21 Aprile 1993 Porto Empedocle (AG). Uccisi Angelo Carlisi e Calogero Zaffuto, pescivendoli di Grotte. Angelo Carlisi doveva essere “punito” per uno sgarbo.
Angelo Carlisi, 31 anni, e Calogero Zaffuto, 38 anni, erano due pescivendoli di Grotte. Furono ritrovati dagli agenti della Squadra mobile, all’interno di un autofurgone Fiorino in cui trasportavano alcune casse di pesce, sulla strada che collega Porto Empedocle (AG) con Maddalusa e San Leone, gravemente colpiti da numerosi colpi di arma da fuoco.
I familiari delle due vittime riferirono agli inquirenti che i loro congiunti svolgevano l’attività di venditori ambulanti e ogni mattina Zaffuto (che non aveva la licenza) accompagnava Carlisi al mercato ittico di Porto Empedocle per acquistare il pesce insieme a lui. I familiari riferirono che Carlisi aveva avuto dei contrasti per il furto della sua autovettura. Aveva comprato l’auto e preso in affitto un garage, dentro vi trovò una roulotte che voleva levare per far posto al suo mezzo. Ne nacque una controversia, ricevette anche un’intimidazione telefonica. L’ipotesi degli investigatori è che sia stato ucciso per aver fatto uno sgarbo ad un amico di Vincenzo Licata, boss del paese e amico personale di Giovanni Brusca che ospitò nella Pasquetta del 1993 nella sua casetta di campagna. […]
Quando venne assassinato la moglie di Angelo Carlisi era incinta della terza figlia. Calogero Zaffuto aveva due figli. (Tratto dal dal libro “Senza Storia” di Alfonso Bugea e Elio di Bella)
Fonte: centropasolini.it
Duplice omicidio Angelo Carlisi e Calogero Zaffuto.
L’agguato scattò all’uscita della galleria del Kaos, sulla strada che collega P. Empedocle con Maddalusa e San Leone. Nella foto il corpo senza vita di Angelo Carlisi. Con Calogero Zaffuto, vittima solo perché era sulla traiettoria del killer, era andato al porto per acquistare pesce da rivendere a Grotte, il loro paese.
Era il 21 aprile del 1993.
Tratto dal libro “Senza Storia” di Alfonso Bugea e Elio di Bella
Angelo Carlisi, 31 anni, e Calogero Zaffuto, 38 anni, erano due pescivendoli di Grotte.
[…]
Nelle prime ore del mattino del 21 aprile 1993, agenti della Squadra mobile di Agrigento intervengono in contrada “Caos” a seguito di segnalazione telefonica pervenuta alla centrale operativa.
All’interno di un autofurgone Fiat Fiorino, c’erano due persone gravemente colpite da colpi di arma da fuoco. Le due persone venivano identificate in Calogero Zaffuto, trasportato in stato di coma in ospedale (morì lo stesso giorno) e Angelo Carlisi, deceduto già prima dell’intervento della polizia. All’interno del furgone vennero rinvenute diverse cassette di pesce. Nel corso della stessa giornata venne ritrovata bruciata e abbandonata in contrada “Maddalusa” una carcassa di “Alfa 33”, risultata rubata in data 8 aprile in Agrigento.
I familiari delle due vittime riferirono agli inquirenti che i loro congiunti svolgevano l’attività di venditori ambulanti e ogni mattina Zaffuto (che non aveva la licenza) accompagnava Carlisi al mercato ittico di Porto Empedocle per acquistare il pesce insieme a lui. I familiari riferirono che Carlisi aveva avuto dei contrasti per il furto della sua autovettura. Aveva comprato l’auto e preso in affitto un garage, dentro vi trovò una roulotte che voleva levare per far posto al suo mezzo. Ne nacque una controversia, ricevette anche un’intimidazione telefonica. L’ipotesi degli investigatori è che sia stato ucciso per aver fatto uno sgarbo ad un amico di Vincenzo Licata, boss del paese e amico personale di Giovanni Brusca che ospitò nella Pasquetta del 1993 nella sua casetta di campagna. […]
Quando venne assassinato la moglie di Angelo Carlisi era incinta della terza figlia. Calogero Zaffuto aveva due figli.
All’udienza del 17 dicembre 1999 Falzone Alfonso confermava la confessione già resa nella fase delle indagini preliminari in ordine alla sua partecipazione, nella qualità di esecutore materiale, al duplice omicidio in contestazione.
[…]
Per il duplice omicidio sono stati condannati: Luigi Putrone, Joseph Focoso, Vincenzo Licata, Salvatore Fragapane, Giulio Albanese, Alfonso Falzone.
Fonte: malgradotuttoweb.it
Articolo del 5 giugno 2016
Il procuratore Vitello: «A Grotte un potere mafioso: bisogna aprire una pagina di verità»
di Egidio Terrana
Le parole dure del procuratore della Repubblica di Siena Salvatore Filipppo Vitello. Nel suo paese per un incontro sulle vittime innocenti della mafia, il magistrato parla della Cosa Nostra di Grotte: «Dobbiamo capire come si è arrivati in passato alla nomina di un assessore che era capobastone della mafia».
«Sulla mafia di Grotte si deve aprire una pagina di verità. Dobbiamo capire come si è arrivati nel passato alla nomina di un assessore che era capo bastone della mafia». Le parole di Salvatore Filippo Vitello, procuratore della Repubblica a Siena, sono dure e precise. Il magistrato, a Grotte, per un incontro sulla legalità e sulle vittime innocenti della mafia, punta la sua attenzione sui fatti mafiosi della zona che in passato hanno visto alleanze, omicidi, affari criminali tra esponenti criminali di Grotte e di Racalmuto.
«A Grotte – dice Vitello – è esistito un potere criminale che ha consentito la morte di Calogero Zaffuto e Angelo Carlisi, due giovani onesti lavoratori vittime innocenti di mafia. Su queste persone è caduto l’oblio e questo non è accettabile. La loro tragica morte e il loro sangue innocente deve essere additato alle nuove generazioni. Simili fatti non devono accadere. L’illegalità, la mafia si devono combattere non soltanto con la forza della legge ma anche con la forza dei cittadini. La comunità deve trovare il coraggio della verita».
«Colui che nega l’umanità non può essere definito uomo di rispetto», prosegue Vitello. «E purtroppo nelle zone grigie la gente ha rispetto per queste persone. Nel libro di Gaetano Savatteri, I ragazzi di Regalpetra, c’è un passaggio che mi ha molto impressionato. Savatteri racconta che il capomafia di Racalmuto, tale Alfonso Burruano, ricevette la rappresentanza di un prete, di un politico e di un dirigente comunale che gli chiedevano di intervenire per mettere fine ad alcuni episodi di microciminalità. Ecco, quando l’istituzione si rivolge al mafioso tradisce la propria comunità».
A margine dell’incontro, Vitello ha voluto commentare anche la lettera aperta che gli era stata indirizzata qualche giorno fa dal M5S.
In quella lettera, i pentastellati di Grotte sottolineavano che alla manifestazione sulla legalità alla quale il magistrato di origine grottese era invitato ci sarebbero stati alcuni politici e amministratori locali. «Gli stessi che il 22 aprile sono intervenuti di persona, dispensando applausi e manifestazioni di stima al candannato Totò Cuffaro – scriveva il M5S – saranno presenti nel convegno del 4 giugno 2016 per tributare a Lei, Signor Procuratore, e a Leonarda Gebbia, sorella di vittima innocente di mafia, elogi e battimani… Lei Signor Procuratore, non ritiene imbarazzante dover sentire l’applauso in memoria delle vittime innocenti per mafia, che certamente partirà dalle stesse mani che mese addietro hanno applaudito il pregiudicato per fatti di mafia Totò Cuffaro?»
Vitello ha replicato così: «Io non mi scandalizzo che persone che sono state in carcere vengano qui a raccontare la loro esperienza di detenuti, la polemica politica deve fare un passo indietro quando si parla di vittime di mafia. Però non si può accettare che chi ha subito una condanna ripristini, complice la comunità, una logica di potere».