2 Ottobre 1978 Cesano Boscone (MI). Rapito Augusto Rancilio, 26 anni figlio di un imprenditore. Il suo corpo non sarà mai ritrovato.

Foto da La Stampa del 3 Ottobre 1978

Augusto Rancilio, 26 anni, architetto, italiano ma residente a Parigi, cosi come tutta la famiglia, secondogenito di un noto imprenditore italo-francese è stato rapito il 2 Ottobre del 1978 a Cesano Boscone (MI), nella cintura industriale milanese. Il padre, Gervaso, 85 anni, era ritenuto molto ricco per avere realizzato interi quartieri, zone e rioni, nel nostro paese e in Francia. Gervaso Rancilio annunciò che non avrebbe potuto versare alcun riscatto perché tutte le imprese che facevano a lui capo erano sovvenzionate da banche e che, oltretutto, era indebitato con esse.
1993: la confessione fiume del boss Morabito Saverio, boss calabrese di Platì trapiantato a Milano, consente piena luce anche su alcuni dei più clamorosi fatti di cronaca nera milanesi: Il sequestro di Augusto Rancilio si concluse subito tragicamente, il giovane architetto venne ucciso pochi giorni dopo perché tentava di fuggire dalla sua prigione a San Giorgio su Legnano.

 

 

Articolo da La Stampa del 3 Ottobre 1978
Commando sequestra a Milano il figlio di un ricco imprenditore italo-francese
Aggredito mentre entrava in un cantiere edile di Cesano Boscone Commando sequestra a Milano il figlio di un ricco imprenditore italo-francese.
È l’architetto Augusto Rancilio, ventiseienne, abitante a Parigi – Il padre, Gervaso, 85 anni, ha edificato interi quartieri in Italia e in Francia – Dice: “Non sono ancora giunte richieste di riscatto ma io non posso pagare”

MILANO — Il secondogenito di un noto imprenditore italo-francese è stato rapito ieri mattina a Cesano Boscone, nella cintura industriale milanese. È Augusto Rancilio, 26 anni, architetto, italiano ma residente a Parigi, cosi come tutta la famiglia. Il padre, Gervaso, 85 anni, è ritenuto molto ricco per avere realizzato interi quartieri, zone e rioni, nel nostro paese e in Francia. Gervaso Rancilio ha annunciato, nel pomeriggio, che non verserà nessun riscatto: ha spiegato che «non può» pagare perché tutte le imprese che fanno capo a lui sono sovvenzionate da banche. Ha aggiunto che nella stessa situazione si trovano i figli, cioè che nessuno di loro è proprietario di nulla. «Con Augusto, così come con Cesare, di 33 anni, ingegnere, e Fiorenza, di 27, laureata in legge — ha raccontato — avevamo prospettato l’ipotesi di un sequestro e, nel caso, concordato questo comportamento. Mio figlio è al corrente di come stanno le cose; a sbagliarsi sono stati “quei giovanotti”». L’anziano imprenditore ha proseguito: «I banditi erano armati ma non hanno sparato. Poteva andare molto peggio. Questi sono fatti di vita; succedono tutti i giorni, specialmente nel nostro paese». Parla un misto d’italiano-milanese-francese; un segno rosso, profondo, a lato dell’occhio sinistro, e un graffio sul labbro superiore sono conseguenze dell’aggressione di poche ore prima. Gervaso Rancilio e il secondogenito erano appena arrivati (alle 7,30) in via dei Pioppi 4, di fronte a uno dei loro cantieri, quando si sono visti circondare e affrontare da 8 individui armati, a viso coperto.
Hanno reagito a pugni e calci prima di soccombere. «Fortuna che mio figlio, il quale gira sempre armato, ieri aveva dimenticato a casa la rivoltella — commenta l’imprenditore — altrimenti l’avrebbe usata e loro avrebbero risposto, magari ammazzandoci». I banditi erano giunti con due macchine e un furgoncino e li avevano parcheggiati in modo da ritardare sia l’eventuale sopraggiungere di estranei, sia il possibile intervento di chi intendesse prestare soccorso. Un dipendente dell’impresa, il geometra Giovanni Tucci, di 38 anni, ha cercato di reagire. Ha sentito il trambusto ed è uscito dall’ufficio nel momento in cui i malviventi stavano avviando il furgoncino dove avevano trasportato di peso l’ostaggio. Anche le due vetture stavano muovendosi, accodate al primo veicolo. Giovanni Tucci ha estratto la sua rivoltella ed ha sparato dietro a una delle auto (ritiene di avere colpito forse la carrozzeria), ma le macchine hanno proseguito la corsa. Il geometra Tucci circola armato da quando, nel dicembre scorso, rimase ferito da due banditi che, a Cesano Boscone, gli tesero un agguato a colpi di fucile a canne mozze. Subito dopo il sequestro, qualcuno ha pensato che vittima designata del rapimento fosse Gervaso Rancilio e che, all’ultimo, i malviventi avessero preferito l’architetto; sarebbe stato lui stesso, durante la colluttazione, ad urlare ai banditi: «Lasciatelo stare, è vecchio, prendete me al suo posto». Per ora, tuttavia, non ci sono conferme a tale ipotesi, anche perché l’anziano ingegnere Rancilio nella grande confusione di quei pochi minuti, non ricorda di avere sentito questa frase. I rapitori sono fuggiti verso la tangenziale Ovest, dalla quale, in pratica, è possibile accedere a tutte le autostrade che portano fuori Milano. Finora non sono arrivate richieste di riscatto, né la polizia o i carabinieri hanno un indizio che permetta d’individuare i responsabili dell’agguato. «Al novanta per cento dicono in Questura — si tratta di un rapimento a scopo d’estorsione». Le restanti ipotesi sono di vendetta personale, rappresaglia politica e altre. «Io sono soltanto l’animatore di un gruppo di società precisa Gervaso Rancilio che dipendono interamente dai crediti concessi da alcune banche. Negli ultimi me- si ho avuto difficoltà a pagare gli stipendi ai miei impiegati». Gli uffici dei Rancilio sono a Milano e Parigi; nella capitale francese, la famiglia trascorre la maggior parte dei tempo. E’ escluso un eventuale ricorso alle banche per pagare il riscatto: «Gli istituti di credito non iorniscono soldi per l’Anonima sequestri. In ogni caso sono talmente indebitato che non mi darebbero una lira, anche se chiedessi». Secondo il racconto dell’imprenditore, la responsabilità maggiore delle attuali cattive condizioni economiche risale a una lunga vertenza con ”amministrazione comunale di Cesano Boscone dove, costruito da società che fanno capo all’ing. Rancilio, è sorto un rione di circa 4000 persone. Nel 1967 l’allora sindaco democristiano di Cesano, Cavalloni, inviò all’imprenditore una diffida ingiungendogli di demolire alcuni sopralzi, ritenuti abusivi, delle costruzioni del quartiere. Rancilio non obbedì, due anni dopo il Comune fece abbattere due vani in questione. L’ingegnere ricorse alla magistratura e al Tar. Nel 1975 fece costruire nuovi locali sopra i tetti degli stabili mentre la vertenza proseguiva con la nuova amministrazione, retta da un sin¬ daco comunista. Quest’ultimo chiese fra l’altro al Tar che fosse fatto pagare a Rancilio un pesante indennizzo (circa 4 miliardi) nei confronti del Comune. Il Tar diede ragione all’amministrazione ma, nel febbraio di quest’anno, il Consiglio di Stato invalidò la decisione del Tar e accolse parzialmente le ragioni del costruttore. La vertenza è tuttora aperta, perché Rancilio dovrebbe pagare al Comune, per altre irregolarità edilizie, una multa il cui ammontare non è stato ancora fissato. Ornella Rota

 

 

 

Articolo di La Stampa del 24 Luglio 1979
«Vi perdono tutti, ma ditemi dove è sepolto mio figlio»
Il padre di Rancilio, rapito il 2 ottobre «Vi perdono tutti, ma ditemi dove è sepolto mio figlio»

MILANO — Un nuovo, drammatico appello è stato rivolto ieri dall’Ing. Gervaso Rancilio ai rapitori del figlio. Augusto, sequestrato il 2 ottobre scorso a Cesano Boscone. Nell’appello chiede al responsabili del sequestro di dare indicazioni per il recupero della salma del figlio. Questo perché Gervaso Rancilio è convinto che l’ostaggio sia morto durante la prigionia. Nel comunicato (al quale è allegata una delle ultime fotografie di Augusto Rancilio) è detto: .Mi rivolgo nuovamente ai responsabili del rapimento di mio figlio Augusto, confermando in primo luogo il l mio precedente appello, pubblicato dalla stampa nello scorso mese di giugno. Poiché dal rapimento, avvenuto da ormai dieci mesi, il 2 ottobre \ 1978. non é mai stata fornita una prova qualsiasi dell’esistenza di mio figlio, malgrado le continue suppliche fin dalla prima teletonata presso l’appartamento di un mio collaboratore, circa un mese dopo, e poscia presso lo studio del mio legale di Milano, devo supporre che mio figlio sia deceduto- •Confermando il mio perdono a tutti i responsabili — conclude ‘ l’appello dell’lng. Gervaso Rancilio — rinnovo la supplica di fornirmi qualche ragguaglio circa la sua fine, indicandomi cosa dovrei fare per recuperare la salma, se tale fosse stato il suo tragico destino. Scrivere: via Crocefisso n. 6 – Milano; telefonare o scrivere avv. Dedola, corso Porta Romana 84 – Milano. I telefono 546.4252.. Nei precedenti comunicati (il primo di questo genere risale al 30 marzo), l’ing. Rancilio assicurava il perdono ai malviventi e metteva a disposizione 40 milioni, oltre alle spese, – da consegnare quando mi sarà consentito — scriveva allora — di compiere l’estremo doloroso dovere di padre.

 

 

 

Articolo di La Stampa del 15 Dicembre 1985 
Sentenza blocca sette ergastolani
Oggi dovevano tornare in libertà

ROMA — Con sette condanne all’ergastolo, con sedici condanne a 30 anni di reclusione e con pene varianti da due a 29 anni per altri dieci imputati si è definitivamente concluso il processo per dieci rapimenti avvenuti in provincia di Milano tra il 1974 e il 1979. La decisione del giudici della Cassazione ha evitato la scarcerazione degli accusati per decorrenza dei termini, prevista per oggi. Dovranno scontare il carcere a vita: Giuseppe Mula (considerato il capo della banda, riuscito ad evadere alcuni anni fa e tuttora latitante), tre esponenti della famiglia Mammoliti (Giuseppe, Saverio e Saverlo Junior), Giuseppe De Pasquale, Matteo Teramo e Francesco Polistena, condannato anche per avere violentato una rapita, Rosanna Restanl, che, rimasta incinta, dovette abortire. La sentenza è stata emessa dalla seconda sezione penale della Cassazione, presieduta da Leonida Manca Bltti, che ha confermato il verdetto (15 dicembre dello scorso anno) della corte d’appello di Milano. È stata solo annullata la condanna a 30 anni di reclusione inflitta a Antonino De Pasquale. Dovrà essere di nuovo processato perché all’epoca del fatti era minorenne. La decisione della Suprema Corte ha impedito In extremis la scarcerazione della quasi totalità degli imputati, tranne ovviamente Antonino De Pasquale. I sequestri di cui è stata ritenuta responsabile la banda sono quelli degli industriali Alfredo Parabiaghi, Egidio Perfetti, Giovanni Morandotti, Luigi Balzatorri, Pasquale Ventura, della farmacista Emilia Mosca, e di Giuseppina Parodi e Rosanna Restani. Ad essi si aggiungono lo studente Sandro Cavallaro, rapito per errore e liberato il giorno stesso, e l’architetto Augusto Rancilio che invece mori durante la prigionia (nonostante i disperati appelli del padre i rapitori non restituirono mai il suo corpo).

 

 

 

Articolo del Corriere della Sera del 15 Ottobre 1993
Vent’ anni di crimini della mafia Spa
di Chiarelli Paolo, Gatti Fabrizio, Rosaspina Elisabetta
La confessione fiume del boss Morabito Saverio consente piena luce anche su alcuni dei più clamorosi fatti di cronaca nera milanesi: svelati i retroscena di 9 sequestri (tra cui quelli di Casella Cesare e di Rancilio Augusto) , 14 omicidi, traffici di droga, ferimenti, 40 rapine

Prima di essere trasferito in Aspromonte Cesare Casella fu tenuto rinchiuso in un box di Buccinasco. Il sequestro di Augusto Rancilio invece si concluse subito tragicamente: il giovane architetto venne ucciso pochi giorni dopo perchè tentava di fuggire dalla sua prigione a San Giorgio su Legnano. Ogni mese i gruppi calabresi dei Carollo e dei Papalia vendevano agli spacciatori lombardi centinaia di chilogrammi di cocaina ed eroina. Si svelano i misteri milanesi su omicidi, rapimenti e traffico di droga.

Il nuovo boss pentito Saverio Morabito ha raccontato i retroscena del sequestro di Cesare Casella, rivelando che prima di essere trasferito in Aspromonte il ragazzo fu rinchiuso in un box a Buccinasco. Ma ha anche fornito una nuova agghiacciante versione sulla morte dell’architetto Augusto Rancilio, figlio di un costruttore edile di Cesano Boscone, rapito nel ’78 a 26 anni e mai più tornato a casa: il ragazzo è stato ucciso per essersi ribellato ai suoi carcerieri. Le confessioni riguardano poi altri rapimenti avvenuti tra il 1975 e il 1980. Eccoli: Giuseppe Ferrarini, proprietario di un’azienda di trasporti a Corsico; Angelo Galli, consigliere comunale dc a Cesano Boscone; Giuseppe Scalari, industriale farmaceutico sequestrato davanti al suo stabilimento a Trezzano; Alberto Campari, figlio del titolare di una ditta di trasporti con depositi in via Isernia; Evelina Cattaneo, responsabile del settore vendite di alcune concessionarie Fiat, rapita sotto casa in via Vivaio; l’industriale romano Angelo Iacorossi; e Alessandro Vismara, figlio del proprietario di un’azienda agricola di Cisliano.

RANCILIO Così scrivono i magistrati: “Di tale sequestro, Saverio Morabito ha ammesso spontaneamente la propria partecipazione pur essendo stato a suo tempo prosciolto in istruttoria”. Come autori sono stati indicati: Giuseppe Muià , Giuseppe De Pasquale, Giuseppe Mammoliti, il figlio Saverio e il fratello Saverio. All’epoca Muià abitava al confine tra Milano e Cesano Boscone dove aveva un magazzino in un edificio di proprietà di Augusto Rancilio. Continua il racconto di Morabito: “Gli incontri per la pianificazione del rapimento avvennero in un bar del quartiere degli Olmi e vi partecipò anche Pasquale Hannoman. Accertato che il punto vulnerabile di Rancilio era il suo cantiere, fu deciso di utilizzare un furgone, automezzo messo a disposizione dal clan Muià con mitra e pistole. Il sequestro venne messo a segno sotto la copertura di altre due auto. A rapimento eseguito, l’architetto fu rinchiuso in un box a Cesano Boscone. Qualche giorno dopo i sequestratori Saverio e Francesco Sergi e Rocco Papalia prelevarono l’ostaggio dal box e lo chiusero nel bagagliaio di una Renault 5. Destinazione, la prigione allestita nell’abitazione di Alfonso Amante a San Giorgio su Legnano. Durante il tragitto, Francesco Sergi e Rocco Papalia, che avevano preso posto su un’altra auto, segnalorono che il portellone si muoveva. L’autista allora si fermò e si accorse che Rancilio stava tentando di aprire la serratura. Allora, strinse le corde che gli legavano i polsi e ripartì. Le trattative furono affidate a Michele Amandini. I contatti avvenivano nel bar Borgogna a due passi da piazza San Babila. Trascorsi alcuni giorni, Giuseppe Muià fece sapere che l’architetto era morto. E messo alle strette, rivelò che l’ostaggio era stato ucciso durante un tentativo di fuga”.

CASELLA Il boss Saverio Morabito ha ammesso la propria partecipazione anche a questo rapimento. “Il sequestro venne organizzato dai Marando di Platì emigrati a Volpiano e dagli Strangio di San Luca, lo stesso gruppo che, secondo quanto aveva saputo Morabito, aveva rapito Cortellezzi e tentato di sequestrare la Dellea a Luino. Una volta rapito, Casella è stato trasferito in un box di via Aldo Moro nel quartiere Milano Più di Buccinasco. La sera stessa all’ostaggio fu somministrato del Valium, in quanto il ragazzo era agitato. Nel locale furono portati anche un piumone bianco, una stufetta elettrica e un secchio per i bisogni fisiologici”. Scrivono i magistrati: “Saverio Morabito si occupò di persona a portare all’ostaggio del mangiare comprato in rosticceria”. Continua Morabito: “Dopo 15 giorni, come da accordi, il ragazzo venne prelevato e condotto con una Lancia Delta a metà strada tra il ristorante San Marino di Buccinasco e il cimitero. La zona era buia e ad attendere c’era un camion carico di mobili targato Reggio Calabria con due persone a bordo. Da quel momento, non ho saputo più nulla del rapimento Casella”. Subito dopo Morabito andò da uno sfasciacarrozze di Buccinasco per far demolire la Lancia Delta.

OMICIDI Morabito ha svelato particolari su 4 ferimenti e 14 omicidi in parte irrisolti, tra cui (come riferiamo a parte) gli agguati agli avvocati Pietro Labate e Raffaele Ponzio. Uno degli episodi più efferati avvenne alle 17.30 del 4 luglio 1988 in via Fra’ Cristoforo. Mentre stavano parcheggiando, Pietro Cavallaro, 41 anni, di Peschiera Borromeo, e Guglielmo Campodipietra, 36 anni, di San Giuliano Milanese, furono affiancati da una Lancia Delta da cui partirono decine di colpi. Per i due venne anche sparato il colpo di grazia con una lupara. E per sua stessa ammissione, uno degli esecutori materiali fu proprio Saverio Morabito. Il regolamento di conti fu deciso per una partita di 74 chili di eroina in parte non pagata. Pistole e fucili sparararono anche il 15 novembre 1984 nel caffè Nilo a Corsico. I clan uccisero Adamo Perre, 23 anni, di Platì , residente a Casorate Primo (Pavia), colpito mentre stava giocando a carte, fu assassinato perché ritenuto un confidente dei carabinieri in Calabria. Il ragazzo aveva fornito notizie per catturare Antonio Papalia, all’epoca latitante.

DROGA Il clan Morabito per anni ha acquistato e venduto migliaia di chili di eroina e cocaina, attraverso i gruppi calabresi Sergi, Papalia e Carollo, i quali rifornivano di stupefacenti anche Pepè Flachi  e Franco Trovato. Racconta il pentito: “Il gruppo Sergi non aveva un livello stabile di forniture di droga, nel senso che non vendeva come fanno le piccole bande quantitativi più o meno modesti di sostanze stupefacenti. Ma ogni mese si aveva una disponibilità di circa 100 150 chili di eroina. C’era chi ritirava 5 chili per volta e chi ne acquistava ancora di più. Per quanto riguarda il mio gruppo non abbiamo mai venduto buste inferiori ai cinquanta grammi. I ragazzi, cioè i più giovani dell’organizzazione, spacciavano quantità di 20 30 grammi. Ma a noi non interessava perché, essendo capi, avevamo contatti diretti per le vendite più rilevanti”. Il pentito ha tirato in ballo decine di persone indicando nomi, cognomi e soprannomi. Ha puntato così l’indice contro il Marocchino, Ciccio pizza, chiamato anche Ciccio mazza, Pasquale maiale, Peppi galera, Rocco pipita. Nel corso dei vari interrogatori, Saverio Morabito ha indicato come acquirenti di stupefacenti dal gruppo Sergi componenti della famiglia Mammoliti di San Luca. In particolare, Sebastiano Mammoliti, suo figlio e tre suoi nipoti: uno dei quali, studente a Bologna, è stato arrestato per droga.

ESTORSIONI Continua Saverio Morabito: “Credo sia il caso di ricordare che l’organizzazione di cui facevo parte era e lo è ancora oggi di puro carattere mafioso. Nonostante i maggiori esponenti si trovino in galera in questo momento essa continua a proliferare in ogni campo, trafficando in stupefacenti e commettendo reati di qualsiasi altra natura. Chi non si sottometteva alle nostre volontà doveva soccombere in un modo o nell’altro… I paesi di Corsico e Buccinasco erano diventati il punto cruciale, diciamo un punto solido di appoggio, per i calabresi e c’era anche in giro la voce che da noi gli stupefacenti non mancavano mai. Se capitava una ditta che arrivava da fuori perché aveva vinto un appalto per costruire una strada, per esempio una statale, o pagava la tangente oppure saltavano per aria i mezzi di lavoro, costringendoli ad abbandonare l’appalto. Sistemi del genere li hanno usati i fratelli Papalia soprattutto a Milano e provincia, avendo loro un’impresa di movimento terra. E quindi camion e altri mezzi adatti per questi lavori. Per assicurarsi gli appalti facevano bruciare le ruspe e gli escavatori di altre piccole imprese, costringendoli a rinunciare alla gara d’appalto.

Il suo pentimento ha alzato i veli su vent’anni di crimini. Saverio Morabito, 41 anni, boss calabrese di Platì trapiantato a Milano, ha raccontato i retroscena di 9 sequestri di persona, 14 omicidi, traffici di droga miliardari, oltre a ferimenti e 40 rapine. Ma soprattutto ha rivelato i particolari dell’ alleanza tra ‘ndrangheta calabrese e mafia siciliana, i contatti d’affari dei clan e i tentativi di corruzione di giudici e avvocati: Milano e provincia come un angolo di Calabria e Sicilia. Saverio Morabito era stato arrestato durante l’inchiesta sulla raffineria di eroina scoperta nel maggio ’90 in valle Imagna, nel Bergamasco. E un anno fa ha cominciato a collaborare con la Dia e la magistratura.

 

 

 

Articolo del 10 Gennaio 1997 da  archiviostorico.unita.it
Quattromila anni e 18 ergastoli per quattro mafie
di Giampiero Rossi
Le richieste dei Pm Nobili e Spataro ai maxi processi Wall street e Nord sud

Al termine delle contemporanee requisitorie di due maxi-processi di mafia, in un silenzio glaciale, i pubblici ministeri Nobili e Spataro chiedono condanne complessive per 4000 anni di carcere, 18 ergastoli e 20 miliardi di multe. Le operazioni Nord-sud e Wall street hanno portato in carcere e alla sbarra i boss mafiosi, responsabili di omicidi, sequestri e narcotraffico, che per anni hanno controllato militarmente l’hinterland sud e le periferie nord di Milano.

Quasi quattromila anni di carcere, diciotto ergastoli, ventuno miliardi di multe. Sono queste le richieste della pubblica accusa per i due processi di mafia che si stanno celebrando da quasi due anni nelle aule bunker milanesi. Per uno scherzo dei calendari, i pubblici ministeri Alberto Nobili e Armando Spataro si sono trovati a formulare le loro richieste di pena quasi contemporaneamente: il primo nell’aula di piazza Filangieri, al termine della sua requisitoria di ventuno giorni contro i 137 imputati del processo Nord-sud, il secondo a Ponte Lambro dove si stava protraendo da quindici udienze la sua requisitoria per i 145 imputati del processo Wallstreet.
Con questi nomi, a cavallo tra il 1991 e il 1992, sono state battezzate le prime due grosse operazioni messe a segno dalla Direzione distrettuale antimafia. In una città che ancora oggi fatica ad ammettere che le mafie (tutte: siciliana, calabrese, campana e pugliese) abbiano piantato radici al nord. Armando Spataro colpisce i boss che controllano la parte nord della città e il territorio regionale che unisce Milano al ramo lecchese del Lario: a Lecco, alla pizzeria Wall street, aveva sede il quartier generale del clan guidato dallo spietato boss Franco Coco Trovato e da Pepè Flachi, che controllava palmo a palmo le vie di Bruzzano e della Comasina, terra di conquista per i trafficanti di droga.
Nello stesso momento, Alberto Nobili stringe il cerchio attorno al grande clan calabrese che domina nel settore sud della cintura milanese: è a Corsico, a Buccinasco e a Cesano Boscone che vivono e trafficano i potentissimi fratelli Papalia (ritenuti gli esponenti di maggior spicco della ‘ndrangheta trasferita al nord) e la famiglia Sergi. Qui si organizzano rapine, sequestri di persona, omicidi e operazioni di narcotraffico su vasta scala.
Alla fine del blitz risulteranno sotto sequestro di beni che, soltanto per i Papalia, vengono stimati per un valore attorno ai 200  miliardi di lire: case, automobili di lusso, aziende, cantieri… un piccolo impero economico. E militare.
Perché gli omicidi decisi in quell’ambiente sono stati, secondo l’accusa di Nobili, almeno una dozzina. Undici li ha confessati in prima persona Saverio Morabito, uomo di fiducia del clan che per primo ha deciso di collaborare con gli inquirenti e ha consentito loro di conoscere dal vivo la struttura dell’organizzazione.
Morabito, al pari di altri pentiti come Michele Amandini, Mario Inzaghi,Nunzio Romeo e Luigi Morabito sta beneficiando del programma di protezione: ma sebbene in libertà, ieri anche per lui è stata chiesta la condanna a trent’anni di carcere da parte del pm Nobili. Sul fronte Nord-sud le richieste più pesanti del pubblico ministero si sono abbattute sulla famiglia Sergi: 9 ergastoli per Francesco, 7 per Paolo, 2 per Saverio, 1 ciascuno per Francesco junior e Giuseppe. Ergastolo richiesto anche per Antonio, Domenico e Rocco Papalia, non accusato di alcun omicidio ma di narcotraffico e sequestro di persona. Ergastolo anche per Domenico e Giuseppe Barbaro, componenti della famiglia che completa il triangolo della ‘ndrangheta dell’hinterland sud di Milano. Tra le vittime dei sequestri di persona organizzati ed eseguiti da questo clan, l’inchiesta ha individuato Cesare Casella e Augusto Rancilio, morto nelle mani dei rapitori.
È stata invece soprattutto la sanguinosa faida di fine anni Ottanta tra il gruppo di fuoco di Pepè Flachi e il clan perdente della famiglia Batti, a far lievitare il conto giudiziario presentato da Armando Spataro agli imputati del processo Wall street. Sono diciassette i morti che, uno dopo l’altro, vengono recuperati sull’asfalto, negli sterrati o nelle discariche dei quartieri nord di Milano tra la fine degli anni Ottantaeiprimi anni Novanta. Dietro quei delitti, spiega l’accusa, c’era la scalata al controllo totale di quei territori da parte del clan di Flachi, Coco Trovato e Antonio Schettini. Anche in questo caso è stato fondamentale l’apporto dei collaboratori di giustizia: Salvatore Annacondia, Giorgio Tocci, Luigi Di Modica, Vittorio Foschini, Antonio Zagari, lo stesso Saverio Morabito e molti altri. Una cinquantina in tutto.
Anche dai loro racconti Spataro trae la convinzione che in collegamento con il clan vi sia un altro gruppo formato da uomini di primissimo livello del mondo criminale calabrese: come Domenico Paviglianiti e Giovanni Puntorieri, arrestati con un’operazione da manuale che la polizia fa scattare alla fine del novembre scorso a Madrid, Amsterdam e in molte altre città in Italia e in Europa. Secondo gli inquirenti i latitanti bloccati dopo anni di pedinamenti e intercettazioni sono tra i più pericolosi criminali mafiosi bloccati negli ultimi anni, compresi i siciliani di Cosa nostra. E non è finita, perché aperti davanti alla Corte d’assise di Milano – ci sono ancora otto maxi processi.

 

 

 

Articolo del 18 marzo 2010  da:  milanomafia.com
Cesano Boscone. La saga della famiglia Madaffari, dal sequestro Rancilio alla lobby della ‘ndrangheta
Domanicantonio Madaffari fu arrestato per il rapimento del giovane Augusto Rancilio, il cui corpo non è mai stato trovato. Suo figlio Andrea sarebbe il dominus del ramo economico-finanziario della cosca Barbaro-Papalia

La vicenda
Augusto Rancilio, architetto 26 enne, figlio del costruttore Gervaso Rancilio, venne sequestrato la mattina del 2 ottobre 1978 in via dei Salici a Cesano Boscone.
Dopo il sequestro il giovane fu portato nel box di Domenicantonio Madaffari, macellaio di Cesano Boscone, padre di Andrea Madaffari, l’imprenditore arrestato nell’operazione Parco Sud accusato di essere il braccio economico-finanziario della cosca Barbaro-Papalia.
Il giovane venne poi trasportato in un cascinale e in seguito trasferito in Calabria dove, secondo le ricostruzioni, venne ucciso dal suo carceriere.
Il corpo non fu mai ritrovato. La famiglia Rancilio cercò invano, di riavere i resti del giovane. Oggi in suo nome è nata una Fondazione per il  sostegno alla formazione, allo studio e alla ricerca nei campi dell’Architettura, del Design e dell’Urbanistica.

Milano – Quella di Augusto Rancilio è una delle storie più nere della ‘ndrangheta al Nord. Ma soprattutto è una storia dimenticata, una di quelle vicende rimosse dalla Milano senza memoria che ha dimenticato i martiri di una guerra infinita. Augusto Rancilio è un ragazzo di 26 anni, il suo è un destino segnato: architetto, come buona parte dei suoi familiari, una delle dinastie di costruttori più note della Milano degli anni Settanta.  Gli uomini della ‘ndrangheta lo rapiscono il 2 ottobre 1978 a Cesano Boscone, all’esterno di un cantiere in via dei Salici. Sono da poco passate le sette del mattino quando gli uomini della cosca Muià, Mammoliti e Sergi entrano in azione. In via dei Salici, accanto a un box utilizzato come ufficio c’è una dipendente dell’azienda Rancilio. Sta aspettando come ogni mattina l’arrivo del capostipite, l’ingegner  Gervaso Rancilio. Nell’auto, una Peugeot 604 con targa francese, c’è anche il figlio Augusto, 26 anni. In pochi secondi l’auto viene circondata da uomini incappucciati e con il mitra in pugno. Augusto prova a difendersi con un ombrello, poi viene caricato di peso su un’Alfetta 2000 blu. Da quel momento nessuno lo vedrà più vivo.

Alla famiglia Rancilio resta solo la speranza di pagare un riscatto, anche solo per riaverne i resti. Ma il corpo del giovane architetto non farà mai ritorno a casa. Nel 1990, dopo che per il sequestro erano stati condannati uomini della banda Muià, Amante e Mammoliti, è il pentito Saverio Morabito a raccontare la cronaca del tragico sequestro Rancilio. Secondo Morabito, ipotesi poi avvalorata dai giudici nella sentenza del processo Nord-Sud, Rancilio venne trasportato da via dei Salici al box di “Mico il macellaio”, ossia Domenicantonio Madaffari, che all’epoca (e ancora oggi) aveva proprio una macelleria a Cesano Boscone. Poi il giovane venne trasferito dal box dei Madaffari alla cascina di Pietro Amante da dove partì verso l’Aspromonte senza mai fare ritorno. Rancilio però era stato un ostaggio combattivo, tanto che durante il trasferimento, con mani e piedi legati, cercò di fuggire dal bagagliaio della Renault 5 guidata proprio da Saverio Morabito. Il tentativo di fuga però fu sventato dall’intervento di Rocco Papalia e Francesco Sergi che seguivano la vettura a bordo di un’altra auto. Morabito allora scese dall’auto e strinse ancora di più le corde ai polsi e alle caviglie di Rancilio.

Sempre secondo quanto raccontato da Morabito, Rancilio venne poi ucciso in Calabria dal suo carceriere, tale Peppe Lampo, perché durante un’operazione dei carabinieri in Aspromonte, mentre Rancilio era nascosto in un tubo di cemento tentò di fuggire. Peppe Lampo gli avrebbe sparato per poi abbandonare il corpo sul greto di un canale. Sarebbe stato poi Giuseppe Mammoliti, tempo dopo, a seppellire i resti in un campo. Per il sequestro Rancilio venne arrestato Domenicantonio Madaffari, il padre di Andrea, proprio con l’accusa di aver messo a disposizione il box usato come prima prigione.

Ecco cosa si legge nell’ordinanza di custodia dell’operazione Parco Sud a proposito di Andrea Madaffari: “Il padre di Madaffari, Domenicantonio, è stato arrestato unitamente a Saverio Sergi, quale correo di sequestro di persona a scopo di estorsione (Rancilio). Mentre un cugino di Andrea Madaffari, tale Salvatore Madaffari, era caduto sotto i colpi di un’imboscata in realtà diretta verso Saverio Sergi”.  L’omicidio avvenne nella notte tra il 22 e il 23 settembre del 1979 quando al pronto soccorso dell’Ospedale San Carlo arrivò quasi esanime Salvatore Madaffari. Dalle indagini successive si scoprì che era stato ferito all’esterno di un bar a Buccinasco mentre si trovava proprio in compagnia di Saverio Sergi, detto il Principale.

Domenicantonio viene intercettato durante una riunione nelle sale della Kreiamo il 18 gennaio 2008 con il figlio Andrea, Antonio Perre, Salvatore Barbaro e Alfredo Iorio. Ecco invece come lo definisce Iorio in un’altra conversazione intercettata con un imprenditore: Domenicantonio “è una persona di rispetto”, è “un capo buono”, “i Madaffari sono una famiglia rispettata perché avrebbero aiutato tanta gente quando si trovavano in difficoltà a causa della reclusione di qualche familiare, prendendosi cura dei familiari stessi e fornendo loro il necessario per vivere…”. (cg/dm)

 

 

 

 

 

Fonte:  villaarconati.it/fondazione-augusto-rancilio

Fondazione Augusto Rancilio

La Fondazione Augusto Rancilio promuove e sostiene progetti e attività di studio e ricerca nel campo dell’Architettura, del Design e dell’Urbanistica, investendo in particolare sulle nuove generazioni di progettisti, in memoria dell’Architetto Augusto Rancilio. Costituita nel 1983, a seguito della sua tragica scomparsa all’età di 26 anni, per volontà del padre e dei fratelli Fiorenza e Cesare, la Fondazione ha personalità giuridica riconosciuta dalla Regione Lombardia.

La sua sede è Villa Arconati, tra i più importanti esempi delle “Ville di Delizia” lombarde, al centro del territorio di Castellazzo, dove gode della cornice del Parco delle Groane e della strategica vicinanza al nuovo polo fieristico di Rho-Pero. Qui la Fondazione è impegnata, oltre che nella promozione di attività culturali e didattiche, in un importante progetto di restauro della Villa e del suo Giardino. Con il progetto Villa Arconati Lab l’obiettivo della Fondazione è non solo restituire questo patrimonio alla collettività, ma valorizzare oggi, in una prospettiva contemporanea e internazionale, l’identità di luogo dell’architettura e delle arti che nel passato le valse il nome di “Versailles di Milano”.

 

 

 

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