12 Dicembre 1985 Villafranca Tirrena (ME). Uccisa Graziella Campagna, 17 anni, “aveva visto ciò che non doveva vedere”
Graziella Campagna, 17 anni, commessa in una lavanderia di Villafranca Tirrena (ME), scomparsa il 12 dicembre 1985, fu trovata uccisa, due giorni dopo, con cinque colpi di fucile in volto in uno spiazzo dei colli Sarrizzo, nei Peloritani, dopo essere stata sequestrata alla fermata dell’autobus che da Villafranca l’avrebbe riportata a Saponara, dove risiedeva.
La sua condanna a morte è stata aver trovato nella tasca di un soprabito, di un cliente conosciuto come ing. Cannata, un’agendina fitta di nomi e di numeri telefonici. Quel documento apparteneva in realtà al mafioso latitante Gerlando Alberti junior, 40 anni, che, con il suo luogotenente, Giovanni Sutera di 28 anni, che si spacciava per geom. Lombardo, temendo di essere identificati, ne ordinarono l’eliminazione.
Importanti, per il raggiungimento della verità, le indagini compiute dal fratello Piero, carabiniere, che ha dovuto lottare per anni contro depistaggi che volevano l’omicidio come passionale pur di coprire i veri colpevoli.
Per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su questo caso, è stato realizzato un film “La vita rubata”, andato in onda sulla Rai nel 2008, nel quale la figura di Piero Campagna è interpretata da Beppe Fiorello.
Fonte Ammazzatecitutti.org
Graziella, uccisa a 17 anni e senza giustizia dopo 21 anni
Una storia di ordinaria ingiustizia
di Michela Gargiulo – Articolo21.info
Graziella Campagna aveva diciassette anni quando fu ammazzata a Forte Campone, una collina sopra Messina. Era nata il 3 luglio del 1968 e faceva la stiratrice nella lavanderia la “Regina”, a Villafranca Tirrena. Guadagnava 150mila lire al mese, al nero, e così aiutava la famiglia: padre, madre e 7 fra fratelli e sorelle. La sera del 12 dicembre del 1985, intorno alle 20, mentre aspettava l’autobus che l’avrebbe riportata a casa, a Saponara, fu caricata sopra un’auto e portata a Forte Campone. Un viaggio di pochi chilometri sotto la pioggia, lungo una strada sterrata e piena di buche ma lontana dalle luci del paese. Su quel prato, con i suoi stivaletti piantati nel fango le spararono, frontalmente, a una distanza inferiore a due metri, cinque colpi di fucile a canne mozza. I pallettoni colpirono il braccio con il quale tentò di ripararsi, il viso, lo stomaco, la spalla. Quando era già a terra la finirono con un ultimo colpo alle testa, e il proiettile uscì dal cranio e si piantò nel fango.
Graziella aveva indosso un giubbotto rosso, una maglia a righe, un paio di pantaloni neri e gli stivaletti. Aveva con sé una borsetta che non è più stata ritrovata. Fu un’esecuzione e nessuno sa perché quel delitto fu tanto bestiale, quali furono le domande alle quali la sottoposero, quanto durò quell’agonia.
Il cadavere di Graziella fu ritrovato due giorni dopo. Un giovane medico con la famiglia scoprì il corpo durante una passeggiata. Erano le quattro del pomeriggio quando, insieme con la polizia arrivò Piero Campagna, il fratello carabiniere che fece il riconoscimento. Graziella era distesa su un fianco con le braccia raccolte al petto. Il suo orologio giallo era fermo alle 9 e 12, l’ora della morte.
Il medico legale accertò che Graziella Campagna non era stata violentata né picchiata, non aveva bevuto né ingerito nessun tipo di sostanza: era lucida e cosciente.
Il processo
Dopo 19 anni da quel delitto la Corte di Assise di Messina ha condannato all’ergastolo, per l’omicidio di Graziella, due ex latitanti: Gerlando Alberti jr., nipote di Gerlando Alberti Sr., detto “U paccarè”, boss della mafia siciliana, e Giovanni Sutera, già accusato di omicidio e tentata rapina. Insieme a loro, con l’accusa di favoreggiamento, sono state condannate a due anni la titolare della lavanderia e la collega di lavoro di Graziella Campagna: Franca Federico e Agata Cannistrà. Resta una domanda: perché uccidere una ragazzina di 17 anni, perché farlo in quel modo. Graziella Campagna, qualche giorno prima della sua esecuzione, aveva tirato fuori un’agendina dalla camicia sporca che Gerlando Alberti jr. le aveva consegnato in lavanderia. Per lei, quell’uomo che frequentava spesso la lavanderia era un ingegnere e si chiamava Eugenio Cannata. Con lui c’era sempre il cugino, Gianni Lombardo, geometra, in realtà Giovanni Sutera. Due latitanti che ormai da mesi frequentavano indisturbati quella zona della provincia messinese, godendo di amicizie e protezioni. La provincia “babba” garantiva tranquillità alla loro latitanza e alla loro nuova identità. Graziella tutto questo non lo poteva sapere. Per lei, per i suoi 17 anni, quella era sono una camicia da lavare e da controllare prima di essere messa in lavatrice. Dentro l’agendina, tra le mani di Graziella passarono i segreti che nessuno doveva sapere.
Nomi e storie di complici e protettori. Quando Gerlando Alberti si accorse di averla dimenticata, qualche giorno dopo, spedì di corsa Sutera a recuperarla. Il “cugino” latitante tornò soltanto con un portadocumenti rosso e una foto di Giovanni XXIII. In quel momento fu deciso il destino di Graziella: non lo sapeva la ragazzina, ma aveva visto ciò che non doveva vedere.
Ingiustizia è fatta
Se mancava un solo particolare per definire la storia della stiratrice di Saponara uno straordinario esempio di mancata giustizia, ora abbiamo anche quello: grazie all’indulto, il quattro di novembre Gerlando Alberti jr. uscirà dal carcere dal carcere di Parma, dove scontava altre condanne, ma non l’ergastolo per l’omicidio di Graziella. L’ordinanza di custodia cautelare che avrebbe dovuto lasciare in carcere Sutera e Alberti almeno fino al processo d’appello era già stata annullata il 23 settembre per decorrenza dei termini. I giudici, dopo quasi due anni dal verdetto e ventuno dall’uccisione di Graziella, non avevano ancora depositato le motivazioni della sentenza. Però l’ex latitante palermitano, già condannato per traffico di stupefacenti, nel carcere di Parma ci sarebbe dovuto rimanere almeno per altri tre anni a scontare un cumulo di condanne per reati minori. Ma a fargli lo sconto ci ha pensato l’indulto. Ora le motivazioni della sentenza sono state depositate, esattamente il 6 di ottobre, e a Messina sono anche arrivati gli ispettori del Ministro della Giustizia Clemente Mastella. Troppo tardi.
In breve, per completare il quadro, la cronaca e le date: la ragazza venne uccisa la notte del 12 dicembre del 1985. Quattro anni dopo, il 1 marzo dell’89, il giudice istruttore dispose il rinvio a giudizio per l’omicidio di Graziella Campagna nei confronti dei due latitanti Gerlandi Alberti jr e Giovanni Sutera. Nove giorni dopo la Corte d’Assise di Messina dichiarò la nullità degli atti compresa l’ordinanza di rinvio a giudizio. La causa? La mancata notifica agli imputati della comunicazione giudiziaria. Gli atti ritornarono agli uffici della Procura e, a conclusione della nuova fase istruttoria, la Pubblica accusa questa volta avanzò la richiesta di proscioglimento. Il giudice istruttore la accolse il 28 marzo del ’90 con l’ordinanza che dichiarò il non doversi procedere nei confronti di Sutera e Alberti per non aver commesso il fatto.
Sei anni dopo, nel febbraio del ’96, il programma “Chi l’ha visto” rilanciò il caso Campagna con la lettera di una professoressa che chiedeva la riapertura delle indagini. Quella lettera ottenne l’effetto sperato.
Dalle carceri italiane arrivarono le testimonianze dei collaboratori di giustizia che accusarono, di nuovo, dell’omicidio Campagna gli ex latitanti Alberti e Sutera.
La Procura di Messina riaprì così il caso. Al termine delle indagini, nel ’98, chiese sei rinvii a giudizio accusando di omicidio Gerlandi e Sutera e di favoreggiamento Franca Federico, titolare della lavanderia dove lavorava Graziella, suo marito, Francesco Romano, la cognata Agata Cannistrà e il fratello Giuseppe Federico.
La prima udienza è datata 10 dicembre ’98.
Il resto è storia recente.
La sentenza di condanna all’ergastolo per i due ex latitanti arriva sei anni dopo l’inizio del processo, l’11 dicembre 2004. Per favoreggiamento saranno condannate a due anni anche le due donne che lavoravano con Graziella, gli uomini saranno prosciolti.
Per l’omicidio Campagna, dopo 21 anni, non ha ancora pagato nessuno. Per l’avvocato, per i genitori, per le associazioni antimafia che in questi anni non hanno mai cessato di chiedere giustizia per Graziella resta una sola speranza: tempi veloci per l’appello.
L’assassinio di Graziella Campagna – Giuseppe Fiorello racconta l’assassinio di Graziella Campagna
Articolo da La Repubblica del 20 Marzo 1987
CONDANNATA A MORTE PER UN’ AGENDINA
MESSINA (g.t.) La sua condanna a morte è stata aver trovato nella tasca di un soprabito un’ agendina fitta di nomi e di numeri telefonici. Apparteneva al mafioso latitante Gerlando Alberti junior, 40 anni, nipote del paccaré, suo omonimo. Il boss e il suo luogotenente, Giovanni Sutera di 28 anni, temendo di essere identificati, ne ordinarono l’ eliminazione. A ricostruire nei particolari, con un anno e mezzo di indagini, i retroscena dell’ assassinio di Graziella Campagna (17 anni, commessa in una lavanderia di Villafranca Tirrena, trovata uccisa il 15 dicembre 1985 a colpi di fucile in uno spiazzo dei colli Sarrizzo, nei Peloritani, dopo essere stata sequestrata alla fermata dell’ autobus che da Villafranca l’ avrebbe riportata a Saponara, dove risiedeva), è stato il giudice istruttore di Messina Pasquale Rossi. Il magistrato ha firmato due mandati di cattura nei confronti di Gerlando Alberti junior e di Giovanni Sutera che nel frattempo sono stati arrestati e si trovano nelle carceri dell’ Ucciardone di Palermo, perché entrambi imputati nel maxiprocesso alle cosche. Alberti e Sutera sono accusati di essere i mandanti del sequestro e dell’ uccisione di Graziella Campagna. Gli autori materiali del delitto non sono, invece, stati ancora identificati. A prima vista, l’ assassinio della giovane commessa sembrava opera di un maniaco, o di un amante respinto o di rapinatori. Ma la notizia della presenza, nella zona del delitto, dei due mafiosi latitanti, spinse i magistrati che si occupavano dell’ inchiesta ad approfondire la traccia. Il sostituto procuratore di Messina Serraino, accertò che nel 1985 Gerlando Alberti e Giovanni Sutera avevano trascorso parte della loro latitanza in alcuni paesi della provincia di Messina. Da prima ad Acqualadroni, poi in una villetta di Rometta Marea. Alberti si faceva passare per un professionista, l’ ingegner Cannata e spacciava il suo luogotenente per un geometra. I due frequentavano assiduamente Villafranca Tirrena ed erano clienti della lavanderia presso la quale lavorava Graziella Campagna. Il boss, un giorno, si accorse di aver smarrito l’ agendina contenente nomi e indirizzi. Certo di averla dimenticata in un cappotto dato a lavare, cercò di recuperarla. La Campagna, però, gli disse di non aver trovato nulla. Certo del contrario, e temendo che la giovane commessa riferisse il fatto a un suo fratello carabiniere, Gerlando Alberti ingaggiò, assieme a Sutera, un commando di killer che la sera del 14 dicembre sequestrarono la giovane vittima alla fermata dell’ autobus, la portarono in collina e l’ uccisero con quattro colpi di fucile al petto e due alla testa. Il cadavere fu ritrovato 24 ore dopo l’ assassinio. A far sospettare gli investigatori che non si trattasse del delitto di un maniaco o di un innamorato respinto, fu il ritrovamento, poche decine di metri dal luogo del delitto, della borsetta della ragazza: era aperta e il contenuto sparpagliato a terra. A ritroso, magistrati e carabinieri hanno risalito tutta la pista fino ad arrivare ai due boss mafiosi.
Blu Notte Misteri Italiani – Graziella Campagna
2001, 4° stagione, 2° puntata
http://www.teche.rai.it/2018/07/graziella-campagna-vittima-mafia/
Blu Notte – Misteri Italiani: Graziella Campagna
24 ottobre 2001, 2° Puntata di Blu Notte – Misteri Italiani (4° Stagione).
Articolo del 19 Marzo 2008 da repubblica.it
Ergastoli confermati per i boss che rubarono la vita di Graziella
Messina, ribadite in appello le condanne a vita per Alberti jr e Sutera: Graziella Campagna venne uccisa nel 1987 perché aveva scoperto la loro latitanza.
Sulla vicenda, la fiction con Fiorello stoppata da Mastella lo scorso novembre e poi andata in onda ai primi di marzo.
MESSINA – I giudici della Corte d’assise d’appello hanno confermato la condanna all’ergastolo per il boss Gerlando Alberti jr e Giovanni Sutera accusati dell’omicidio della giovane Graziella Campagna, assassinata nel dicembre 1987 in un paese del messinese. La Corte ha poi derubricato da favoreggiamento aggravato a quello semplice il reato di cui rispondeva la terza imputata, Francesca Federico, e quindi i giudici hanno dichiarato prescritto il reato. In primo grado la donna era stata condanna a quattro anni. La lettura del dispositivo è avvenuta dopo circa otto ore di camera di consiglio.
La vita a Graziella Campagna era stata rubata quando aveva appena 17 anni. La giovane stiratrice era stata trucidata con cinque colpi di lupara che le sfigurarono il volto il 12 dicembre 1985, sui Colli Sarrizzo, tra Messina e Villafranca Tirrena. Una esecuzione feroce che doveva neutralizzare chi avrebbe potuto compromettere una latitanza dorata, ma anche servire da lezione. Dopo 23 anni la giustizia prova oggi a farsi perdonare un’agonia così lunga, confermando l’ergastolo per i due principali imputati.
Un esito cui si è arrivati anche dopo una clamorosa scarcerazione due anni fa per decorrenza dei termini. “Nonostante avessero voluto zittirla con un’arma – ha detto commosso il fratello Pietro – hanno dato voce al suo silenzio e la sua voce sarà sempre, sempre più forte. Oggi ha vinto lei, ha vinto la giustizia”. Tre giorni prima il suo assassinio, Graziella si era confidata con la madre: “Sai che è strano, l’ingegnere Cannata non è l’ingegnere Cannata”, parlandole della “carta” che aveva trovato per caso nella tasca di una camicia e che rimandava alla vera identità di un cliente noto come ingegner Toni Cannata.
Un ritrovamento che ha significato una condanna a morte, rispetto alla quale sin da subito si è messa in moto la macchina del depistaggio. Importanti le indagini private che il fratello di Graziella, Pietro Campagna, carabiniere allora in servizio in Calabria, ha dovuto compiere per fare emergere la verità di un omicidio che si voleva passionale a tutti i costi per coprire i veri colpevoli. Nel 1988 ci fu il rinvio a giudizio di Gerlando Alberti junior e del fedelissimo Giovanni Sutera, che a sua volta si spacciava per il geometra Gianni Lombardo.
Ma nel 1990 ecco la richiesta del pm al giudice istruttore del Tribunale messinese di “non doversi procedere” per questioni procedurali. Della vicenda si tornò quindi a parlare solo nel 1996, con una puntata di ‘Chi l’ha visto?’, mentre anche le dichiarazioni di nove pentiti di mafia squarciarono il velo sul delitto di Graziella Campagna. Nel dicembre 1996 il Tribunale di Messina riaprì ufficialmente il caso. La ricostruzione degli inquirenti dell’epoca dice che la ragazza venne uccisa perchè il 9 dicembre 1985 aveva trovato nella tasca di un indumento lasciato in tintoria l’agendina-documento che che un’altra commessa della tintoria, Agata Cannistrà, avrebbe però strappato dalle mani di Graziella che glielo aveva mostrato, e di cui non si è più trovata traccia.
Proprio la Cannistrà e la titolare della bottega, Franca Federico, furono rinviate a giudizio e quindi condannate l’11 dicembre 2004 a due anni a testa per favoreggiamento, mentre per Alberti junior e Sutera i giudici della Corte d’Assise di Messina decisero l’ergastolo.
Il boss, nipote di “‘u paccare”, com’era noto quel Gerlando Alberti senior ritenuto il braccio destro di Pippo Calò, tornò però libero dopo un anno e mezzo dalla condanna, nel settembre 2006 perchè gli stessi giudici di primo grado non depositarono entro i termini le motivazioni della sentenza, determinando così la scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Negli anni si è arrivati quindi al processo di appello e lo scorso novembre il presidente del Tribunale di Messina, tramite l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella, avanzò richiesta alla Rai di non trasmettere la fiction “La vita rubata” per evitare un impatto emozionale che avrebbe potuto condizionare il clima del processo. La messa in onda era programmata, infatti, per il 27 novembre ed è slittata al 10 marzo, proprio a pochi giorni dalla sentenza d’appello di questa notte.
Nella sua requisitoria, un mese fa il procuratore generale Marcello Minasi spiegò che Villafranca Tirrena a metà degli anni ’80 era una ‘zona francà dove i boss di mafia, ‘dnrangheta e camorra vivevano la loro latitanza, dove si riunivano insieme a politici, massoni, giudici, carabinieri ed imprenditori collusi nella masseria di Don Santo Sfameni e dove si stava per impiantare una raffineria di eroina.
La povera Graziella non è stata assassinata solo perchè era venuta in possesso di un’agendina, di un pizzino, o come lei lo definì un ‘mossu i carta’ che poteva compromettere – disse Minasi – la latitanza di Alberti e Sutera, ma perchè poteva far scoprire proprio questo contesto segreto”. E se il corpo della stiratrice assassinata non è stato gettato nella vicina cisterna è “perchè il cadavere doveva essere trovato per dissuadere chiunque dalla tentazione d’infrangere il silenzio sul contenuto dello scottante documento”.
Questa notte è la voce dello Stato da un’aula del tribunale a rompere quel silenzio e a dare una risposta all’attesa di giustizia.
Articolo del 14 Dicembre 2008 da ricerca.repubblica.it
La stiratrice assassinata per l’ agendina del boss
di Luca Tescaroli
Nel pomeriggio del 14 dicembre 1985, in località Forte Campone-Musolino, alle prime propaggini dei Peloritani, venne trovato il corpo senza vita di una diciassettenne. Indossava un giaccone rosso di lana, pantaloni neri e un maglione di lana nero e grigio a righe verticali, calzini bianchi e stivaletti neri. Da due giorni giaceva ai margini di una stradella che si dipartiva da dietro il cementificio di Villafranca Tirrena.
Una stradella difficilmente raggiungibile da chi non conosceva la zona. Apparve a chi lo rinvenne accovacciato sul fianco sinistro, devastato da cinque colpi di fucile a canne mozze. Si trattò di un delitto mafioso spietato, consumato con le modalità dell’ esecuzione sul posto. La giovane e fragile vittima tentò disperatamente di proteggersi con il braccio prima di essere colpita dallo sparatore che si trovava dinanzi a lei. Caduta al suolo, due colpi di grazia stroncarono la sua vita. Moriva così Graziella Campagna. Era nata e viveva a Saponara insieme con i genitori. Lavorava alla lavanderia “La Regina” con mansioni di stiratrice. La sera di giovedì 12 dicembre 1985 non aveva fatto rientro a casa ed era stata vista per l’ ultima volta alla fermata dell’ autobus, che era solita utilizzare per gli spostamenti. Fu avvertito un grido da parte di Maria Bisazia, presente con un cliente nell’ esercizio di parrucchiera ove lavorava, posto nelle immediate vicinanze, prima che la ragazza venisse prelevata dagli assassini alla fermata del mezzo pubblico che si stava accingendo a prendere, sequestrata, interrogata e infine uccisa. La sua unica colpa fu quella di aver lavorato in una lavanderia della quale si serviva un ingegnere misterioso che si faceva chiamare Tony Cannata e sosteneva di dover compiere delle rilevazioni per una fantomatica società. Graziella scoprì che si trattava di false generalità, rinvenendo degli appunti o un’ agendina all’ interno di uno degli indumenti lasciati dal sedicente ingegnere, che le vennero immediatamente sottratti da Agata Cannistrà, cognata della titolare della lavanderia, Franca Federico. In realtà, quell’ uomo era il mafioso Gerlando Alberti junior, nipote del famigerato “Paccarè”. Gli sorse il sospetto che la giovane avesse capito chi era, leggendo i nomi e i numeri telefonici riportati sul documento riportato e che ne avesse potuto parlare con altri, e in particolare con il fratello carabiniere Piero, che prestava servizio in Calabria alla compagnia di Gioia Tauro, distaccato a Fabiana di Candidoni, nei pressi di Rosarno. Decise perciò di sottrarle la borsetta per controllare e verificare se al suo interno ci fossero informazioni “compromettenti” e di toglierle la vita. Una verità rimasta a lungo avvolta da una cortina di ferro, anche in virtù dell’ “aggiustamento” dell’ originario procedimento, definito il 28 marzo del 1990 con una sentenza di proscioglimento in istruttoria. L’ assassinio avrebbe potuto essere evitato se i carabinieri – che controllarono casualmente in un posto di blocco, quattro giorni prima del delitto, Gerlando Alberti e Giovanni Sutera a bordo di una Fiat Ritmo intestata a tale Rosario Fricano – li avessero inseguiti allorquando fuggirono approfittando del protrarsi degli accertamenti e del sopraggiungere di un’ altra auto, una Fiat 127, che i militari dovettero fermare per contestare una contravvenzione. I due, in quel periodo, stavano trascorrendo la loro latitanza in quel territorio e provvidero a uccidere materialmente la giovane Graziella, temendo di essere stati scoperti. Innumerevoli collaboratori di giustizia, nel corso del tempo, hanno accusato Alberti e Sutera di aver materialmente eseguito l’ omicidio. Da ultimo intervenne Vincenzo La Piana, cognato di Gerlando Alberti junior, il quale raccontò di aver appreso proprio da quest’ ultimo nell’ immediatezza dei fatti la dinamica esecutiva e la ragione del delitto. Si dovette attendere l’ 11 dicembre 2004, dunque 19 anni esatti dall’ uccisione, perché la Corte d’ assise di Messina condannasse Gerlando Alberti junior e Giovanni Sutera alla pena dell’ ergastolo, Franca Federico e Agata Cannistrà per il delitto di favoreggiamento alla pena di due anni di reclusione per aver omesso di riferire quanto a loro conoscenza in merito al rapimento e all’omicidio. La pronuncia venne confermata dalla Corte d’assise d’appello di Messina il 18 marzo 2008, la quale ha sostanzialmente ribadito le sanzioni inflitte in primo grado, ritenendo però prescritti i reati di favoreggiamento, che ha comunque ritenuto provati, tant’è che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nei confronti dei familiari della vittima nei confronti di Federico e Cannistrà. Sebbene siano trascorsi ventiquattro anni da quel delitto, la piena verità continua a rimanere in parte avvolta dal mistero. Non appare infatti essere stato chiaramente definito il contesto mafioso e il quadro delle collusioni anche istituzionali in cui è maturato il delitto, con specifico riferimento ai soggetti che hanno tutelato e favorito la latitanza degli esecutori materiali. Particolare rilievo in tal senso appare assurgere la figura di Sante Sfameli, capo della “famiglia” di Villagrazia Tirrena, legato a esponenti delle forze dell’ordine, a magistrati e a uomini politici del Messinese, il quale si occupò della protezione di Alberti sfruttando, secondo le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, il rapporto con il comandante della stazione dei carabinieri. è importante ricordare l’omicidio della povera Graziella Campagna, innocente ragazzina di paese, scomoda testimone di qualcosa che non doveva vedere e capire, di cui probabilmente non si era resa conto, per non dimenticare mai la ferocia e la pericolosità della mafia per gli inermi cittadini e per rendere omaggio al dolore dei familiari. Oggi più che mai è necessario riflettere su quel che accadde tanti anni fa perché nel Paese si continua a percepire la tendenza da parte di molti all’accettazione del reticolo di interessi e relazioni fra gli esponenti del crimine mafioso e della realtà politico-istituzionale-sociale che li circonda.
Articolo del 12 Dicembre 2009 da ricerca.repubblica.it
Scarcerato il killer di Graziella La famiglia: ‘È uno scandalo’
MESSINA – Scarcerato Gerlando Alberti junior, 71 anni, nipote dell’ omonimo boss «’ u paccarè». Condannato all’ ergastolo per aver assassinato assieme a Giovanni Sutera il 12 dicembre 1985, in provincia di Messina, la diciassettenne Graziella Campagna, ha ottenuto gli arresti domiciliari. La stiratrice, sorella di un carabiniere, venne rapita alla fermata dell’ autobus e ammazzata con cinque colpi di lupara perché in possesso di un’ agendina dimenticata in un capo di vestiario portato da Alberti nella lavanderia dove lei lavorava. L’ agendina poteva compromettere la latitanza dei due mafiosi. Le condizioni di salute di Alberti sono state giudicate non compatibili con il carcere, e il Tribunale di sorveglianza di Bologna gli ha concesso di scontare la pena nella sua casa di Falcone, poco lontano da Saponara, il paese di Graziella. Proprio oggi la ragazza verrà ricordata nel palasport a lei dedicato con una manifestazione cui parteciperanno politici, studenti e gli attori della fiction Rai “La vita rubata”, in testa Beppe Fiorello. Gerlando Alberti junior era finito in carcere il 18 marzo 2008, un’ ora dopo la sentenza d’ appello che aveva confermato l’ ergastolo. Latitante dall’ 82 al ‘ 85 a Villafranca Tirrena (dove aveva impiantato una raffineria di eroina), era tornato libero grazie all’ indulto nel novembre 2006, scontata una condanna a 30 anni per narcotraffico. Alberti e Sutera erano stati prosciolti nel 1990 in un processo “aggiustato”, ma le indagini del fratello di Graziella, il carabiniere Pietro, e le dichiarazioni di alcuni pentiti li avevano riportati alla sbarra.E stavolta il processo si era concluso con l’ ergastolo. La scarcerazione di Alberti ha scatenato la polemica. Se il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha disposto una «verifica immediata», il legale della famiglia Campagna non usa mezze misure: «È il modo più scandaloso – dice Fabio Repici- con cui la magistratura commemora l’ anniversario dell’ uccisione di Graziella Campagna». Replica il legale di Alberti, Antonello Scordo, secondo il quale il suo cliente «ha beneficiato degli arresti domiciliari avendo giuridicamente scontato un lunghissimo periodo di detenzione per l’ omicidio».
Piero Campagna: su sua sorella Graziella
Antimafia Special
il racconto di Piero Campagna sulla morte tragica di sua sorella Graziella
Fonte: agi.it
Articolo del 22 marzo 2019
L’importanza di quella targa a Graziella, mia sorella, uccisa più volte
di Paolo Borrometi
Il racconto di Piero Campagna, carabiniere, fratello di Graziella, uccisa dalla mafia nel 1985 a Villafranca Tirrena. “È una vergogna che uno degli assassini sia già libero. Lo Stato non deve ripetere certi scempi”
“Mia sorella Graziella è stata uccisa più volte, non solo dai mafiosi ma anche dallo stato e questo fino a pochi mesi fa. Graziella fu consegnata a quei due assassini. E chi copriva quella latitanza oggi è libero e rimangono degli assassini”. A parlare con l’Agi è Piero Campagna, carabiniere, una vita spesa, con i suoi fratelli, a cercare la verità sull’omicidio della sorella Graziella.
Graziella era una diciassettenne di Saponara (Messina) che lavorava in una lavanderia a Villafranca Tirrena. La ragazzina fu rapita e uccisa il 12 dicembre 1985, crivellata da colpi d’arma da fuoco (fucile e pisola) esplosi da pochi metri di distanza in volto. Il corpo esanime della fanciulla fu ritrovato solo due giorni dopo.
Graziella Campagna fu assassinata perché aveva trovato un’agenda “verità” nel taschino di una camicia che si apprestava a lavare, era dell’”ingegnere Cannata”. Ma il documento svelava il vero nome dell’uomo: non Cannata ma Gerlando Alberti junior, nipote latitante del boss Gerlando Alberti.
“Graziella mai e poi mai avrebbe ricondotto il nome al mafioso”, spiega Piero Campagna. “Mia sorella era una ragazza felice e senza grilli per la testa. Da quel giorno la mia famiglia non ha avuto più pace, nessuna felicità, le feste non esistono più e anche quando facciamo un sorriso è falso. A volte ci nascondiamo per i figli, per non fargli comprendere nulla ma non è così”.
Piero Campagna racconta che il 12 dicembre del 1985 “è arrivato l’inferno”. Per l’uomo “non va dimenticato che la patente di uno dei due latitanti fu trattenuta per un mese in caserma e poi, quando hanno ucciso Graziella, venne tirata fuori. Se quella patente fosse stata tirata fuori, Graziella era ancora viva”.
Nel ricordo di Piero Campagna le passioni della sorella: “Graziella era una ragazzina che amava la vita, ricamava, aveva la prima nipotina ed il suo sogno era un futuro matrimonio e diventare mamma”.
La rabbia di Piero Campagna pensando che uno dei due killer della sorella, condannati con sentenza definitiva all’ergastolo, fosse in semilibertà e arrestato nuovamente a Firenze, con un bar milionario a lui ricondotto dagli inquirenti. “Sarei potuto andare a prendere un caffè in quel bar a Firenze, e mi sarei trovato lui davanti senza saperne nulla. È una vergogna, è una vergogna che uno degli assassini di mia sorella fosse già libero”.
Ed ancora “ma come si fa a concedere la libertà a chi in quella stessa città ha ucciso un gioielliere e due anni dopo, in Sicilia, una bambina di 17 anni”.
Piero Campagna non ha mai fatto carriera nell’Arma, anche per “colpa” di quelle indagini fatte in maniera autonoma per arrivare alla verità sulla morte della sorella. Ieri le lacrime hanno rigato il suo volto quando il prefetto di Messina, Maria Carmela Librizzi, ha svelato la targa nel salone più importante del Palazzo del Governo alla giovane ragazza.
Ma la grandezza dell’uomo Piero Campagna sta anche nella chiosa finale: “A volte ho pensato anche di vendicarmi da solo. Ma per la famiglia in cui sono cresciuto e la divisa che porto ho capito che la strada giusta era quella della legalità. Ed alla fine ho avuto ragione ma lo Stato faccia piena verità e non ripeta scempi come quello di Sutera: per il perdono ci vuole il pentimento. Loro non si sono mai pentiti”.
Leggere anche:
19luglio1992.com
Articolo del 12 ottobre 2020
Graziella Campagna, “fine pena mai”
vivi.libera.it
Graziella Campagna
Si era sempre rimboccata le maniche Graziella. Una ragazza che si dava da fare per aiutare la sua famiglia, con il sogno di costruirne molto presto una sua. La fatica non la spaventava, non ne aveva paura. È stata la paura di chi non ha rispetto per la vita che l’ha uccisa.
Articolo dell’11 dicembre 2021
Uccisa a 17 anni per un’agenda: la storia di Graziella Campagna