9 Marzo 1979 Palermo. Viene assassinato Michele Reina, segretario provinciale democristiano. “Ucciso per proteggere gli interessi di Vito Ciancimino”.

Foto da: provincia.palermo.it

Michele Reina, segretario provinciale della DC di Palermo, viene assassinato in una agguato mafioso il 9 marzo del 1979. Inizialmente l’omicidio fu rivendicato, con una telefonata al “Giornale di Sicilia” da presunti appartenenti ai terroristi di “Prima Linea”. Un’altra telefonata minacciò altri attentati se non fosse stato scarcerato il capo delle Brigate Rosse, Renato Curcio.
La verità l’ha raccontata Tommaso Buscetta, durante la sua collaborazione, nel lungo racconto fatto al giudice Giovanni Falcone: “Anche l’onorevole Reina è stato ucciso su mandato di Salvatore Riina”.
“Il 22 aprile del 1992, a Palermo si aprirà il processo per i cosiddetti “omicidi politici”: tra questi, anche quello di Michele Reina. Nell’aprile del 1999, dopo i primi due gradi di giudizio, il processo è approdato in Cassazione, dove sono state confermate sia l’impianto accusatorio che le pene irrogate. Con Salvatore Riina, sono stati condannati al carcere a vita Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Antonino Geraci”.

 

 

Nota da  ecorav.it
Omicidio di Michele Reina
di Giuseppe Martorana e Angelo Meli

È la sera del 9 marzo del 1979. Sono da poco passate le 22,30 quando scatta l’agguato contro Michele Reina, segretario provinciale della DC a Palermo.
L’uomo politico ha da poco lasciato la casa di un amico dove ha trascorso la serata e sta’ salendo in auto, dove lo attendono la moglie e due amici. I sicari si avvicinano e, da distanza ravvicinata gli sparano contro tre colpi secchi di calibro 38, dandosi subito dopo alla fuga, a bordo di una Fiat Ritmo rubata poche ore prima; la targa applicata sull’auto risulterà più tardi appartenere ad una Fiat 128, anch’essa rubata intorno alle 19 del giorno stesso del delitto.
Appena un’ora dopo, l’omicidio viene rivendicato con una telefonata anonima al centralino del “Giornale di Sicilia”: “Abbiamo giustiziato il mafioso Michele Reina” dice la voce che “firma” l’agguato a nome di “Prima linea”, in quel periodo uno dei gruppi armati più attivi del terrorismo rosso. L’indomani mattina, una seconda telefonata giunge al centralino del quotidiano palermitano della sera “L’Ora”. Il telefonista dice di parlare a nome delle “Brigate Rosse”, minaccia altri attentati e afferma: “Faremo una strage se non sarà scarcerato il capo delle Brigate Rosse, Renato Curcio”.
Una pista, quella terroristica, che però agli investigatori appare subito inverosimile e che viene ritenuta con più probabilità una mossa di Cosa nostra per sviare le indagini.

L’omicidio di Reina avviene all’indomani di un accordo politico che il segretario provinciale della DC, aveva portato a termine con il Partito Comunista. Un accordo che, però, non aveva riscosso l’entusiasmo e l’approvazione di grande parte suo partito; la maggioranza, anzi, si era subito manifestata contraria.
Le indagini si dirigono su due direzioni, due binari paralleli che, irrealmente, ad un certo punto si incontrano: la prima ipotesi, la più accreditata, è quella mafiosa; la seconda, quella privilegiata al Palazzo di Giustizia, è quella politica. Due piste che, come dicevamo, si incrociano. Tant’è che dopo un paio di giorni si parla, di un movente caratterizzato da un intreccio di interessi politico-mafiosi.
Ai funerali di Reina – frattanto – partecipano i vertici della Democrazia Cristiana nazionale: il segretario nazionale Benigno Zaccagnini, l’uomo-ombra di Andreotti Franco Evangelisti, i siciliani Piersanti Mattarella, Salvo Lima, Giovanni Gioia e Mario D’Acquisto.

Tre giorni dopo l’agguato mortale, giunge una nuova telefonata anonima al centralino del giornale “L’Ora”: “Non abbiamo giustiziato Michele Reina, anche se la mafia fa di tutto per adddossarci questo delitto”. Passano pochi minuti e il telefono squilla ancora. Di nuovo l’anonimo: “Qui Prima Linea, abbiamo le prove di quanto detto poco fa. Faremo di tutto per farvele avere”. Delle telefonate al giornale “L’Ora” fa cenno l’allora capo della squadra mobile di Palermo, Boris Giuliano: “Noi stiamo esaminando il delitto Reina come un fatto di sangue, senza privilegiare alcuna matrice. Certo, alla luce delle telefonate arrivate al centralino di un giornale palermitano le cose si incominciano a complicare”.
Le indagini proseguono, ma non portano a grosse novità, fino a quando il 16 luglio del 1984, davanti a Giovanni Falcone e al dirigente della Criminalpol Giovanni De Gennaro, Tommaso Buscetta inizia il suo lungo racconto su Cosa Nostra. Buscetta, in quei giorni, ha da poco compiuto 56 anni; ma il suo racconto parte da molto più lontano negli anni, dal 1963, dalla strage di Ciaculli, risalendo fino alla prima guerra di mafia e proseguendo fino all’ascesa al potere dei Corleonesi. Buscetta è un fiume in piena: descrive Cosa nostra nei minimi particolari e parla dei tanti, troppi, omicidi compiuti dagli uomini d’onore. Sull’uccisione di Michele Reina, in quel primo racconto verbalizzato dice: “Anche l’onorevole Reina è stato ucciso su mandato di Salvatore Riina”.

“Eletto segretario provinciale della DC nell’anno 1976 – scrivono i giudici istruttori nell’ordinanza di rinvio a giudizio contro Greco Michele – il Reina era stato uno dei principali fautori e sostenitori della costituzione della nuova maggioranza interna alla DC. Dopo la sua elezione, aveva contribuito insieme a Rosario Nicoletti, allora segretario regionale, alla formazione della giunta Scoma, che rappresentava il primo momento di attuazione della politica di apertura alle sinistre. […] La fattiva dinamicità del Reina, alla cui base vi era forse anche una personale e pragmatica aspirazione ad accrescere il proprio personale peso politico, determinò una sua progressiva sovraesposizione […]”
Solo otto anni più tardi, il 22 aprile del 1992, a Palermo si aprirà il processo per i cosiddetti “omicidi politici”: tra questi, anche quello di Michele Reina. Nell’aprile del 1999, dopo i primi due gradi di giudizio, il processo è approdato in Cassazione, dove sono state confermate sia l’impianto accusatorio che le pene irrogate. Con Salvatore Riina, sono stati condannati al carcere a vita Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Antonino Geraci.

 

 

 

Articolo di La Stampa dell’11 Marzo 1979
Una risata sprezzante, poi due killers hanno ucciso il segretario dc di Palermo 
di Antonio Ravidà

PALERMO — Il terrorismo comincia ad uccidere anche in Sicilia. Michele Reina, 47 anni, tre figli, segretario provinciale della DC dal marzo 1976, è stato «giustiziato» venerdì sera mentre si trovava alla guida della sua vettura. È la prima volta che il terrorismo colpisce a Palermo per uccidere, e l’assassinio di Reina ha causato nella città, già martoriata da innumerevoli delitti di stampo mafioso, un’ondata di sdegno e di sgomento. Il delitto è stato rivendicato con una telefonata al Giornale dì Sicilia da «Prima Linea», l’organizzazione terroristica che ha sostituito nel Sud i Nap.

In trentanni di attività politica quasi sempre tra i protagonisti, dapprima del movimento giovanile, poi come uno dei maggiori leaders democristiani di Palermo. Michele Reina era stato per quindici anni assessore e consigliere comunale dopo aver presieduto l’amministrazione cittadina.

Mentre la caccia agli assassini va avanti nell’incertezza, orrore e sdegno vengono manifestati da tutte le parti politiche. Il sindaco Salvatore Mantione ha proclamato il lutto cittadino, manifesti listati di nero hanno fatto ala all’imbrunire a un mesto raduno cui è seguito un corteo nel centro della città.

I carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e i funzionari della Digos della questura hanno chiuso la Sicilia in una morsa. Sono in azione anche i gruppi speciali, anche se a questo proposito non si hanno conferme ufficiali. Sono almeno una cinquantina i giovani estremisti sotto controllo perché sospettabili.

Il segretario provinciale della dc venerdì sera alle 22,20, dopo un’intensa giornata di impegni politici (nel pomeriggio aveva recato il saluto del suo partito al XV Congresso provinciale del pci, invitando a una politica il più possibile unitaria), era alla guida della sua Alfetta 2000 blu da poco acquistata, in via Principe Paterno, una strada dei «rioni alti». Accanto aveva il dottor Mario Leto, 43 anni, suo amico di infanzia, esponente del pri, e dietro sedevano sua moglie Marina di 35 anni, con la quale aveva appena festeggiato diciassette anni di matrimonio, e la consorte di Leto, signora Giulia.

All’improvviso una Ritmo grigia ha affiancato l’Alfetta, due giovani sono scesi e un terzo è rimasto al volante. Hanno cominciato a sparare a raffica. Reina è stato fulminato all’istante da tre proiettili che lo hanno colpito al collo, alla testa e al torace; Mario Leto, ferito a una gamba, ha estratto la pistola che portava con sé, una Colt 38 special con pallottole imbottite e doppio caricatore e malgrado violente fitte di dolore si è lanciato in strada sparando contro i killer che a viso scoperto fuggivano sulla «Ritmo».

«Non abbiamo più capito niente», ha raccontato Mario Leto, sino a due mesi fa direttore amministrativo della più grande casa vinicola siciliana, la «Corvo». «Uno dei due mentre sparava ghignava tanto che m’è parso ridesse» ha aggiunto.

Un’ora e mezzo dopo l’agguato una telefonata è giunta al Giornale di Sicilia. Raffaele Picone, il centralinista che l’ha ricevuta, ha detto che la voce era quella di un giovane, senza inflessioni dialettali. «Siamo “Prima linea” abbiamo giustiziato il mafioso Michele Reina», e la comunicazione è stata subito interrotta.

Un tentativo di incanalare le indagini su di una falsa pista? L’interrogativo, malgrado tutti gli elementi che tendono a smontarlo, rimane sia pur debole. «Prima linea», però, non ha smentito l’azione. «L’avrebbe fatto se non fossero stati loro», affermano al comitato provinciale dc «In Sicilia, come ci dicono molti segni, sta forse realizzandosi un intreccio tra terrorismo politico, delinquenza e mafia», ha dichiarato Gianni Parisi, segretario regionale del pci, aprendo la terza giornata di lavori del Congresso provinciale comunista, sospeso venerdì sera alla notizia del delitto. Con il sen. Paolo Bufalini. della segreteria del pci, e il segretario provinciale Luigi Colajanni, Parisi è stato ieri tra i primi esponenti degli altri partiti a porgere il cordoglio nella sede del comitato provinciale de in via Emerico Amari, davanti al porto.

I repubblicani Gunnella e Ciaravino, i socialdemocratici Macaluso e Vizzini, i socialisti Saladino e Lo Verde, il liberale Taormina con tanti altri dirigenti di partiti e di sindacati hanno espresso sdegno e riprovazione. Michele Reina era popolarissimo a Palermo, un personaggio estroverso e a volte intemperante: l’anno scorso dopo un litigio per il posteggio allo stadio di calcio era stato arrestato da due vigili urbani. Dopo tre giorni di carcere, processato per direttissima era stato condannato a cinque mesi con la condizionale ed era uscito dall’Ucciardone con il fagottino, come un «cittadino qualunque», aveva spiegato.

Aveva avuto altre «noie» con la giustizia per l’uso di una vettura comunale mentre era stato temporaneamente sospeso dalla carica per un’altra vertenza giudiziaria conseguente a un’accusa di interesse privato per la creazione dell’area di sviluppo industriale. Accusa, quest’ultima, che gli era piovuta addosso quand’era consigliere provinciale. Funzionario del Banco di Sicilia, «andreottiano», di lui si parlava come di un prossimo deputato alla Camera o all’Assemblea siciliana. Lascia tre figlie di sedici, nove e quattro anni.

 

 

Articolo da La Stampa del 12 Marzo 1979
Palermo: una smentita che inquieta i dirigenti democristiani Una telefonata di Prima linea « Non abbiamo ucciso Reina

PALERMO — «Qui Prima linea, non siamo stati noi ad uccidere Michele Reina». Con queste brevi parole, un uomo parlando in fretta e non in dialetto, stanotte ha telefonato al Giornale di Sicilia, smentendo che l’omicidio del segretario provinciale dc di Palermo — compiuto venerdì sera alle 22,20 — sia opera dell’organizzazione terroristica.

Con un’altra telefonata, la notte tra venerdì e sabato, un’altra voce maschile aveva attribuito a «Prima linea» l’uccisione del «mafioso Michele Reina». Quale delle due telefonate è autentica, ammesso che non siano entrambe fasulle?

È indubbio comunque che l’una e l’altra stiano alimentando un’ancor più forte tensione mentre la nuova comunicazione telefonica accredita la tesi del «delitto privato» magari per una vendetta mafiosa contro l’esponente politico, che era pur sempre — non va dimenticato — uno dei «potenti» di Palermo.

«D’altra parte perché dovremmo credere a questa telefonata e non alla prima?», si è domandato inquieto un funzionario del comitato provinciale dc nella cui sede ieri mattina Zaccagnini ha portato il saluto e il cordoglio dei democristiani.

Le indagini sull’agguato intanto non segnano sviluppi degni d’attenzione. Il vicequestore Boris Giuliano, dirigente della Squadra mobile, in nottata ha interrogato a lungo la signora Marina Reina, giovane vedova del dottor Reina, e i coniugi Mario e Giulia Leto che nell’Alfetta 2000 accanto al segretario dc sono scampati per poco alla morte nella sparatoria.

Ferito a una coscia, il dottor Leto ha sparato a sua volta contro i killers in fuga su una «Ritmo» grigia trovata poi a trecento metri dal luogo dell’assalto dove — hanno riferito testimoni — era stata già notata nel pomeriggio. La vettura era stata rubata e aveva la targa sostituita con quella di un’altra automobile rubata. Del «commando» forse faceva parte una donna, a. r.

 

 

 

Articolo di La Stampa del 13 Marzo 1979
Palermo: «Prima Linea» ora nega di avere ucciso il segretario dc
di Antonio Ravidà
Nell’incertezza le indagini sull’assassinio di Reina Palermo: «Prima Linea» ora nega di avere ucciso il segretario dc.

L’uccisione di Michele Reina, 47 anni, da tre segretario provinciale della dc e da 15 consigliere comunale dopo esser stato consigliere e presidente dell’amministrazione provinciale, è ancora avvolta in un mistero, contorto da dubbi ed elementi contraddittori.

Domenica, presente Zaccagnini, lo stato maggiore democristiano in Sicilia ha assistito quasi al completo ai solenni funerali dell’esponente politico assassinato da un commando venerdì alle 22.20 mentre si trovava in automobile con la moglie Marina di 35 anni e una coppia di amici. Ad addensare nubi piene di sospetti sulla vicenda sono alcune telefonate anonime, praticamente immancabili in situazioni come queste.

Un’ora e mezza dopo la sparatoria, infatti, l’uccisione di Michele Reina era stata rivendicata da «Prima Linea» con una telefonata anonima al Giornale di Sicilia. Nella notte tra domenica e lunedì lo stesso quotidiano ha ricevuto un’altra telefonata anonima: «Non siamo stati noi di Prima Linea», ha detto un giovane prima di interrompere bruscamente la comunicazione. Nel pomeriggio di ieri altre due telefonate sono giunte al quotidiano L’Ora: «Qui Prima Linea — ha detto una voce maschile che parlava un buon italiano al centralinista Giuseppe Sciascia —. Non abbiamo giustiziato Michele Reina, anche se la mafia fa di tutto per addossarcelo». Poi la comunicazione è stata bruscamente interrotta. Qualche minuto più tardi una nuova telefonata, con la stessa voce: «Qui Prima Linea, abbiamo le prove di quanto detto poco fa e faremo di tutto per farvele avere».

Terrorismo o mafia? Due, piste seguite da altrettanti punti interrogativi mentre si intrecciano le supposizioni di chi propende per l’una o per l’altra tesi.

L’Ora, il quotidiano pomeridiano di Palermo, ha pubblicato ieri anche una nota di Leonardo Sciascia. «Michele Reina — ha scritto Sciascia — è stato ucciso in quanto per dirla col linguaggio della burocrazia politica, quadro intermedio della democrazia cristiana in Sicilia, non in quanto Michele Reina. La sua storia personale dentro il partito nelle cariche pubbliche che ha assolto non c’entra o è puramente accidentale».

Intanto è significativo il fatto che la maggior parte degli accertamenti della questura, tra domenica e ieri, sia stata svolta dal vicequestore Boris Giuliano, dirigente della squadra mobile (esperto in faccende di mafia e delinquenza comune) e non dai funzionari della Digos (specialisti in indagini sui terroristi). Significa che la polizia restringe il cerchio dell’inchiesta all’ipotesi mafiosa o di criminalità «spicciola»? È possibile.

Al comitato provinciale della dc, in via Emerico Amari a poca distanza dal porto, dirigenti e funzionari di partito attendono: perchè non credere alla prima telefonata e credere a quest’altra? Essi insomma riconducono il retroscena dell’omicidio all’azione eversiva e sanguinaria di «Prima Linea».

Aggiungono che Michele Reina in quanto segretario provinciale della dc era stato, ed era, garante di un’intesa politica con il pci che, pur tra scossoni e polemiche a volte aspre, a Palermo sta andando avanti.

D’altronde Paolo Maurizio Ferrari, uno dei capi storici delle Br, quando tre anni fa rimase qualche tempo nel carcere Ucciardone, di Palermo, tenne con sé un elenco dei «bersagli predestinati». Tra questi c’era anche chi, al momento di un’eventuale azione terroristica, avesse retto la carica di segretario provinciale della dc.

 

 

 

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Fonte: cosavostra.it
Articolo del 2 marzo 2019
Michele Reina. Un omicidio politico fra dubbi e certezze
di Emanuela Braghieri

Le mafie hanno il potere di giocare con grande anticipo a discapito delle istituzioni che sono costantemente in ritardo nel recepirle e, successivamente, nell’opprimerle.

Questa sembra un’affermazione di cronaca moderna, ma per capire di cosa si parlerà, è necessario tornare indietro alle passate pagine della storia siciliana e, con esattezza, compiere un salto temporale di circa cinquant’anni.

Gli amanti della mafia agraria, “l’eroica e valorosa” organizzazione criminale, piansero per l’arrivo di una “nuova mafia”, definita così perché iniziava ad estendere i suoi tentacoli in luoghi mai esplorati prima quali la produzione e distribuzione di eroina, il traffico dei tabacchi e mostrava i primi interessi per le aree edificabili.

Siamo di fonte allo scenario perfetto nel quale ambientare la tragedia che vede protagoniste le morti di giudici, politici, giornalisti, carabinieri, fino ad arrivare alla scoperta della definizione della mafia intesa in senso assoluto, prigioniera nel corpo di di mostri e omicida di donne e bambini.

Nel 1970 muore il giornalista Mauro De Mauro, un anno dopo il procuratore capo di Palermo, Pietro Scaglione. La mafia, reputata salvatrice, diventa odio e distruzione con l’omicidio dell’ufficiale dei carabinieri Giuseppe Russo nel 1977. Un anno dopo l’obiettivo si sposta su Mario Francese, fino ad arrivare a Michele Reina, il segretario provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana.

Era il 9 marzo 1979, tutto ciò che egli avrebbe voluto era ritornare a casa, dopo una giornata di lavoro seguita da una piacevole serata con amici, ma prima che potesse entrare in macchina, con ancora un ampio sorriso rivolto alla moglie a pochi metri da lui, venne colpito da tre colpi di calibro 38. Non si ebbe il tempo di rendersi conto dell’accaduto che i due sicari, coraggiosi e convinti quanto erano, si diedero immediatamente alla fuga, a bordo di una Fiat Ritmo rubata poche ore prima con targa falsa.

Dopo un’ora dall’attentato, ci fu una telefonata anonima al Giornale di Sicilia: “Abbiamo giustiziato il mafioso Michele Reina” firmato da “Prima linea”, in quel periodo uno dei gruppi armati più attivi del terrorismo rosso.

Il giorno dopo, al quotidiano palermitano della sera “L’Ora”, un uomo non identificato parla a nome delle Brigate Rosse, minaccia altri attentati e afferma: “Faremo una strage se non sarà scarcerato il capo delle Brigate Rosse, Renato Curcio“.

Tre giorni dopo: “Non abbiamo giustiziato Michele Reina, anche se la mafia fa di tutto per addossarci questo delitto”.

E ancora: “Qui Prima Linea, abbiamo le prove di quanto detto poco fa. Faremo di tutto per farvele avere”.

A questo punto la domanda sorge spontanea: questione mafiosa o politica?

Due rette parallele che potrebbero non accettare il loro destino, in quanto potrebbero incrociarsi creando un interesse politico-mafioso.

L’allora capo della squadra mobile di Palermo, Boris Giuliano, affermò di trattare il caso come un delitto di sangue, senza privilegiare nessuna matrice, anche se non si ignorarono le telefonate ricevute.

La verità sembra non voler emergere fino a quando, davanti a Giovanni Falcone e al dirigente del Criminalpol, Giovanni De Gennaro, uno dei pentiti più significativi, Tommaso Buscetta, eliminò alcuni punti interrogativi che si possono trovare nella frase verbalizzata:

“Anche l’onorevole Reina è stato ucciso su mandato di Salvatore Riina“.

A sostegno della tesi iniziale, dopo tredici anni da quella notte iniziata nelle risate e conclusa nel sangue, il 22 aprile del 1992 a Palermo si aprono i processi per “omicidi politici”: Michele Reina è uno di questi.

Nell’aprile del 1999 oltre a Salvatore Riina, si aggiungono Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Antonino Geraci all’elenco di coloro che riuscirono ad estinguere tanti uomini ma non le loro idee.

 

 

 

Leggere anche:

 

  mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 15 ottobre 2020
9 marzo ’79, l’omicidio di Michele Reina
di Francesco Trotta

 

vivi.libera.it
Articolo del 12 novembre 2020
Michele Reina
Era stato eletto da pochi anni segretario provinciale di Palermo della DC. La politica lo aveva sempre appassionato. E stava cercando di dare un nuovo corso al suo partito con l’apertura alle sinistre.

 

palermotoday.it
Articolo del 9 marzo 2022
“Non si piegò al sistema politico-criminale-mafioso”, Michele Reina ucciso 43 anni fa
Segretario provinciale della Dc ed ex assessore comunale fu assassinato il 9 marzo 1979 in via Principe di Paternò. Il ricordo del sindaco Orlando: “Sarà sempre un punto di riferimento”

 

vivi.libera.it
Michele Reina – 9 marzo 1979 – Palermo (PA)
Era stato eletto da pochi anni segretario provinciale di Palermo della DC. La politica lo aveva sempre appassionato. E stava cercando di dare un nuovo corso al suo partito con l’apertura alle sinistre.

 

 

 

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