30 Ottobre 1975 Napoli. Ucciso il Vice Brigadiere Polizia di Stato Giovanni Pomponio
Giovanni Pomponio nasce in provincia di Livorno ma cresce nel Napoletano. A 18 anni parte volontario per la campagna d’Africa. Rientrato in Italia viene decorato con la medaglia al merito di guerra.
Nel 1942 si arruola nel corpo delle Guardie di P.S. e negli anni sessanta approda alla Polfer di Napoli dove si distingue per dedizione al servizio e operatività in numerose azioni.
La mattina del 28 ottobre 1975, Giovanni Pomponio è di riposo settimanale, ma viene comandato a supporto dell’ufficio cassa presso la stazione centrale di Napoli.
In quella giornata devono essere pagati gli stipendi per duemila dipendenti delle Ferrovie dello Stato, per un totale di circa mezzo miliardo delle vecchie lire. Alcuni malviventi armati, appartenenti alla “banda dei catanesi”, tentano la rapina.
Pomponio, a quattro giorni dalla pensione, reagisce con prontezza e determinazione cercando di impedire a tutti i costi l’assalto alla cassa. Uno dei banditi gli spara un colpo di pistola alla nuca.
Sottoposto ad un intervento operatorio, Giovanni Pomponio si spegne dopo tre giorni di agonia.
“Fulgido esempio di sacrificio spinto all’estremo”: così recita la medaglia d’oro consegnata alla vedova. Riconosciuto in seguito vittima di fatti delittuosi attinenti ad attività criminale di cui all’art. 416 bis C.P., trattandosi di organizzazione criminale feroce ed intimidatoria.
Ai suoi funerali circa 2000 persone tra massime autorità e gente comune affollano il Duomo di Napoli.
Nell’aprile 2010 la Polizia ferroviaria ha deciso di intitolare la Caserma di Napoli Centrale alla memoria dell’appuntato Giovanni Pomponio, alla presenza di autorità civili, religiose e militari e dei figli di Pomponio, Sergio e Giuseppe.
La storia di Pomponio è raccontata in “Come Nuvole Nere” di Raffaele Sardo, promosso dalla Fondazione Polis ed edito da Melampo.
Fonte: fondazionepolis.regione.campania.it
Nota dal sito “Vittime del Dovere”
Giovanni Pomponio, nato a Rosignano Marittimo (LI) il 10/4/1920 e deceduto in Napoli il 30/10/1975.
Medaglia d’oro al valor civile.
Pomponio Giovanni, ha nei suoi geni la divisa, il senso della patria e delle istituzioni. Il padre Giuseppe è militare della Guardia di Finanza che comandato per l’Italia a servire la Nazione si sposta dalla sua Terra d’origine, la Campania, per farvene ritorno a fine carriera. Così Giovanni cresce nel napoletano, terra piena di passioni positive e negative che pare si alternino e si intrecciano con i destini dei suoi figli. Perso il padre poco più che adolescente, a soli diciotto anni parte volontario per la campagna d’Africa da dove ne rientra con decorazione di medaglia al merito di guerra, solo per arruolarsi nel corpo delle Guardie di P.S. nel 1942. Più volte resosi protagonista, in fase di guerra di episodi di aiuto alla popolazione, a fine guerra inizia l’iter dei vari servizi presso più uffici in seno alla P.S. dove svolge i propri compiti con lealtà e solerzia. Si sposa nel 1952 con Vigliotti Antonetta dalla quale ha due figli Giuseppe e Sergio. Negli anni sessanta approda alla Polfer di Napoli dove si distingue per dedizione al servizio e operatività in numerose azioni. Il 2 novembre 1975 sarebbe andato in pensione dopo 37 anni a servire lo Stato. La mattina del 28 ottobre, di riposo settimanale, viene comandato a supporto dell’ufficio cassa presso la stazione centrale di Napoli.
Lui obbedisce da militare. E’ giorno di paga per i ferrovieri. La somma destinata al pagamento delle paghe è di circa 500 milioni di lire, 475 vengono trasferiti in altro ufficio con la scorta di 5 uomini, i rimanenti 25 restano alla cassa con la sorveglianza di Pomponio. E’ a quattro giorni dalla pensione, ma il dovere, il servizio, il senso della vita passata da poliziotto autentico non è per niente in pensione. Quattro criminali, tentano la rapina, probabilmente pensando al colpo grosso, Pomponio reagisce, lo uccidono sparando alle spalle con un proiettile esploso da uno dei quattro nascostosi proditoriamente. “Fulgido esempio di sacrificio spinto all’estremo”: così recita la medaglia d’oro consegnata alla vedova. Riconosciuto in seguito vittima di fatti delittuosi attinenti ad attività criminale di cui all’art. 416 bis C.P., trattandosi di organizzazione criminale feroce ed intimidatoria. Ai suoi funerali circa 2000 persone tra massime autorità e gente comune affollano il Duomo di Napoli, testimonianza indelebile per i figli dell’uomo, al di là del poliziotto.
Articolo del 10 Aprile 2010 da universy.it
La Polizia Ferroviaria dedica la Caserma di Napoli Centrale all’Appuntato Giovanni Pomponio
di Michele Mele
Tre gioni prima di andare in pensione l’Appuntato Pomponio fu colpito a morte da un nucleo di terroristi che stavano rapinando la Cassa di Stazione
“Con l’intitolazione di questa Caserma si vuole rendere testimonianza, merito e riconoscenza all’immane sacrificio di quest’uomo che ha difeso fino all’estremo i valori di attaccamento allo Stato ed alle sue Istituzioni.” Con queste parole il Dr. Leucio PORTO, Dirigente del Compartimento di Polizia Ferroviaria per la Campania, ha aperto la manifestazione di intitolazione per la Caserma di Napoli Centrale all’Appuntato delle Guardie di P.S. Giovanni Pomponio, vittima del dovere, già medaglia d’oro al valor civile.
Alla cerimonia, svoltasi nella mattinata odierna all’interno della Stazione Ferroviaria di Napoli Centrale, sono intevenute alte cariche del mondo istituzionale tra cui il Direttore del Servizio di Polizia Ferroviaria Dr. Maurizio Gelich, il Questore di Napoli Santi Giuffrè, il Sindaco Rosa Russo Jervolino e altre autorità militari, civili e religiose.
In rappresentanza del Capo della Polizia è intervenuto il Prefetto Oscar FIORIOLLI, attuale Direttore Centrale delle Specialità della Polizia di Stato e già Questore di Napoli.
Presenti anche i figli della vittima, Giuseppe e Sergio Pomponio, che all’epoca dei fatti erano poco più che ragazzi.
Era il 28 ottobre 1975. Giovanni Pomponio avrebbe dovuto fruire del suo meritato riposo settimanale. Ed invece venne comandato di servizio presso la cassa dell’allora stazione di Napoli Smistamento. Era il giorno di paga dei ferrovieri e in cassa c’era una cifra di non poco conto. Mentre una parte venne trasferita in un altro ufficio con la scorta di 5 uomini, Pomponio restò a sorvagliare la rimanente somma di 25 milioni di lire. All’improvviso però, due rapinatori armati lo aggredirono alle spalle. Nel tentativo di reagire estrasse la propria arma d’ordinanza ma venne immediatamente freddato da un proiettile esploso da uno dei criminali che gli trapassò la nuca. Trasportato in ospedale, morì 2 giorni dopo, il 30 ottobre 1975, all’età di 55 anni. Il giorno 2 di novembre sarebbe andato in pensione.
Per ricordare la tragedia personale di quest’uomo, esempio di dedizione alla divisa che aveva indossato pr 37 anni e a ciò che essa rappresentava in termini di ideali e valori, i figli in primisi e successivamente il dr. Porto, si sono adoperati perché il sacrificio di Giovanni Pomponio non rimanesse un ricordo per pochi, ma che il suo nome venisse legato a quello stesso Ufficio presso cui aveva prestato servizio negli ultimi 15 anni della sua carriera.
Il Prefetto Fioriolli, nel portare i saluti del Capo della Polizia Antonio Manganelli, ha voluto ricordare la figura di Pomponio con poche ma significative parole, indicandolo come esempio da imitare. “E’ un giorno di orgoglio per i figli – ha detto Fioriolli – perché sanno che l’opera ed il sacrificio del loro genitore saranno fonte di insegnamento per tutti noi.”
Grande commozione nel momento dello scoprimento della targa. Mentre il drappo veniva rimosso da Giuseppe e Sergio Pomponio, nell’aria risuonavano le note del Silenzio, magistralmente interpretate dalla tomba del Sovrintendente Costantino Angrisani.
Alla fine ha preso la parola Sergio Pomponio che ha voluto sottolineare il “momento di profonda commozione per tutti quelli che hanno conosciuto, stimato ed amato Giovanni Pomponio.” Dopo aver messo in risalto “l’humus ideologico di obbedienza e dedizione al lavoro” in cui era cresciuto il padre, Sergio Pomponio ha affermato che l’evento di oggi è la palese “dimostrazione che i figli migliori di questa Nazione non vengono dimenticati, anche a distanza di anni”.
Tra i numerosi intervenuti, una classe di giovani studenti dell’Istituto Tecnico Commerciale “F.Galiani” di Napoli. A loro il Dirigente della Polizia Ferroviaria, Dr. Porto, ha voluto “idelamente passare il testimone a salvaguardia dei valori civili e democratici”.
Articolo del 30 Ottobre 2013 da dallapartedellevittime.blogspot.it
GIOVANNI POMPONIO MORTO PER DIFENDERE LE PAGHE DEI FERROVIERI
di Raffaele Sardo
Il brano che segue è tratto dal mio libro “Come nuvole nere” (Melampo editore)
Giovanni Pomponio morirà il 30 ottobre 1975 dopo 3 giorni di agonia.
Quel giorno, il vice brigadiere di Polizia Giovanni Pomponio ha il turno di riposo. Ma i suoi superiori la sera prima lo hanno pregato di andare ugualmente al lavoro. “Ci sono gli stipendi da pagare e non abbiamo molti uomini per la sicurezza. Domani serve anche la sua presenza come responsabile di scorta”. Il mattino seguente, Giovanni ha un impegno importante: partecipare alla messa in ricordo di una giovane nipote della moglie. La ragazza era morta il 28 di ottobre di sei anni prima, a 16 anni, a seguito di un incidente. Giovanni vuole assolutamente andare alla funzione religiosa, ma la moglie lo rassicura: “Non ti preoccupare. Dirò a mia sorella che non sei potuto mancare dal servizio. Io andrò con l’autobus e al ritorno prenderò un taxi”. Quel consiglio dato al marito, Antonietta Vigliotti non se lo perdonerà mai, fi no alla morte. Il 28 ottobre del 1975, il vice brigadiere di Polizia Giovanni Pomponio è puntualmente al lavoro alla stazione ferroviaria di Napoli-Gianturco per scortare le paghe dei dipendenti delle Ferrovie. Sa che fra quattro giorni avrà tutto il tempo libero che vuole, perché andrà finalmente in pensione, dopo 37 anni di servizio in Polizia.
“E invece – racconta Sergio, il secondo figlio di Giovanni – la pensione non se la godrà mai, perché quella mattina mio padre verrà colpito a morte durante una rapina. Una banda di criminali assalta l’ufficio cassa. Sono armati di mitra e pistole per portare via 500 milioni che servono per pagare gli stipendi dei ferrovieri. Mio padre, ferito alla gola, morirà in ospedale, dopo tre giorni di agonia. Poteva rifiutarsi di rientrare in servizio quel giorno, ma lui era un servitore dello Stato, non sapeva dire di no”. Giovanni Pomponio il 28 ottobre parte presto dalla sua casa al Vomero, vuole evitare il traffico mattutino. Le strade sono quasi deserte a quell’ora, Napoli ancora dorme, ma presto si animerà di gente, di colori e di frastuoni. Poco dopo le sette è nella sede della Polizia Ferroviaria della stazione di Napoli-Gianturco. Giovanni non sa che ci sono anche altre persone che si sono alzate presto e che sono interessate agli stessi soldi che gli hanno chiesto di proteggere. Sono una banda di spietati criminali torinesi che fanno rapine in serie, negli ultimi diciotto mesi ne hanno messe a segno ben sedici. Sono arrivati a Napoli da qualche giorno, si spostano col treno, oppure in aereo, per evitare al massimo i controlli delle forze dell’ordine. Non si fanno vedere troppo in giro e non frequentano altre persone, solo quelle strettamente necessarie per organizzare nei minimi particolari le rapine. Colpiscono e spariscono senza lasciare tracce. Hanno saputo che a Gianturco il bottino è appetibile. Hanno avuto una soffiata da un basista e vogliono a tutti i costi mettere le mani sulle paghe dei ferrovieri.
Con Giovanni Pomponio ci sono altri sette agenti per difendere la cassa. Il vice brigadiere incarica cinque di essi di provvedere al trasferimento di 450 milioni alla stazione ferroviaria di Napoli Centrale, dove verranno pagati la gran parte degli stipendi. Abitualmente il trasporto delle paghe avviene intorno a mezzogiorno. Stavolta Giovanni Pomponio decide di anticipare questa incombenza. Appena in tempo. I rapinatori entrano in azione poco dopo le nove del mattino. Quattro banditi, armati di tutto punto, scavalcano il terrapieno di Rione Luzzatti e arrivano da un cancello laterale dell’ufficio cassa. Un cancello che sino ad allora è stato sempre chiuso.
Giovanni si accorge di una persona sconosciuta vicino all’ufficio paghe e forse vede anche un’arma che lo mette in allerta. Non ha notato che alle sue spalle ci sono altri due banditi. Carica il mitra e si gira verso lo sconosciuto: “Dove vai, fermati!”, gli intima. Quella mossa è la sua condanna a morte, perché da dietro gli sparano a bruciapelo per ucciderlo. Mirano alla testa, lo colpiscono alla nuca. Il proiettile fuoriesce dalla gola. Il colpo gli trancia la vena giugulare. Il vice brigadiere di Polizia cade a terra in una pozza di sangue. Un ferroviere ha visto tutto. Corre vicino a Giovanni cercando di soccorrerlo: “Bisogna portarlo in ospedale o morirà”. “Non lo toccare altrimenti farai la stessa fi ne”, gli grida uno dei banditi. Non si fanno scrupoli. Sono spietati. Si avvicinano al poliziotto a terra, gli sfilano il mitra e la pistola e continuano la rapina come se nulla fosse accaduto (…)”