7 Febbraio 1978 Torino, Rapito Francesco Stola, 48 anni, contitolare di una ditta produttrice di modelli in legno per l’industria.
Aveva 48 anni Francesco Stola, quando fu rapito a Torino senza più fare rientro a casa.
Nella serata del 7 Febbraio ’78 lo attendono in tre in Via La Thuile, davanti al portone d’ingresso che conduce agli uffici della ditta. Poco prima delle otto di sera, Stola esce e si appresta a salire in auto per rientrare a Villarbasse, dove abita. Lo colpiscono ripetutamente col calcio delle pistole e lo caricano a forza su una 131, appostata lì vicino con un complice a bordo e pronta a scattare all’avvio del blitz.
Le prime richieste astronomiche della banda, tre miliardi, si ridimensionano a 800 milioni: Ma il blocco dei beni degli Stola, a un mese dal sequestro, trancia la trattativa.
Probabilmente Stola era già morto, anche se un pregiudicato ‘ndranghetista, Giuseppe Altomare, aveva contattato la famiglia consegnando un orologio dell’ostaggio. […] (Tratto da “Dimenticati” di Danilo Chirico/Alessio Magro)
Articolo da La Stampa dell’8 Febbraio 1978
Industriale rapito da tre banditi
Servizio di: Franco Badolato, Claudio Giacchino, Ezio Mascarino, Roberto Reale.
È il primo sequestro del 1978, il 21° dall’inizio dell’atroce catena
Alle 19,40 in via La Thuile 71 – È Francesco Stola, 48 anni, contitolare della omonima ditta che produce modelli per fonderia – Stava salendo sulla sua 130 coupé per rincasare a Villarbasse – I testimoni: “L’hanno aggredito alle spalle, trascinandolo su una 1750. Ha cercato di ribellarsi, ma inutilmente” – I due fratelli: “Non siamo ricchi, perché se la sono presa con noi?” – L’azienda ha cinquanta dipendenti, lavora in prevalenza per la Fiat
Ancora un sequestro a Torino ieri sera, In via La Thuile 71, alle 19,40. Il rapito è l’Industriale Francesco Stola, 48 anni, sposato e separato, padre di un ragazzo diciottenne, titolare con i fratelli Giuseppe e Roberto dell’azienda «Alfredo Stola e figli» che costruisce stampi in legno per fonderia.
Un commando di banditi l’ha prelevato davanti agli uffici della ditta, nella via completamente deserta, sorprendendolo mentre posava un pacchetto nel portabagagli della sua auto: l’uomo si è difeso invocando aiuto, ma quando i fratelli ed alcuni dipendenti sono accorsi in strada l’auto dei rapitori era già scomparsa. Non ci sono testimonianze precise su questo nuovo sequestro (il primo del ’78 ed il ventunesimo dal gennaio ’73): soltanto tre ragazzi hanno visto l’industriale dibattersi in mezzo ad alcune figure indistinte mentre veniva caricato su una «1750».
La ditta di cui il rapito è titolare con i fratelli Giuseppe, 56 anni, e Roberto, 40 anni, amministratore, è stata fondata nel 1918 da Alfredo Stola, padre del tre industriali, morto quindici anni fa. Con capitale sociale di mezzo miliardo, occupa una cinquantina di dipendenti (tra cui la moglie di Roberto Stola, Giovanna, che dirige il reparto amministrativo) e costruisce modelli per fonderie e plastici per carrozzerie, servendo In prevalenza la Fiat. Il palazzo in cui hanno sede gli uffici dell’azienda è un edificio a sei piani di via La Thuile 71, fronteggiato da prati incolti: l’insegna gialla della ditta all’esterno della sede, al piano terreno, rappresenta per la strada la maggior fonte d’illuminazione.
I banditi attendono in strada, favoriti dal buio, dopo aver studiato con cura le abitudini della vittima. Francesco Stola è solito uscire verso le 19,30 per raggiungere la propria abitazione a Villarbasse, in via Santi Croce e Amato 37, dove abita solo dopo la separazione dalla moglie (il figlio Alfredo, 18 anni, che studia come perito industriale, abita con la madre a Torino). Mancano pochi minuti alle 20 quando l’industriale esce dagli uffici della ditta, dove si trovano i due fratelli, alcune impiegate e la cognata Giovanna. «Ha detto che scendeva un attimo — racconta la donna — per posare sull’auto un pacchetto con tre chilogrammi di carne appena acquistata. Pochi minuti dopo abbiamo sentito le sue urla e il rumore di un motore d’auto imballato».
Francesco Stola è di corporatura robusta, alto un metro e ottanta, veste Jeans, camicia e giubbotto con collo di pelliccia. Ha appena aperto il portabagagli della « 130 » coupé parcheggiata a pochi passi di distanza quando viene aggredito dai rapitori, cerca di difendersi disperatamente perdendo nella colluttazione le chavi dell’auto e un berretto verde di foggia militare. Alle sue invocazioni d’aiuto accorrono tre ragazzi che passeggiano nella via, ma non fanno in tempo ad intervenire, «L’abbiamo visto dibattersi in mezzo a tre uomini — dicono i testimoni — l’hanno caricato di forza su una macchina scura, probabilmente una “1750”». Mentre l’auto fugge a tutta velocità in direzione di via Monginevro i ragazzi tentano di inseguirla a piedi per un breve tratto, poi desistono ma rilevano il numero di targa (risulterà che non coincide col tipo di vettura, ed è stata quindi sovrapposta ad arte).
Nello stesso istante i fratelli del rapito e i dipendenti della ditta si precipitano fuori dagli uffici; un altro testimone, anonimo, probabilmente un inquilino del palazzo di via La Thuile, telefona al «113» dando l’allarme. Sul luogo del rapimento accorrono il capo della Squadra mobile, Fersini, con il suo vice, Sassi, e il capitano Romano del carabinieri: si raccoglie la testimonianza dei ragazzi che hanno assistito all’aggressione, scattano posti di blocco in tutta la città, ma della « 1750 » con targa falsa si sono ormai perse le tracce.
Mentre si avviano le indagini Roberto Stola, fratello del rapito e amministratore della ditta, commenta: «La nostra azienda è piccola, non ci saremmo mai aspettati che scegliessero come bersaglio uno di noi. Proprio per questo motivo non abbiamo mai preso precauzioni, né abbiamo fatto ricorso a guardie del corpo. Temo per la salute di mio fratello che è sofferente; no, non siamo stati noi a telefonare in questura per dare l’allarme, se fosse dipeso da me avrei preferito tacere il fatto alla polizia».
Quello di Francesco Stola è il primo sequestro del 1978, il ventunesimo a Torino in cinque anni, da quando l’industria del crimine ha scoperto in questa forma odiosa di ricatto una nuova, lucrosa attività. L’ultimo rapimento dello scorso anno aveva avuto come vittima il commerciante Guglielmo Liore, titolare dei super mercati Conti, prelevato dai banditi il 17 ottobre e liberato il 20 novembre. Con il suo rilascio (avvenuto dopo quello di un altro sequestrato, il piccolo Giorgio Garberò, nipote di Pianelli, tornato in libertà il 27 ottobre) l’anonima sequestri non aveva più ostaggi nelle sue mani: una breve tregua, durata fino al rapimento di ieri sera, che aprirà forse per il ’78 una nuova, drammatica catena.
Articolo da La Stampa del 21 Marzo 1978
Il magistrato ordina il blocco dei beni dell’industriale rapito da oltre un mese
È Francesco Stola, 48 anni, titolare con i due fratelli di un’azienda per la costruzione di stampi per fonderia – II provvedimento deciso per la prima volta a Torino – Le indagini di polizia e carabinieri
La magistratura ha ordinato il blocco dei beni di Francesco Stola, l’industriale rapito lo scorso febbraio davanti agli uffici dell’azienda produttrice di stampi per fonderia che gestisce con i fratelli in via La Thuile 71. La notizia, che circolava ieri in questura, è stata confermata dal dott. Pepino, che conduce le indagini sul sequestro. Il provvedimento è del tutto nuovo per la magistratura di Torino, che in passato non aveva mai ritenuto di ricorrere a simili misure (21 sequestri in città dal ’73 a oggi).
In provincia, invece, esiste un precedente: il blocco dei beni di famiglia fu deciso dal magistrato di Pinerolo dopo il sequestro di Guglielmo Liore, presidente della catena di supermercati alimentari Conti (rapito il 16 ottobre 1977 mentre stava facendo una passeggiata a cavallo, fu liberato il 20 novembre dopo il pagamento di oltre mezzo miliardo con denaro «pulito»). Nel caso Stola il blocco è stato chiesto dagli Inquirenti «perché non c’è più collaborazione da parte della famiglia del sequestrato». Carabinieri e polizia sostengono: «Non ci vengono forniti elementi utili alle indagini, siamo tagliati fuori da ogni contatto».
Comprensibile l’atteggiamento degli Stola, preoccupati di rivedere il congiunto al più presto in libertà. Ma altrettanto comprensibile la richiesta degli inquirenti che temono conseguenze. Che, cioè, la famiglia Stola possa restare in balia dei banditi e che il caso possa risolversi non nella maniera sperata. Da qui la proposta del blocco, accolta dal magistrato. Il provvedimento riguarda i beni dell’intero clan Stola, quelli del rapito, cioè, ma anche quelli dei fratelli Giuseppe e Roberto. Le banche sono state informate e non possono consentire movimenti superiori ai 5 milioni di lire.
La prigionia di Francesco Stola, 48 anni, sposato e separato, padre di un ragazzo di 18 anni, dura da 41 giorni. È cominciata poco prima delle 20 di martedì 7 febbraio. Lo hanno sequestrato tre giovani, che gli sono piombati addosso, nella strada deserta, mentre posava un pacchetto nel portabagagli dell’auto. Da quel momento non si sono avute più notizie. La ditta di cui il rapito è titolare con i fratelli è stata fondata nel 1918 da Alfredo Stola, padre dei tre industriali, morto quindici anni fa.
Articolo da La Stampa del 29 Aprile 1978
Il figlio dell’industriale rapito supplica i banditi: “Fatevi vivi!”
Un appello di Alfredo Stola, 17 anni, ai giornali
L’uomo è stato sequestrato il 7 febbraio – Le trattative per il rilascio, giunte a buon punto, si sono interrotte all’improvviso il 18 marzo – Perché, cosa è accaduto?
Alfredo Stola, 17 anni, studente, figlio di Francesco Stola rapito il 7 febbraio scorso, lancia un appello attraverso i giornali a chi tiene prigioniero il padre: «Perché avete interrotto i contatti? Vi supplico, telefonate, fatemi sapere qualcosa. Noi siamo disponibili a riprendere le trattative. Papà non sta bene, lo sapete. Questo silenzio è tremendo. Vi supplico, telefonate». Sono le parole angosciate di un ragazzo che attende, invano, da quaranta giorni un segnale. Perché i banditi tacciono? È accaduto qualcosa di grave al «prigioniero»? Sono interrogativi che tormentano non solo il figlio ed i fratelli dell’ostaggio.
Una settimana dopo il rapimento, i banditi avevano stabilito i primi contatti chiedendo per il riscatto una cifra molto alta. Le trattative comunque prendevano l’avvio e verso metà marzo parevano prossime alla conclusione: già si era vicini a definire le modalità del rilascio del sequestrato, quando, improvvisamente, è calato un pesante silenzio. Come mai? L’ultimo contatto è del 18 marzo, due giorni dopo il rapimento di Moro. C’è forse un nesso tra i due fatti: può darsi che i più stretti pattugliamenti, l’intensa attività delle forze di polizia abbiano intimorito i banditi, consigliando loro prudenza. C’è da sperare che l’improvviso blocco dei contatti sia dovuto soltanto allo stato di emergenza in cui è piombata la città sia in seguito al rapimento del presidente della dc sia a causa della rinnovata violenza delle organizzazioni eversive che hanno aggiunto nuovi episodi criminali alla già lunga catena di uccisioni e ferimenti.
Francesco Stola era stato rapito il 7 febbraio in via La Thuile 21, davanti agli uffici della sua azienda, la «Alfredo Stola e figli» di cui è titolare coi fratelli Giuseppe, 56 anni e Roberto, 40. Il commando lo aveva sorpreso e aggredito mentre posava un pacco di carne appena acquistata nel bagagliaio della sua Fiat 130 coupé, parcheggiata a pochi passi dall’ingresso della fabbrica. Nessune vide in faccia i banditi, solo tre ragazzi, accorsi alle invocazioni di aiuto, hanno fatto in tempo a scorgere Francesco Stola mentre veniva caricato con la forza su un’auto di grossa cilindrata, forse un’Alfa 1750 grigia.
Quello di Stola è il primo sequestro compiuto a Torino nel ’78, il ventunesimo in cinque anni, da quando, cioè, l’industria del crimine ha scoperto questa nuova e redditizia attività. Le trattative per il rilascio sono state difficili e i criminali hanno fatto leva sull’intero clan degli Stola, gente benestante ma non ricchissima, i cui redditi provengono dall’azienda fondata nel ’18 da Alfredo Stola morto 15 anni fa. La fabbrica ha un capitale sociale di mezzo miliardo e occupa una cinquantina di persone; costruisce modelli in legno per fonderie e plastici per carrozzerie, servendo in prevalenza la Fiat.
Secondo la tecnica ormai collaudata in decine di sequestri l’«anonima» si è messa in contatto con i parenti una settimana dopo con la solita telefonata fatta nel cuore della notte: «Preparate i soldi, vi daremo istruzioni». L’ha ricevuta il fratello Roberto, che ha commentato: «La nostra azienda è piccola, non ci saremmo mai aspettati che scegliessero come bersaglio uno di noi. Proprio per questo motivo non abbiamo mai preso precauzioni, né abbiamo fatto ricorso a guardie del corpo. Non so come faremo a pagare il riscatto anche se siamo disposti a fare qualsiasi sacrificio». È stata l’ultima volta che i parenti hanno fatto una dichiarazione, poi sulla vicenda è scesa una cortina di silenzio. Ieri però il figlio della vittima, dopo quasi un mese e mezzo di vana attesa di un segnale, ha lanciato l’appello a chi tiene prigioniero il padre. Ora aspetta una risposta.
23-12-1992 – Cronaca di Torino
Fonte: archivionews.it
Giuseppe Altomare, latitante, imputato di concorso nel sequestro di Francesco Stola, il contitolare di un’impresa di modelli in legno per l’industria scomparso il 7 febbraio del 1978, è stato condannato ieri dai giudici della prima sezione penale (presidente Ambrosini) a sette anni di reclusione, di cui cinque condonati, ma per tentata estorsione. Secondo i giudici, Altomare sarebbe stato in possesso di informazioni sui rapitori di Francesco Stola e avrebbe cercato di approfittare della situazione spillando denaro alla famiglia.
In aula è venuto a testimoniare il fratello del rapito, Roberto Stola: «A due mesi di distanza dal sequestro le trattative improvvisamente si interruppero. Due miei dipendenti, Valentino e Trichilo, mi avevano portato un orologio che io avevo riconosciuto essere di mio fratello, e mi avevano detto che Altomare poteva sapere qualcosa. La stessa cosa mi ripetè il commendator Orfeo Pianelli, che io ero andato a trovare per farmi dare dei consigli da una persona che si era trovata in una analoga situazione. Pianelli parlò di Altomare come di persona che di rapimenti se ne intendeva». Non essendo state raccolte prove di una effettiva partecipazione di Altomare al sequestro, i giudici hanno derubricato l’imputazione originaria in tentata estorsione.
Francesco Stola, terzo da destra, nella sua fabbrica, nel 1965
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