25 Agosto 1989 Villa Literno (NA). Jerry Essan Masslo, ucciso tra i pomodori mentre cercava il riscatto dalla schiavitù.
Jerry Essan Masslo (Umtata, 1959 – Villa Literno, 25 agosto 1989) è stato un rifugiato sudafricano in Italia, assassinato da una banda di criminali, la cui vicenda personale emozionò profondamente l’opinione pubblica e portò ad una riforma della normativa per il riconoscimento dello status di rifugiato.
La morte di Jerry Essan Masslo rappresentò per l’Italia la presa d’atto della necessità di garantire adeguati diritti e doveri agli immigrati, che nel corso degli anni ottanta erano cresciuti considerevolmente di numero fino a seicentomila nel 1990. Poco dopo la sua tragica scomparsa ebbe luogo a Roma la prima manifestazione antirazzista mai organizzata in Italia sino ad allora, con la partecipazione di oltre 200.000 persone, italiani e stranieri.[1] La vicenda del mancato riconoscimento dello status di rifugiato a Jerry Masslo, in quanto non cittadino dell’Europa dell’est, portò il governo a varare, in tempi record, il Decreto legge 30 dicembre 1989 n. 416, recante norme urgenti sulla condizione dello straniero, convertito poi nella Legge 28 febbraio 1990 n. 39: la legge Martelli.
La legge Martelli, all’articolo 1, riconobbe agli stranieri extraeuropei sotto mandato dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, lo status di rifugiato, eliminando la “limitazione geografica” per i richiedenti asilo politico, stabilita in base alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata in Italia con la legge 24 luglio 1954 n.722. Furono inoltre riconosciuti e garantiti i diritti dei lavoratori stranieri. La morte di Jerry Essan Masslo segnò l’inizio d’una nuova stagione della convivenza multietnica in Italia. (Wikipedia)
Fonte: gliocchidi.it
Jerry Essan Masslo
(Umtata, 1959 – Villa Literno, 25 agosto 1989)
Mi chiamo Jerry. Ero un negro. È la prima cosa che mi hanno insegnato nel Paese dove sono nato. Non era facile vivere in Sudafrica sotto l’Apartheid. La seconda cosa che mi hanno insegnato è che non bisogna piegarsi mai. Per questo ho studiato e non mi sono mai fermato. Non mi ha fermato la sparizione di mio padre dopo un arresto. Non mi ha fermato la morte di mia figlia, uccisa da una pallottola vagante. Non mi hanno fermato.
Sono partito e sono finito a Roma in Italia. La famiglia era in salvo in Zambia. Io in un Paese che conoscevo solo dai libri. La lezione, però, l’avevo imparata bene. Anche in Italia ero un negro. Niente asilo politico, ma potevo raccogliere pomodori. A Villa Literno, vicino a Napoli. Lavorare come schiavi e vivere come animali. 1000 lire a cassetta, la gente che faceva finta di nulla, sfruttati senza difese. Per me nessuna novità.
Ma la lezione non si dimentica: non mi sono mai piegato. Quindi studiavo la chitarra, leggevo le Scritture, mi battevo per i miei diritti. Costruivo il mio futuro. Per farlo, però, ci vogliono i soldi. Quindi ancora pomodori. Ancora Villa Literno. Ancora razzismo, soprusi, raccolte di firme contro di noi. Sempre la stessa storia. Nessuna novità. Ero un negro ed è stato facile uccidermi. Perché in mezzo ai vostri pomodori, io ci sono morto. Ammazzato. Sono stato il primo in Italia.
Era il 1989. Ma la lista non si è fermata. Non si sono fermati i pomodori, non si sono fermate le raccolte di firme. Ricordatemi per quello che ero: un negro libero che non si piegava mai.
In quest’intervista di Massimo Ghirelli per la rubrica del Tg2 “Nonsolonero”, Jerry Masslo aveva raccontato la sua tragica storia: il rifugiato affermava di volersi trasferire in un altro Paese per poi poter tornare nella sua terra natia. Il clima di odio e razzismo in Italia era, a suo parere, assolutamente insostenibile.
Tutti i video qui: https://www.raiplay.it/video/2019/08/La-guerra-di-Masslo—TG2-del-25081989-d956ba93-d216-48d6-9b4d-75313500c1cc.html
Fonte: centrofernandes.it
C’ERA UNA VOLTA JERRY ESSAN MASSLO
di Jean René Bilongo*
“Caserta. Jerry Essan Masslo, uomo di colore, è stato assassinato nel corso di una rapina compiuta da sei balordi ai danni di un gruppo di negri che dormiva in un casolare di campagna di Villa Literno.”
Giornale d’Italia, sabato 26 agosto 1989.
Chi mai avrebbe immaginato che la travagliata odissea occidentale di Jerry Essan Masslo sarebbe finita in quel tragico modo? Era morto senza aver visto avverarsi alcuno dei tanti sogni e speranze che l’avevano accompagnato lungo la sua breve e turbolenta permanenza in Italia, ove aveva disperatamente creduto di poter conquistarsi una prospettiva di vita diversa, un futuro migliore. Jerry aveva dovuto fuggire dal Sud Africa, il suo favoloso paese allora divorato, da decenni, da micidiali scontri che facevano parte del quotidiano, in quanto vi prevaleva in modo istituzionale il regime della segregazione razziale, universalmente noto alla pubblica opinione col famigerato sostantivo afrikaaner di Apartheid. Non era altro che un abominevole sistema che aveva diviso due razze, chiamate alla convivenza dalla storia, in due gruppi umani antagonisti di cui uno si riteneva superiore e controllava tutto l’apparato del potere, i bianchi, ed un altro condannato alla servitù ed all’assoggettamento perpetui: i neri, che tra l’altro erano autoctoni del luogo Jerry venne al mondo nel 1959 ad Umtata, in una delle catapecchie sbilenche tirate su con fogli di lamiera ed assi di legno che erano il massimo dell’alloggio popolare dei “coloured” , stipati a milioni in giganti pattumiere come la tristemente celebre Soweto, la più grande concentrazione urbana di neri che esistesse allora al mondo, alle porte di Johannesburg. Il folle corpo di leggi vessatorie e repressive istituito dai discendenti dei colonizzatori olandesi che erano alla guida del paese ascrisse il giovane Masslo all’estrema povertà, ma non inibì, sebbene tra mille difficoltà, il suo forte desiderio di portare avanti gli studi che compì nelle scuole per i “soli neri”, acquisendo un importante bagaglio culturale che lo rese ancor più cosciente e consapevole delle terribili disuguaglianze che c’erano nel suo paese.
Sin da ragazzino, Jerry era stato testimone oculare un’infinità di volte delle barbarie della Polizia razzista di Pieth Botha nei confronti della sua gente. N’era sempre rimasto amareggiato ed addolorato. Era capitato innumerevoli volte che, unitosi a migliaia di altri oppressi, scendesse nelle strade per qualche protesta, l’unico modo con cui potessero esprimere le loro aspirazioni più profonde: uguaglianza, libertà, pari opportunità. Alle loro inoffensive grida che scandivano in modo sempre più premuroso la sete di giustizia sociale, le autorità governative mandavano prontamente come interlocutori pesanti mezzi corazzati antisommossa Hippo, dipinti a tinte mimetiche, le cui torrette aperte lasciavano vedere le facce patibolari di sbirri armati fino ai denti che si divertivano, sussurravano i superstiti nelle misere stamberghe di Johannesburg e New Brighton, a prendere di mira i manifestanti e spararli, come se fossero semplici bestie selvatiche procacciate in una normale spedizione safaristica. Spesso, ritornando a casa dopo l’ennesima manifestazione, di solito dolorosamente soffocata da poliziotti al grilletto svelto e facile, aveva udito le urla di mamme cui figli erano stati riportati inerti a casa, coperti di polvere, con lo sguardo fisso ed il vestito zuppo di sangue, dopo che qualche pallottola sparata da un fucile di assalto li avesse spaccato il petto, lasciando un buco così grande da poterci introdurre il pugno. Aveva provato anche lui lo straziante dolore di quelle morti assurde quando sua figlia fu falciata da un proiettile vagante alla tenere età di sette anni. Per non parlare delle decine di migliaia di “Missing”, come suo padre, ovvero persone che erano state interpellate dalla Polizia, portate in caserma per i consueti interrogatori e che non erano state mai più riviste dai loro cari.
Da studente politicamente attivo, Jerry Masslo aveva avuto molta simpatia per il protagonismo dei movimenti ribelli di massa come l’African National Congress –ANC, la United Democratic Front- UDF e la Black Consciousness-BC che avevano deciso di opporsi alla continua repressione. Ma sapeva fin troppo bene che fine avessero fatto gli Oliver Tambo, Chris Hanis, Steve Biko, Nelson Mandela, Thabo Mbeki, tutti nomi- icone della lotta per la libertà, che purtroppo in molti erano stati “neutralizzati”, edulcorato eufemismo che il potere bianco usava pudicamente per parlare di assassini, quando non si trattava di carcerazione a vita dietro le sbarre delle fredde celle di Robben Island, la versione locale di Alcatraz. I più fortunati erano riusciti a fuoriuscire dalla gigantesca Bastiglia sud- africana ed erano andati a vivere in esilio altrove.
Era proprio quella strada che decise d’imboccare il giovane Masslo.
Si era rassegnato, a malincuore, alla prospettiva dell’esilio. Si adoperò anzitutto a “mettere al sicuro” la giovane compagna ed i loro due figli. Avvalendosi dell’aiuto di un giro di complicità, riuscì a farli evadere nel vicino Zimbabwe, attraversando a piedi le boscaglie e le colline del nord- ovest della repubblica sud- africana, prendendo cura di non farsi reperire dalle numerose pattuglie della temutissima Military Police che setacciavano continuamente i confini coi circondanti stati dichiaratisi ostili al governo razzista di Pretoria. Avevano poi proseguito il viaggio fino a Lusaka in Zambia ove c’erano già alcuni parenti, esuli anche loro, stabilitivisi da tempo. Quando Jerry seppe che la sua famiglia aveva raggiunto salva la meta, pianse di gioia: fu la notizia più bella mai ricevuta nei suoi trent’ anni di vita.
Rimasto col fratellino, cogitava sul come fuggire. Volevano raggiungere l’Europa. Col discreto aiuto d’un amico che lavorava come marinaio su una nave mercantile, salì clandestinamente a bordo col fratello, travestitisi da addetti alla manutenzione. Si nascosero in una delle scialuppe di salvataggio appese ai lati del potente mezzo marittimo. Il nascondiglio era perfetto: coperto da una tela di plastica che rendeva improbabile la scoperta della loro presenza a bordo e provvisto di vari generi alimentari ed acqua , costantemente tenuti lì per eventuali emergenze. L’amico marinaio aveva spiegato loro che la rotta della nave avrebbe puntato sull’Europa, dopo alcuni brevi scali in vari paesi della costa australe ed occidentale dell’Africa.
Filò tutto liscio finché il fratello di Jerry non cominciò a sentirsi poco bene. Il mal di mare ed i gelidi venti marini gli avevano provocato una violenta febbre. Allo scalo nigeriano di Port Harcourt, Jerry scese discretamente dalla nave al calare del buio, confondendosi tra i numerosi operai che si davano febbrilmente da fare nelle stive. Andò ad acquistare alcuni generi farmaceutici che potessero alleviare il malessere del fratello.
Al suo ritorno al molo, il colossale mercantile non c’era più. Aveva levato l’ancora poco prima, portando via il fratello. Il destino li aveva separati. Jerry rimase in città, riflettendo sul da farsi. Doveva proseguire il viaggio. Pensò di vendere il bracciale e l’orologio d’oro che aveva. Un regalo di suo padre. L’unico bene prezioso che avesse mai posseduto. Coi quattrini ricavati da quella vendita, acquistò un biglietto aereo per l’Italia.
Sbarcò all’aeroporto internazionale Leonardo da Vinci di Roma- Fiumicino il 21 marzo 1988. Quando toccò terra, era commosso. Esultava interiormente di gioia. Ormai aveva raggiunto la meta dei suoi sogni. Era finalmente in Europa, il Vecchio Continente dell’Habeas Corpus e della Rivoluzione Francese; L’Europa di Carlo Magno, Rousseau e Karl Marx, terra di libertà e di diritti per eccellenza, la “sua terra promessa”.
Venne immediatamente bloccato al varco di Polizia. Non adempiva ai requisiti di legge per entrare in Italia. Negli adiacenti uffici dell’immigrazione ove venne condotto per i consueti procedimenti amministrativi, Jerry spiegò all’ufficiale di turno che chiedeva l’asilo politico. La richiesta colse il funzionario totalmente impreparato: le forze di Polizia impegnate nel controllo delle frontiere erano state istruite, a norma del principio della “limitazione geografica”, che l’asilo politico poteva essere richiesto solo dai cittadini dei paesi est- europei che erano riusciti a sottrarsi alle forche caudine del comunismo!
Di fronte al diniego che aveva opposto il funzionario di Polizia, Jerry Masslo chiese di essere messo in contatto telefonico con la sede italiana di Amnesty International, nota organizzazione di tutela dei diritti umani. Espose la sua situazione. Si affrettarono di mandargli incontro un operatore che lo sottopose ad un lungo colloquio conoscitivo. Al suo termine non c’era dubbio alcuno sulla storia di Masslo: era autentica e l’interessato aveva diritto alla protezione ai sensi delle vigenti convenzioni internazionali. Ma le lungaggini burocratiche non permisero il suo rilascio.
Rimase due settimane rinchiuso tra le mura dell’aeroporto. Nel frattempo, Amnesty International si attivò ad interessare alla vicenda la sede italiana dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati- ACNUR. Al termine d’un lungo ed esausto rompicapo nell’inestricabile labirinto burocratico del Viminale, l’apposita sezione adibita all’istruzione dell’asilo politico rispose con rivoltante disinvoltura che la richiesta di tale Essan Masslo Jerry non poteva essere accolta in quanto, oltre alla “riserva geografica”, erano interessati dagli “accadimenti in Sud Africa una pluralità di suoi connazionali senza però denotare intenti persecutori diretti e personali nei confronti del richiedente”. La decisione era definitiva, non impugnabile. Il diritto d’asilo politico gli era stato negato ma non era previsto alcuno meccanismo coercitivo di accompagnamento alla frontiera. Poteva rimanere in Italia sebbene senz’alcuno status giuridico definito.
Rammaricato, deluso ed incredulo, Jerry pensò solo che era una grande assurdità.
All’uscita dal suo “fermo”, fu portato presso un centro di accoglienza per stranieri, la Tenda di Abramo. La struttura faceva capo alla Comunità di Sant’Egidio, un’importante organizzazione d’ispirazione ecclesiale attiva nella promozione della pace nel mondo. Avevano da poco completato i lavori di ristrutturazione di una vecchia palazzina di tre piani ubicata in via Veneziani, a pochissima distanza da Santa Maria delle Trasvetere, nel cuore di Roma. Da lì a poco, la Tenda di Abramo sarebbe stata inaugurata ufficialmente in presenza di Desmond Tutu, il celebre arcivescovo anglicano di Johannesburg che Jerry fu commosso d’incontrare così lontano da casa. Due uomini, due percorsi di vita, un unico denominatore: il dolore per il loro dilaniato paese. In casa c’erano già ospitate altre persone, tutte straniere, di svariate nazionalità per lo più africane: marocchini, tunisini, etiopi, sudanesi, eritrei. Accolsero Jerry con estrema affabilità in mezzo a loro.
Non avendo nulla da fare poiché gli era difficile trovare un’occupazione stabile a causa del suo status d’irregolare cioè sprovvisto del prezioso permesso di soggiorno, Jerry s’impegnò nell’apprendimento della lingua di Dante. In pochissimo tempo, riusciva ad esprimersi, sebbene a stento, in italiano. Talvolta gli capitava di fare qualche lavoretto sporadico come aiutante muratore presso qualche cantiere edile oppure scaricatore di merci al mercato ortofrutticolo. I pochi quattrini che guadagnava venivano mandati subito, con vaglia postale, alla compagna ed ai due figli. Viveva per loro. Desiderava tanto riabbracciarli. Si scrivevano spesso.
Con l’arrivo dell’estate, la possibilità di trovare le solite saltuarie occupazioni divenne ancor più scarsa. Sembrava che la Città Eterna si fosse fermata all’improvviso dopo essersi svuotata di suoi abitanti. Si respirava l’aria delle vacanze. Ora Jerry doveva accontentarsi soltanto del piccolo sussidio che gli erogava l’ACNUR.
Fu allora che venne a sapere dai compagni della Tenda di Abramo che intendevano recarsi nei pressi di Napoli per la raccolta del pomodoro, in un posto che si chiamava Villa Literno. Alcuni c’erano stati l’anno precedente e dicevano di aver guadagnato un po’ di soldi lavorando sodo nei campi. Jerry manifestò subito il suo interessamento per la prospettiva: non voleva altro che lavorare. Insistettero nel fargli capire che la sistemazione da quelli parti era semplicemente inesistente. Nulla da fare, Jerry voleva unirsi a loro. Era anche incuriosito di andare a visitare l’ enigmatica metropoli partenopea che conosceva solo attraverso la quotidiana cronaca nera, ampliata dai media e che gli pareva inversamente proporzionale alla fama della locale squadra di calcio che contava tra le sue file l’incantevole Diego Armando Maradona. Si preparò freneticamente, portando con sé pochissime cose utili.
VILLA LITERNO. Una piccola cittadina immersa nella campagna in cui lavoravano dall’alba al tramonto migliaia di stranieri, per lo più neri, impegnati nella raccolta di quel “oro rosso” che aveva reso il paese famoso in tutta la regione. Col suo milione di quintali di pomodori l’anno, Villa Literno era diventata un gigante dell’economia agricola del Mezzogiorno. L’estenuante fatica di raccolta di una tale produzione veniva pagata mille lire a cassetta, quel contenitore che era stato eretto ad unità di misura della prestanza fisica dei poveri lavoratori.
Ogni giorno, Jerry si buttava corpo ed anima nel lavoro dopo che qualche proprietario di campo fosse venuto a prenderlo, insieme ad altri disgraziati, prima ancora che sorgessero i primi raggi di sole, al quadrivio del paese che era il punto di raduno del silenzioso esercito di braccianti stranieri in circa di occupazione alla giornata. I liternesi avevano sarcasticamente battezzato quel luogo la “piazza degli schiavi”.
Jerry non risparmiava le proprie forze sebbene il corrispettivo fosse ridicolo. Talvolta era capitato che il padrone- proprietario di qualche campo sparisse dopo che la compagine avesse finito di raccogliere i pomodori, senza preoccuparsi di pagare i dovuti emolumenti ai ragazzi che non potevano nemmeno sporgere denunzia dell’accaduto alle opportune sedi, per paura di esporsi a qualche guaio in quanto in molti erano senza permesso di soggiorno.
Jerry aveva dovuto accontentarsi di alloggiare in una rudimentale stamberga, con dei semplici cartoni stesi sul ruvido pavimento che fungevano da letti. Senza luce né servizi igienici. Alcuni ragazzi dormivano su brandine arrugginite sui cigli delle strade, altri ancora si riparavano in accartocciati rottami di macchine. Una condizione disumana, peggiore per certi aspetti di quella che aveva lasciato in Sud Africa. Villa Literno era ad anni- luce di quanto avesse pessimisticamente immaginato nella peggiore delle ipotesi. Benché frustrato dalla tremenda realtà, non mollò fino alla fine della stagione di raccolta che durò due mesi. Due lunghi mesi che gli parvero un’eternità. Stremato e stordito, con la magra consolazione delle poche lire che aveva guadagnato, se ne tornò a Roma presso la sua casa- alloggio di via Veneziani.
Il tempo scorreva, lento, inesorabile. Oltre all’italiano, Jerry si era tuffato anche nello studio delle Sacre Scritture. Le tribolazioni vissute sin dal suo arrivo nella penisola e l’amaro ricordo di Villa Literno gli avevano fatto avvertire ancor di più il bisogno di confidare nella Divina Providenza. Pur essendo d’ubbidienza battista, prendeva attivamente parte alle funzioni cattoliche che si svolgevano frequentemente nell’antistante chiesa parrocchiale. Nei suoi momenti di totale sbandamento, quando la nostalgia e la mancanza dei suoi dilaniati affetti l’attanagliavano, imbracciava una vecchia chitarra classica ed improvvisava un brano di Country Music a mo’ di Tracy Chapman. Il miscuglio d’inglese, italiano e dialetto sud- africano che usava in quei momenti era un lungo scorrere di risentimenti per le dannose assurdità dell’umanità e la speranza in un mondo migliore, sbarazzato di ogni turbamento.
Jerry aveva mantenuto uno stretto rapporto con la sede italiana dell’ACNUR che seguiva con attenzione il suo caso. Di fronte al rifiuto categorico del governo italiano di concedergli l’asilo, si era pensato di trasferirlo in qualche altro paese magari più disponibile. Vari stati erano sollecitati al riguardo. Il governo canadese, attraverso la sua rappresentanza diplomatica romana, aveva dato la propria disponibilità ad accogliere il sud- africano. Tuttavia c’era una serie di adempimenti burocratici da sbrigare prima che si concretizzasse l’opzione nord- americana. La prospettiva affascinava Masslo, convinto com’era che le sue vicissitudini fossero vicine alla loro fine. Era ancor più entusiasta e sereno all’idea che avrebbe potuto ricongiungersi con la sua famiglia una volta installato oltre atlantico, com’era specificato sull’apposito modulo che aveva compilato ed inoltrato presso l’ambasciata del Canada.
Talvolta, per rompere con la subdola monotonia della sua vita romana, andava in giro, alla scoperta dell’antico e straordinario patrimonio artistico capitolino. Ebbe modo di visitare ed apprezzare vari luoghi e opere sulle quali reggeva la fama della Città Eterna: la Basilica di San Pietro, il Museo, il Colosseo, il Circo Massimo, il Pantheon ed altre vestigia dell’antica Roma la cui bellezza non mancò di meravigliarlo.
Con l’attenzione alle questioni epocali che lo caratterizzava, seguiva con interesse gli accadimenti in Unione Sovietica che era allora scossa dalla Gladnost e la Perestroika, le grandi riforme introdotte da Mikhail Gorbaciov che sarebbero sfociate da lì a poco nell’imprevedibile abbattimento del Muro di Berlino, preludio al crollo del comunismo – versione- moscovita. Jerry aveva intuito che l’impetuoso vento che soffiava oltre la Cortina di Ferro non avrebbe lasciato indifferente nessun angolo del pianeta, tanto più il suo martoriato Sud Africa.
Stava tra questo stato di ansia per la partenza prossima verso il Canada e la trepidazione per la delicata situazione creatasi al Cremlino quando giunse di nuovo l’estate. E con essa, l’inizio imminente della stagione pomodoristica a Villa Literno. Non avrebbe voluto ritornarci, ma quale alternativa poteva mettere in campo? Villa Literno oppure la totale oziosità di Roma.
Col solito gruppo di amici della Tenda di Abramo, acquistò un biglietto dell’inter- regionale e sbarcò per la seconda volta nel paesino campano. Non era cambiato. Semmai era animato dalla solita effervescenza che se ne impossessava quando cominciava la stagione dell’ “oro rosso”.
La mattina successiva al suo arrivo, quando Jerry si recò al “quadrivio del bracciantato”, notò che c’erano molte più persone dell’anno precedente. C’erano tanti nuovi che volevano lavorare. I tratti somatici e le intonazioni linguistiche dei nuovi arrivati indicavano che erano arabi, venuti dal Maghreb.
Quando arrivarono i vigliacchi caporali, quegli intermediari che reclutavano la manodopera per conto dei padroni- proprietari dei campi, incassando una tangente su ogni lavoratore , notò che si discuteva febbrilmente del corrispettivo da pagare a cassetta: il prezzo della prestazione era passato da 1000 a 800 lire. L’implacabile logica di mercato aveva fatto crollare la tariffa per causa dell’eccessiva offerta di manodopera.
Dovette accettare quella misera tariffa, addolorato per la vergognosa speculazione che si faceva sul sudore di quelle migliaia di poveracci che non avevano altra scelta.
Col passare dei giorni, Masslo notava che Villa Literno era sempre più insofferente per la presenza di tanti stranieri. Era scoppiata una rissa con gli abitanti quando alcuni dei neo- arrivati nord- africani, non avendo alcun posto per ripararsi, avevano occupato i loculi vuoti del cimitero locale. La popolazione si era inferocita. Una raccolta di firme era stata lanciata: dovevano andare via gli stranieri. La situazione era sempre più tesa. Persino alcuni esercizi commerciali erano ormai “Off Limits” agli sgraditi stranieri. Si diceva che erano quasi tutti malati di AIDS e di chissà di quale altra micidiale patologia tropicale che potesse sterminare l’intero paese.
Jerry aveva sentito dire che l’amministrazione cittadina, retta da un’anomala giunta DC- PCI, aveva voluto organizzare una serie di servizi decenti per gli immigrati, ma non aveva potuto attuare l’iniziativa. Erano sorte virulenti polemiche all’interno della stessa giunta. In molti si erano dichiarati contrari a qualsiasi intervento mirato a migliorare la condizione degli stranieri.
Per ricevere qualche attenzione di tipo medico od altro, Jerry doveva recarsi a piedi a Castel Volturno, sulla Domiziana, distante di 9 chilometri, ove erano attivamente presenti alcuni gruppi parrocchiali stimolati nel servizio ai “fratelli di colore” dal clero locale che aveva organizzato il Centro Immigrati Campania- Caritas ( oggi “Centro Fernandes”).
Intanto nelle barracche- alloggi dei lavoratori stranieri, si era preso coscienza della grave situazione di sfruttamento che prevaleva. Si moltiplicavano i conciliaboli e le riunioni. Jerry vi partecipava attivamente. I braccinati volevano che fossero rispettati alcuni loro diritti fondamentali: giusta retribuzione, tutela della salute, copertura assicurativa. Si erano appellati al sindacato. Ma le resistenze erano forti. Il dialogo col padronato si era inceppato.
Gli episodi d’intolleranza e di violenza si moltiplicavano. Dopo il lavoro, Jerry e Cie non potevano nemmeno passeggiare, per timore che venissero malmenati da alcuni ragazzi del paese che avevano organizzato dei veri squadroni a mo’ Ku Klux Klan mirati a terrorizzarli e costringerli ad andare via. Gli episodi di pestaggi erano frequenti.
La pietosa sorte dei braccianti di colore aveva finito con l’attirare l’attenzione dei media. Con la caparbietà ed il protagonismo che lo caratterizzavano, Jerry non mancava un’occasione per dire la sua. Dinanzi alla telecamera del TG2, espresse la propria amarezza riguardo le vicissitudini patite da quando era arrivato nella penisola, nonché la sua ansia per l’esplosiva situazione di Villa Literno:“ […] Pensavo di trovar in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un’accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono deluso. Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo è anche qui: è fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo”. Parole di drammatico contenuto profetico.
Malgrado quel atmosfera surriscaldata, la campagna agricola andava avanti. Rimanevano pochissimi giorni alla sua fine.
Jerry si era impegnato nel duro lavoro quanto più aveva potuto. Quella sera del 23 agosto 1989, si era ritirato nel capannone per attrezzi di via Gallinelle che condivideva con altri 28 suoi compagni. Avevano trascorso un momento insieme, tra una frugale pietanza fredda ed una chiacchierata sull’andamento della giornata. Allorché si preparavano a sdraiarsi sui loro ruvidi cartoni per la nottata, un gruppo di sei ragazzi fece irruzione. Avevano il volto coperto da passamontagna ed erano muniti di mazze ed altre armi che s’intravedevano nella penombra. Intimarono che venissero consegnati loro i soldi guadagnati nei campi. Nessuno ottemperò. Ci fu un po’ d’agitazione, volavano parole indecenti, cominciò una collutazione. Fu allora che uno dei balordi colpì alla testa, col calcio della pistola, lo sprovveduto Ayuel Bol Yansen, un sudanese di 29 anni. In quello stesso istante, Jerry si affacciò per capire cosa stesse succedendo.
Impazzito, uno dei rapinatori gli sparò tre colpi con la pistola calibro 7,65 che impugnava. Jerry cadde a terra, rantolando e chiedendo aiuto. Lottava contro la morte, disteso in una pozza di sangue. Altri due braccianti furono feriti, ma in modo lieve. Il trambusto degli spari ed il fuggi- fuggi generale che seguì fecero accorrere gli altri ragazzi che dormivano sotto il muro di cinta del terreno dove si trovava la casupola. I balordi scapparono, spaventati dalla prevedibile reazione degli inferociti stranieri. Per il povero Masslo non ci fu più nulla da fare.
La notizia dell’assassinio si sparse come una macchia d’olio. I giornali di tutta Italia vi dedicarono la loro prima pagina: Villa Literno, raid di morte alla Ku Klux Klan: sette incappucciati sparano sui neri ( Il Mattino), Squadroni del razzismo ( Paese Sera), Un omicidio due volte razzista (Il Giorno).
La notizia suscitò clamore nell’intera penisola. Villa Literno stava sotto le luci della ribalta. L’Italia si scopriva razzista. Per lavare l’offesa si optò per l’organizzazione d’un solenne funerale fissato il 28 agosto 1989.
Alla funzione funebre che si svolse nella chiesa dell’Assunta, accorse una folla densa: bianchi e neri, donne ed uomini, cristiani e non, partiti ed associazioni. Alle prime file, c’erano molti rappresentanti delle istituzioni tra i quali Ottaviano del Turco, Segretario Generale Aggiunto della CGIL, l’Euro- parlamentare nera Dacia Valent e Claudio Martelli, Vice- Presidente del Consiglio. La cerimonia, trasmessa in diretta dal TG2, prese ben presto la piaga d’un rito di purificazione della coscienza. Sembrava che Villa Literno e l’Italia intera non metabolizzassero quella cattiva pubblicità di covo razzista che le era stata incollata addosso. Fu letto il messaggio di cordoglio del Pontefice per chi Jerry Masslo era una “vittima dell’intolleranza”. Un esponente della chiesa locale sostenne che quel assassinio non poteva essere bollato di deliberato atto di razzismo ma bensì una “sventurata ragazzata, un maledetto episodio di comune violenza”. Parole che suscitarono un nutrito applauso tra la folla. Villa Literno e l’Italia volevano riconciliarsi con sé stesse e con la comunità straniera del paese.
Jerry Essan Masslo fu sepolto in una tomba anonima del cimitero comunale non senza aver ricevuto l’ultimo omaggio resogli dai suoi compagni di sfortuna nel corso d’un rito etnico che si svolse al quadrivio- “piazza – degli- schiavi”.
EPILOGO
Nell’ondata emotiva provocata dalla tragica morte di Jerry Masslo, nacque un grande movimento di solidarietà con gli immigrati. Furono organizzati dibattiti e confronti pubblici sul tema dell’immigrazione. Sorse la rete associativa nazionale “Nero e Non Solo”. Era come se l’Italia si accorgesse per la prima volta della presenza di stranieri sul suo suolo.
Poco più di un mese dopo la scomparsa di Masslo, ebbe luogo a Roma la più grande manifestazione antirazzista mai organizzata in Italia. Vi parteciparono oltre 200.0000 persone, italiani e stranieri.
In Terra di Lavoro, un gruppo di medici laici guidati dal giovane chirurgo Renato Natale decise di costituire un’associazione di volontariato medico- sociale intitolata a Jerry Masslo con l’obiettivo di garantire l’assistenza sanitaria alle migliaia di stranieri presenti nel casertano.
Il governo varò in tempi record il decreto- legge 416 recante norme sulla condizione dello straniero: la legge Martelli. Nel suo articolo 3 riconobbe “agli stranieri extraeuropei sotto mandato dell’ACNUR lo status di rifugiato”. Cessò la “limitazione geografica” per i richiedenti asilo politico. Furono riconosciuti e garantiti i diritti dei lavoratori stranieri.
La morte di Jerry Essan Masslo aveva segnato l’inizio d’una nuova stagione della convivenza multi- etnica in Italia.
* Jean-René Bilongo è Mediatore Culturale originario del Camerun. Vive stabilmente a Castel Volturno in Provincia di Caserta. E’ componente del Direttivo dell’associazione “Jerry Masslo”
Articolo del 25 Agosto 2013 da lfattoquotidiano.it
Razzismo: Jerry Masslo, un raccoglitore di pomodori ha cambiato l’Italia
di Eduardo Meligrana
Era il 25 agosto del 1989 quando a Villa Literno fu ucciso Jerry Essan Masslo, giovane sudafricano, raccoglitore di pomodori, che, con il suo esempio, ha reso migliore l’Italia.
Fuggito dall’apartheid, Masslo arriva in Italia come nella terra promessa. Discriminazione, terrore, sangue avevano scandito la sua vita fino ad allora. Il padre e la figlia erano stati uccisi in Sudafrica nel corso di una manifestazione per i diritti dei neri.
Da studente, simpatizza per i movimenti per i diritti dei “coloured” come l’African National Congress che, con il leader Nelson Mandela, si oppongono con coraggio all’apartheid. Per il viaggio in Italia deve vendere un bracciale e un orologio gli unici ricordi rimasti del padre.
Quando, il 21 Marzo del 1988, atterra a Fiumicino, presenta la domanda di asilo politico, vedendosela subito rifiutata. L’asilo politico in Italia, allora, poteva essere chiesto solo dai cittadini dei paesi dell’Est che scappavano dal comunismo.
Pur sostenuto nelle sue ragioni di richiedente asilo dalla sezione italiana di Amnesty International e dall’Unhcr, l’ istanza viene rigettata, a norma del principio della “limitazione geografica”. Secondo la legislazione di quegli anni, la decisione è definitiva.
Masslo sceglie comunque di rimanere in Italia, pur senza lo status di rifugiato. Viene accolto dalla Comunità di Sant’Egidio, stabilendosi in via dei Veneziani 30, presso la “Tenda di Abramo”, un centro di accoglienza per stranieri, ospitato in una palazzina di tre piani a Trastevere, nel cuore di Roma.
Jerry vuole lavorare a tutti i costi, fa il muratore, scarica le merci al mercato della frutta e invio ciò che guadagnava alla famiglia che continua a vivere nel borgo, tristemente noto, di Soweto, alla periferia di Johannesburg.
Nell’estate dell’1989 decide di spostarsi a Villa Literno, dove era possibile trovare un lavoro stagionale per la raccolta dei pomodori. Parte senza indugio. Le condizioni dei braccianti stagionali sono pietose. Alcuni, per ripararsi, occupano i loculi del cimitero
Ma le popolazioni locali non sopportano la presenza di quelli stranieri e a Villa Literno la tensione sale. Sfruttati e mal sopportati, insomma. La notte del 25 agosto, sei criminali a volto coperto fanno irruzione nella struttura fatiscente di via delle Gallinelle, dove Masslo, assieme ad altri 30 disperati, passa la notte.
I balordi chiedono a “tutti i negri” di consegnare i pochi soldi loro concessi dai caporali. Si rifiutano tutti. Nelle colluttazioni che seguono, uno dei rapinatori esplode tre colpi di pistola che colpiscono mortalmente Masslo.
La Cgil chiede per Jerry Masslo funerali di Stato, che si svolgono il 28 agosto, alla presenza del Vicepresidente del Consiglio.
Il Tg2 si collega in diretta e, nella rubrica “Nonsolonero”, viene trasmessa una straordinaria, casuale, intervista rilasciata proprio da Jerry Masslo:
“Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un’accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono deluso. Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo è anche qui: è fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo”.
Un’ondata di emozione attraversa l’Italia che proprio in quell’ occasione scopre di essere diventata terra di immigrazione e non più di emigrazione.
Nel settembre del 1989 a Villa Literno viene organizzato il primo sciopero degli immigrati contro il caporalato e contro la camorra. Un evento storico, insomma.
Il 7 ottobre 1989 si svolge, invece, a Roma la prima grande manifestazione nazionale contro il razzismo.
Nel 1990 viene varato il primo intervento normativo organico sull’emigrazione, la legge Martelli.
Masslo, alla cui memoria è stata dedicata un’associazione, è oggi poco ricordato.
Eppure la sua testimonianza ha cambiato l’Italia. Conservarne la memoria, significa continuare, ancora oggi, a cambiare le cose. Quel raccoglitore di pomodori, quel semplice ragazzo nero di Soweto, innamorato dell’Italia, ha riscattato la coscienza civile del Paese, rendendolo migliore.
Fonte: repubblica.it
Articolo del 24 agosto 2014
Mai sentito parlare di Jerry Masslo?
di Roberto Saviano
Fuggito dal Sudafrica dell’apartheid, ucciso da bianchi a Villa Literno. Venticinque anni fa l’Italia scopriva così gli immigrati e i razzist. “Ecco perché non va dimenticato”
Avevo dieci anni quando uccisero Jerry Masslo a Villa Literno. A colpirmi non fu tanto la morte di un ragazzo sudafricano ammazzato mentre difendeva il suo salario da una rapina, quanto la fiumana dei duecentomila che per lui sfilò poi a Roma. Sfilavano per un uomo ammazzato nel casertano. La sera in casa accendevamo il telegiornale e lì dentro si parlava di Villa Literno. Per me era come se il mondo ci avesse scoperto, come se avesse d’improvviso saputo che esistevamo e che campavamo in un territorio feroce. A quella manifestazione partecipò Tommie Smith, medaglia d’oro nel 1968 a Città del Messico, quello che assieme a Lee Evans era salito sul podio olimpico senza scarpe e alzato il pugno con il guanto nero al cielo. Era venuto apposta dagli Stati Uniti per sfilare in nome di Jerry Masslo.
Il contrappunto lo dava il silenzio di Villa Literno. Spettrale. Gli immigrati scappavano certi che gli omicidi non si sarebbero fermati.
L’Italia iniziò a conoscere così l’immigrazione e il mercato dell’oro rosso. Bastava che aumentasse di pochi centesimi il costo del salario dei raccoglitori per rendere fuori mercato i pomodori meridionali. Mille lire a cassetta riempita. Oggi circa tre euro e mezzo. La raccolta si regge sui braccianti africani e slavi, turni pesanti, lunghi, a prezzi bassi. Villa Literno ha diecimila abitanti, in estate seimila in più. La piazza principale è la “piazza degli schiavi” perché è lì che si fa trovare chi vuole essere reclutato dai caporali.
Le storie di quegli anni sono state rimosse, raccolte in una pubblicistica rada e quasi tutta accademica. Poche le eccezioni, tra cui i preziosi saggi di Giulio Di Luzio Non si fitta agli extracomunitari (Eir, 2014) e A un passo dal sogno (Besa Editore, 2006). Raccontano, anche, come l’arrivo dei braccianti stranieri iniziò a mettere in crisi il meccanismo criminale. Per esempio raccontano del 4 dicembre dell’86, di quando la camorra uccide Thomas Quaye e Gorge Anang. Trucidati a Castel Volturno, i loro corpi vengono mostrati nel centro del paese a mo’ di esempio: i due ragazzi – si diceva – avevano deciso di fumarsi una canna laddove questo era tollerato solo per i bianchi. Nell’agosto dell’87, sempre a Villa Literno, Fouad Khaimarouni, muratore marocchino, viene lanciato nel vuoto dalla finestra di una palazzina in costruzione dove aveva trovato riparo. Il 30 settembre 1988 il tanzaniano Juma Iddi Bayar viene ucciso a Mondragone: viveva in una proprietà di uomini vicini ai clan. Il 6 aprile 1989 Ben Alì Hassen, tunisino, ventisei anni, viene ammazzato a Casal di Principe: è accusato dai clan di organizzare il reclutamento di immigrati. Il 3 giugno dell’89 a Cancello Arnone ammazzano il trentunenne Abderrhmann Meftah e il 18 il marocchino Baid Bouchaid a Casapesenna, accusato dal pensionato che gli spara di essere andato a vivere troppo vicino alla sua villa. Eppure gli stranieri arrivano perché i caporali al servizio dei grandi gruppi conservieri offrono lavoro. Diventano una miniera anche per l’economia locale. Che inizia a speculare. Le “cucce” in vecchi casolari abbandonati vengono loro affittate a prezzi da hotel, e nelle rosticcerie i neri pagano il doppio mentre per loro nei bar ci sono solo bicchieri di plastica. Quelli portano le malattie.
Jerry Masslo viveva in una masseria abbandonata di Villa Literno quando il 25 agosto 1989 in quattro decidono di rapinare i salari dei braccianti. è un prelievo facile, che “balordi” non camorristi e spesso figli della piccola borghesia locale ogni tanto fanno. Arrivano in motorino all’alba per trovare gli africani ancora intontiti, si mettono una calza in testa e armati urlano ai “negri” di consegnare i soldi. Un ragazzo sudanese prova ad avvertire gli altri di scappare, gli spaccano la testa con il calcio della pistola e gli rubano un milione e mezzo di lire che teneva sotto il cuscino. Decine di ragazzi corrono verso le campagne. Jerry Masslo. Anche lui corre, corre e inciampa ricordano i testimoni, cade quasi in ginocchio davanti ai rapinatori, alza le mani ma non consegna i soldi. Parla in inglese, una sola domanda: “Why?”, perché, e lo chiede ancora e ancora e ancora. Troppe volte. Quattro colpi lo colpiscono all’addome, i rapinatori feriscono anche un ragazzo keniota. Finiti i proiettili scappano sui motorini. Jerry Masslo resta a terra.
La sua morte non passa inosservata come quelle degli altri immigrati. Esiste un momento in cui il sangue si cumula, litri su litri, e supera la linea di invisibilità dello sguardo. L’Italia si accorge dell’immigrazione, più di un milione di persone le cui condizioni di vita sono ignorate. Masslo era un rifugiato politico riconosciuto dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite. Era fuggito dal regime razzista di Pretoria e riparato in Italia grazie all’intervento di Amnesty International che in un comunicato scriverà: “Jerry Essan Masslo è stato ucciso da alcuni bianchi che riteneva più accoglienti di quelli che aveva imparato a conoscere in Sudafrica”. L’intera società civile prende posizione, preti sindacalisti amministratori ministri tutti si sentono chiamati in causa. L’indignazione porta alla legge Martelli che per la prima volta regolamenterà l’immigrazione ridefinendo lo status di rifugiato. Masslo muore che aveva 29 anni. Prima di arrivare a Villa Literno era stato ospitato a Roma, nella casa di accoglienza “La tenda di Abramo”. Aveva partecipato alla sua inaugurazione alla presenza dell’arcivescovo Desmond Tutu. Aveva cantanto Cry Freedom, inno contro l’apartheid. In Sudafrica aveva perso il padre e un figlio, Jeremy, che aveva sette anni, uccisi a Soweto durante una manifestazione. Fu allora che, con suo fratello, decise di scappare. La moglie e gli altri figli fuggono in Zambia. Loro si imbarcano a Cape Town. Il fratello si ammala. Quando la nave fa una sosta in Nigeria, Jerry scende per procurarsi i medicinali. Non lo fanno più risalire, resta lì, vende tutto ciò che ha. Un orologio, un braccialetto d’oro, riesce a comprare un biglietto aereo per l’Italia. Quando atterra a Fiumicino la polizia lo trattiene in aeroporto, ci starà un mese, il tempo di riuscire a far valere la sua condizione di rifugiato politico. L’Italia doveva essere solo una tappa nel suo progetto di nuova vita. Il vero obiettivo è il Canada, certo che laggiù ci sarà pieno riconoscimento dei suoi diritti mentre l’Italia concede l’asilo politico solo ai richiedenti dell’Est europeo. Per questo motivo il rifugiato Jerry Essan Masslo non potrà cercare un lavoro regolare. Ma potrà andare a raccogliere pomodori a Villa Literno per quattordici ore al giorno.
Venticinque anni sono passati. Non sembrano così tanti. La memoria dei sentimenti dilata se stessa incurante della dimensione temporale, vive in un continuo presente. Molte cose sono cambiate e molte sono rimaste immobili. Le accuse generiche nei confronti degli immigrati sono le stesse di allora. Lo ius soli è un miraggio. Migliaia di ragazzi nascono in Italia, studiano in Italia, vivono formandosi come italiani e ancora non hanno passaporto italiano perché figli di stranieri. Eppure. Nell’Italia del sud, cerniera tra Europa e Africa, i migranti arrivano là dove gli italiani abbandonano, costruiscono lavoro e mercato. Portano diritti. Yvan Saignet, per esempio, ingegnere camerunense, raccoglitore di pomodori in Puglia: è riuscito a ottenere che in Italia venisse introdotto il reato di caporalato. Ed è proprio dalla lotta contro razzismo e caporalato che al Sud sono nate le esperienze politiche migliori. L’impegno del vescovo Nogaro, faro di saggezza nei momenti più duri della storia del casertano. Renato Natale oggi sindaco a Casal di Principe. Dimitri Russo sindaco di Castel Volturno. Castel Volturno è la città più africana d’occidente. Dovrebbe essere un laboratorio prezioso, rischia di essere un ghetto dove anche gli amministratori perbene non riusciranno, soli, a mutare il corso delle cose.
La storia di Masslo non va dimenticata non solo per conservare il dolore per lo spreco di una vita preziosa colma di forza. Ma per mostrare che il percorso iniziato è ancora lontano da compiersi. I conflitti innescati dai flussi migratori sono naturali, innaturale è che in Italia non ci sia ancora una vera strada per stabilizzare la presenza migrante considerandola una risorsa preziosa. Siamo ancora lontani dall’avere un numero importante di imprenditori, medici, poliziotti, africani o di origine africana in grado di nutrire un nuovo percorso di integrazione. L’unica strada per risolvere le contraddizioni è quella semplice da individuare e ardimentosissima da realizzare: il riconoscimento dei diritti. E questo Jerry Essan Masslo lo aveva capito sino in fondo.
Fonte: napoli.repubblica.it
Articolo del 23 agosto 2019
Villa Literno, il ricordo di Jerry Masslo: “Ucciso 30 anni fa per razzismo”
Scappava dall’apartheid del suo paese, il Sudafrica: trovò la morte in provincia di Caserta. La Comunità di Sant’Egidio ha organizzato un’iniziativa in sua memoria
di Raffaele Sardo
Scappava dall’apartheid del suo paese, il Sudafrica, trovò la morte a Villa Literno, in una calda notte, tra il 24 e il 25 di agosto di trent’anni fa. Jerry Essan Masslo, rifugiato politico riconosciuto dall’Onu, non aveva compiuto ancora 30 anni quando fu assassinato da alcuni balordi. Dormiva in un casolare diroccato nelle campagne di Villa Literno. Per letto aveva solo un ammasso di cartoni.
Quella notte arrivarono in quattro in motorino per rapinare ” i neri” nel giorno di paga. Doveva essere un colpo facile. “Cacciate i soldi, questa è una rapina ” . Urlò quello che sembrava il capo della banda. Qualcuno reagì e cominciò una colluttazione. AyuelBolYansen, un sudanese di 29 anni, fu colpito alla testa con il calcio di una pistola. Jerry, che dormiva in un altro stanzone diroccato, si affacciò. Uno dei rapinatori gli sparò tre colpi di pistola. Altri due braccianti furono feriti, ma in modo lieve. Per Jerry Masslo non ci fu nulla da fare.
Trent’anni li avrebbe compiuti il 4 dicembre di quello stesso anno. Morì in quel posto sperduto anche il suo sogno di rifarsi una vita in Canada, il visto stava per arrivare. Jerry Masslo era arrivato a Fiumicino il 20 marzo 1988 alle 19,45, con un volo da Lagos. Fu bloccato in aeroporto. Jerry spiegò la sua situazione e chiese l’intervento di Amnesty international. Rimase a vivere in aeroporto per quattro settimane. Divenne subito un caso. La vicenda finì sul tavolo del ministro dell’interno dell’epoca, Amintore Fanfani.
“Non poteva entrare in Italia – racconta Daniela Pompei, responsabile della Comunità di Sant’Egidio di Roma per i servizi agli immigrati – si cominciò a trattare con le autorità. Noi avevamo appena aperto la prima casa di accoglienza, la Tenda di Abramo. E tra i primissimi ospiti è arrivato Jerry. Lui suonava molto bene la chitarra e sapeva anche cantare. Riuscì a conquistare l’amicizia di persone di altre nazionalità. Ma cercava lavoro. Così insieme ad altri quattro amici è andato a Villa Literno a raccogliere pomodori”.
Jerry si presentava alle cinque del mattino al quadrivio di Villa Literno, “la piazza degli schiavi”, offriva le sue braccia per raccogliere pomodori per mille lire a cassetta. Ma la cittadina era sempre più insofferente per la presenza di tanti stranieri. Era scoppiata una rissa con gli abitanti quando alcuni dei nuovi arrivati avevano occupato i loculi vuoti del cimitero locale per dormire. La situazione era sempre più tesa. Persino alcuni esercizi commerciali erano vietati agli immigrati.
Jerry rilasciò un’intervista al Tg2, in cui usò parole amare: “Pensavo di trovar in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un’accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono deluso. Avere la pelle nera in questo Paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo è anche qui: è fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro Paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato e allora ci si accorgerà che esistiamo”.
“Non è che oggi le cose siano cambiate di molto da questo punto di vista – dice Tammaro della Corte, della segreteria provinciale Flai Cgil – sono ancora gli immigrati nordafricani a raccogliere pomodori. Lavorano al nero senza alcun rispetto dei contratti vigenti. La paga è di un euro a cassetta e ogni bracciante riesce a farne dalle 30 alle 35 al giorno”.
“La morte di Jerry è stato anche un po’ l’inizio di un cambiamento dice ancora Daniela Pompei – ci fu la presa di coscienza da parte degli italiani. La notizia dell’assassinio del giovane sudafricano si sparse a macchia d’olio. Ai funerali, che andarono in diretta sulla Rai, parteciparono anche esponenti del governo, tra cui il vice presidente del consiglio, Claudio Martelli. Fu lui poi a farsi promotore di una legge che ha cambiato la vita di molti migranti che venivano da Paesi che non erano dell’Unione europea. Da quel momento in poi hanno potuto chiedere asilo politico”.
Dalla morte di Jerry Masslo, videro la luce tantissime iniziative di solidarietà con i migranti. Nacque anche l’associazione di Medici volontari “Jerry Masslo”. L’obiettivo era quello di assicurare assistenza sanitaria ai tanti immigrati che si stabilivano nella fascia di territorio tra Castel Volturno e Casal di Principe. A presiedere quell’associazione, ieri come oggi, è Renato Natale, medico e attuale sindaco di Casal di Principe. Natale ogni martedì e giovedì, come sempre da trent’anni, si reca al Centro Fernandes a Castel Volturno per assistere gli immigrati.
“Speravo che dopo trent’anni non ci sarebbe stato più bisogno della nostra associazione che, tra l’altro, non sta bene in salute – dice Natale – perché io sono occupato a fare il sindaco e ci sono state in questi anni una serie di defezioni, com’è naturale che sia. Quello che mi conforta, è sapere che c’è una parte della popolazione che ancora si ricorda di quello che ha rappresentato Jerry Masslo per questa terra. Sulla sua tomba, infatti, anche lontano dalla cerimonia che viene svolta a fine agosto, c’è sempre qualche fiore o qualche cero. Significa che quella morte ha toccato il cuore di tante persone che credono ancora nei valori della solidarietà e dell’accoglienza. E, visti i tempi difficili che stiamo attraversando, non è poco. Jerry ne sarebbe contento”.
Leggere anche:
vivi.libera.it
Jerry Essan Masslo – 25 agosto 1989 – Villa Literno (CE)
Quanta forza deve avere un sogno per non spezzarsi? Jerry Masslo era arrivato in Italia come in una terra promessa. Scappava dal Sudafrica e dall’apartheid, credeva in un futuro senza barriere né pregiudizi. Un futuro che l’Italia non gli ha saputo dare.