18 Novembre 1996 Trapani. Maria Antonietta Savona e il suo bambino, di appena 1 mese, Riccardo Salerno, restano uccisi in uno scontro con l’auto di un magistrato.

Foto da: L’Unità del 19 Novembre 1996

Maria Antonietta SavonaRiccardo Salerno – Trapani
Si può morire a causa della mafia in tanti modi, anche per una banale accidentalità legata alle azioni per combatterla. È il caso di Maria Antonietta Savona, 36 anni, e del suo bambino, Riccardo Salerno, di appena un mese. In un incrocio, lungo la circonvallazione che collega Trapani all’autostrada per Palermo, la donna e suo figlio muoiono in un incidente provocato da un’auto di scorta che passa col rosso. L’auto viene centrata in pieno sulla fiancata dove è seduto Riccardo che resta intrappolato nel seggiolino. A bordo della scorta c’è il procuratore di Sciacca. Maria Antonietta lascia il marito Antonino Salerno e altri due bambini.
Fonte:  sdisonorate.it

 

 

Articolo da L’Unità del 19 Novembre 1996
Uccisi da un’auto blindata
Passa col rosso, muoiono madre e neonato
di Saverio Lodato
Tragedia a Trapani: una mamma e il suo bambino di un mese muoiono in un incidente provocato da un’auto di scorta che passa col rosso. A bordo c’era il procuratore di Sciacca. Gravemente ferito l’autista della blindata, escoriazioni vengono riportate dai due carabinieri addetti alla tutela. Lievemente feriti due ragazzi. La mamma del neonato lascia il marito, Antonino Salerno, di 38 anni, e altri due bambini. Il marito si trova a Milano, dove fa il carpentiere.

TRAPANI. Lo avrebbero chiamato Riccardo, ma avendo solo un mese di vita i suoi genitori non avevano fatto in tempo a battezzarlo. Lei, la mamma, Maria Savona, aveva appena 36 anni. Sono
morti sul colpo, andandosi a schiantare a bordo di un vecchio catorcio, un’«Opel Kadett», contro una Croma bianca , blindata, sulla quale viaggiavano il procuratore capo di Sciacca, Bernardo «Dino» Petralia; il suo autista, Antonino Bentivegna, e due carabinieri, Giovanni Spina e Eugenio Laudicina.

Le polemiche
Le polemiche non mancheranno. Si riproporrà il frusto dilemma: scorte sì, scorte no. Ieri mattina, quando mancavano pochi minuti alle nove, sono cadute altre due vittime sul fronte della lotta alla mafia. No. Non sono stati i killer , questa volta, a seminare morte. È stato quel micidiale impasto di casualità e perenne «stato di guerra» nel quale ormai non vive solo più la Sicilia ma, fatte le debite proporzioni, ogni pezzo del nostro territorio nazionale. Dunque, anche se indirettamente, il peccato originale di questa tragedia resta pur sempre la mafia e il suo spietato controllo del territorio.

La dinamica, invece, è di una sconvolgente semplicità: ad un insidiosissimo incrocio, lungo la circonvallazione che collega Trapani-città all’autostrada che porta a Palermo, il semaforo è verde per l’«Opel Kadett», rosso per l’auto del magistrato. Una lunga colonna di auto è ferma, l’autista della blindata mette in funzione la sirena, e supera dalla sinistra la colonna ferma. La signora Savona sta passando esattamente in quel momento. La sua auto viene centrata in pieno sulla fiancata dove è seduto Riccardo, e schizza via come un fuscello con un testa coda dietro l’altro. L’urto non dà scampo: il corpo della Savona vola sull’asfalto, Riccardo resta intrappolato nel seggiolino.

Due ragazzi che si trovavano sul ciglio della strada vengono sfiorati dall’auto impazzita. La corsa verso l’ospedale «Sant’Antonio Abate» risulterà inutile per entrambi. E in ospedale si ritrovano tutti: l’autista Bentivegna con la clavicola fratturata, i due carabinieri, Spina e Laudicina, con lievi escoriazioni. Illeso Bernardo Petralia, il procuratore capo di Sciacca che sedeva alle spalle del guidatore. In ospedale inizia il mesto pellegrinaggio dei parenti. «Sono sconvolto»  È proprio il giudice ad avere l’ingrato compito di spiegare loro cosa è successo. Ne ricava l’impressione di una famiglia molto composta che si limita mestamente ad osservare che «non si passa col rosso» e «non bisogna correre troppo». Sante parole. La blindata correva. E pare che non ce ne fosse alcun motivo.

Dice Mario Buscaino, sindaco di Trapani: «Sono sconvolto. Questo è l’ennesimo contributo che la città paga all’emergenza criminalità ». Oggi lutto cittadino e , con ogni probabilità, i funerali. Trapani è davvero città disgraziata. Chi ha dimenticato Barbara Asti, con i suoi piccolissimi gemelli, centrata in pieno a Pizzolungo nel 1985 quando centinaia di chili di tritolo erano destinati a far saltare il giudice Carlo Palermo? Ora qualcuno non saprà sottrarsi al teorema idiota: se Barbara Asti restò vittima con i suoi gemelli di un attentato di mafia, Maria Savona e il suo Riccardo sono invece caduti sul fronte del «protagonismo giudiziario».

L’ideale sarebbe che venissero abolite scorte, auto blindate, zone rimozioni, che nelle città rendono la circolazione un inferno, e che fosse bandita ogni forma di militarizzazione della vita civile. Ma chi se la sentirebbe di dire a decine e decine di magistrati a rischio: andatevene in ufficio in bicicletta?

L’ironia della sorte ha voluto che proprio per oggi fosse in programma un vertice del comitato per l’ordine e la sicurezza. Che si dovesse discutere di «scorte» e ulteriore potenziamento di misure protettive attorno ai magistrati più esposti. Nell‘ intero circondario. Esigenza che recentemente era stata ribadita sia dal procuratore capo di Trapani, Gianfranco Garofalo, che dallo stesso consiglio superiore della magistratura. Tutto rinviato a nuovo ordine. Vale la pena ricordare che questa delicatissima materia già da parecchi anni non viene affidata all’improvvisazione dei singoli. Gli autisti devono rispettare vincoli, regole, tabelle di marcia per trovare il giusto punto di equilibrio fra la sicurezza della «personalità» che viene scortata e la sicurezza della collettività, della gente comune. Se così non fosse ogni città italiana si trasformerebbe in un gigantesco rodeo.

Ieri mattina, Petralia stava andando a Sciacca, nel suo ufficio, la signora Savona, che era uscita di casa, nel quartiere popolare « Villa Rosina», si stava recando nel centro storico della città.
«Rispettare le norme» Proprio il magistrato non ha difficoltà a dichiarare che non c’erano esigenze professionali tali da giustificare lo «sfondamento» di quel semaforo rosso. Anche se la paura dell‘imbottigliamento scopre sempre nervi sensibili fra gli uomini che svolgono un lavoro infame. È da analoghe storie che fu tratta anni fa l’idea del film «La Scorta» di Ricky Tognazzi.

È duro, infatti, il commento del ministro degli interni Giorgio Napolitano: «Bisogna porre fine a comportamenti inammissibili nella guida delle auto di scorta. Per quanto serie possano essere queste ragioni, bisogna tassativamente evitare, secondo direttive già impartite, eccessi di velocità e violazione di norme la cui conseguenza può essere tragica». Insomma, le regole ci sono. Vanno rispettate.

Il giudice Petralia: «Mi sento in colpa»

TRAPANI. Morale a terra, costole doloranti, un forte senso di colpa anche se non ha da rimproverarsi nulla, ricordi sbiaditi, lamiere che si accartocciavano, una nube di fumo nero, urla e panico: Bernardo Petralia, procuratore capo a Sciacca, ha 43 anni. Anche lui è stato un «giudice ragazzino»: dall‘ ’80 all’85 sostituto a Trapani, con Ciaccio Montalto, fatto a pezzi dal tritolo, con Antonino Costa, poi arrestato per corruzione, con Carlo Palermo, altra strage, altre storie… Dall’’85 al’90 giudice istruttore a Sciacca, dal ‘90 al ‘96 giudice del tribunale di Marsala. E dal 10 settembre di quest’anno procuratore a Sciacca.

Dottor Petralia, cosa ricorda dell’incidente?
Molto poco. Ricordo quando l’autista ha azionato la sirena. Poi è accaduto tutto in un attimo. Abbiamo superato la fila delle auto ferme… Il mio sportello non si apriva. Mi sono ritrovato fuori dalla «Croma», tenuto a spalla dal carabiniere che si trovava accanto a me. È stato lui a portarmi al riparo in un capannone che dista un centinaio di metri dal luogo della tragedia: si temeva un‘ esplosione da un momento all’altro. I soccorsi sono arrivati immediatamente.  Per primi sono arrivati i vigili del fuoco. Poi i carabinieri e le ambulanze. Si è data precedenza alla donna e al bambino anche se per loro, purtroppo, ormai non c’era più nulla da fare. No. Non avevamo una fretta particolare. Ed eravamo in perfetto orario. Stavo andando in ufficio, come faccio ogni giorno. Forse la paura di restare imbottigliati ha spinto l’autista, un dipendente del ministero di grazia e giustizia, ad azionare la sirena…  Tutto il resto lo ricordo vagamente.
Posso dirle che ci siamo ritrovati tutti in ospedale. E che è toccato a me, che mi trovavo in condizioni fisiche quasi normali, dovere spiegare ai parenti cosa era accaduto. Mi creda: ho trovato grandissima comprensione, e l’immenso dolore di chi è colpito così pesantemente da una tragedia priva di senso. ..

Dottor Petralia, che idea si è fatto, alla luce di questa tragedia, del problema «scorte»?
I meccanismi di sicurezza sulle strade vanno gestiti in maniera che oserei definire «temperata». Non tocca a noi magistrati interferire nei sistemi di guida, anzi le circolari ci fanno espresso divieto in questo senso. E da me non è venuta alcuna sollecitazione particolare. Ma sarebbe ipocrita fingere di ignorare quali sono le condizioni di vita di noi magistrati e degli uomini delle scorte in città come Trapani o regioni come la Sicilia. Ciò non toglie che in casi del genere non si può non avvertire un forte senso di colpa. La responsabilità morale me la sento, anche se il diavolo ci ha  messo la coda. – S.L.

 

Angeli custodi – Tanti incidenti per la velocità
Il 25 novembre 1985 in via Libertà, nel centro di Palermo, un’auto della scorta dei magistrati Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta, per evitare un‘ utilitaria che non si era accorta dell’alt del vigile, travolse un gruppo di persone che sostavano alla fermata del bus. La fermata era affollata dagli studenti del liceo Classico «Meli» che avevano appena terminato le lezioni. Biagio Siciliano, 14 anni, morì subito. Giuditta Milella, 17 anni, figlia di un dirigente di polizia, morì dopo una settimana di agonia. Venti studenti furono ricoverati in ospedale.
Qualche settimana fa la famiglia di Biagio Siciliano si è rivolta ad un quotidiano locale perché dopo undici anni lo Stato non ha ancora risarcito i danni per quella tragedia. Nel maggio scorso, a Roma, un motociclista di 23 anni, Marco Bulgarelli, era stato investito mentre era fermo ad un semaforo dalla vettura di scorta di due magistrati palermitani in trasferta nella capitale. Il giovane era rimasto gravemente ferito. L’episodio aveva suscitato forti reazioni anche perché lo stesso giorno, sempre a Roma, due persone erano rimaste uccise nello scontro con una «gazzella» dei carabinieri e, pochi giorni prima, la vettura di scorta di un magistrato siciliano era stata coinvolta in un altro incidente stradale dalle conseguenze fortunatamente non gravi. Infine, il 13 luglio scorso a Locri, in Calabria, un‘ auto di scorta del sostituto procuratore della direzione nazionale antimafia, Nicola Gratteri, ha travolto e uccise Giosué Carpentieri, 25 anni, che era sul proprio ciclomotore. I cittadini di Locri avevano manifestato la loro rabbia alzando barricate e bloccando convogli ferroviari.

 

 

 

 

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