20 maggio 1987 Torino. Ucciso Roberto Rizzi, impiegato di 31 anni, per uno scambio di persona

Foto da La Stampa del 21 maggio 1987

Uno scambio di persona. Una vittima innocente. Questa è la storia di Roberto Rizzi che, nel 1987, aveva solo 31 anni, una moglie, un lavoro da impiegato. Una vita come tanti, lontana dal crimine. Raggiunto a bruciapelo da due colpi di pistola, in un bar di via Pollenzo a Torino, da un killer, per tanto tempo sconosciuto.  Vincenzo Pavia, ex collaboratore di giustizia e grande accusatore del cognato Domenico Belfiore, mandante del delitto di Bruno Caccia, ammette di aver assassinato per errore Roberto Rizzi: il suo obiettivo era Francesco di Gennaro, uomo legato al crimine organizzato della Torino degli anni ’80.

Fonte:  vivi.libera.it

 

 

 

 

 

onte: archiviolastampa.it
STAMPA SERA del 22 Maggio 1987
Le indagini sull’omicidio di Roberto Rizzi sono un «rompicapo»
MA IL KILLER HA UCCISO PER SBAGLIO?  
La vittima era un uomo sereno senza precedenti penali

L’hanno ucciso per sbaglio? Gli amici e i conoscenti parlano di Roberto Rizzi, ammazzato l’altro giorno al bar: offrono l’immagine di un uomo sereno che bada ai fatti propri e si preoccupa di sognare qualche iniziativa commerciale per il futuro. Gli piaceva andare a pescare: nel baule dell’auto aveva le canne, gli ami e gli stivaloni per camminare al bordo dei fiumi.

Aveva gestito il ristorante «Nube d’argento» a Borgata Sestriere ma da qualche settimana cercava di venderlo. Conoscenze selezionate, nessuna zona d’ombra nel suo passato, vita normale e a volte, persino, ovvia.

L’altra sera, ai «Tre moschettieri» – di via Pollenzo, l’hanno fatto fuori con due rivoltellate in testa. Tecnica da regolamento di conti: un’azione di quelle proprie delle bande mafiose che puniscono gli sgarri e si tolgono di torno concorrenti che danno fastidio.

Ma la vittima di questa volta, Roberto Rizzi, sembra sfuggire al cliché del malavitoso con interessi loschi. Un uomo che suda per fare quadrare i bilanci della famiglia, il passato «pulito», nessun precedente penale e il rispetto della gente che l’ha frequentato come possono conciliarsi con un nome scritto nel libro nero dei clan mafiosi? Non. a caso, la squadra omicidi della Questura che si occupa delle, indagini e il sostituto procuratore della Repubblica Bascheri che le coordina ammettono: «È un rompicapo».

O si tratta di un madornale errore del killer che, colpendo alle spalle, non ha avuto il tempo di guardare bene e ha sbagliato persona. O c’è un mistero nella vita di Roberto Rizzi, una doppia vita che, per ora, rimane un’ipotesi e un mistero.

Gli elementi su cui lavorare non sono nemmeno troppi. Pochi minuti prima delle 22,30 un’Alfa ha posteggiato accanto al marciapiede. L’autista è rimasto al volante tenendo il motore su di giri, l’altro è sceso. Giacca chiara, passo spedito, mani in tasca: è entrato nel bar, si è avvicinato a un tavolo dove stavano quattro persone. Non una parola: si è sentita soltanto la voce della rivoltella. Stando dietro ha allungato l’arma fino a trenta centimetri dalla nuca e ha premuto il grilletto due volte.

Un minuto per arrivare, uccidere e andarsene. Chi era lì non ha avuto il tempo di intervenire e, per la verità, non è nemmeno in grado di mettere insieme i ricordi in modo coerente. I testimoni sono fermi a descrivere particolari confusi. In qualche caso contraddittori. Certo, le indicazioni che hanno dato alla polizia sono poco utili per le indagini.

Torino sembra tornata a essere la Torino-nera degli Anni Settanta quando il clan dei catanesi — oggi sotto processo alle Vallette — era custode della legge mafiosa e sparava per imporre il proprio predominio. Il vuoto lasciato dagli arrestati è stato riempito da altre bande? In pochi mesi sono stati commessi undici omicidi: troppi portano il segno del delitto di mafia.

Chi ha chiuso la bocca a Salvatore Vona ammazzato con due rivoltellate? Chi ha ucciso Mario Ciaglia? E Stellarlo Arbato abbandonato cadavere in un campo di trifoglio a Castiglione? Sembra che i nuovi parvenus del crimine siano spietati come quelli degli anni passati.

 

 

 

Articolo da La Stampa del 21 maggio 1987

Fonte: torino.diariodelweb.it 
Articolo del 27 novembre 2018
Sparò e uccise l’uomo sbagliato, il caso risolto a 31 anni dall’omicidio
A morire fu un innocente, reo di assomigliare all’obiettivo dell’agguato e di frequentare lo stesso bar: la Squadra Mobile indaga sugli omicidi irrisolti

TORINO – Sono passati 31 anni dalla morte di Roberto Rizzi, ucciso «per sbaglio» con un colpo di pistola alla testa mentre si trovava all’interno del bar «I Tre Moschettieri», in via Pollenzo 37. Un omicidio rimasto per lungo tempo senza colpevoli, il cui caso è stato risolto nell’ultimo periodo dalla polizia di stato. Il colpevole? Vincenzo Pavia, ex collaboratore di giustizia.

L’OMICIDIO – È stato lo stesso Pavia, nel giugno scorso, a confessare l’omicidio che va ad aggiungersi agli altri otto di cui è ritenuto colpevole. Per capire cos’è successo bisogna fare un salto indietro di 31 anni, al 20 maggio 1987: quel giorno Pavia, su incarico di Saverio Saffioti, entrò nel bar «I Tre Moschettieri» con l’obiettivo di uccidere Gennaro Francesco, detto «Franco il Rosso». Ingannato da una somiglianza fisica e dalla frequentazione del medesimo locale, il sicario sparò e uccise Roberto Rizzi, vittima di uno scambio di persona. Il giorno dopo, leggendo il giornale, Pavia si accorse di aver sbagliato persona e di aver ucciso un innocente.

IL CASO RISOLTO DOPO 31 ANNI – La Squadra Mobile di Torino, partendo da queste dichiarazioni, ha indagato sulla serie di omicidi che hanno insanguinato Torino e provincia negli anni ’80, sino ad arrivare al caso dell’omicidio di Roberto Rizzi: Pavia fece parte dell’organizzazione criminale con a capo Domenico Belfiore, condannato all’ergastolo per l’omicidio del procuratore della Repubblica Bruno Caccia. Dopo la carcerazione di Domenico Belfiore, il vertice della famiglia passò a Salvatore Belfiore, che trovò in Saverio Saffioti un valido complice. Fu Saffioti il mandante dell’omicidio, poi eseguito da Pavia. A rispondere dell’omicidio, comunque, sarà solo Vincenzo Pavia, dal momento che il mandante fu a sua volta assassinato nel giugno del 1992 sempre per volontà di Salvatore Belfiore. Anche il vero obiettivo dell’agguato, Gennaro Francesco, detto «Franco il Rosso» finì comunque assassinato nell’agosto del 1988. Una serie infinita di crimini, su cui sono ancora in corso accertamenti della Squadra Mobile.

 

 

Foto da: ilmessaggero.it

Fonte:  ilmessaggero.it
Articolo del 27 novembre 2018
Killer confessa il delitto dopo 31 anni: sparò alla persona sbagliata

Ha un colpevole, dopo 31 anni, l’omicidio di Roberto Rizzi, ucciso per uno scambio di persona il 20 maggio 1987 a Torino, nel bar ‘I tre moschettierì. Vincenzo Pavia, ex collaboratore di giustizia vicino alla famiglia Belfiore, cognome legato ai fatti più criminosi della mala calabrese degli anni ’80 sotto la Mole, ha confessato. Davanti alla polizia ha vuotato il sacco, per «liberarsi la coscienza», dice lui.

Quel giorno era andato al locale di via Pollenzo per ammazzare Francesco Di Gennaro, detto «Franco il rosso», uno che con i Belfiore aveva dei conti in sospeso per questioni di bische e droga. Un delitto commissionato da Saverio Saffiotti, all’epoca tra i boss della criminalità organizzata nel torinese, che però non ha portato a termine. Nonostante gli otto omicidi alle spalle – almeno – Pavia ha sparato alla testa della persona sbagliata. «A quell’epoca, mio marito portava la barba. Era biondo e la barba dava sul rosso», sostiene la vedova di Rizzi. «Ora il nome di Roberto è stato riabilitato – aggiunge – Quella fu un’esecuzione e le esecuzioni avvengono tra i malavitosi. Lui era passato per uno di quelli, ma non era così. Era una persona buona».

Che con quel mondo, non c’entrava nulla. «Non perdonerò mai Pavia, nel modo più assoluto – dichiara – Giustizia è fatta? Sì, ora sconterà ciò che è giusto. Se non altro, ha confessato». Una confessione, quella di Pavia, ormai 62enne, che riporta indietro di trent’anni. Tempi di morti ammazzati e di faide tra la criminalità calabrese e il clan dei Catanesi, soppiantato proprio dai gioiosani di Mario Ursini, Domenico e Salvatore ‘Sasà’ Belfiore, i Femia e i Mazzaferro, solo per citare i nomi più eclatanti. Pavia era legato ai Belfiore e, si dice, soprattutto a ‘Sasà’, condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio Caccia. Un delitto avvenuto in una Torino che aveva paura, che contava i cadaveri in strada. Dove i gruppi criminali si facevano la guerra per il controllo del gioco d’azzardo e della prostituzione, dello spaccio di droga e del contrabbando di sigarette. Una storia di sangue e pallottole iniziata nel 1974, quando Fracesco Miano, detto “Ciccio”, entrò nell’hotel Villa della Regina e freddò a colpi di pistola Salvatore Di Bella il ‘re delle bische clandestinè.

E continuata con il super killer Salvatore Parisi che, dopo aver ammazzato un benzinaio in lungo Dora Voghera, si gettò nella Dora per sfuggire ai poliziotti. Questi sono solo due pezzi di un puzzle criminale dove c’è anche la tessera datata 24 agosto 1988, quando scattò l’ora anche per Di Gennaro che, quella volta, non sfuggì ai sicari dei Belfiore. Quattro anni dopo, sempre su ordine di ‘Sasà’ venne ammazzato anche Saffiotti. Vecchie storie, legate ad una criminalità che non faceva sconti, ma che nasconde ancora parecchi misteri. Per questo le indagini della squadra mobile continuano e potrebbero esserci altri sviluppi per degli omicidi che non hanno mai avuto un colpevole.

 

 

Fonte: torinotoday.it 
Articolo del 27 novembre 2018
Dopo 31 anni si risolve l’omicidio del bar “I Tre Moschettieri”
L’autore ammette le colpe
di Claudio Martinelli

Ha aspettato 31 lunghi anni prima di chiedere di poter parlare con la polizia ed ammettere di essere l’omicida di Roberto Rizzi, ucciso con un colpo di pistola alla testa il 20 maggio del 1987 all’interno del bar “I Tre Moschettieri” di via Pollenzo 37 a Torino.

Vincenzo Pavia, ex collaboratore di giustizia, dopo essersi preso le colpe per altri otto omicidi negli anni ’90, nel giugno scorso ha deciso di ammettere anche l’uccisione di Rizzi.

Quel giorno, Pavia era entrato in azione per conto di Saverio Saffiotti. L’obiettivo, però, doveva essere “Franco il Rosso”, al secolo Francesco Di Gennaro.

Dopo l’esecuzione, era tornato in auto, alla guida della quale c’era Saffiotti.

Il giorno dopo, leggendo il giornale, Pavia si rese conto che la persona che aveva assassinato non era “Franco il Rosso”, ma Rizzi, che niente aveva a che fare con la malavita. Un vero e proprio scambio di persona, dettato dal fatto che sia Rizzi sia Di Gennaro frequentavano lo stesso bar.

Le dichiarazioni fatte da Pavia hanno portato la Squadra Mobile a riprendere i faldoni del “cold case” e riaprire le indagini.

Dell’omicidio dovrà rispondere solamente Pavia, visto che Saffiotti è stato assassinato il 25 giugno del ’92 per volontà del suo ex “sodale”, Salvatore Belfiore. Ovvero il fratello del boss Domenico Belfiore, esponente di spicco dell’Ndrangheta, condannato in via definitiva all’ergastolo per aver preso parte all’omicidio del Procuratore della Repubblica Bruno Caccia.

“Franco il Rosso” era stato assassinato, sempre al bar “I Tre Moschettieri” il 24 agosto del 1988 ad opera di appartenenti al gruppo Belfiore-Saffiotti.