Azzardopoli – Dossier di Libera sul gioco d’azzardo in Italia (2012)
11. Malati di gioco
E’ stata paragonato a un rogo che tutto brucia. L’area di rischio riguarda potenzialmente due milioni di persone in Italia e non risparmia i pensionati. Federico Tonioni, responsabile dell’ambulatorio Gemelli di Roma per le nuove dipendenze (è con le Molinette di Torino l’unica struttura specifica esistente in Italia) diagnostica: “Bisogna abbandonare l’idea che i giocatori patologici siano quelli seduti dietro un tavolo di poker. La fotografia è oggi ben diversa: ci sono giovani attaccati al computer intenti a puntare online per ore e ore, gli over 70 che comprano centinaia di Gratta e Vinci, professionisti che buttano tempo e denaronelle sale scommesse”.
E’ un’area in espansione quella della devianza e, dunque, della prevenzione, anche se il momento in Italia non è dei più propizi per investire sulle strutture di recupero, come si evince dal quadro della sanità in generale. La constatazione è impietosa: lo Stato ti spinge verso la devianza; lo Stato, in piccola percentuale, prova a recuperarti. Ma in Parlamento c’è chi è stato sensibile all’invasività mediatico-pubblicitaria dell’industria del gioco parastatale. Ed ha promosso una crociata contro la pubblicità invasiva e subliminale, invocando una maggiore tutela per i minori. “La pubblicità sui giochi è troppo martellante, c’è gente che si rovina, bisogna cercare di abbattere questo rischio, anche sotto il profilo normativo” – ha invocato il senatore del Pd, Luigi De Sena, che ha presentato un disegno di legge mirante a istituire il “Divieto di propaganda pubblicitaria a tutela dei consumatori, in particolare dei minori e delle fasce deboli e sensibili” proprio in relazione ai fenomeni ludopatici”. La violazione del divieto sarebbe punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 100.000 euro, a carico del trasgressore. In caso di recidiva, si applicherebbe la sanzione amministrativa pecuniaria da 50.000 a 200.000 euro. “Basti pensare – ha sottolineato De Sena – Che c’e’ un’impennata del gioco nei giorni in cui gli anziani riscuotono la pensione. Bisogna tutelare le fasce deboli e i minori in particolare, tenendo conto che la pubblicità propone un miraggio. Stop ai cartelli stradali e agli spot in tv: la pubblicità va limitata ai soli luoghi dove si esercita il gioco lecito.
E’ un percorso condiviso – rimarca De Sena – che va coniugato con altri disegni di legge, giacenti da tempo al Senato”.
Oggi si misura tutto con il miraggio del guadagno: si gioca, si reinveste e, se si vince qualcosa con il Gratta e Vinci, si apre una spirale che porta alla ludopatia.
C’è una stima di campo sul numero dei giocatori patologici. Secondo l’Alea, l’associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio, sono l’1-3% dell’universo dei giocatori d’azzardo. Tutte le ricerche, inoltre, dimostrano che la maggior quantità’ di giochi a disposizione, sia come numero che in termini di possibilità di accesso temporale, e’ direttamente proporzionale a un aumento del numero di persone che perdono il controllo e che diventano giocatori problematici o patologici”.
Secondo la Ricerca nazionale sulle abitudini di gioco degli italiani curata dall’Associazione “Centro Sociale Papa Giovanni XXIII”, e coordinata dal CONAGGA, di fine novembre 2011, volta ad indagare le abitudini al gioco d’azzardo della popolazione italiana è possibile fare un’ipotesi sul numero della popolazione patologica in Italia. In considerazione del fatto che ci sono 47.5 milioni di italiani maggiorenni e che il 71% di questi si stima avere giocato e che fra i giocatori ve ne siano il 5,1% a rischio e il 2.1% patologico… è possibile stimare che in Italia vi siano 1 milione e 720 mila giocatori a rischio e ben 708.225 giocatori adulti patologici, ai quali occorre sommare l’11% dei giocatori patologici minorenni e quelli a rischio. Il che significa che si stima che sono più di 800 mila dipendenti da gioco d’azzardo e quasi due milioni di giocatori a rischio.
Se poco più del 29% delle persone dichiara di non avere giocato neppure una volta nell’ultimo anno, il 71% ha giocato in modo variabile.
Il gioco d’azzardo è più maschile che femminile: i maschi che giocano sono il 76,4%, mentre le femmine che giocano sono il 67,6%. Rispetto ad una prima analisi fra le principali differenza fra chi gioca e chi non gioca, appare evidente che il gioco d’azzardo aumenta con la diminuzione della scolarizzazione. La maggior parte di chi ha una scolarizzazione mediobassa gioca d’azzardo (il 75,7% di chi ha la licenza elementare e l’80,3% di chi ha la licenza media), poi con la licenza scolastica superiore la percentuale scende al 70,4% e cala ulteriormente fino al 61,3% dei laureati che dichiarano di giocare d’azzardo.
Facendo un’analisi più approfondita a seconda del sesso dei partecipanti alla ricerca si ha conferma di una cosa che non sorprende: che le donne giocano più degli uomini al Superenalotto, al lotto, ai gratta e vinci, ai giochi telefonici, al win for life, alle lotterie, ma anche ai giochi on line; mentre gli uomini giocano di più a totocalcio, slot machine, scommesse nelle agenzie, videolottery, casinò e giochi di carte.
I giocatori patologici dichiarano di giocare oltre tre volte alla settimana, per più di tre ore alla settimana e di spendere ogni mese dai 600 euro in su, con i due terzi di costoro che addirittura spendono oltre 1.200 euro al mese.
Purtroppo, nonostante in Italia sia vietato il gioco d’azzardo a chi non ha compiuto 18 anni, Intanto piccoli giocatori d’azzardo crescono. E’ sempre maggiore il numero degli adolescenti di età comprese tra i 12 e 17 anni che spendono 30-50 euro al mese in Gratta e Vinci, scommesse sportive, Lotto e Superenalotto. A porre in evidenza il problema e’ Luca Bernardo, direttore del dipartimento di Pediatria dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano. “Il fenomeno dei baby-scommettitori e’ in crescita – spiega Bernardo – Molti ragazzi tra i 12 e 17 anni giocano d’azzardo, spendendo circa 30-50 euro al mese in gratta e vinci, slot machine e poker online, eludendo quindi i divieti imposti ai minorenni”.
Il problema e’ che in alcuni casi gli stessi “finiscono per diventare giocatori accaniti e patologic i- continua – Il gioco diventa cioè una droga, per cui sono pronti a rubare soldi in casa o anche fuori”. In base ai dati presentati dall’esperto emerge che la diffusione del gioco d’azzardo nei ragazzi cresce al ritmo del 13% l’anno. Dal 2008 al 2009 la percentuale di studenti tra i 15 e i 19 anni che ha giocato in denaro almeno una volta in un anno e’ aumentata dal 40% al 47%. L’aumento maggiore e’ stato fra le ragazze, passate dal 29% al 36%, mentre i maschi sono saliti dal 53% al 57%. In testa alla classifica per regioni al primo posto c’e’ la Campania con il 57,8% di studenti “giocatori”, cui segue Basilicata (57,6%), Puglia (57%), e, a seguire, Sicilia, Lazio, Abruzzo, Molise, Sardegna, Calabria e Umbria, tutte oltre il 50%. Agli ultimi posti ci sono Trentino (35,8%), Friuli Venezia Giulia e Veneto (36,3%). I posti preferiti per giocare sono bar e tabaccherie (32%), case private (20%) e sale scommesse (12%).
Per chi cerca il punto di partenza storico del problema l’anno epocale è il 1980 quando l’organizzazione mondiale della Sanità riconosce il gioco d’azzardo patologico come una vera e propria malattia psichiatrica. Non a caso il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, dall’acronimo Dsm, dedica ampio spazio a questa devianza riconoscendola come “un comportamento mal adattativo persistente e ricorrente”. Vorrà dire qualcosa se, secondo un dato dell’Eurispes del 2005, il gioco d’azzardo veniva praticato da un 66% di disoccupati?
Nell’ottica di questi soggetti senza occupazione si può considerare come una ricerca di lavoro o un uso dissennato del tempo libero? La retorica della domanda suggerisce inevitabilmente la risposta. Ma se un italiano su cento è dentro questa maglia di patologia, a volte cronica, il numero delle persone coinvolte cresce esponenzialmente perché è stato calcolato che ogni ludopatico investe del problema o trascina nel gorgo della propria devianza almeno altre sette persone. Non necessariamente all’interno dei nuclei familiari, come si evidenzia da una semplice constatazione numerica. Dunque l’universo delle persone effettivamente coinvolte in Italia da questa patologia sfiora i tre milioni di unità con complesse interazioni familiari e costante trasmissione di patologie, quasi un passaggio automatico.
Solo a Roma esistono almeno sette gruppi anonimi di giocatori compulsivi che cercano uno sbocco per uscire dalla nevrosi maniacale del gioco. Secondo il manuale citato per riconoscere come tale il giocatore patologico è necessario riscontrare nello stesso almeno cinque criteri fondati compresi nel seguente elenco di dieci:
· E’ eccessivamente assorbito nel gioco d’azzardo;
· Ha bisogno di giocare d’azzardo con quantità crescenti di denaro per raggiungere l’eccitazione desiderata (né più né meno se fosse un orgasmo di tipo sessuale, ndr);
· Ha ripetutamente tentato, ma con insuccesso, di controllare, ridurre o interrompere il gioco d’azzardo;
· E’ irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo;
· Gioca d’azzardo per sfuggire a problemi o per alleviare un umore distonico;
· Dopo aver perso denaro al gioco spesso torna un altro giorno per giocare, rincorrendo le proprie perdite;
· Mente ai familiari, al terapista o ad altri per nascondere l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco;
· Ha commesso azioni illegali per finanziare il proprio gioco d’azzardo;
· Ha messo a repentaglio o ha perso una relazione significativa, il lavoro od opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo;
· Fa affidamento sugli altri per reperire denaro o alleviare una situazione finanziaria disperata.
E la componente femminile è in costante aumento in questo universo. Attualmente le donne che si rivolgono alle strutture di assistenza sono il 28% del totale. Ed è stato trovato un nesso non casuale tra l’alcoolismo e la patologia del gioco d’azzardo con una sovrapposizione di devianze, come se lo sviluppo dell’una inducesse la frequentazione dell’altra. Un altro accostamento frequente è quello con il tabagismo. La situazione psicologica indotta nella frustrazione da gioco induce a trovare una sorta di riparo nel fumo. Ma con la terapia questa pratica tende a scomparire nella misura del 30%. Abbastanza frequentemente anche l’uso di droghe (particolarmente accostabile la cocaina) è apparentato a queste patologie. Nel Piano d’azione nazionale sulle droghe che risale al 2008 il riconoscimento del gioco d’azzardo patologico viene indicato come una delle 66 azioni contemplate dalla casistica. Questo Piano ha una dimensione quadriennale nell’attualità (2009-2012) e viene tradotto in Piani regionali “con la conseguente possibilità di attivazione e messa a punto di servizi adeguati per il trattamento”. In materia di gambling c’è un progetto Interregionale affidato alla Regione Liguria. Anche la Regione Piemonte è tradizionalmente all’avanguardia e ha avviato alcuni progetti locali che, compatibilmente con le risorse finanziarie a disposizione, sono stati lanciati a Torino, Alessandria, Collegno/Pinerolo anche con caratteristiche di propaganda dei rischi del gioco d’azzardo e delle derive patologiche. Iniziative sotto l’egida dei Giocatori Anonimi e dell’Ascom. E poi c’è il Conagga, il Coordinamento dei gruppi per giocatori d’azzardo: è un intrico di associazioni solidali che abbracciano tutto il territorio e che a dicembre si è data appuntamento per un congresso nazionale a Rocca di Vignola sul tema: “I luoghi del gioco nella contemporaneità”. Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta e docente di psicologia del lavoro presso l’università di Chieti, ha riadattato le categorie utilizzate per l’alcoolismo dallo psichiatra Luigi Cancrini al gioco d’azzardo, tracciando una sorta di identikit del soggetto a rischio con dati riferiti al 2011. “Su un campione di 500 persone reperite nelle sale scommesse di tutta Italia il 97% ha tra i 18 e i 28 anni, è uomo, è single e nel 12% dei casi punta soldi alle slot machine”. Il secondo profilo probabilistico inquadra un uomo di età compresa tra i 51 e i 61 anni.
L’elemento ineluttabile con cui si confrontano le strutture di recupero è uno scontro: invariabilmente il giocatore sente di poter tenere sotto controllo il proprio vizio. Che, altrettanto invariabilmente, gli sfugge e lo domina. Fino a che la situazione non precipita, spesso nel precipizio della violazione del codice penale, con furti e malversazioni di ogni genere, intuite come un doveroso capolinea rispetto alla propria disastrata condizione psicologica. Quando si incomincia la terapia c’è un grande vuoto da riempire perché la coazione al gioco svuota: la pratica è assolutamente priva di valori gratificanti, non è un hobby che arricchisce l’esistenza né un interesse forte e reale, ma una sorta di applicazione sovrastrutturale alla propria vita. Siamo lontani dal prototipo dell’Homo ludens di Huizinga, qui il recinto è stretto e ben più angusto. L’identikit di chi si rivolge alle strutture d’assistenza descrive un soggetto in prevalenza sposato (68% dei casi), che svolge un lavoro dipendente (51%), in possesso di un diploma (69%).
Dunque il fenomeno affonda nella società media ed ha una capacità di penetrazione e diffusione considerevole. Il giocatore patologico spesso viene assistito nell’operazione recupero dai familiari. E con gli esiti di una ricerca contenuta negli Archives of General Psychiatry è stato dimostrato che hanno un’importanza determinante i geni. “C’è una connessione padre-figlio ed anche tra i gemelli, in particolari se omozigoti. E sarebbe bene che i padri controllassero i figli perché, nel gioco d’azzardo, i negozi con distributori hanno anche spazi con slot machine dove i minori possono tranquillamente giocare nonostante i divieti”.
Curioso il caso, in casistica, di un giocatore che, dopo aver perso 300.000 euro con l’azzardo, ha denunciato i medici dell’Asl della Versilia per non avergli segnalato che tra gli effetti collaterali delle medicine anti-Parkinson c’era un irrefrenabile impulso a scommettere.
Il Gap (Gioco d’azzardo Patologico) è stato definito come il sintomo di una malattia psichica compulsiva che si manifesta con disturbi dell’affettività gravi, disadattamento alla realtà e gravi forme di autolesionismo”. Per Giuseppe Iraci Sereri: “Il Gap è un vero e proprio disturbo psicopatologico, una forma di dipendenza che induce il soggetto alla coazione a ripetere, alla necessità imperante di giocate. Vincere, o il desiderio di rifarsi, non sono più il richiamo principale per scegliere il gioco, ma è il gioco d’azzardo in sé, accompagnato alle emozioni e sensazioni che riesce a suscitare, che attira l’individuo. Il desiderio ossessivo di recuperare il denaro perduto può portare il giocatore a perdere completamente la percezione del tempo che dedica al gioco e della quantità di soldi che sta scommettendo. Il soggetto colpito ha tendenza alla depressione, è incline agli stati d’ansia, a difficoltà ad esprimere le proprie emozioni (alessitimia) e mostra un’impulsività molto elevata. Inoltre esibisce una dissociazione, un’alterazione della coscienza che comporta una disconnessione dal sé o dalla realtà esterna”.
Alcune conclusioni tirate nel rapporto due anni dopo la sua pubblicazione sono ampiamente condivisibili. “In presenza di una diagnosi psichiatrica associata a una forma di Gap può essere necessario, in alcuni casi particolari, un trattamento di tipo residenziale per facilitare una presa in carico multidisciplinare più difficile da attuare in altro contesto, un distacco dall’ambiente di provenienza e contenimento del desiderio irrefrenabile del giocare d’azzardo”.
Ed è la psicoterapia la pratica chiamata al recupero funzionale dell’individuo anche attraverso l’analisi della dinamiche relazionali dell’infanzia. Nella gamma dei possibili interventi anche ascolto o counselling, trattamento farmacologico, o interventi psico-educativi. L’isolamento del giocatore patologico si sintonizza con l’asocialità del gioco, una pratica che non produce ricchezza, ma aliena l’individuo e immobilizza la società, come sintetizza Maurizio Fiasco: “Con il gioco si alimenta un circolo vizioso in quanto esso è un freno ai consumi e impedisce l’ingresso di altri soggetti nel processo di commercializzazione. Alla fine è un consumo che crea solo dissipazione. Per tali motivi il gioco può essere definito come un moltiplicatore negativo dell’economia”. E ancora: “Per i tabacchi c’è il divieto assoluto di fare pubblicità e si sta discutendo la stessa cosa per i superalcolici, così dovrebbe essere anche per il gioco d’azzardo”. Anche la società civile e persino quella religiosa sta mettendo a regime e constatando la reale pericolosità delle patologia da gioco. Tanto è vero che questa sindrome è diventato un motivo valido per dichiarare nullo un matrimonio religioso, seconda la richiesta di uno dei due coniugi, per la Sacra Rota. Ed anche questo è un perentorio segnale d’allarme di cui anche la Chiesa, forse prima dello Stato, sta prendendo preso atto. E’ facile intuire come il giocatore affetto da questa patologia diventi un pessimo cittadino: ricorre all’usura, ruba, ha un comportamento distonico in famiglia e nel lavoro, ricorre alla bugia per sfuggire alle proprie responsabilità e, a volte, più o meno consciamente, trasgredisce il codice penale proprio per por fine ad un certo tipo di prolungata sofferenza psicologica, trovando ausilio nella terapia e persino liberazione nella perdita della libertà personale. La Zavattiero cita come centri di recupero specializzati nella cura del gioco d’azzardo la Sipac, una onlus di Bolzano, fondata dal dott. Guerreschi ed il centro di terapia per giocatori e famiglie istituita a Campoformido, in provincia di Udine, dallo psicologo e psicoterapeuta Rolando De Luca. A Campoformido nel 2009 potevano attestare con soddisfazione: “Il 90% dei giocatori che partecipano alla terapia non gioca più d’azzardo. Il restante 10%, pur continuando a frequentare la terapia, continua a giocare anche se in misura inferiore”.
Dopo Toscana e Piemonte, le regioni pilota e laboratorio per tutta la nazione, anche la Regione Emilia-Romagna ha deciso di finanziare una sperimentazione di accoglienza residenziale per persone dipendenti da gioco d’azzardo. Si chiama “Pluto” ed e’ una residenza terapeutica situata in un agriturismo immerso nel verde della provincia di Reggio Emilia che accoglie gratuitamente 15 persone per trattamenti di 3 settimane. La comunità è gestita dall’associazione Centro sociale Papa Giovanni XXIII che da undici anni si occupa di dipendenze da gioco d’azzardo. “Il trattamento prevede incontri individuali e a gruppi e toccherà aspetti personali, relazionali e comportamentali – spiega Matteo Iori presidente dell’associazione – Sono previste, inoltre, lezioni con professionisti esterni per cercare di aiutare queste persone quando ritorneranno a casa”. Il gioco d’azzardo permea ormai tutti i contesti sociali e di vita e “dobbiamo dare loro degli strumenti di difesa”. Sono 186 i centri che in Italia accolgono domande relative al problema del gioco d’azzardo patologico: 81 nel Nord Italia, 52 nel Centro e 53 nel Sud. Ci sono Asl, enti pubblici, associazioni, cooperative. Un ulteriore studio è stato realizzato a Pisa dall’istituto di fisiologia clinica del CNR ed è significativamente intitolato “L’Italia che gioca”, con sottotitolo “uno studio su chi gioca per gioco e chi è giocato dal gioco”. Si avanza una tesi interessante nel rapporto in questione. “E’ noto che la partecipazione a più tipologie di giochi è fortemente predittiva del gioco d’azzardo patologico. Giochi che forniscono un feedback immediato rispetto al risultato sono più coinvolgenti rispetto ad altre forme di gioco, quindi hanno una maggiore probabilità di produrre dipendenza (Griffiths, 1995). In Italia, abbastanza diffuso risulta l’impiego di apparecchiature informatiche che implicano due fattori importanti: primo l’affrettata ripetitività del tentativo successivo che non consente la rielaborazione del gioco precedentemente effettuato, secondo l’esiguità della singola giocata che abbassa la soglia di percezione del danno derivante da tale comportamento. L’aumento della disponibilità di questi dispositivi come le macchine elettroniche da gioco è riconosciuto”.
Un validissimo supporto online per gli afflitti da patologia specifica è il portale www.andinrete.it, ricco anche di un’interessante sezione interattiva, gestito da un’associazione privata guidata dall’appassionata Daniela Capitanucci che da anni si occupa di cura e prevenzione delle dipendenze. E che non fa mancare una forte proposta critica. “Partiamo da una vicenda vera: la storia quotidiana di un giocatore patologico qualsiasi. Tutte le mattine all’apertura del bar di paese lui è già lì. Che importa se sono le 5.30? E che importa se lui lì non dovrebbe trovarcisi? Ha un ruolo pubblico. Non passa inosservato. E i compaesani infatti si accorgono della sua attrazione fatale per quelle macchinette dove passa tutti i giorni ore ed ore, spendendo soldi che forse non può permettersi di perdere. Su richiesta degli abitanti del paese, arriva una troupe televisiva che affronta, ridicolizza e persino ammonisce il nostro giocatore, trattandolo come un vizioso e non come una persona affetta da un disturbo del controllo degli impulsi severo e recidivante. Il Gap infatti è una grave patologia che è quasi divenuta epidemia nel nostro tessuto sociale, anche a causa della scellerata gestione delle politiche pubbliche adottate dal 2000 in avanti.
Nell’arco degli ultimi dieci anni il panorama dell’offerta dei giochi d’azzardo leciti in Italia è stato completamente stravolto.
L’azzardo è stato offerto ai cittadini in modo esponenziale, ed esponenzialmente i cittadini hanno investito sempre più i loro denari in tali giochi, inseguendo il miraggio di acciuffare la grande vincita abilmente promessa dalla pubblicità che entra, martellante ed insidiosa senza concedere tregua, in ogni sfera vitale delle persone, dal più giovane al più vecchio, donna o uomo che sia. In Italia è successo qualcosa di particolare: la questione azzardo è stata trattata totalmente al di fuori del contesto di salute pubblica. Aderendo a posizioni ai limiti della sostenibilità, l’azzardo è stato governato dai dirigenti di Aams a fianco di concessionari e politici, gravati talvolta da insostenibili conflitti di interesse, cui hanno aderito anche ampie fette devianti della comunità scientifica nazionale, università incluse, rinomate associazioni di consumatori o genitori, tutte accomunate dall’essere direttamente sponsorizzate dalle aziende dell’azzardo. Risultato: altro non è stato fatto che addossare l’onta della perdita di controllo al solo giocatore, orientando in questa direzione l’immaginario collettivo al fine di costruire una meta-realtà strumentale utile ai signori dell’azzardo.
Nonostante la nosologia riconosca il gioco d’azzardo patologico alla stregua delle dipendenze da sostanze e nonostante esso sia ufficialmente classificato tra i disturbi del controllo degli impulsi, tali presupposti di base in Italia vengono accantonati per consentire l’assunzione di un nuovo fantasioso e conveniente paradigma dove la responsabilità di chi ha davvero potere di incidere sul fenomeno (decisori politici in primis) perde di peso, restituendo solo al giocatore la “colpa” di non saper mantenere il controllo, non giocando il giusto. Del tutto dimenticati anni di studi teorici e di buone prassi che hanno guidato la prevenzione strutturale ed educativa correlata agli altri prodotti il cui utilizzo può sfociare in comportamenti di dipendenza (si pensi all’alcol, al tabacco – consumi legali – e alle droghe). Pur essendo riconosciuta in tutto il mondo (l’Organizzazione Mondiale della Sanità dagli anni ‘80 la annovera tra i disturbi psichici), questa patologia in Italia ancora non lo è.
Essa è assente dai livelli essenziali di assistenza e chi si ammala, come pure i suoi familiari, rimangono in balia di se stessi senza diritto alla cura, né quella di base né quella competente. Dove sono gli specialisti dell’azzardo in Italia? Pochi pionieri, distribuiti casualmente qua e là. Ammettere che c’è bisogno di cura significherebbe ammettere che il sistema del gioco sicuro ha fallito. Ecco allora che in un contesto così può diventare estremamente difficile proteggersi da comportamenti di discontrollo, oppure uscirne una volta sviluppato un problema di dipendenza. Torniamo al servizio giornalistico sul nostro giocatore di paese, che ben rappresenta l’immaginario collettivo costruito e sostenuto con questa omissione di Stato: schernendo senza pietà una persona affetta da un disturbo mentale chiamato Gap (il signore in questione per definizione non è più libero di non giocare perché la patologia che lo affligge lo rende schiavo dell’azzardo, così come un tossicodipendente è schiavo dell’eroina) assistiamo ad un’operazione “politically scorrect”, come lo sarebbe schernire un disabile per la sua disabilità, o un alcolista per il suo bere eccessivo. Osserviamo come la sofferenza e la vergogna siano ributtate solo sul giocatore e sulla sua famiglia. Ma è proprio vero che chi ha perso il controllo sia solo il giocatore? Non è forse lo Stato italiano il più grosso giocatore d’azzardo di questi ultimi dieci anni? E non è forse lo Stato che, al di là delle patetiche affermazioni di tutti i giorni, in questo gioco ha perso più di tutti? Guardiamo bene, prima di rispondere. Lo Stato ha perso in legalità. Lo Stato ha perso in benessere economico. Lo Stato ha perso in salute sociale e sanitaria. Lo Stato giocando d’azzardo in questo modo ha perso insomma anche in fiducia nel futuro. Ecco allora quanto sia miope e poco opportuno, per sostenere l’insostenibile, puntare il dito solo nei confronti di uno, cento o mille giocatori patologici che hanno smesso di saper giocare responsabilmente inseguendo il miraggio di migliorare la propria vita in virtù del promesso colpo di fortuna.
E’ ora di cambiare rotta se davvero qualcosa di nuovo si vuole ottenere. Ai giocatori patologici va offerta cura qualificata, l’offerta di gioco d’azzardo va stoppata e vanno ridefinite urgentemente le politiche sin qui adottate, a partire proprio dal diritto alla cura che non è ancora garantito e che non è andato di pari passo al diritto concesso agli imprenditori del settore di diffondere senza limiti l’azzardo nel nostro Paese.