14 Marzo 1948 Corleone (PA). Giuseppe Letizia, 13 anni, fu testimone dell’omicidio di Placido Rizzotto, morì tre giorni dopo il ricovero nell’ospedale diretto da Michele Navarra, mandante dell’omicidio di Rizzotto.
Giuseppe Letizia (Corleone, 1935 – Corleone, 14 marzo 1948) è stato un giovane pastore, vittima della mafia. All’età di 13 anni assistette all’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto, ucciso il 10 marzo 1948 da Luciano Liggio, luogotenente di Michele Navarra, capomafia di Corleone. La notte in cui avvenne il delitto, Giuseppe Letizia era nelle campagne corleonesi ad accudire il proprio gregge. Il giorno seguente fu trovato delirante dal padre, che lo condusse all’ospedale Dei Bianchi diretto da Navarra. Lì, il ragazzo, in preda di una febbre alta, raccontò di un contadino che era stato assassinato nella notte. Curato con un’iniezione, morì ufficialmente per tossicosi, sebbene si ritenga che al ragazzo possa essere stato somministrato del veleno. Tesi che fu segnalata dai giornali dell’epoca: l’Unità, il 13 marzo 1948 pubblicò in prima pagina un articolo sulla vicenda: «C’è motivo di pensare, e molti in paese sono a pensarla così che il bambino sia stato involontariamente testimone dell’uccisione di Rizzotto e che le minacce e le intimidazioni lo abbiano talmente sconvolto da provocargli uno shock e come conseguenza di esso la morte». Seguita il 21 marzo 1948 da La Voce della Sicilia: «Un bimbo morente ha denunciato gli assassini che uccisero Placido Rizzotto nel feudo Malvello».
Il medico che aveva in cura il ragazzo presso l’ospedale, il dott. Ignazio Dell’Aria, qualche giorno dopo la morte del ragazzo chiuse il suo studio ed emigrò in Australia. (Wikipedia)
Articolo di Corleone Dialogos del 18 Giugno 2010
Giuseppe Letizia Vittima di mafia dimenticata
Liberainformazione ha proposto a chi aderisce alla rete di raccontare la storia di una vittima di mafia poco conosciuta in occasione della XIII Giornata della Memoria e dell’Impegno, che si terrà a Bari il 15 marzo. Subito mi è venuta in mente la storia del giovane Giuseppe Letizia ucciso dalla mafia sessant’anni fa. La sua morte si intreccia con l’assassinio di Placido Rizzotto. Infatti, la notte del 10 marzo Placido viene preso con forza e portato, con una macchina in aperta campagna, in contrada Malvello e lì fu massacrato a morte. Così finisce la vita di Placido Rizzotto. Ma mentre succedeva tutto questo in quello stesso luogo c’era un giovane di appena 13 anni Giuseppe Letizia che era lì per accudire il proprio gregge. Giuseppe rappresenta uno dei tanti giovani siciliani che era costretto a lavorare fin da bambino. Ma il giovane Giuseppe ha la colpa di trovarsi nel posto sbagliato e cioè mentre stavano assassinando Rizzotto. Il giovane Letizia fu ritrovato delirante l’indomani mattina dal padre e così fu portato all’Ospedale dei Bianchi di Corleone. Nei giornali di allora si legge che il giovane, mentre delirava, parlava di un contadino assassinato. Insomma si presume che sia stato un testimone involontario di un omicidio di mafia. Tre giorni dopo il giovane Giuseppe morì ufficialmente e genericamente per tossicosi. Ma sapete chi era il direttore dell’Ospedale? Era il capomafia di Corleone dott. Michele Navarra, mandante proprio dell’omicidio di Placido Rizzotto. Il piccolo Giuseppe Letizia fu “curato” dal dott. Aira che poco dopo la morte del giovane partì senza alcun motivo per l’Australia. Sembrò una fuga. Alcuni giornali parlarono di avvelenamento ma se non ci fu giustizia per Rizzotto per il giovane Giuseppe non se ne parlò per niente. Il giovane Giuseppe oggi avrebbe 73 anni e avrebbe potuto farsi la sua vita e invece solo perchè si trovava a condurre la sua dura vita, già a 13 anni, a lavorare in campagna, fu ucciso perchè qualcuno aveva deciso di assassinare Placido Rizzotto e lui si era trovato lì. In Sicilia si direbbe il fato, ma è destino il mafioso che pensa che la vita di un altro uomo o di chi si trovi lì per caso possa essere soppressa solo perchè è contro l’organizzazione? Credo che non è destino ma è mafia. Inoltre si sfata quel mito della vecchia mafia buona che non toccava i bambini o le donne. Tutto falso la mafia è mafia oggi come allora. Nel giorno della Memoria e dell’Impegno vogliamo ricordare con più forza il giovane, rimasto tale, Giuseppe Letizia vittima innocente della mafia corleonese.
Fonte: ecorav.it
Giuseppe Letizia
di Dino Paternostro
Giuseppe Letizia aveva appena compiuto 13 anni la notte di quel 10 marzo 1948. Era rimasto solo in campagna, in contrada “Malvello”, a custodire il piccolo gregge smagrito del padre. Come tanti altri ragazzini corleonesi, si era dovuto abituare presto alla dura vita di campagna. Sapeva di doversi fare forza, sapeva che era suo dovere aiutare la famiglia, ma aveva lo stesso paura. Pensava alle calde braccia della mamma, alla sicurezza delle quattro mura di casa e a stento riuscì a cacciare indietro due grossi lacrimoni.
All’improvviso trasalì per il rombo del motore di una macchina. Sgranò ali occhi nel buio della notte per cercare di vedere meglio, e distinse a malapena delle ombre. «Mamma mia – disse a se stesso – e questi chi sono? Cosa vogliono?». Si fece ancora più piccolo e rimase fermo nella mangiatoia del casolare dove stava cercando di prendere sonno. Le ombre si avvicinavano, trascinando un’altra ombra urlante. «Che volete da me? Lasciatemi andare!», gridava l’ombra tra le ombre. Ma quelle non parlavano. Con un calcio aprirono la porta del casolare, che credevano disabitato, ed entrarono. Accesero una candela, ma la sua luce era troppo fioca per illuminare tutto lo stanzone. Poi cominciarono a colpire con pugni e calci “l’ombra” che urlava sempre di più.
lì piccolo Giuseppe era terrorizzato dalla paura. Non fiatava per non farsi sentire. Poi vide tre grosse vampate e sentì i botti che squarciarono l’aria. “L’ombra” adesso non urlava più, rantolava per terra. Furono gli ultimi “fotogrammi” che gli rimasero negli occhi, poi il ragazzo svenne per il terrore.
E lo trovò così il giorno dopo suo padre. Cercò di svegliarlo, ma quando il ragazzino aprì gli occhi aveva lo sguardo allucinato e urlava frasi sconnesse: «No, no, non uccidetelo! Che vi ha fatto? Lasciatelo stare!». “Ha la febbre… delira…”, pensò preoccupato il padre. Lo mise a cavallo del mulo e lo portò in paese, all’ospedale. Ai due medici, che gli si presentarono – il dott. Michele Navarra e il dott. Ignazio Dell’Aria – raccontò brevemente come aveva trovato il figlio e questi gli praticarono le prime cure. Ma, il giorno dopo, il piccolo Giuseppe mori.
Il caso sarebbe passato sotto silenzio, se “L’Unità” del 13 marzo ’48 non avesse pubblicato un articolo-shock in prima pagina: «C’è motivo di pensare, e molti in paese sono a pensarla così – scriveva il giornale – che il bambino sia stato involontariamente testimone dell’uccisione di Rizzotto e che le minacce e le intimidazioni lo abbiano talmente sconvolto da provocargli uno shock e come conseguenza di esso la morte».
Ancora più esplicita “La Voce della Sicilia” del 21 marzo ‘48: «Un bimbo morente ha denunciato gli assassini che uccisero Placido Rizzotto nel feudo Malvello». E non ci volle molto a far risalire le cause della morte alle “cure” praticategli da Navarra, notoriamente capomafia di Corleone, e da Dell’Aria, che qualche giorno dopo chiuse il suo studio ed emigrò in Australia.
Il Testo dell’articolo:
Misure eccezionali per la Sicilia chieste con urgenza dalla C.G.I.L.
Un bambino di tredici anni, unico testimone dell’assassinio del compagno Rizzotto, avvelenato dagli autori del delitto?
La Segreteria della C.G.I.L. ha inviato ieri una sua lettera agli on.li De Gasperi, Paccardi e Scelba per chiedere l’immediato intervento del Governo al fine di prendere misure immediate e severissime contro il banditismo che insanguina la Sicilia.
La “Segreteria confederale – inizia il documento- interprete dell’emozione profonda da cui si sentono colpite le masse lavoratrici, di tutta Italia per il rapimento e la scomparsa del segretario della Camera del Lavoro di Corleone Placido Rizzotto chiede al Governo misure eccezionali adeguate perché siano scoperti i responsabili di questo nuovo crimine consumato contro la persona umana e contro la libertà di organizzazione dei lavoratori siciliani e perché lo scomparso venga al più presto ritrovato”.
La lettera prosegue rilevando come il rapimento del Rizzotto sia “solo l’ultimo degli efferati delitti compiuti in Sicilia negli scorsi mesi e rimasti tutti invariabilmente impuniti; e denuncia come in tale impunità e nell’esito costantemente negativo delle azioni di polizia e delle istruttorie giudiziarie sia da vedere un innegabile incoraggiamento ai criminali perché continuino nella loro azione sanguinaria che disonora il Paese.
Accennando alla ben diversa mobilitazione di forze di Polizia che il Governo realizza in alotre regioni a danno di cittadini che non hanno commesso alcuna colpa, la Segreteria Confederale ha chiesto alla Presidenza del Consiglio di essere convocata con massima urgenza per un comune esame dei provvedimenti da adottarsi.
Si apprende intanto da Palermo una impressionante notizia che mostra fino a qual punto sia giunta la bestiale criminalità dei banditi e degli agrari che li assoldano.
Il bambino Giovanni Letizia, che lavorava nel feudo Malvello, in cui il Rizzotto sembra sia stato ucciso, è morto misteriosamente domenica a quanto pare avvelenato dagli assassini del Rizzotto. Il bambino, tredicenne, aveva assistito all’assassinio e in conseguenza di ciò sarebbe stato soppresso.
Articolo del 18 Giugno 2012 da cittanuove-corleone.net
Giuseppe Letizia. Resta solo il ricordo…
di Pippo La Barba
Di Giuseppe Letizia, ucciso dalla mafia nel 1948 all’età di 13 anni per essere stato testimone dell’assassinio del sindacalista Placido Rizzotto, di cui recentemente sono stati rinvenuti i resti, non si possono più neanche identificare le ossa, poichè una parte del cimitero di Corleone, quella dei poveri, è stata smantellata e, quel che rimaneva delle persone sepolte da un certo numero di anni, è stato traslato in un ossario comune.
Giuseppe Letizia, vittima di un destino atroce che per una fortuita circostanza spezzò la sua vita di adolescente, è stato per tanti lunghi anni dimenticato. Recentemente, sull’onda dell’emozione suscitata dal ritrovamento dei resti mortali di Placido Rizzotto, ci si è finalmente ricordati di questa ennesima vittima della mafia. Il 12 giugno scorso la Scuola Media Statale di Corleone, con un atto fortemente simbolico, gli ha assegnato il diploma di licenza media ad honorem,per risarcirlo in qualche modo della mancata opportunità non concessagli a tempo debito.
Il diploma è stato consegnato a Giuseppe Letizia, nipote omonimo, dal Preside della scuola Leoluca Sciortino. Sono intervenuti, oltre all’attuale sindaco di Corleone Lea Savona, gli ex sindaci Pippo Cipriani e Nino Iannazzo, il componente della Commissione Nazionale Antimafia senatore Beppe Lumia e, in rappresentanza del Governo regionale, l’assessore Mario Centorrino.
La cerimonia si è svolta in un religioso silenzio, alla presenza delle scolaresche di vari istituti e con la commossa partecipazione di molta gente comune.
Un toccante messaggio è stato inviato da don Luigi Ciotti, assentatosi all’ultimo momento perché colpito da un lutto.
Chiedo a Giuseppe Letizia di parlarmi dello zio e di quello che rappresenta per la sua famiglia questo riconoscimento.
E’ il ricomporsi di una memoria spezzata, il realizzarsi di un atto di giustizia lungamente atteso che, per omertà o per indifferenza, ci era stato negato. Io ricordo che da piccolo, quando i miei nonni erano vivi, mi portavano per la festa dei Morti ad accendere un lumino per lo zio Giuseppe. Allora nel cimitero di Corleone, nella sezione cosiddetta dei poveri, c’era una croce con una targhetta, su cui era inciso il nome di Giuseppe Letizia. Una volta, e già i miei nonni erano morti, mi recai da solo al cimitero, ma quella croce con il nome non c’era più. Il custode mi spiegò che i poveri resti erano andati a finire nell’ossario comune.
Cosa sai delle circostanze che portarono all’eliminazione di tuo zio?
Direttamente, per ovvi motivi anagrafici, non so nulla. Sia i miei nonni che mio padre, o gli zii, avevano una sorta di pudore a parlare di questo fatto con noi ragazzi. So di certo, comunque, che mio zio Giuseppe non era un pastorello, come è stato definito, per il semplice motivo che la nostra famiglia ha sempre lavorato la terra, ma non ha mai tenuto animali da allevamento. Quando Giuseppe Letizia fu trovato in delirio dal padre, la mattina dentro la mangiatoia dove aveva dormito, in un casolare che mio nonno aveva in uso in contrada Malvello, vi era rimasto non per accudire le pecore, ma per custodire due muli (evitando di riportarli in paese, distante parecchi chilometri) che l’indomani avrebbero dovuto trainare l’aratro per la coltivazione.
Ma ad un un adolescente possono essere affidate delle incombenze da adulto?
Oggi è facile fare questo tipo di considerazioni. Ma negli anni del dopoguerra c’era una società rurale e ogni membro della famiglia, a prescindere dall’età, doveva dare il suo contributo. Il capo famiglia che riusciva ad ottenere un terreno a mezzadria doveva necessariamente far leva su tutte le risorse di cui disponeva per sopravvivere.
Da: http://www.palermowebnews.it
Articoli del 19 Giugno 2012 da La Sicilia
Vide i carnefici di Rizzotto
di Dino Paternostro
Nell’aula magna della scuola media di Corleone sarà ricordato il pastorello Giuseppe Letizia, ucciso dalla mafia perché aveva visto gli assassini del sindacalista. Sarà consegnato ai familiari del ragazzo un diploma ad honorem
«Bisogna chiudere il cerchio e chiedere verità e giustizia anche per Giuseppe Letizia, il pastorello di appena 12 anni, che fu assassinato dalla mafia perché aveva visto gli assassini di Placido Rizzotto», dice Pippo Cipriani, ex sindaco di Corleone e coordinatore dell’Istituto “F. Santi”. «Per questo – spiega – proporremo alla Regione siciliana di aggiungere anche il nome di questo ragazzo all’elenco dei caduti per la democrazia in Sicilia nel secondo dopoguerra». Nel 1999, proprio su iniziativa di Pippo Cipriani, che allora era anche deputato regionale, l’Assemblea regionale siciliana approvò una legge con cui si riconosceva il sacrificio dei tanti sindacalisti e capilega contadini, assassinati dalla mafia del feudo nel secondo dopoguerra. In quell’elenco furono inserite anche le vittime della strage di Portella, compresi le donne e i bambini. Adesso, aggiungere anche il nome di quest’umile pastorello di Corleone, che 64 anni si trovò nel luogo sbagliato al momento sbagliato, sarebbe davvero un atto di giustizia. Per la verità, l’Associazione “Libera” il nome di Giuseppe Letizia è da tempo che l’ha inserito nell’elenco ufficiale delle vittime di mafia, che vengono ricordate il 21 marzo di ogni anno. E proprio il suo presidente, don Luigi Ciotti, non si è stancato mai di ricordarlo nei suoi interventi, fino all’ultimo pronunciato lo scorso 24 maggio a Corleone, nella giornata dei funerali di Stato per Placido Rizzotto.
Un passo avanti in questa direzione sarà l’iniziativa di martedì prossimo a Corleone, durante la quale sarà ricordato Giuseppe Letizia, organizzata dalla Scuola Media di Corleone e dall’Assessorato regionale dell’Istruzione, con la partecipazione dell’assessore Mario Centorrino e del presidente di “Libera” don Luigi Ciotti. Alla fine della manifestazione, sarà consegnata ai parenti del piccolo Giuseppe il diploma di scuola media ad honorem, che in vita non poté avere. A fare gli onori di casa sarà il preside Leoluca Sciortino, mentre coordinerà i lavori Pippo Cipriani, dell’Istituto “F. Santi”. Sono previsti anche il saluto del sindaco Lea Savona, gli interventi di Maria Luisa Altomonte, dirigente dell’Ufficio scolastico regionale, e di Giuseppe Crapisi di Libera Informazione.
Saremo noi, invece, che proveremo a ricostruire la figura storica del pastorello di Corleone, che non riuscì mai a diventare grande. Purtroppo, di Giuseppe Letizia nel cimitero di Corleone non esiste nemmeno una tomba. Dal permesso di seppellimento del 15 marzo 1948, redatto dall’ufficiale dello stato civile del comune di Corleone, e conservato negli archivi del cimitero comunale, apprendiamo che il piccolo Letizia è morto alle ore 13.00 del 14 marzo 1948, nella sua casa di via Arena 36. Spulciando i registri dello Stato civile, grazie alla disponibilità della d. ssa Maria Fontana, apprendiamo che il pastorello era nato a Corleone il 4 novembre 1935, in piena epoca fascista, da Giuseppe senior, contadino, che allora aveva 39 anni, e da Anna Carollo, nella stessa casa in cui sarebbe morto di via Arena 36. All’epoca della morte, quindi, avvenuta il 15 marzo 1948, aveva appena compiuto 12 anni. A denunciare la morte del Letizia non furono i genitori, sicuramente ancora affranti dal dolore, ma D’Ippolito Matteo, un contadino di appena 22 anni, insieme a due testimoni: Salvatore Militello, contadino di 42 anni, e Labruzzo Leoluca, un altro contadino di 32 anni. In quegli atti, Letizia risulta ancora formalmente “scolaro”. Invece sappiamo che a scuola non andava da tempo, perché aiutava il padre nei lavori di campagna.
Infatti, quella maledetta sera del 10 marzo 1948 Giuseppe Letizia era in campagna, in contrada Malvello, a custodire il suo gregge, come gli aveva raccomandato suo padre. E fu lì che vide arrivare la Fiat 1100 scura di Luciano Liggio, dove i mafiosi avevano caricato a forza il segretario della Camera del lavoro, Placido Rizzotto. Col cuore in gola, il piccolo Letizia vide i mafiosi accanirsi con una violenza inaudita contro il povero Placido.
Infine, vide Luciano Liggio che gli sparò a bruciapelo tre colpi di pistola.
La mattina dell’11 marzo, Giuseppe fu trovato febbricitante dal padre e tre giorni dopo morì. Durante il delirio accennò all’assassinio di un contadino, il cui corpo era stato fatto a pezzi. Fece anche dei nomi, ma i genitori si guardarono bene dal riferirli.
Erano paralizzati dalla paura
I GENITORI. Giuseppe Letizia sr. ed Anna Carollo negarono che il figlio avesse visto qualcosa
Il caso Letizia esplose con forza tra l’opinione pubblica, grazie al primo servizio pubblicato su «L’Unità » di domenica 13 marzo: «C’é motivo di pensare, e molti in paese sono a pensarla così – scriveva il giornale – che il bambino sia stato involontariamente
testimone dell’uccisione del Rizzotto e che le minacce e le intimidazioni lo abbiano talmente atterrito da provocargli uno shock e come conseguenza di esso la morte». Ancora più esplicito fu il settimanale «La Voce della Sicilia», che il 21 marzo così titolò: «Un bimbo morente ha denunciato gli assassini che uccisero Placido Rizzotto nel feudo Malvello». Nell’articolo si sosteneva che il segretario della Camera del lavoro di Corleone sarebbe stato sequestrato dalla mafia con l’aiuto di Pasquale Criscione e condotto nel feudo Malvello, «dove un ragazzo…, Letizia Giuseppe, rimasto in quel feudo per sorvegliare il gregge, avrebbe visto gli assassini compiere il delitto». «Atterrito e sconvolto per la scena terribile che si sarebbe svolta sotto i suoi occhi – proseguiva l’articolo – il ragazzo avrebbe avuto delle allucinazioni e nonostante le cure prodigategli dai medici dottori Navarra e Dell’Aira sarebbe morto dopo pochi giorni per cause non accertate».
Le rivelazioni non si fermarono qui. Dopo pochi giorni (il 26 marzo 1948), lo stesso giornale incalzava con un altro articolo dal titolo inquietante: «Per avvelenamento o per trauma psichico l’allucinazione la morte del bambino? ». Nel servizio si faceva notare la contraddizione tra la diagnosi formulata dal dott. Ignazio Dell’Aira, dove si parlava genericamente di «tossicosi», e la cura da lui prescritta al ragazzo a base di «Serenol», che era un calmante e non un disintossicante. «Noi pensiamo che il dott. Dell’Aira potrebbe dare altri utili chiarimenti…», affermava l’articolista. Sia i carabinieri che la polizia interrogarono i familiari del Letizia, che però esclusero nella maniera più assoluta che il loro congiunto avesse raccontato di omicidi e violenze.
Gli inquirenti, però, non ebbero nemmeno il sospetto che Giuseppe Letizia fosse morto in seguito alle “cure” praticategli dal dott. Navarra e dal dott. Dell’Aira.
E trascurarono la circostanza che il dott. Dell’Aira, «apparentemente senza alcun motivo, si affrettò a chiudere lo studio, salire su una nave e rifugiarsi in Australia» (M. Nese, Nel segno della mafia).
Mentre, invece, diedero eccessivo credito ai genitori del Letizia, che, interrogati dai carabinieri, «esclusero» che il figlio avesse narrato di avere assistito all’uccisione di Placido Rizzotto». Eppure non doveva essere difficile immaginare che la mafia era in grado di usare mezzi molto persuasivi per impedire testimonianze pericolose. Si ebbe l’impressione che polizia e magistratura volessero chiudere tutto nel più breve tempo possibile, senza “disturbare” il capofamiglia don Michele Navarra.
Fonte: mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 2 maggio 2019
Corleone, il bambino che ha visto troppo
di Silvia Bortoletto
Giuseppe Letizia ha appena 12 anni quando viene ucciso dalla mafia. La notte precedente era stato testimone di un omicidio. È il 10 marzo del 1948.
Il secondo conflitto mondiale si è concluso qualche anno prima. L’Italia, con un agile dietrofront, si è allontanata dalla Germania nazista e dal suo più prossimo passato fascista, per rifugiarsi dietro le uniformi degli eserciti dei vincitori. È proprio l’“autorità” siciliana, conosciuta col nome di mafia – quella combriccola di don locali che esercitano il potere reale, dirigendo la vita delle povere comunità per lo più dedite ad agricoltura e pastorizia, – a facilitare lo sbarco degli Alleati americani in Sicilia. Dall’isola gli yankees dalla casacca verde militare, marciano verso Nord portando libertà, jeans e gomme da masticare, facendo piazza pulita dei tedeschi e dell’integralismo fascista, e tenendo a bada il pericolo comunista che minacciava di germogliare in seno ai movimenti di resistenza partigiana.
Mentre le potenze vincitrici cercano di tener testa agli sconfitti e spartirsi il mondo, si delinea un chiaro e diverso approccio tra americani (e gli amici inglesi) e sovietici. Gli uni e gli altri cercano interlocutori interessati e favorevoli nei paesi europei sfigurati dalle bombe. Il modello socio-economico propugnato dai sovietici, basato sull’accentramento delle risorse e l’equa ridistribuzione delle stesse all’interno della società, non è razionale, non è profittevole, e dunque intacca pericolosamente l’idea del “sogno americano” da attuarsi tramite l’impresa personale capitalista.
L’etica protestante che funge da motore di propulsione nel mondo anglosassone – oltreoceano prima ancora che oltremanica, – del capitalismo, premia i più scaltri, quelli che si impadroniscono dei mezzi di produzione e delle risorse e, così facendo, intascano la maggior parte dei profitti.
Ecco, questa è la classe industriale vincente che sfrutta braccianti e operai e che mal vede coloro i quali invocano i diritti dei lavoratori, chiedendo condizioni di lavoro migliori, paghe più alte, e un maggior assistenzialismo statale. Questi sono i sindacalisti con pericolose idee rivoluzionarie da cui ben guardarsi. Tra questi c’è un giovanotto siciliano cui è difficile tener testa, il socialista ed ex partigiano Placido Rizzotto. Nel 1948, a soli 24 anni, è il trentacinquesimo sindacalista ad essere eliminato dalla mafia.
Rizzotto presiedeva ai comizi, incitando alla rivolta contro il baronato dei campi e a quella cronica mancanza di controllo da parte delle autorità che avrebbe presto portato i mafiosi dal ruolo di vassalli a quello di cavalieri e signori feudali, i quali amministravano a piacimento, tra nepotismi e favoritismi, la riarsa terra siciliana.
Rizzotto era riuscito a far breccia tra la popolazione e, alle elezioni regionali dell’aprile 1947, si era registrato un sostanziale trionfo dei partiti di sinistra, PSI e PCI: in Sicilia la Democrazia Cristiana aveva ottenuto 9 seggi in meno della coalizione di sinistra.
Classe 1914, nato e cresciuto a Corleone, Rizzotto si rende dunque presto inviso alla maggioranza centrista vicina agli americani e, particolarmente, ad un personaggio emblematico del luogo, il dottor Michele Navarra “u dutturi” il capomafia di Corleone. A questi, Rizzotto, che era al tempo segretario della Camera del Lavoro, rifiuterà l’iscrizione alla sezione “Combattenti e reduci di guerra”, perché con un tipo come “u dutturi” Rizzotto non voleva avere nulla a che fare. Né, il rifiuto dell’iscrizione lo dimostrava, si sarebbe mai piegato ad illegittime richieste da parte del Navarra.
Così, nella notte del 10 marzo 1948 il sindacalista viene sequestrato e ucciso. Il suo cadavere, gettato in pasto agli animali, verrà ritrovato quasi due anni dopo nel poco distante bosco della Ficuzza. Il padre Carmelo lo riconoscerà solo dagli scarponi.
I suoi aguzzini erano dei giovani virgulti della mafia corleonese i quali avevano iniziato la carriera criminale sotto l’ala protettrice del dottor Michele Navarra, capomafia del paese: erano il claudicante Luciano Liggio, il campiere di Strasatto, prediletto di Navarra, e un compagno sindacalista dello stesso Rizzotto, Pasquale Criscione, che di notte frequentava la banda di picciotti del dottor Navarra. Con loro anche Vincenzo Collura.
Lucianeddu Liggio, assieme ai più giovani Salvatore Totò Riina, che ucciderà il suo primo uomo il 13 marzo di quello stesso 1948, e Bernardo Zu Binnu Provenzano, entrambi figli di contadini, formerà il futuro, potente, triumvirato corleonese di Cosa Nostra.
L’11 marzo 1948 Giuseppe Letizia viene trovato in stato delirante dal padre nella campagna siciliana, dove Giuseppe stava accudendo il gregge. Ricoverato con febbre alta all’ospedale Dei Bianchi di Corleone – di cui il dottor Navarra era il direttore – racconterà di aver assistito all’omicidio di un contadino. Gli viene somministrata un’iniezione ma per Giovanni non c’è più nulla da fare. Tossicosi la causa ufficiale della morte.
Cresce il sospetto che quella siringa contenesse in realtà veleno e che il suo omicidio fosse stato ordinato dal capomafia di Corleone. In fin dei conti Giuseppe era un testimone scomodo.
Le indagini effettuate dall’allora comandante dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, non troveranno un chiaro nesso tra la sua morte e quella di Placido Rizzotto. Nel 1964 i tre principali sospettati per l’omicidio del sindacalista, nonostante le ammissioni di colpevolezza dello stesso Criscione, saranno assolti per insufficienza di prove.
Entrambe le morti dei giovani corleonesi dunque non avranno un colpevole.
Il debito di giustizia che il paese di Corleone ha nei confronti dei suoi cittadini onesti è iniziato lì tra le zolle di terra arse dal sole, le bianche rocche, la povertà, la polvere e la voglia di rivalsa.
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Articolo del 13 maggio 2020
Giuseppe Letizia, il piccolo testimone ucciso dalla mafia
La visione macabra porta con sé il delirio. Rientra in paese, forse urla i nomi degli assassini. La febbre aumenta sempre di più. Suo padre, che non poteva capire (lo farà dopo, quando abbandonerà per sempre Corleone) e lo porta in ospedale. Spiega i sintomi al dottore di turno. In quell’ospedale di paese il primario si chiama Michele Navarra. Verrà ammazzato da Luciano Leggio e dalla sua banda di criminali. La notizia arriva direttamente al capomafia. Anche il bambino di 13 anni deve morire.
mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 22 dicembre 2020
Il piccolo Letizia, un testimone incolpevole
di Dino Paternostro