21 settembre 1990, sulla statale tra Canicattì e Agrigento viene ucciso il giudice Rosario Livatino.

Erano passate da poco le 8,30 quella mattina del 21 settembre 1990. Il giudice Rosario Livatino, che il 3 ottobre avrebbe compiuto 38 anni, da Canicattì, dove abitava, con la propria auto si stava recando al tribunale di Agrigento, quando una Fiat Uno e una motocicletta di grossa cilindrata lo affiancano costringendolo a fermarsi sulla barriera di protezione della strada statale. I sicari sparano numerosi colpi di pistola. Rosario Livatino tenta una disperata fuga, ma viene bloccato. Sceso dal mezzo, cerca scampo nella scarpata sottostante, ma viene finito con una scarica di colpi.
Sul posto arrivano i colleghi del giudice assassinato; da Palermo anche l’allora procuratore aggiunto Giovanni Falcone, e da Marsala Paolo Borsellino. Per la morte di Rosario Livatino sono stati individuati i componenti del commando omicida e i mandanti, tutti condannati all’ergastolo. Secondo la sentenza, è stato ucciso perché “perseguiva le cosche mafiose impedendone l’attività criminale, laddove si sarebbe preteso un trattamento lassista, cioè una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole, che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l’espansione della mafia”. Nella sua attività si era occupato di quella che sarebbe esplosa come la ‘Tangentopoli siciliana’ e aveva colpito duramente la mafia di Porto Empedocle e di Palma di Montechiaro, anche attraverso la confisca dei beni.

 

 

 

Fonte:incamminodialogando.blogspot.com 
Rosario Livatino e la credibilità

Il giudice Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre 1990 mentre si recava in tribunale, aveva scritto su un quaderno queste parole: “Alla fine non ci sarà chiesto se siamo stati credenti ma se siamo stati credibili”.

Sono parole stupende per profondità e provocazione. Parole che aiutano a sottolineare due aspetti fondamentali della responsabilità educativa: la verità e la coerenza. Se vogliamo davvero crescere e aiutare a crescere attraverso il rapporto educativo, non ci è consentito bluffare. Non solo non è permessa la presunzione, il sentirsi superiori agli altri, l’obbligarti a camminare al nostro passo, ma una volta che si entra in relazione bisogna essere veri, leali, sinceri. Né sono ammessi impegni a metà: le parole devono saldarsi ai fatti, le intenzioni non possono restare sulla carta. Educazione e legalità sono due modi di pronunciare la parola “noi”.

Nell’educazione il “noi” ha il volto della reciprocità: io e te siamo diversi, ma è proprio sul terreno di questa comune diversità che possiamo incontrarci, riconoscerci, amarci.

Nella legalità il “noi” ha il volto della legge, un volto forse arcigno ma necessario.Un volto che non ci è chiesto infatti di amare ma di rispettare. Una società ha bisogno di leggi perché il volto della legge simboleggia quello degli “altri”, delle persone che non conosciamo direttamente ma che vivono insieme a noi e come noi hanno il diritto di essere riconosciuti nella loro unicità e dignità.

Luigi Ciotti

 

 

Foto da: solfano.it

Ricordo di Giovanni Tinebra

Fonte:   solfano.it

“Il ricordo che ho di Rosario Livatino è dolcissimo. Ricordo come fosse ieri il giorno in cui arrivò alla procura di Caltanisetta come uditore giudiziario con funzioni; cioè in prima destinazione dopo aver vinto il concorso e aver superato il corso di formazione. Procura che frequentavo poiché prestavo servizio nel distretto come sostituto alla procura di Nicosia.

Quello che mi colpì subito, nel suo aspetto, fu l’estrema compostezza,la grande serietà. La serietà dello sguardo e, soprattutto, la modestia che lui professava a volte fino all’inverosimile. Ricordo che, insieme a un altro collega, impiegammo tre mesi per convincerlo a darci del tu. Rosario si ostinava a darci del lei. E noi giù, a parlargli che il magistrato si distingue solo per funzioni e che quindi dovevamo darci del tu, anche perché la nostra età non era molto dissimile dalla sua: eravamo giovanissimi magistrati. Questa è l’essenza del magistrato Livatino.

Non si tratta di un grande eroe della lotta alla mafia, non si tratta di un grande sterminatore di nemici dello Stato. Si tratta di un giovane magistrato, serio, attento, posato, riflessivo. Estremamente sensibile, estremamente attaccato al suo dovere. Si tratta di un magistrato modello, secondo me. Perché il magistrato modello è proprio questo. E’ colui il quale professa la sua battaglia contro l’illegalità giorno dopo giorno, cimentandosi nelle imprese giudiziarie le più varie; confrontandosi con le più varie fattispecie di reati, sempre nell’unico grande scopo della riaffermazione della legalità. Questo era Rosario Livatino. Un magistrato che deve servire da modello a tutti i giovani magistrati, ma non solo.

Fu un giovane magistrato che immolò la sua vita anche alla sua modestia perché viaggiava solo. La sua morte non fu il vile attentato a un magistrato che viaggia protetto, nei confronti del quale vengono impiegati terribili strumenti di morte proprio per vincere le difese poste a sua protezione. Fu l’attentato a un magistrato che andava in ufficio da solo, con la sua piccola macchina. E che quindi era protetto unicamente dalla sua bontà, dalla sua imparzialità, dal modo in cui faceva il suo mestiere. Dalla sua limpidezza e dalla sua trasparenza. Fu molto facile dimenticare tutto ciò e sparargli, prima attraverso il vetro della macchina e poi, a sangue freddo dopo averlo inseguito per la scarpata, finirlo con il colpo di grazia.

E’ una cosa che ci ha toccato, noi tutti magistrati, e ci tocca ancora oggi. Ci ha fatto vedere cosa può essere l’attaccamento al dovere. Ci ha fatto vedere come si possa arrivare all’estremo sacrificio al servizio di un ideale che è quello della giustizia. Quello che dovrebbe legare a sé tutti gli uomini, almeno quelli di buona volontà.

A volte il destino è bizzarro. Dopo tanti anni dalla sua morte ho avuto l’onere di assumere la responsabilità delle indagini nei confronti degli autori dell’assassinio di Rosario Livatino. Con molta serenità, ora posso dire che, alla fine, i miei colleghi e io abbiamo fatto il nostro dovere. Giustizia è stata veramente fatta: i tre processi nei confronti di nove, tra mandanti ed esecutori, dell’omicidio di Livatino sono stati, con sentenza passata in giudicato, tutti condannati all’ergastolo.

Quanto meno questo. Quanto meno la sua morte è servita anche per togliere di mezzo, mi auguro in maniera permanente e definitiva, nove malfattori dal contesto civile.”

Giovanni Tinebra (Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria)

20 settembre 2003 – Fonte www.giustizia.it

 

 

 

 

 

Ricordo del giudice ROSARIO LIVATINO.mpg
Un emozionante incontro con la professoressa Ida Abate, biografa del giudice Rosario Livatino che svela il mistero delle tre lettere annotate spesso sulle agendine del giovane magistrato: S. T. D. Il “giudice ragazzino” venne trucidato dalla mafia il 21 settembre 1990 sulla strada Canicattì-Agrigento mentre, con la sua Fiesta Rossa, senza scorta, raggiungeva il tribunale. Ida Abate, nel 1993, è stata incaricata dal vescovo di Agrigento di raccogliere testimonianze per la causa di beatificazione del giudice. La professoressa ha raccolto tutto il materiale, gli effetti personali, i ricordi di quello che fu anche uno dei suoi migliori alunni del liceo classico “Ugo Foscolo”. Un omaggio al giudice che Papa Giovanni Paolo II ha definito “Martire della Giustizia, e indirettamente, della Fede”. Dopo la sua tragica morte, il giudice è stato proposto per l’avvio di un processo di beatificazione come Martire. Secondo le leggi della Chiesa, nel caso dei “Martiri”, infatti, non è necessario il verificarsi di miracoli.

 

 

 

 

Rosario Livatino – Il Giudice Ragazzino

 

 

 

La morte del giudice Rosario Livatino.mpg

 

 

 

Articolo dal Giornale di Sicilia del 20 Settembre 2011
“Il suo sacrificio non è stato vano”
di Ignazio Fonzo (Procuratore Aggiunto di Agrigento)

Sono trascorsi ventuno anni dal barbaro e vile assassinio, per mano codarda di vigliacchi picciotti di mafia, di Rosario Livatino, all’epoca trentasettenne magistrato del Tribunale di Agrigento ed in precedenza, per ben un decennio, sostituto procuratore della Repubblica nella medesima città.

Già quest’ultima circostanza, ed il fatto stesso che oggi – per gli sconvolgimenti voluti dal legislatore – un simile passaggio di funzioni all’interno dello stesso circondario di Tribunale non è più possibile, dà l’idea non solo di quanto tempo sia passato, ma di quanti mutamenti – che oggi qualcuno definirebbe pomposamente “epocali” – siano avvenuti, raramente con effetti positivi per l’esercizio della giurisdizione e la salvaguardia dei diritti dei cittadini salvo che per qualche isolato soggetto, in ambito giudiziario.

Di Rosario Livatino, della sua parabola terrena, della sua dirittura morale, della sua professionalità e onesta intellettuale, con grande autorevolezza sono state scritte pregevoli pagine.

Basti ricordare, per tutti, lo splendido volume di Nando Dalla Chiesa – Il giudice ragazzino del 1992 – il cui titolo prese spunto da una improvvida espressione dell’allora Presidente della Repubblica, Cossiga.  Altra pubblicistica, meritoriamente, è stata curata dalla Associazione Amici del Giudice Rosario Livatino.

“Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”. È una frase tratta proprio dagli appunti del Magistrato.

C’è da riflettere su di essa, non tanto e non solo per quello che attiene alla soggettività ed alla certa credibilità di chi la scrisse, quanto perché impone di chiederci, oggi, se si sia credibili, specie agli occhi delle nuove generazioni il cui futuro appare nebuloso.

In altre parole, si deve rispondere alla domanda se, nell’Italia e nella Sicilia di oggi sull’abbrivio del sacrificio – ché di sacrificio sicuramente si trattò – di Rosario Livatino per l’affermazione della legalità, del contrasto alla mafia e per il progresso civile di questa martoriata terra, siano stati fatti seri passi avanti.

Ebbene, con sincerità e senza indulgere a retoriche ipocrisie di maniera, deve dirsi che la risposta non può essere del tutto positiva. Certo, sul piano giudiziario ed investigativo – relativo a quello che viene definito contrasto al “fronte militare” del crimine organizzato – i successi conseguiti dalla Magistratura e dalle forze di Polizia nel tempo sono stati indiscutibili.

Basti solo pensare e senza ombra di dubbio, per restare alla provincia di Agrigento, agli arresti di latitanti storici come Falsone e Messina.

E per il resto?

Ecco, per il resto – e ci si riferisce ad un mutamento radicale ed al definitivo abbandono di quella “mentalità mafiosa” che permea ampi settori privati e pubblici della nostra società – il cammino è ancora lungo e, purtroppo, tortuoso. Giovanni Falcone, nel celebre libro-intervista di Marcello Padovani, disse che “la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione ed avrà quindi una sua fine”. Bene, perché non sia stato vano il sacrificio di tutti coloro che – come Rosario Livatino _ sono caduti per mano vigliacca ed ignorante di cosiddetti “uomini d’onore”, bisogna augurarsi che alla fine di quel “fenomeno umano” possa assistere già questa generazione do uomini e donne, ma perché ciò si avveri è necessario che – specie da parte di coloro che detengono le leve del potere – si recidano definitivamente ed una volta per tutte i legami di interesse, non solo economico, con coloro che Giovanni Paolo II, dalla Valle dei Templi, chiamò alla conversione e al pentimento. E’ difficile ma non impossibile. Basta volerlo, con i fatti e non con vacui proclami.

 

 

 

Articolo del 20 Settembre 2011 da:  raffaelesardo.blogspot.com
VIA A CANONIZZAZIONE GIUDICE LIVATINO ASSASSINATO DALLA MAFIA 21 ANNI FA

Dopo 21 anni  dalla sua uccisione per mano della mafia, si avvia il processo di canonizzazione per il giudice Rosario Livatino, “il giudice ragazzino”. Domani alle 18 a Canicattì (Ag), nella la chiesa di San Domenico, l’arcivescovo di Agrigento, monsignor Francesco Montenegro, terrà la concelebrazione religiosa che comprenderà la sessione introduttiva della causa di canonizzazione di Rosario Livatino, il magistrato ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. Le iniziative per commemorare Livatino e le altre vittime di mafia Antonio e Stefano Saetta, inserite nella «Settimana della legalità», inizieranno stasera alle 19.30 con la veglia di preghiera nella chiesa di San Domenico organizzata dall’Azione cattolica di Agrigento e dai movimenti giovanili. Domani alle 11, in contrada Gasena, lungo la statale 640, luogo in cui fu ucciso il magistrato, le autorità e i colleghi deporranno corone di fiori ai piedi della stele fatta erigere dai genitori del giudice. Giovedì si terrà il secondo appuntamento con gli studenti, al liceo classico «Ugo Foscolo».

Nel ventunesimo anniversario del suo assassinio i magistrati del distretto di Palermo ricordano, «con immutata emozione, Rosario Livatino. Giudice che, con il suo rigore professionale, l’umiltà e la riservatezza del suo agire, l’alto senso etico del suo ruolo, incarnò le doti più autentiche del magistrato autonomo ed indipendente». L’Anm in una nota scrive: «Il suo sacrificio continuerà a costituire preciso punto di riferimento del nostro impegno di magistrati. Con l’auspicio che anche chi, con pervicace ostinazione, si adopera per la delegittimazione della magistratura, colga finalmente, nel sacrificio di Rosario Livatino, il monito a non isolare pericolosamente i tanti ‘giudici ragazzinì che ogni giorno, tra difficoltà e rischi sempre crescenti, lavorano in silenzio per l’affermazione della legalità in territori tuttora profondamente permeati dalla mafia e dalla mentalità mafiosa».

 

 

Diario Civile – Rosario Livatino, il ragazzo con la toga
Con un’introduzione del Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti.

Classe 1952, originario di Canicattì, uomo mite e religioso, magistrato appassionato. Negli anni Ottanta, come giudice del tribunale di Agrigento, mette in ginocchio la “stidda”, applicando i metodi investigativi di Giovanni Falcone. A Rosario Livatino, assassinato a 38 anni dalla criminalità organizzata, Rai Cultura dedica la puntata di “Diario Civile” dal titolo “Il ragazzo con la toga”, in onda mercoledì 20 aprile alle 21.30 su Rai Storia, con un’introduzione del Procuratore Nazionale Antimafia, Franco Roberti.

Il documentario, firmato da Alessandro Chiappetta, con la regia di Leonardo Sicurello, vuole rendere omaggio a un protagonista della lotta alla mafia spesso poco ricordato, raccontando la sua vita familiare, la sua fede e le vicende legate al suo omicidio.

“Livatino è ricordato oggi come il “giudice ragazzino” – sottolinea il Procuratore Franco Roberti nella sua introduzione al documentario – “un termine che sollevò polemiche all’epoca, ma che oggi sembra assumere un significato diverso sottolineando la passione e la tempra di giovani servitori delle istituzioni, come è stato lui stesso nella sua breve vita”.

Il racconto parte dalla testimonianza di tre giovani magistrati siciliani, assegnati al Tribunale di Enna nel novembre 2015. Stefania Leonte, Giovanni Romano e Francesco Lo Gerfo, impegnati in una Sicilia molto diversa da quella del giudice Livatino, leggono un discorso tenuto da Rosario Livatino nel 1984 , intitolato “Il ruolo del giudice in una società che cambia”.

Il testo dice: “L’indipendenza del giudice, infatti, non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità a iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia a ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione e il pericolo della interferenza”.

“Leggendo le sentenze di Livatino si rimane colpiti dall’ampiezza del suo raggio di osservazione perché va dai dati più minuti della vita quotidiana di un indagato di mafia, fino al movimento di denaro”, sottolinea Nando Dalla Chiesa, autore del libro, poi diventato film, dal titolo “Il giudice ragazzino”.

Nella ricostruzione della storia di Livatino non può mancare il ricordo di amici e parenti che lo descrivono come legatissimo ai genitori e devoto alla Chiesa. Anche per questo è stato avviato nel 2011 il processo di beatificazione del giudice che dovrebbe arrivare – come si augurano i suoi compaesani, tra cui Don Giuseppe Livatino, arciprete di Raffadali, e Monsignor Pietro Licalzi, arciprete di Canicattì – alla santificazione.

Tra le testimonianze, infine, gli ex colleghi, come Luigi D’Angelo, già presidente del Tribunale di Agrigento, Salvatore Cardinale, Presidente della Corte d’Appello di Caltanissetta e Luisa Turco, Presidente di Corte d’Assise di Agrigento. Con loro, il giornalista Gero Tedesco e Giuseppe Pallilla, compagno di scuola di Livatino.

 

 

 

Leggere anche:

 

vaticannews.va
Articolo dell’8 maggio 2021
Livatino: il “piccolo giudice” beato, tra lotta alla mafia e umanità
di Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Domani mattina, nella cattedrale di Agrigento, la beatificazione di Rosario Livatino, il magistrato martire della giustizia, ucciso,“in odio alla fede” dalla “stidda” il 21 settembre 1990, a meno di 38 anni, ma con già 12 di servizio. Il postulatore diocesano: in tutti i suoi gesti e parole, una grande umanità e voglia di normalità, e l’impegno a camminare sempre “sotto lo sguardo di Dio”. L’incontro col killer pentito che testimoniò al processo di beatificazione.

 

 

 

 

 

 

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