Giovanni Spampinato e la difesa della memoria “a chilometro zero”
Giovanni Spampinato e la difesa della memoria “a chilometro zero”
di Alberto Spampinato
OSSIGENO – Roma, 4 maggio 2012
“Mancano i presupposti per ricordare Giovanni Spampinato nella sua terra”, ha detto il fratello Alberto durante la cerimonia del 3 maggio a Palermo in ricordo di tutti i giornalisti uccisi. In questo articolo spiega perché. Il ricordo dei giornalisti uccisi e la difesa dei giornalisti minacciati sono una sola cosa. Non si può difendere la libertà di cronaca e il diritto alla memoria nel mondo se non si difende a casa nostra.
Alla cerimonia che si è svolta, giovedì 3 maggio a Palermo, a Palazzo dei Normanni, in ricordo di tutti i giornalisti uccisi, alla presenza del presidente dell’Assemblea Regionale Francesco Cascio, avrei voluto parlare di mio fratello Giovanni Spampinato, giornalista dell’Ora ucciso barbaramente a Ragusa nel 1972 all’età di 25 anni. Avrei voluto parlarne, ma poi non l’ho fatto. Sono andato al microfono e ho detto: credo che in Sicilia, nella sua terra, non ci siano più le condizioni per ricordare degnamente Giovanni Spampinato.
Poi ho spiegato perché la penso così. Nei giorni scorsi, ho detto, è stato reso noto che proprio in Sicilia una istituzione pubblica ha offeso la memoria di Giovanni. Nessuno, in Sicilia, ci ha trovato da ridire. I giornali siciliani non hanno riportato la notizia. Nessuno vi ha fatto cenno neppure nel corso della cerimonia a Palazzo dei Normanni in cui si parlava proprio di come onorare la memoria dei giornalisti uccisi. Quindi, ho concluso, ciò vuol dire che Giovanni può essere ricordato degnamente solo lontano dalla terra in cui è nato e dal luogo in cui gli è stata strappata la vita.
Voglio spiegare meglio la mia amara conclusione ed illustrare, allo stesso tempo, cosa ho detto nel mio intervento a Palazzo dei Normanni, dove ho svolto considerazioni più generali, poiché ho preso la parola in rappresentanza del presidente e del segretario generale della FNSI.
Pazienza, ho detto, Giovanni lo ricorderemo fuori dalla Sicilia dove altri, come me, pensano che le istituzioni non devono mancare di rispetto alle vittime, devono rispettarle, devono impegnarsi attivamente a pretendere questo rispetto da parte di tutti.
Io penso che chi guida le istituzioni pubbliche nell’interesse della comunità anche se non ha questa sensibilità personale debba avvertire questo dovere, ed anche il dovere di mantenere con coerenza e continuità gli impegni d’onore assunti in questo senso da chi l’ha preceduto.
Io penso, e lo dico anche a costo di sollevare polemiche che qualcuno potrà considerare inopportune, di essere in diritto di richiamare a questi doveri un’amministrazione pubblica che per onorare una vittima le ha dedicato una sala, con tanto di cerimonia solenne, targa sulla porta e autorità presenti, poi ha chiuso quella sala in una data imprecisata senza dire niente a nessuno e solo dopo proteste e richiami pubblici autorevoli si è impegnata a ripristinarla. Su queste cose non si può giocare con le parole.
È bene quel che finisce bene, ed io mi rallegro che sia stato annunciata la riapertura della sala stampa della Provincia di Ragusa dedicata a Giovanni Spampinato. Ma resto dell’idea che non si possa chiudere alla chetichella una sala creata come un monumento alla memoria di qualcuno né un giorno, né un anno, né dieci anni dopo. Questo sa di beffa, di irrisione. Non si può cambiare nome ad un aeroporto intitolato a una vittima della mafia e non si possono chiudere le sale intitolate a giornalisti uccisi mentre onoravano la loro professione. Non si può fare nell’Italia civile.
Credevo che tutti condividessero queste mie convinzioni. Mi sono dovuto ricredere. Molta gente pensa che il dovere di onorare la memoria sia un obbligo fastidioso di cui liberarsi appena possibile. Molta gente pensa che i familiari delle vittime siano nient’altro che decorazioni di colore da esibire in qualche cerimonia. Mi accorgo che molta gente non riesce ad immedesimarsi con i sentimenti e con l’identità dei familiari delle vittime. Chi non riesce a capire che quello del familiare della vittima non è un mestiere ma un destino che può colpire chiunque, non capisce neppure le troppe vicende di giustizia negata, di verità attivamente nascoste del nostro paese.
Scusate, chiedo agli insofferenti, vi siete chiesti perché a volte i familiari delle vittime sono tanto invadenti? Non avete il sospetto che lo siano perché le istituzioni non compiono il loro dovere di coltivare il ricordo pubblico delle vittime e di soddisfare la loro ansia di giustizia? Che le istituzioni spesso non lo fanno, lasciando interamente questo compito ai familiari? Questo accade purtroppo e, lasciatemelo dire, è una vera ingiustizia. Le istituzioni dovrebbero rispettare e coltivare attivamente, in prima persona, nell’interesse collettivo e con continuità, la memoria dei cittadini uccisi mentre svolgono funzioni di pubblica utilità. Devono farlo soprattutto le istituzioni comunali, gli enti locali, le scuole, le università. Purtroppo lo fanno raramente, e quando non lo fanno scaricano un peso enorme sui familiari.
E poi, c’è modo e modo di difendere la memoria delle vittime. Si può fare una difesa retorica, a parole. Un oratore può dire una serie di bla bla per mettere in mostra i suoi buoni sentimenti. Oppure si può fare una difesa sostanziale della memoria di una persona con un’attività di documentazione e di divulgazione ed ostacolando i tentativi ricorrenti di distorcerne il ricordo, impedendo che si possa impunemente offenderne o cancellarne la memoria.
Le istituzioni pubbliche e le organizzazioni dei giornalisti hanno il dovere di onorare proprio in questo modo la memoria dei giornalisti uccisi. E devono farlo dicendo apertamente che parlare di queste vittime significa parlare di problemi gravissimi di grande attualità: del perché centinaia di giornalisti ai giorni nostri sono minacciati, intimiditi, subiscono gravi abusi: una censura violenta del tutto simile a quella che ha prodotto l’assassinio in Italia di quegli undici giornalisti che scrivevano di mafia e terrorismo. Anche secondo il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso il crescente numero di giornalisti minacciati in Italia deve destare allarme. Dunque difendere attivamente questi giornalisti minacciati è il modo migliore di onorare la memoria di quelli uccisi.
Infine, occorre dire che in Sicilia, in Italia non basta elencare i giornalisti uccisi in Siria, in Messico e in altri paesi. Certamente la memoria delle vittime e la libertà di cronaca si devono difendere a livello universale, ed è importante che l’Italia si indigni, si addolori e si mobiliti per ciò che accade dall’altra parte del mondo, ma i cittadini e i giornalisti devono difendere la memoria e la libertà innanzitutto ‘a chilometro zero’: ognuno sul territorio in cui vive e nel luogo in cui sono state soppresse delle vite innocenti. Se non c’è questo, perde significato anche la solidarietà continentale e a più ampio raggio .
Alberto Spampinato per www.ossigenoinformazione.it