10 Marzo 1948 Corleone (PA). Scompare Placido Rizzotto, Partigiano, socialista, segretario della Camera del Lavoro e dirigente delle lotte contadine. Primo caso di “lupara bianca”. I suoi resti recuperati dopo 64 anni nella foiba di Rocca Busambra.

Foto da: paginedellastoria.splinder.com  

Placido Rizzotto (Corleone, 2 gennaio 1914 — Corleone, 10 marzo 1948) è stato un sindacalista italiano, rapito e ucciso dalla mafia.
Iniziò la sua attività politica e sindacale a Corleone al termine della guerra. Ricoprì l’incarico di Presidente dei reduci e combattenti dell’ANPI di Palermo e quello di segretario della Camera del lavoro di Corleone. Fu esponente di spicco del Partito Socialista Italiano e della CGIL.
Venne rapito nella serata del 10 marzo 1948, mentre andava da alcuni compagni di partito, e ucciso dalla mafia per il suo impegno a favore del movimento contadino per l’occupazione delle terre. Le indagini sull’omicidio furono condotte dall’allora capitano dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. Sulla base degli elementi raccolti dagli inquirenti, vennero arrestati Vincenzo Collura e Pasquale Criscione che ammisero di aver preso parte al rapimento di Rizzot o in concorso con Luciano Liggio. Grazie alla testimonianza di Collura fu possibile ritrovare alcune tracce del sindacalista ma non il corpo, che era stato gettato da Liggio nelle foibe di Rocca Busambra, nei pressi di Corleone. Criscione e Collura, insieme a Liggio che rimase latitante fino al 1964, furono assolti per insufficienza di prove, dopo aver ritrattato la loro confessione in sede processuale. (Wikipedia)

 

 

 

 

Foto da  socialismoitaliano1892.it

Articolo da: Associazione Assaltare il cielo
Placido Rizzotto, delitto da coprire
di Dino Paternostro

“La Corte di Assise visto l’art.479 cpp assolve Leggio Luciano, Criscione Pasquale e Collura Vincenzo dai reati loro rispettivamente ascritti per insufficienza di prove, ed ordina le scarcerazioni degli ultimi due se non detenuti per altra causa, e revoca il mandato di cattura nei confronti di Leggio Luciano”. Era il 30 dicembre 1952, quando la Corte d’Assise di Palermo pronunciò questa sentenza nei confronti di tre personaggi-chiave del “gotha” mafioso di Corleone, accusati di avere assassinato la sera del 10 marzo 1948 il sindacalista Placido Rizzotto. Quattro righe, dattiloscritte su un foglio di carta e lette ad alta voce dal presidente Gionfrida, che vanificavano mesi di difficili indagini, condotte dal capitato Carlo Alberto Dalla Chiesa. L’ufficiale dell’Arma era sicuro di avere inchiodato alle loro responsabilità Liggio, Criscione e Collura. Adesso, però, un tribunale gli aveva dato torto. Un torto confermato anche dalla sentenza di appello dell’11 luglio 1959, che divenne definitivo il 26 maggio 1961, quando fu respinto il ricorso in Cassazione, proposto dal pubblico ministero.

Dopo 13 anni, dunque, per i giudici di Palermo l’unica certezza era la scomparsa di Placido Rizzotto. Invece, il sequestro, l’assassinio, il ritrovamento dei suoi resti in una foiba di Rocca Busambra, il loro riconoscimento da parte dei familiari, le iniziali confessioni di Criscione e Collura, rimasero solo labili indizi, insufficienti per condannare i colpevoli. Per Liggio, questa sentenza rappresentò il collaudo del geniale metodo della ´lupara bianca’, che i “corleonesi” avrebbero continuato ad applicare anche in futuro. Occultando il cadavere della persona uccisa, infatti, diventa impossibile dimostrare l’omicidio.

La vicenda Rizzotto aveva fatto “scuola”. A voler esaminare attentamente i fatti, però, numerosi interrogativi, anche inquietanti, restano in piedi. Come mai, per esempio, i giudici diedero più credito alla tesi della difesa (gli avvocati Dino Canzoneri e Rocco Gullo), secondo cui furono fatte ´insistenti pressioni’ e ´violenze di ogni sorta’ sugli imputati per costringerli a confessare, piuttosto che alla buona fede (almeno fino a prova di falso) del capitano Dalla Chiesa, che quelle confessioni raccolse? Come mai, comunque, non si procedette a denunciare l’ufficiale dei carabinieri, “reo” di violenza contro gli imputati? Come mai non si diede alcuna importanza ai riscontri obiettivi di quelle confessioni, costituiti dall’individuazione della foiba e dal ritrovamento dei resti? Come mai non si mise in conto che Criscione e Collura avessero tanti buoni motivi per ritrattare, non ultimi la paura di ritorsioni mafiose e la comoda opportunità di seguire una linea difensiva che scagionava pure loro? Come mai i giudici si mostrarono così certi dell’inattendibilità del riconoscimento dei resti del Rizzotto da parte dei familiari, nonostante l’estrema precisione e i dettagli da questi riferiti? Come mai, infine, per quanto riguarda la causale del delitto, i giudici non presero in considerazione il ruolo di dirigente sindacale di Rizzotto, le lotte per la terra che aveva diretto e l’essere il Criscione, il Collura e il Liggio campirei o gabelloti di alcuni ex feudi presi di mira dai contadini, nonchè esponenti riconosciuti della mafia di Corleone? Tra l’altro, non potevano ignorare (stava scritto in tanti rapporti di polizia) l’esistenza della mafia a Corleone. Non potevano ignorare come questa associazione crimimale controllasse tutti i feudi e nemmeno la contrapposizione di interessi col movimento contadino guidato da Rizzotto. Non potevano ignorare, infine, che quel giovane sindacalista corleonese, alla data del 10 marzo 1948, era stato il 35° dirigente della sinistra a cadere sotto i colpi della mafia e che, dopo di lui, tanti altri continuarono ad essere assassinati, fino a raggiungere la cifra-record di 50 morti ammazzati. Dovevano essere consapevoli che, ´in terra di mafiaª, non si può commettere nessun delitto senza il preventivo assenso della “cupola”. Eppure in nessuna carta processuale spuntò mai il nome di “don” Michele Navarra, che di quella “cupola” era notoriamente il capo riconosciuto.

Inizialmente si seguì la pista passionale
(d.p.) Come per tutti i delitti di mafia, anche per l’assassinio Rizzotto fu indicata una pista “passionale”. I primi a farla circolare furono gli stessi investigatori. ´Rizzotto non morì per la sua attività di sindacalista che dava fastidio alla mafia… morì perchè, eterno fidanzato di quella ragazza Leoluchina Sorisi, non voleva più sentirne di sposarla’, scrive Angelo Vecchio (Luciano Liggio, Palermo, La Fiera Edizioni, 1994). E qualcuno giurò pure di avere sentito la Sorisi gridare: ´Mangerò il cuore a chi ha assassinato Placido!’. ´Ma Placido non aveva nessuna fidanzata!’, E’ stata sempre la tesi dei suoi familiari. Ironia della sorte, la sera del 14 maggio 1964, Luciano Liggio fu arrestato nella casa di Leoluchina Sorisi, dove si nascondeva da alcuni mesi. La via Bentivegna, la strada che Rizzotto percorse la sera in cui fu ucciso; Carlo Alberto Dalla Chiesa a Corleone; l’arresto di Luciano Liggio nella casa di Leoluchina Sorisi Alla Contrada Casale, alle pendici di Rocca Busambra, dove fu trovata la foiba con i resti di Rizzotto. Nonostante il riconoscimento dei familiari, alla fine Liggio, Criscione e Collura furono assolti.
Le sentenze che hanno mandato assolti gli imputati lasciano tanti perchè irrisolti. Mafia e attività della vittima non sono citate. In fumo il lavoro di Dalla Chiesa
(d.p.) Dopo le confessioni di Criscione e Collura, il 6 dicembre 1949, con una squadra di carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa raggiunse Rocca Busambra per trovare “la tomba” di Rizzotto”. Le ricerche durarono alcune ore. Venne individuata la foiba, dall’ingresso molto stretto, ma profonda almeno 50 metri. Due giorni dopo, con un sistema a carrucola, il carabiniere Orlando Notari scese nel cunicolo e, dopo 40- 45 metri, con una lampadina tascabile, riuscÏ a scorgere il termine della “ciacca”. Data la pericolosità del cunicolo, fu chiesto l’aiuto di una squadra di vigili del fuoco e, insieme ad essi, il 14 dicembre 1949, si tentò di arrivare sul fondo. Quindi, si riuscì ad estrarre i resti di tre cadaveri, dai quali furono prelevati lembi di indumenti ed oggetti utili per l’identificazione, che furono divisi in tre gruppi, e portati al cimitero di Corleone la sera stessa per essere posti a disposizione del pretore. Il giorno dopo, il vice-pretore di Corleone, dott. Bernardo Di Miceli, cugino del dott. Navarra, effettuò la ricognizione ufficiale degli oggetti recuperati, ´fra i quali: parte di una teca cranica, frammenti ossei del cranio, radio ed ulna in discrete condizioni di conservazione, un frammento di articolazione del radio, parte di una calotta cranica
ben conservata nel lato posteriore fino alla base dei capelli di colore castagno’, scrisse la prima Commissione antimafia. I familiari di Rizzotto ´dichiararono di riconoscere come appartenenti al congiunto gli scarponi di tipo americano con suole e tacchi di gomma, nonché i lembi di stoffa da mutande. Le sorelle Biagia e Giuseppa riconobbero inoltre la cordicella elastica legata a nodo, che asserirono essere stata adoperata come reggicalze dal fratello Placido; Mannino Rosa credette di potere riconoscere anche la calotta cranica’. A questo punto, con rapporto del 18 dicembre 1949, il capitano Dalla Chiesa, procedette a denunciare il latitante Luciano Liggio e gli arrestati Pasquale Criscione e Vincenzo Collura.
Ma non servÏ a niente.

Il “film” delle ultime ore di vita del sindacalista
LA STORIA. La passeggiata finale lungo via Bentivegna, poi la lite con Luciano Liggio e il sequestro.
La sera del 10 marzo 1948 Placido Rizzotto non uscì solo dalla Camera del lavoro. Con lui c’erano Vincenzino Benigno e Giuseppe Siragusa. Ma, purtroppo, ciò non impedì che fosse sequestrato ed ucciso, pagando forse ingenuità sue e colpe di altri, come emerge chiaramente dalla ricostruzione di quelle sue ultime ore. Lasciata la sede della Cgil, intorno alle 21, Rizzotto, in compagnia di Benigno e Siragusa, si fermò in via Bentivegna, all’incrocio con via San Martino, per aspettare il dott. Michele Navarra, col quale (nella sua qualità di medico condotto) il sindacalista doveva prendere accordi per risolvere alcune questioni riguardanti gli elenchi anagrafici dei braccianti agricoli di Ficuzza. Navarra abitava nei pressi, in piazza Sant’Orsola, ma quella sera non passò. Ad un certo momento, invece, si avvicinò ai tre Pasquale Criscione. Dopo un poco, Siragusa si congedò dai suoi amici e tornò a casa. Rimasero insieme, quindi, Rizzotto, Benigno e Criscione. ´Questi (il Criscione) cercò di attaccare discorso per cinque minuti – avrebbe raccontato qualche anno dopo Benigno a Danilo Dolci ma noi non ci si diede conto, non ci persuadeva. Lui continuava a scherzare. Dovevamo fare spesa. Chiedemmo permesso. Venne anche lui. Poi si andò verso casa. Offrì la sua compagnia. Non si potè rifiutarla. Arrivato a casa io entrai, mai pensando cosa poteva succedere: c’era gente intorno da tutte le parti. Loro scesero verso la piazza…’. Il gruppo dirigente della Camera del lavoro di Corleone era consapevole dei rischi che correva Placido Rizzotto. In quei primi anni del dopoguerra, tanti sindacalisti erano già stati assassinati. L’ultimo a cadere, otto giorni prima, era stato Epifanio Li Puma a Petralia Sottana. Per precauzione, quindi, ogni sera usavano accompagnarlo a casa. Quella sera, però, Giuseppe Siragusa, pur avendo visto avvicinare Criscione, decise ingenuamente di tornare a casa per primo. Benigno accettò di essere accompagnato a casa, lasciando il capolega proprio con quel Criscione, del quale lui stesso avrebbe detto che “non ci persuadeva”. Un’altra ingenuità?
Ma proseguiamo con la ricostruzione di quell’ultima sera di Rizzotto. Accompagnato dal Collura, percorse la via Bentivegna, fino all’angolo della chiesa di San Leonardo, dove l’aspettavano Luciano Liggio e un altro gruppo di mafiosi. Nacque una discussione molto animata, quasi una lite, ci ha raccontato Luca, un testimone oculare oggi ottantenne (La Sicilia, 6 marzo 2005), a cui Rizzotto tentò di mettere fine urlando ´Adesso basta, lasciatemi andare!’. Ma quelli lo presero a forza, facendolo salire sulla 1100 di Liggio, che immediatamente sgommò verso una fattoria di contrada Malvello. Fu in quel posto che Rizzotto, dopo essere stato picchiato a sangue, venne assassinato. Successivamente, il suo cadavere fu buttato in una foiba di Rocca Busambra. Al delitto assistette un pastorello di 13 anni, Giuseppe Letizia, che tornò sconvolto in paese, in preda ad una febbre altissima. Ricoverato allíospedale “Dei Bianchi”, fu “curato” con una iniezione letale dal dottor Michele Navarra. Nonostante le denunce de ´La Voce della Sicilia’ e le manifestazioni di protesta della Cgil e dei partiti di sinistra, nessuno avrebbe mai saputo più niente di Rizzotto, se una ´gola profonda’ ante litteram, Giovanni Pasqua, relegato nel famigerato carcere dell’Ucciardone, non fosse divenuto improvvisamente loquace, indicando gli assassini del sindacalista in Luciano Liggio, Pasquale Criscione, Vincenzo Collura ed altri. Dopo alcune battute, i carabinieri di Dalla Chiesa riuscirono ad arrestare Pasquale Criscione e Vincenzo Collura, che, il 4 dicembre 1949, interrogati nella caserma di Bisacquino, fecero clamorose rivelazioni. Ammisero, cioè, ´di aver partecipato al sequestro di Placido Rizzotto, in concorso con Leggio Luciano, che poi avrebbe ucciso la vittima con tre colpi di pistola.

 

Fonte Liberaterra.it
Cooperativa sociale Placido Rizzotto – Libera Terra

La Cooperativa sociale Placido Rizzotto – Libera Terra nasce nel 2001 grazie al progetto Libera Terra, promosso dall’associazione Libera e dalla Prefettura di Palermo: le terre confiscate ai boss mafiosi del corleonese, dopo anni di abbandono, tornano così a essere coltivate. La Cooperativa opera sulle terre del Consorzio di Comuni “Sviluppo e Legalità” ove effettua l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, creando opportunità occupazionali ispirandosi ai principi della solidarietà e della legalità. Il metodo di coltivazione scelto sin dall’inizio è quello biologico e le produzioni sono tutte artigianali, al fine di garantire la bontà e la qualità dei prodotti che conservano il sapore antico della tradizione siciliana. La Cooperativa aderisce a Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie.

 

 

 

PLACIDO RIZZOTTO RACCONTATO DA PIPPO FAVA

 

 

 

 

 

Blu Notte – Terra e libertà

 

 

 

Articolo di La Repubblica del 9 Marzo 2012
Ritrovati i resti di Placido Rizzotto sindacalista ucciso dalla mafia nel ’48
di ROMINA MARCECA
L’esame del Dna ha confermato che lo scheletro rinvenuto in una foiba di Roccabusambra, a Corleone, appartiene al dirigente della Cgil che si batteva per i diritti dei contadini

Il Dna lo hanno estratto da una tibia dello scheletro trovato in una foiba di Roccabusambra, a Corleone, accanto a una cintura e a una moneta di 10 centesimi coniata negli anni Venti. A 64 anni dalla sua scomparsa la polizia scientifica di Palermo è riuscita ad attribuire a Placido Rizzotto, il sindacalista della Cgil ucciso dalla mafia il 10 marzo del 1948, alcuni resti ossei ritrovati nel 2009 proprio nel posto in cui il cadavere di Rizzotto venne gettato dal boss di Corleone Luciano Liggio.

Una scoperta eccezionale dopo anni di appelli da parte della famiglia Rizzotto, che ha chiesto di far luce sulla scomparsa dei resti che erano stati recuperati nel 1949 durante le indagini condotte dal giovane capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. “A Corleone  –  ha più volte ribadito il nipote di Rizzotto, che porta lo stesso nome del sindacalista – i mafiosi hanno tutti una tomba nel cimitero. Placido Rizzotto ancora no”. Il Dna estratto dai resti ritrovati a Corleone è stato comparato con quello del padre di Rizzotto, Carmelo, morto anni fa. La compatibilità, dopo mesi e mesi di studi di laboratorio, ha dato ragione all’ipotesi avanzata dalla polizia.

Placido Rizzotto fu ucciso a 34 anni dalla mafia per il suo impegno, a partire dal 1945, a favore del movimento contadino per l’occupazione delle terre. Un pastorello assistette al suo omicidio di nascosto e vide in faccia gli assassini. Venne ucciso con un’iniezione letale somministrata dal medico-boss Michele Navarra, indicato come il mandante dell’omicidio
Rizzotto. Le indagini sull’omicidio furono condotte dall’allora capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. Agli arresti finirono Vincenzo Collura e Pasquale Criscione. Fino al 1964 restò invece latitante Luciano Liggio, detto Lucianeddu, la primula rossa di Corleone. Il boss venne catturato nella casa di Leoluchina Sorisi, presunta fidanzata di Placido Rizzotto. I tre killer furono assolti per insufficienza di prove.

Il sindaco di Corleone, Antonino Iannazzo, ha accolto con grande soddisfazione la notizia. “Si chiude – dice – un mistero italiano che abbiamo chiesto di risolvere allo Stato. Già ci avevano provato i carabinieri con altri resti trovati nelle foibe, ma non avevano estratto il Dna. Questo risultato, mi hanno spiegato gli investigatori, dà una certezza al 76 per cento. La famiglia, dopo tanti anni, avrà finalmente una tomba su cui piangere”.

 

 

 

 

Articolo del 16 Marzo 2012 da dallapartedellevittime.blogspot.com 
FUNERALI DI STATO PER PLACIDO RIZZOTTO. LO HA DECISO IL CONSIGLIO DEI MINISTRI 
di Raffaele Sardo

Saranno funerali di Stato per Placido Rizzotto, il sindacalista della Cgil rapito dalla mafia il 10 marzo del 1948. Il Consiglio dei ministri ha condiviso la proposta del Presidente del Consiglio Mario Monti di celebrare funerali di Stato per Rizzotto, figura emblematica della lotta contro la mafia, una volta terminati gli accertamenti tecnici sui resti recuperati. Lo rende noto il comunicato di Palazzo Chigi. «Siamo molto soddisfatti e contenti della decisione presa dal Consiglio dei ministri per i funerali di Stato di Placido Rizzotto». Ha detto  il sindaco di Corleone, Nino Iannazzo, subito dopo avere appreso la notizia che il Consiglio dei ministri ha dato l’assenso ai funerali di Stato per il sindacalista di Corleone ucciso 64 anni fa da Cosa nostra e i cui resti sono stati identificati solo nei giorni scorsi dalla Polizia scientifica di Palermo. «È un gesto di riconoscimento del governo Monti anche per la città di Corleone, – ha aggiunto – per i grandi cambiamenti che si sono registrati negli ultimi anni». E conclude: «È un atto che dà ancora più rilievo all’attività degli inquirenti e della Polizia scientifica che ha riconosciuto i resti del povero Rizzotto».

Felice della decisione del Consiglio dei Ministri anche il nipote del sindacalista ucciso dalla mafia. «Davvero? Hanno accolto la richiesta dei funerali di Stato per mio zio? Mi sta dando una notizia bellissima. Grazie. Sono veramente felice». Placido Rizzotto, nipote omonimo del sindacalista ucciso a Corleone 64 anni fa da Cosa nostra, apprende dall’Agenzia ADNKRONOS della decisione del Consiglio dei ministri di celebrare i funerali di Stato. «Sono contentissimo – prosegue Rizzotto junior – avevo formalizzato appena ieri la richiesta dei funerali di Stato e già oggi il Consiglio dei ministri ha accolto questa richiesta. Era impensabile. Mi sorprende questa celerità. Questo mi fa capire che Placido Rizzotto è diventato, negli anni, un vero e proprio simbolo per tutta l’Italia, non solo per noi familiari o per il sindacato. Questa è la cosa più bella di tutti».

Placido Rizzotto si trova a Genova con l’associazione Libera per celebrare la giornata delle vittime di mafia. «Lo dirò subito ai miei ‘fratellì di Libera – dice ancora emozionato al telefono – Voglio ringraziare di cuore il Governo e tutti coloro si sono prodigati per ottenere questo risultato». Ma Rizzotto ringrazia anche la «Polizia scientifica e il Commissariato di Corleone» perchè «solo grazie alla loro insistenza, al loro lavoro e alla loro professionalità si è riusciti a recuperare prima e poi a identificare i poveri resti di mio zio».

«È un successo dell’Antimafia critica che non ha mai dimenticato il nesso velenoso del nostro paese tra la mafia e la politica». Così Vito Lo Monaco, presidente del Centro La Torre, commenta la decisione del Governo di proclamare i funerali di Stato per Placido Rizzotto. «I funerali di Stato per Placido Rizzotto sanciscono la svolta dell’azione di contrasto delle istituzioni avviata con la storica legge Rognoni-La Torre che ha identificato il reato di associazione di stampo mafioso e la natura speciale del rapporto con la politica della mafia. Sono passati trent’anni da quella legge, ci sono state tante altre stragi. Fare luce sui rapporti mafia-politica – continua Lo Monaco – significa dare compiutezza alla democrazia del nostro Paese. La mafia, come scrisse La Torre nella sua Relazione di minoranza della Commissione Antimafia del 1976, è un fenomeno afferente le classi dominanti. Se si condivide questo punto di vista è più facile mettere a nudo tutte le cosiddette »entità esterne« presenti in tutti i fatti tragici del nostro Paese»

«Il Governo ha dimostrato grande sensibilità nell’accogliere la richiesta di migliaia di cittadini per commemorare con funerali di Stato Placido Rizzotto». È quanto dichiara il presidente degli europarlamentari Pd, David Sassoli, che per primo, su Twitter, aveva fatto partire la richiesta di funerali di Stato per il sindacalista ucciso 64 anni fa dalle mafie i cui resti sono stati recentemente identificati. «Si tratta – ha aggiunto – di un riconoscimento importante, dovuto non solo all’uomo e alla sua battaglia, ma anche alla nostra Storia e a quella gran parte del Paese che, oggi come allora, reclama legalità e libertà da tutte le mafie. La mafia voleva far sparire per sempre Placido Rizzotto. Con la decisione di oggi – conclude Sassoli – lo Stato dimostra di avere una memoria più lunga e di saper essere più forte della criminalità».
Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, in un messaggio su Twitter ha scritto: «Funerali di Stato per Placido Rizzotto. Ne siamo contenti e orgogliosi».

 

 

 

 

Pasquale Scimeca racconta “Placido Rizzotto” – Percorsi di Cinema 2006

 

 

 

Placido Rizzotto regia di Pasquale Scimeca
Film sul sindacalista Placido Rizzotto e il suo impegno nella lotta contro la mafia.

 

 

 

Articolo del 30 Maggio 2012 da  linksicilia.it
In memoria di Placido Rizzotto
Pubblichiamo l’intervento di Placido Rizzotto nipote del sindacalista omonimo ucciso dalla mafia 64 anni fa. Un discorso tenuto in occasione dei funerali di Stato
celebrati a Corleone lo scorso 24 maggio alla presenza del Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano.

Zio Placido

Io non ti ho conosciuto personalmente ma solo attraverso le parole appassionate dette da quanti ti hanno vissuto accanto. Nonno Carmelo, che ha lottato per ottenere giustizia ed avere restituito il corpo del figlio. Nonna Rosa sempre vestita di nero per quel figlio che non tornò più.

Non ho avuto una tua carezza, però ho avuto un grandissimo dono: l’orgoglio di portare il tuo nome! Questo mi ha fatto, spesso, sentire quel figlio che non hai potuto avere.

Mi parlavano di un ragazzo sveglio, cresciuto in fretta.
Mi parlavano di un uomo generoso ed allegro.
Poi il militare, poi la guerra.

L’8 settembre del ‘43, come tanti altri giovani hai iniziato una lotta per liberare il Paese dalla dittatura e costruire un’Italia migliore. Ha lottato con la generosità che ti contraddistingueva con tanti altri giovani al tuo fianco parlando di giustizia sociale, diritti per i lavoratori.

Tornato nella tua Corleone hai trovato che al posto dei fascisti c’erano altri padroni, altri prepotenti e per la povera gente esisteva sempre la stessa miseria.

Hai iniziato una intensa attività politica nel partito socialista, e come sindacalista nella Cgil, spiegando ai contadini che esisteva una legge che avrebbe consentito di ottenere terreni in affitto da lavorare e questo avrebbe migliorato le loro condizioni di vita.

E la gente ti capiva, ti seguiva e ti amava.

Come te, altri uomini in tutta la Sicilia in quegli anni coltivavano il sogno di libertà e di riscatto delle condizioni dei contadini. Nel rispetto delle leggi dello stato chiedevate: TERRA, DIRITTI E LAVORO.

Uomini che avevate l’orgoglio di guardare negli occhi i propri figli.

Ma per questo siete stati tutti barbaramente uccisi. 42 sindacalisti.

Voi siete stati uccisi perché volevate avere anche l’orgoglio di poter guardare negli occhi i figli della povera gente, coscienti che con le vostre battaglie avreste gettato le basi per un loro futuro migliore.

Questo era il pericolo per i latifondisti, per la mafia e per quella parte delle istituzioni che di loro si serviva per mantenere lo stato delle cose.

Per tutti voi era stata scritta una storia di oblio. Per tutti veniva negata la matrice politico sindacale per le attività svolte.

Per te era stata scritta una storia terribile: cancellazione fisica e della memoria. Gettato in una buca “dove nessuno lo troverà più”. disse Luciano Liggio.

Il tentativo di cancellare la tua memoria è da subito, però, miseramente fallito in quanto da sempre sei diventato il simbolo di tutti quei dirigenti sindacali che hanno pagato con la vita il loro impegno.

Io ho portato avanti il desidero di tutta la famiglia di poter arrivare a questo giorno in cui finalmente potrai riposare in una tomba. Nel corso degli anni ho lanciato tanti appelli. Con l’occasione ringrazio quanti hanno profuso il loro impegno, ed un particolare ringraziamento voglio porgere alla Polizia di Stato,per il raggiungimento di questo risultato.

Si è alimentata spontaneamente in vasti settori dell’opinione pubblica la proposta di celebrare l’evento con solenni funerali di Stato e ringraziamo vivamente il Presidente del Consiglio per la scelta di accogliere la richiesta e ringraziamo sentitamente il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che oggi ha voluto essere presente.

Ora, però, mi rimane un sogno, condiviso con altri familiari dei sindacalisti uccisi in quel periodo. Oggi ci accorgiamo che questo sogno è largamente condiviso da tantissimi italiani, allora ci convinciamo che forse potremo finalmente realizzarlo. Si deve riscrivere la storia di questi uomini che hanno lottato per costruire una nuova Repubblica fondata sul lavoro sui diritti e sulla legalità.

Oggi chiediamo giustizia e verità per tutti questi sindacalisti.

Oggi dedichiamo una preghiera a tutti loro ed anche a tutte le vittime delle mafie ancora senza tomba.
Spesso le date hanno un significato simbolico.

Il 24 maggio del 1915 il placido Piave mormorava… “NON PASSA LO STRANIERO”

Oggi 24 maggio da Corleone, nel nome di Placido si levi un grido:

“NON PASSI MAI PIU’ LA MAFIA”

Ciao zio Placido, tu oggi hai vinto
Riposa in pace!
Ora tocca a noi vincere!

 

 

Foto da socialismoitaliano1892.it

Fonte:  socialismoitaliano1892.it
Articolo del 5 maggio 2016
Placido Rizzotto

La sera del 10 marzo 1948 Placido Rizzotto, partigiano e sindacalista socialista, 34 anni, fu sequestrato da un gruppo di persone guidato dal giovane mafioso Luciano Leggio detto Liggio. Lo circondarono in strada a Corleone, lo caricarono sulla 1100 di Liggio, lo portarono in una fattoria di Contrada Malvello, lo picchiarono a sangue e gli fracassarono il cranio. Poi buttarono il suo corpo in una foiba di Rocca Busambra.
Presi dalla furia del pestaggio, non si erano accorti che all’assassinio aveva assistito un piccolo pastore, Giuseppe Letizia, 12 anni. Che tornò a casa sconvolto dalla scena. Il padre scambiò i suoi vani tentativi di raccontare quello che aveva visto per un delirio febbrile e lo portò il 13 marzo all’ambulatorio del dottor Michele Navarra, che dichiarò che il ragazzino non aveva nulla, ma capì molto bene il suo racconto: Navarra era il padrino di Corleone e Liggio era affiliato alla sua cosca.
Gli fece, “per sbaglio”, un’iniezione d’aria. Letale, stando al rapporto del dottor Ignazio Dall’Aira, che ne constatò la morte il giorno dopo, per “tossicosi”. Chi indagò sul delitto Rizzotto non potè però contare sulla testimonianza di Dall’Aira, che improvvisamente partì per l’Australia e non tornò più in Italia.

Chi indagò sul delitto era il capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa e non fu l’unica biografia o vicenda storica importante a incrociare l’assassinio di Placido Rizzotto. Dalla Chiesa fu ucciso in un attentato a Palermo nel 1982, perché voleva fare con Cosa Nostra quello che gli era riuscito con le Brigate Rosse. Il posto di Placido Rizzotto alla guida della Camera del Lavoro di Corleone fu preso dal comunista Pio La Torre, anch’egli ucciso dalla mafia nel 1982. Mentre il giovane Luciano Liggio fece una grande “carriera” nella mafia: fece uccidere Navarra, diventando il capo del clan dei corleonesi. Poi, insieme ai “compari” Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano e Totò Riina, si “prese” Cosa Nostra.
Ma riavvolgiamo il nastro degli avvenimenti al 1914, anno di nascita di Placido Rizzotto. Il piccolo Placido da subito non ebbe vita facile, perché, nato povero, a sette anni rimase orfano di madre e a otto gli toccò assistere alla scena del padre portato via dai carabinieri, ingiustamente accusato di associazione a delinquere. Con queste premesse il fronte della seconda guerra mondiale dovette sembrargli contesto non così terribile. Infatti in guerra si distinse, arrivando sui monti della Carnia come caporale e diventando prima caporal maggiore e poi sergente. Dopo l’armistizio, Rizzotto passò con i partigiani, unendosi alle Brigate Garibaldi come socialista.

La sua resistenza continuò anche quando tornò in Sicilia, dove venne eletto presidente dell’associazione combattenti e reduci, l’Anpi di Palermo e della Camera del lavoro di Corleone. In quegli anni, dal 1944 al 1950, furono tanti i sindacalisti, i militanti dei partiti di sinistra e i contadini uccisi per mano mafiosa e mandante spesso ignoto. Assassinati per la terra. Tutto era iniziato il 19 ottobre 1944, quando il ministro dell’Agricoltura del governo Badoglio, il comunista Pietro Gullo, firmò un decreto in cui si stabiliva che le terre incolte o mal coltivate dagli agrari, dai latifondisti, venissero assegnate alle cooperative di contadini. Una legge valida nel resto d’Italia, un po’ meno in Sicilia. Quello stesso giorno a Palermo, mentre il decreto Gullo entrava in vigore, un plotone del 139° Reggimento fanteria della Divisione “Sabaudia” sparò sulla folla che protestava per la mancanza di pane: 24 morti e ben 158 feriti, tra cui donne e bambini.
In Sicilia i contadini si trovarono fra due fuochi: da una parte la nobiltà e il baronato latifondista, che avevano nella mafia il custode dello status quo, ovvero delle loro proprietà. Dall’altra polizia e carabinieri. Cosa succedeva? Che i mafiosi si opponevano con violenza all’applicazione della legge Gullo. E quando i contadini riuscivano comunque a occupare un pezzo di terra, arrivavano le forze dell’ordine ad arrestarli per “invasione di terre”, perché per essere assegnate dovevano essere dichiarate ufficialmente “incolte”. Contadini, sindacalisti e militanti erano fra il martello della lupara e l’incudine delle manette.

Ha scritto Marcello Sorgi su La Stampa: Mentre il movente “politico” o “mafioso” degli assassinii dei contadini difficilmente veniva riconosciuto, la natura “politica” di sovvertimento dell’ordine pubblico delle occupazioni era utilizzata per prolungare la carcerazione preventiva degli arrestati: aggravando, con l’assenza dei capifamiglia, la condizione dei loro parenti. Così, quando non erano le lupare a tuonare (vedi la strage di Portella della Ginestra), la battaglia simbolica per l’occupazione delle terre generava presto interminabili contese giudiziarie, con giovani e squattrinati avvocati di sinistra impegnati a difendere i contadini nelle aule di giustizia, dove gli agrari avevano al loro fianco gli avvocatoni monarchici, liberali e democristiani, membri a tutti gli effetti del potere dominante. Ho memoria personale e familiare di quelle vicende perché mio padre Nino Sorgi, penalista, in quel fatale ’48 in cui le vittime della lotta per la terra cominciavano a moltiplicarsi a decine, a soli 26 anni con i colleghi Antonino Varvaro e Francesco Taormina fondò il “comitato di solidarietà”, che doveva assistere gli arrestati per le occupazioni e rappresentare le parti civili, cioè l’accusa, contro i mafiosi accusati di omicidio e per conto delle famiglie degli ammazzati.

Corleone nell’immediato dopoguerra era un grosso borgo agricolo in cui la mafia la faceva da sempre da padrona. La vita di uno come Placido Rizzotto era combattere ogni giorno contro la violenza e le minacce. All’alba, insieme a quei pochi compaesani che avevano resistito alle intimidazioni, andava a dorso di mulo sulle alture circostanti e piantava una bandiera rossa, in modo che dalla piazza principale del paese si vedesse che anche quel giorno sindacalisti e contadini avevano conquistato un altro pezzo di terra. Fra la strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947) e le elezioni del 18 aprile 1948, la strategia della tensione su scala sicula fa sì che molti, spaventati dalla catena di morti ammazzati, inizino ad abbandonare la lotta per le terre.

Il “Lavoro”, settimanale della Cgil: prima pagina del 7 aprile 1948
Molti, ma non Placido Rizzotto. Che faceva valere anche fisicamente il suo metro e sessantacinque di muscoli contadini. Così a Luciano Liggio toccò l’umiliazione di essere sopraffatto in un duello a mani nude con Rizzotto, e finire appeso all’inferriata di un cancello. Mentre all’allora capo di Liggio, il boss di Corleone Michele Navarra, Rizzotto infligge lo sfregio di un rifiuto: come presidente dell’Anpi di Palermo, dice no alla domanda di iscrizione del dottor Navarra. Motivazione: “Lei non è né combattente, né reduce”.
Finirà male per Rizzotto, come sappiamo. Perché non solo i suoi assassini e i mandanti furono assolti per insufficienza di prove, ma i suoi resti – ripescati dalla foiba di Rocca Busambra un paio d’anni più tardi e mal custoditi – verranno riconosciuti ufficialmente grazie alla prova del Dna solo 64 anni dopo, il 9 marzo 2012. Mentre sul sangue di quegli anni si è consolidato nella regione un assetto di potere basato sul controllo totale delle terre da parte della mafia, a braccetto con il notabilato democristiano che ne ha governato per decenni le istituzioni.

Fonte: blitzquotidiano

 

“Ho capito che un uomo che si guarda i piedi quando parla è un uomo di cui non ci si può fidare. Io vi guardo negli occhi, compagni, e vi dico che se vogliamo costruirci un futuro ce lo dobbiamo fare con le nostre mani!”

 

 

 

Leggere anche:

mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 21 dicembre 2020
Placido Rizzotto, il primo nemico di Liggio
di Dino Paternostro

 

identitainsorgenti.com
Articolo dell’11 marzo 2021
L’assassinio di Placido Rizzotto e del pastorello Giuseppe Letizia
di Ciro Giso

 

antimafiaduemila.com
Articolo del 10 marzo 2022
La ”Resistenza” di Placido Rizzotto nella terra della mafia corleonese
di Luca Grossi

 

vivi.libera.it
Placido Rizzotto – 10 marzo 1948 – Corleone (PA)
Placido era sempre stato un giovane curioso e sveglio, da subito si era preso cura della sua famiglia, di suo fratello e delle sue sorelle. Si era arruolato tra le file della resistenza partigiana e tornato in Sicilia si era subito messo alla testa del movimento contadino, per chiedere ciò che spettava di diritto ai tanti braccianti siciliani.

 

 

 

 

 

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