NAPOLI CRIMINALE di Bruno De Stefano
Fotocopertina e nota da newtoncompton.com
Un far west senza sceriffi dove il crimine impera indisturbato. Ecco come appare Napoli a chi legge le cronache che raccontano di una città mattatoio attraversata da una violenza che non risparmia niente e nessuno. Non c’è un’altra metropoli al mondo in cui il sangue imbratta, senza distinzioni sociali né geografiche, le strade eleganti e i vicoli malfamati, i quartieri dei ricchi e i rioni dei poveracci, i palazzi della politica e le stanze del potere. Nel vasto e variegato catalogo degli orrori che si sono consumati all’ombra del Vesuvio, uno spazio rilevante è occupato dai clan della camorra che con le loro guerre hanno provocato centinaia e centinaia di morti. Ma si commetterebbe un grosso errore nel ricondurre tutto il male solo ai macellai delle cosche che si combattono per accaparrarsi il mercato della droga o il controllo delle estorsioni. Perché Napoli è anche la città dell’inafferrabile mostro che massacrò una famiglia in via Caravaggio, dell’oscuro e ancora impunito delitto dell’affascinante Anna Parlato Grimaldi, della tragica fine di due ragazzine conquistate dai modi gentili di tre bulli di Ponticelli protagonisti di un processo lungo e tormentato. Ma Napoli è anche la città dove a voler far bene il proprio dovere si rischia la vita, come testimoniano l’assassinio di un poliziotto onesto come il capo della Squadra mobile Antonio Ammaturo e l’agguato a un giornalista troppo curioso come Giancarlo Siani. Ed è anche la città in cui vengono uccise persone innocenti la cui unica colpa è di vivere nel far west. Ma forse Napoli è peggio del far west.
Indice del volume:
Pupetta Maresca, la ragazza con la pistola
Il mostro di via Caravaggio
Il delitto di Anna Parlato Grimaldi
Giuseppe Salvia, il nemico di Cutolo
II rapimento di Ciro Cirillo
Morte di un vicequestore onesto
Tre belve a Ponticelli
Giancarlo Siani: un giornalista troppo curioso
Un cadavere nella valigia
La villetta dell’orrore
Sangue a due passi dalla questura
Maurizio Estate, quando il coraggio vale una vita
Far west al Vomero
Omicidio-suicidio nello studio di un avvocato
Uno casalinga dalla doppia vita
Piombo sugli operai
Il poliziotto pistolero
Gigi e Paolo, due vittime innocenti
L’assassinio dell’amica d’infanzia
L’insegnante murata nello scantinate
Un “santo” punito per una svista dei killer
Una testa mozzata tra I rifiuti
Basic istinct a Casandrino
La strage di bambini
Recensione del libro “Napoli Criminale” di Bruno De Stefano (Newton Compton)
Di: Sergio Palumbo
Il saggio di Bruno De Stefano sulla criminalità a Napoli è di scottante attualità, oggi che questa tormentata città è all’amore delle cronache nazionali non per la sua indiscussa bellezza o la sua vivace cultura di capitale del Mezzogiorno, ma per gli orrori di una violenza che giornalmente insanguina strade e vicoli, senza risparmiare neppure i bambini. La lunga sequenza di delitti si snoda per circa mezzo secolo, dagli anni Cinquanta con le “gesta” di Pupetta Maresca ai giorni nostri, con la dolorosa schiera dei bambini ammazzati spesso per errore, perché capitati nel posto sbagliato al momento sbagliato e diventati così innocente bersaglio di una camorra che ormai spara nel mucchio,come è toccato, ad esempio, alla piccola Valentina di 2 anni (novembre 2000) o ad Annalisa Durante, 14 anni (marzo 2004).
Di particolare interesse è tutta la vicenda del sanguinoso sequestro di Ciro Cirillo (l’uomo politico democristiano che fu fedelissimo di Gava) da parte delle B.R. e della sua misteriosa liberazione, forse per la mediazione della camorra di Cutolo, con tutti gli oscuri retroscena politici che il fatto implicò, coinvolgendo gran parte della classe dirigente di allora e i tanto discussi servizi segreti. Conseguenza ultima ne fu poi l’assassinio del vicequestore Ammaturo, un poliziotto scomodo perché sapeva troppo e aveva il torto di voler fare il proprio dovere: uno dei tanti “misteri d’Italia” noti alla penna di Carlo Lucarelli.
Ci sono poi le fosche vicende di una violenza privata i cui artefici sono spesso rimasti occulti: casi che a suo tempo suscitarono l’interesse morboso degli appassionati di cronaca nera, come i delitti del “mostro” di Via Caravaggio, l’assassinio della giornalsita Anna Parlato Grimaldi o il massacro di due bambine da parte di tre giovinastri, che per tutti divennero le “belve di Ponticelli”.
Particolarmente toccante la vicenda di Maurizio, ucciso per aver generosamente difeso una persona da un balordo che voleva rapinarla, o l’uccisione del giornalista Giancarlo Siani, colpevole di avere troppo curiosato negli affari loschi della camorra per fare degnamente il proprio mestiere.
Il quadro che ne emerge è davvero desolante e il saggio si legge col cuore stretto, non solo da parte di chi vive in questa sfortunata città, ma anche di chi l’ama e vorrebbe trovare, tra le pieghe della sua quotidiana realtà, uno spiraglio di speranza.
D’altra parte, però, la lettura è godibile per la ricostruzione accurata dei vari casi criminali che ha la sequenza appassionante del giallo, con una prosa limpida e distesa che non fa lasciare il libro prima di averlo terminato.
Articolo da La Repubblica del 28 Novembre 2006
La realtà dei giornali
di Bruno De Stefano
Confesso al presidente Napolitano che sento di appartenere a quella schiera di giornalisti che, come egli ha dichiarato, «danno una rappresentazione ingiusta e tendenziosa di Napoli». Ho da poco pubblicato il libro “Napoli criminale”, un titolo che non è piaciuto a molti rappresentanti delle istituzioni di ogni ordine e grado e di diverso orientamento politico. Ho scritto che la nostra città sembra «un Far West senza sceriffi» e che «più che l’ area metropolitana di una delle otto potenze mondiali, Napoli e il suo hinterland appaiono agli occhi di molti come un’ enclave di un Paese sudamericano».
Dunque, secondo quanto il Presidente afferma, potrei essere bollato come uno dei tanti denigratori che partecipa, consapevolmente o meno, alla demolizione dell’ immagine di Napoli, scivolando nel classico errore di buttar via il bambino insieme all’ acqua sporca. Siccome non partecipo volentieri al coro, spesso ipocrita, di chi sostiene che vadano valorizzate le tante cose buone che pure ci sono, potrei essere inserito nella lista di quelli che non amano Napoli, visto che un libro come il mio rappresenta una ulteriore palata di fango sulla reputazione della città. Io invece credo che, al di là delle ciniche e inevitabili speculazioni politiche, forse è proprio chi non esita a mostrare le sanguinanti ferite di Napoli sui giornali, in tv e nei libri che compie un atto d’ amore nei confronti della città: quello che si legge o vede in tv sono delle grida di aiuto, sono un disperato tentativo di urlare la propria rabbia di fronte alla solitudine nella quale vivono le tantissime persone oneste che abitano a Napoli e nel suo hinterland. In “Napoli criminale” racconto anche le storie, dolorosissime, di gente che ha pagato con la vita la barbarie che infesta le nostre strade; voglio ricordare la tragica fine di Gigi Sequino, Paolo Castaldi, Antonio Vairo, Silvia Ruotolo, Maurizio Estate, gente perbene e senza colpe finita all’ altro mondo proprio perché viveva in questo sconfinato mattatoio chiamato Napoli. L’ ultimo capitolo, poi, è dedicato a quindici tra bambini e adolescenti assassinati nel corso di sparatorie tra camorristi. Come chiamerebbe il presidente Napolitano un luogo in cui da decenni si muore ammazzati mentre si è al bar, o si cammina per strada tenendo un bambino per mano, o si è seduti a chiacchierare davanti a casa? A mio modesto avviso solo se prendiamo tutti coscienza del baratro che ci troviamo davanti, possiamo reagire; se invece continuiamo a sostenere che ci sono giornali, tv e scrittori che si divertono a lanciare fango contro tutto e tutti, rischiamo di commettere un tragico errore spostando, per l’ ennesima volta, le responsabilità su una categoria che avrà tante colpe ma che, fortunatamente, non rinuncia a svolgere il suo lavoro: raccontare la realtà che ci circonda. Non occultare gli orrori che si consumano a Napoli non significa affatto ignorare o sminuire quanto di buono c’ è; è soltanto un tentativo di contribuire a scacciare via il male che mortifica le persone oneste. Ecco perché voglio ribaltare il senso dell’ invito del Presidente a «prendere sottobraccio chi scrive queste cose o ne parla in tv e facciamogli vedere quello che di buono succede e che non sa». Sarei felice di essere io a prendere il Presidente sottobraccio per condurlo nei luoghi e tra le persone dove è più palpabile l’ angosciante solitudine di chi si è rassegnato a subire perché non crede più in uno Stato che fa solo da becchino contando i morti. Chiedo al Capo dello Stato, almeno per un giorno, di rinunciare alle cerimonie ufficiali e agli incontri istituzionali e di mescolarsi alla gente comune. Solo a contatto con la frustrazione di quanti sono avviliti da una violenza senza confini, potrebbe comprendere che la «rappresentazione ingiusta e tendenziosa» che attribuisce ai mass media è, piuttosto, una fotografia di una realtà che annienta anche le coscienze più vive. Venga il Presidente a rendersi conto di come l’ unico Stato che molti cittadini conoscono non è quello che egli rappresenta ai massimi livelli.