 1983, insieme ai Carabinieri Giuseppe Bommarito e Pietro Morici. Aveva ventinove anni e si sarebbe sposato presto.
Leggere anche:
vivi.libera.it
Emanuele Basile – 4 maggio 1980 – Monreale (PA)
Di Emanuele Basile si dice che sia un eroe senza tempo, ricco di valori, che credeva fortemente nelle istituzioni. Un uomo che ha dato la sua vita per gli altri, e che non si è fermato di fronte a nulla e nessuno.
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Articolo del 4 maggio 2022
Monreale ricorda il sacrificio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile