5 marzo 1991 Gela. Marco Nicola Lorefice, 18 anni, sequestrato, torturato e ucciso per il solo sospetto che appartenesse alla “Stidda”.
Marco Nicola Crocefisso Lorefice, nato a Gela l’11 gennaio 1973, scomparso il 5 marzo 1991, fu sequestrato, torturato e ucciso da appartenenti a “Cosa Nostra” per il solo sospetto che appartenesse alla “Stidda” e volevano che ne rivelasse i segreti. Il suo corpo, buttato in un pozzo, non è mai stato ritrovato poiché distrutto dalla calce da cui era stato ricoperto. Tutta la storia è emersa, dopo 20 anni, dalle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia.
Fonte: articoli
Articolo del 25 maggio 2011
Mafia, giovane ucciso 20 anni fa: due ergastoli a Caltanissetta
Condannati i pregiudicati di Cosa Nostra, Giovanni Passaro, 55 anni di Gela, e il boss di Mazzarino, Salvatore Siciliano, di 47 anni. Sono stati riconosciuti colpevoli di concorso nell’omicidio di Marco Nicola Lorefice
CALTANISSETTA. La Corte d’Assise di Caltanissetta, presieduta dal giudice Francesco Carimi, ha condannato all’ergastolo due pregiudicati di “Cosa Nostra”, Giovanni Passaro, di 55 anni, di Gela, e il boss di Mazzarino, Salvatore Siciliano, di 47 anni, riconosciuti colpevoli di concorso nell’omicidio di Marco Nicola Lorefice, un giovanissimo gelese sequestrato, torturato e ucciso nel 1991 per il solo sospetto che appartenesse alla “Stidda”.
Il delitto avvenne il 5 marzo di 20 anni fa, in uno dei covi della banda, nelle campagne di Comiso. Esecutore materiale, secondo la magistratura, fu Nunzio Emmanuello, che strangolò Lorefice con le sue mani. Il corpo fu poi seppellito vicino al casolare dove era stato seviziato, ricoprendolo con calce viva. Per molti anni si parlò di sospetto caso di “lupara bianca”. Poi, le rivelazioni dei pentiti contribuirono a fare luce anche sul delitto. Ma il corpo non è stato mai ritrovato, perché fu distrutto dalla calce.
Per l’omicidio di Lorefice, undici mafiosi di “Cosa Nostra” gelese, compreso Nunzio Emmanuello, sono stati già condannati nello scorso ottobre con il rito abbreviato, a pene che vanno dai 20 ai 30 anni.
Fonte: ilfattonisseno.it
Articolo del 25 maggio 2011
Gela, strangolarono quindicenne: due ergastoli
GELA- Torturato, interrogato e strangolato perché Cosa nostra voleva che svelasse i segreti della Stidda. È la fine che ha fatto un ragazzino di Gela, Marco Nicola Lorefice, che il 5 marzo del 1991 venne condotto in un casolare di campagna alla periferia di Comiso e venne ucciso. A distanza di venti anni da quell’omicidio, due boss sono stati condannati all’ergastolo. Si tratta del gelese Giovanni Passaro e del mazzarinese Salvatore Siciliano. La sentenza è stata emessa dalla Corte d’Assise di Caltanissetta presieduta dal giudice Francesco Carimi. Passaro e Siciliano sono accusati di aver fatto parte del gruppo che sequestrò il ragazzino e che poi lo ammazzò. Un delitto commesso da uomini appartenenti al clan Madonia. La Corte, ha accolto le richieste del Pubblico Ministero, Luigi Fede. Per quel delitto già undici “fedelissimi” di Cosa nostra sono stati condannati, con il rito
abbreviato, il 13 ottobre del 2010.
Fonte: quotidianodigela.it
Articolo del 13 agosto 2013
“Non era della stidda”: Da 22 anni, senza tracce del cadavere di Marco Lorefice
di Rosario Cauchi
Gela. “Era un ragazzino di soli quindici anni e, da quello che è emerso durante il dibattimento, aveva decisamente poco a che spartire con gli ambienti della stidda”.
L’avvocato Giovanni Cannizzaro è netto nel descrivere la vicenda che ha visto come tragico protagonista il quindicenne Marco Lorefice. Il ragazzo scomparve nel nulla nel marzo di ventidue anni fa e i suoi resti non sono mai stati ritrovati. Un caso di lupara bianca che, a distanza di oltre vent’anni, non ha ancora permesso ai familiari di piangere sulla sua tomba.
Stando a quanto emerso dal dibattimento, la vittima sarebbe stata prelevata da un gruppo di affiliati a cosa nostra e condotta nella zona rurale di Comiso, all’interno di un casolare.
Torturato per farlo parlare e, alla fine, ucciso. Il suo corpo, in base alle ricostruzioni fornite dai collaboratori di giustizia sentiti in aula, con in testa i fratelli Angelo e Luigi Celona insieme a Massimo Ferrigno, sarebbe stato abbandonato in un pozzo. Nonostante le ricerche, però, di quei resti non si è saputo più nulla.
I familiari, così, hanno deciso di chiedere giustizia, costituendosi parte civile nel processo. I due fratelli e la madre del quindicenne sono stati rappresentati proprio dall’avvocato Giovanni Cannizzaro e dal collega Carmelo Tuccio. Se, da un lato, il martoriato corpo del ragazzino non è mai stato ritrovato: dall’altro, non sono mancate le sentenze di condanna inferte ai danni di dieci esponenti del gruppo di cosa nostra.
L’ergastolo è stato comminato a Giovanni Passaro e al mazzarinese Salvatore Siciliano, pene diventate definitive. Nell’altro troncone, invece, a pagarne le conseguenze sul piano penale sono stati Emanuele Argenti di Guido, Maurizio Moscato, Raimondo Romano e Angelo Tisa, condannati a trent’anni di reclusione ciascuno con l’accusa di omicidio volontario.
Sempre i giudici della corte d’assise d’appello, inoltre, hanno riconosciuto la colpevolezza di Luigi La Cognata e degli stessi collaboratori di giustizia Angelo e Luigi Celona oltre che di Massimo Ferrigno.
Di quel corpo, comunque, si sono perse le tracce e, intanto, la famiglia ha ottenuto una prima provvisionale favorevole in giudizio: quindi, il diritto al risarcimento dei danni verrà valutato in sede civile.