Azzardopoli – Dossier di Libera sul gioco d’azzardo in Italia (2012)

2. Welcome in Azzardopoli

Per Raffaele Ferrara, il n. 1 dei Monopoli, che vorrebbe essere miglior erede del discusso predecessore Giorgio Tino, la politica aziendale può essere una sola. “Il proibizionismo non ha mai dato grossi risultati. Al contrario la liberalizzazione controllata del modello italiano è riuscita a conciliare la garanzia della sicurezza con la libertà del fruitore, lasciando il cittadino libero di giocare, ma dentro precisi confini e tutele”. Liberalizzazione sì ma fino a che punto e con quale costo sociale? La torta è grossa. Con un confronto suggestivo, quei 76 miliardi di euro vale sedici volte il business annuale di Las Vegas, si issa sul podio delle principali industrie del paese, pronto a spiccare un ulteriore balzo. La direzione presa non è sbandierata come consapevole scelta politica, ma arriva un po’ alla rinfusa, scompostamente, con l’ausilio di lobby partitiche di rara pericolosità, su un crinale borderline rispetto alle stesse leggi. Come se si alimentasse un corpo separato con capacità e resistenze extra-giudiziali, una sorta di Far West dell’impunità e dell’immunità. E con una velocità preoccupante nelle innovazioni che contrasta con la capacità di legiferare su ben più urgenti emergenze sociali e con l’immobilismo conservativo che caratterizza l’Italia.
Legalità spesso volatili e leggere, anche grazie all’ausilio di due collaboratori impalpabili e compiacenti: la virtualità di Internet e l’extraterritorialità di disinvolte operazioni speculative nel mondo della scommessa. La svolta epocale si è verificata quando l’azzardo ha smesso di essere un disvalore per essere perentoriamente immesso nei ricavati dell’economia nazionale. Pensate che prima delle ultime modifiche il dettato dell’art. 11 (oggi chiaramente obsoleto) per le norme specifiche recitava così:

“In tutte le sale da biliardo o da gioco deve essere esposta una tabella, vidimata dal questore, nella quale sono indicati, oltre ai giochi d’azzardo, anche quelli che l’autorità stessa ritenga di vietare nel pubblico interesse. Nella tabella predetta deve essere fatta espressa menzione del divieto delle scommesse. L’installazione e l’uso di apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici da gioco d’azzardo sono vietati nei luoghi pubblici o aperti al pubblico e nei circoli e associazioni di qualunque specie. Si considerano apparecchi e congegni automatici e semiautomatici o elettronici per il gioco d’azzardo quelli che possono dar luogo a scommesse o consentono la vincita di un qualsiasi premio in denaro o i natura escluse le macchine vidimatrici per il gioco del Totocalcio, dell’Enalotto e del Totip. Per tali apparecchi il premio può consistere nella ripetizione di una partita e per non più di tre volte”.

Dall’Italia del boom a quella del gioco d’azzardo – verrebbe voglia di scrivere – e con il deciso intervento statale. Il legislatore ad un certo punto ha preso atto con realismo che, se non fosse intervenuto dentro un sistema borderline, la deriva illegale avrebbe preso il volo, alimentando il nero e l’illegalità. Peraltro il sistema ufficiale sembra oggi convivere accanto a quello clandestino se Maurizio Fiasco, sociologo, consulente della Consulta Nazionale Antiusura, in un intervista a Narcomafie nel settembre 2010 stima “che per 25 miliardi di euro accolti nelle gettoniere delle new slot ne corrisponde una cifra simile e omologa negli apparecchi automatici che sfuggono alla registrazione. Perché le slot sono un sistema impossibile da gestire. Ed è una verità che vale sia in Italia che all’estero.
Solo che in Francia hanno preso atto di questa situazione e, dopo aver autorizzato l’introduzione delle slot, hanno avuto il coraggio di eliminarle d’un tratto dalle sale dedicate agli apparecchi automatici e da tutto il complesso dei luoghi di gioco. Oltralpe si è data priorità all’interesse pubblico, al di là di qualsiasi logica di mercato ”. Così le corse regolari negli ippodromi non hanno fatto sparire le corse di cavalli clandestine ed il Totonero non appare del tutto debellato in ambiente camorristico. Dunque si investe e si intraprende ma, con un profilo basso, ca va sans dire. Aprendo nuovi giochi, vellicando gli appetiti di gestori e concessionari. Ma, soprattutto, contando sulla forte stimolazione del giocatore, spesso indotto compulsivamente ad investire le proprie speranze e la propria disperazione in un sistema chiuso in cui è destinato a perdere. Già, perché chi gioca contro il sistema e nel sistema, per definizione perde. L’incremento dell’investimento sul Lotto, il gioco più tradizionale, è emblematico. L’estrazione del Lotto da settimanale diventa prima bisettimanale e poi assume cadenza trisettimanale prima di approdare al Superenalotto in cui le probabilità di vincite del singolo giocatore sono desolanti. E il miraggio della vincita avvicina al gioco sacche di utenti che non conoscevano il Lotto, un arruolamento ex novo.
E’ un fenomeno che si può arginare, i numeri sono in movimento. I giocatori in Italia erano 19 milioni nel 2000 ma, secondo un’anagrafe ufficiale, erano scesi a 10 nel 2007, salvo risalire nel 2008 a 15. E l’esponenzialità di crescita si è confermata nelle ultime stagioni.
Maurizio Fiasco distingue tre diversi periodi storici nello sviluppo del gioco in Italia. “Sono riferibili a tre grandi periodi: il primo tra il 1889 e il 1992; il secondo tra il 1992 e il 2003 e il terzo (con una marcata discontinuità di principi e obiettivi) dal 2003 sino a oggi”. E una sua considerazione è essenziale: “Nel nostro diritto positivo il gioco d’azzardo è considerato illegale, salvo poterne autorizzare alcune modalità con un provvedimento di legge”. Frase che riassume il senso della contraddizione. Fiasco aveva già capito il senso della nuova frontiera attuale. “La diffusione di biscazzieri e allibratori su Internet avrà l’effetto di una bomba all’idrogeno sul quadro giuridico, eticopolitico, economico-finanziario, clinico e criminologico italiano”.
Sottocultura e disperazione alimentano una febbre del gioco che è per definizione perdente in un sistema in cui il banco, cioè lo Stato, vince sempre. E la pubblicità pompa e veicola concetti politicamente scorretti.
Grandi divi del pallone invitano, con i propri volti rassicuranti, a giocare a poker online e così la minaccia subdola vince con un richiamo nazional-popolare sfruttando il grande bacino d’utenza dei tifosi. La sponsorizzazione del Grande fratello, il legame con la potente Endemol, hanno acceso nuovi riflettori pubblicitari, raggiungendo un pubblico vastissimo e non necessariamente dotato di grande senso critico.
Si fa presto a dire giochi. In Italia e nel mondo. Zynga poker ha sviluppato un enorme pozzo di 29,4 milioni di utenti. E, accanto alla creazioni per facebook, invita a sfide continue per il Texas hold’em.
Zynga è comparso al Nasdaq con un rialzo importante fino al 12,5% per poi passare in territorio negativo e arrivare a perdere fino al 10%. La raccolta del produttore di giochi leader è stata di un miliardo di dollari. I suoi cuginetti più progrediti fanno comunque ottimi affari. Cityville ha addirittura 49,1 milioni di utenti e li invita a costruire il luogo dei sogni.
Farmville ne coltiva 31 milioni, potendo vantare il primato del più grande social game del mondo, ipotizzando un ritorno alla campagna. Seguono Empires & allies con 18 milioni di utenti (nazioni e città uniti per conquistare il mondo), World with friends (12,4 milioni, un continuo esercizio di lingua), Adventure World (8,6, ovvero il fascino delle missioni segrete) e, infine, Pioneer Trail (5,5) per lanciarsi alla conquista della città di frontiera. Si creano mondi immaginari in cui, secondo l’ottica della domanda e dell’offerta, dovrebbe essere piacevole evadere. Ci vogliono soldi e molto tempo.
Ma la seduzione del gioco non può essere confusa con la patologia. Lottomatica e Sisal hanno ampi capitoli di spesa per le pubbliche relazioni e sono in grado di alimentare un flusso continuo di pubblicità redazionale presso i più importanti quotidiani nazionali, spesso comprando e diffondendo interi inserti (anche di 24 pagine). Centrale la presenza dell’agenzia giornalistica Agicos (Agenzia Giornalistica Concorsi e Scommesse) che, anche attraverso una rassegna stampa quotidiana, restituisce un puntuale quadro dell’attualità. Tradizionale la presenza della rivista Ts, Totoguida Scommesse, un must dell’editoria di genere. C’è una nuova rivista specializzata Jokonline che è diffusa in ampia tiratura. Gli utenti di Internet vengono continuamente bombardati da messaggi espliciti o subliminali sul gioco d’azzardo, spesso con il miraggio di vincite astronomiche o di benefit di partenza. S’impone a tappeto un sistema onnivoro e totalizzante che cerca, antropologicamente, di modificare le abitudini del giocatore italiano. E s’insinua pervicace con la capacità di penetrazione di chi ha grandi capitali da spendere in persuasione occulta. Il poker è oggetto di innumerevoli trasmissioni televisive.
Per la cronaca l’Italia, agli ultimi posti in tante graduatorie (indice di innovazione, libertà di stampa, sviluppo della banda larga), qui occupa un – non sappiamo se giudicare lusinghiero – terzo posto tra i paesi che giocano di più al mondo. Vale la pena di indagare sul fenomeno per il semplice fatto che è in controtendenza rispetto a tutti gli altri indicatori del paese. Oltre la barricata c’è recessione, qui c’è sviluppo contrassegnato da un vigoroso segno +. Ma la crescita economica dei giochi non è necessariamente segno di progresso. E la contiguità, verrebbe voglia di scrivere naturale, con l’illegalità e la malavita organizzata, è un altro segnale della necessità di andare oltre l’evidenza delle cifre. Di quale interpretazione gode oggi l’articolo 721 del Codice penale che statuisce: “Sono giochi d’azzardo quelli nei quali ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita è interamente aleatoria”? E, di più, l’articolo 718. “Chiunque in un luogo pubblico o aperto al pubblico, o nei circoli privati di qualunque specie, tiene un gioco d’azzardo o lo agevola, è punito con l’arresto da tre mesi a un anno e con l’ammenda non inferiore a 206 euro”? Ma la gran parte dei giochi proposti dallo Stato sono giochi d’azzardo!
Contraddizione non apparente. Il giocatore sa quante probabilità di successo ha comprando un Gratta e Vinci o acquistando una schedina del Superenalotto? Lo Stato italiano si annette il 50% medio degli incassi del gioco di cui un 14% viene girato all’Erario. Sugli apparecchi automatici il 12,6% viene girato al Preu (Prelievo erariale unico), uno 0,8% all’Amministrazione autonoma Monopoli di Stato, più una percentuale al gestore di rete che cura i collegamenti online. Tutto è venuto più facile, il 23 dicembre 2000 quando fu modificata la legge. Da quel momento è il Comune a rilasciare una licenza per vendere le scommesse. Sufficiente una denuncia di inizio attività. In un colpo solo vengono smantellate tutte le possibilità di controllo sul territorio.
Da notare che il 5 dicembre 2011 una grande città del nord, Torino, ha preso una posizione senza grandi riflessi presso l’opinione pubblica nazionale ma con un evidente input sul territorio. “La Giunta Comunale di Torino ha approvato una mozione ed un ordine del giorno specifico sulle “misure per contrastare il gioco d’azzardo”. L’ordine del giorno auspica che “gli enti locali vengano maggiormente coinvolti nelle decisioni concernenti le autorizzazioni e le emanazioni delle  concessioni e chiede al Governo di contrastare con azioni concrete e immediate il fenomeno in aumento del gioco (legale e illegale), oltre a promuovere iniziativa di sensibilizzazione ai rischi collegati al gioco”. La mozione, invece, impegna il Sindaco e la Giunta “a rafforzare l’informazione ai cittadini e, in particolare ai giovani sull’abuso dei giochi”.
Il fenomeno di espansione del gioco “pericoloso” è in forte sviluppo dal 2010 e con progressioni inquietanti. Il titolo del libro di Carlotta Zavattiero (“Lo Stato bisca”) proprio di quell’anno è ancora estremamente calzante per il fenomeno che andiamo a descrivere ma l’obsolescenza delle analisi (non del libro) è dimostrata dal rapido adeguarsi del sistema alle possibilità consentite, né più né meno di come la mafia è stata abile a convertire le proprie derive criminali sugli affari più lucrativi o il sistema del doping è sempre pronto ad anticipare e parare i colpi dell’antidoping, secondo una caccia al ladro in cui il malvivente è sempre vincente. Oggi sembra ridicolo parlare, rispettivamente per mafie, doping e giochi, di contrabbando, di anfetamine, come di schedina del Totocalcio. Poco più di un anno dopo la saggista citata sarebbe costretta a toni ancora più accorati nel descrivere il ruolo dello Stato in questa industria atipica in rigoglioso sviluppo.
Fu chiaro da quell’anno (il 2010) che nulla sarebbe stato più come prima quando in un quartiere popoloso di Roma – e certo non scevro da problemi sociali – come il Prenestino, con il beneplacito circoscrizionale, aprirono ben 36 sale slot e punti di gioco, contando sul benefit di una semplice auto-certificazione: truppe da sbarco di pronto intervento per la rovina potenziale di migliaia di persone che avrebbero dovuto essere nutrite con ben altre risposte primarie rispetto ai propri bisogni, stimolando, con la deviazione sul gioco, una domanda indotta con un’offerta sovrabbondante.
E la Capitale sembra in preda ad un vero e proprio effetto Las Vegas con la maxi-diffusione di sale lussuose di ultima generazione, super-equipaggiate e dotate di comfort e degli ultimi addendi tecnologici in materia di gioco. In un’inchiesta di settembre 2011 del mensile Paese Sera vengono rivelati numeri da primato nazionale: 294 sale e più di 50mila slot machine distribuite tra Roma e provincia. Nella Capitale e nei comuni dell’area metropolitana, infatti, si concentra oltre il 12% del totale di “macchinette” distribuite nel nostro Paese. Con il primato di detenere il piu’ grande locale d’Europa quello di piazza Re di Roma, nel quartiere Appio con 900 postazioni di gioco: due piani a disposizione del Bingo e in più tre sale per le slotmachine e vlt (altre slot, ma con promessa di premi iperbolici). Particolarmente attivo il marchio Intralot che, recentemente, ha trasferito la propria sede sulla Tiburtina, ospitando circa 150 dipendenti. E da qui si espande fino alle Porte di Roma, nella zona nord della città, forte di una consistenza economica dovuta alla costola principale, la multinazionale Intralot group, quotata alla Borsa di Atene, lasciapassare per una cospicua diffusione nei mercati dell’est Europa. Tra la via Appia e la Tuscolana si concentra il maggior numero di sale giochi della Capitale ma la proliferazione riguarda tutti i quartieri vicini al centro storico, dove non è consentito aprire questo tipo di attività: Gianicolense, viale Marconi, Ostiense, Pigneto.
C’è persino chi si è inventato vere e proprie strutture formato famiglia: sale giochi per bambini e prima infanzia, videogame per gli adolescenti, roulette e new slot per i genitori. E chi vorrebbe trasformare un ex cinema-teatro, il Palazzo di piazza dei Sanniti a San Lorenzo, in un «negozio di gioco legale», come lo ha definito la Camene, la società che ha stipulato un contratto di locazione per l’uso commerciale dell’immobile. Ma a tutela della storica sala sono scesi in campo attivisti, artisti di chiara fama e semplici cittadini, ai quali l’idea del casinò sotto casa non è per niente piaciuta.
Più in generale si sta manifestando sul territorio uno straniamento antropologico ed un tentativo di manipolazione del Dna dell’italiano.
Perché l’abitante del Belpaese non è tendenzialmente, uno scommettitore come il cittadino inglese. Il tradizionale tabaccaio, un tempo sollecitato per francobolli e sigarette, ora diventa a volte l’epicentro di una processione ludica fondata sulla speranza. Persino il resto spesso viene liquidato con un Gratta e Vinci dall’importo peraltro modico, come fosse un’abitudine consolidata. Al posto del welfare c’è l’industria manipolata della speranza. L’italiano non era un giocatore incallito ma lo sta diventando, contra sua sponte, per colpa dello stesso bisogno indotto di alcune trasmissioni televisive che alterano la percezione della realtà e dell’esterno nei soggetti più deboli.
Nel mondo alienato la deviazione è dietro l’angolo come la compulsività del gioco. Oggi il Sert è diventato Serd dove la D sta per dipendenza, cambiamento importante al di là di una lettera di differenza.
Una patologia importante quella dovuta al gioco, percentualmente sempre più rilevante. Oltretutto bisogna notare – e non per veicolare un ritorno al proibizionismo – che i nuovi punti di gioco spesso vengono inaugurati in prossimità di edifici scolastici, creando una contiguità dai pericolosi risvolti, tanto più che il minimo di età per la frequentazione di queste riserve ludiche (18 anni) è un puro optional anche se la contropartita all’infrazione recidivante, legge alla mano, costerebbe nientemeno che il ritiro della licenza.
Una popolare trasmissione televisiva chiamata Crash ha provato a mandare in giro per Roma un minorenne (14 anni) che ha regolarmente potuto investire la propria paghetta sulle scommesse nei circuiti ufficiali: dal tabaccaio, al giornalaio fino ai punti gioco e senza che mai un addetto gli chiedesse la carta d’identità ad attestare l’anagrafe. Senza neanche troppa malizia ci si chiede: “E’ più facile riciclare denaro giocando online oppure facendo la stessa cosa nel punto vendita sotto casa?” Lo si può opinare perché il Ministero dell’Interno nel decreto anti-riciclaggio del febbraio 2011 non ha citato i punti fisici di vendita, evitando ogni riferimento al gioco d’azzardo, pure evocato nel Dlgs n. 231 del 2007. La conseguenza immediata è stata che mentre le giocate online vengono tracciate, nell’altro caso si poteva scommettere più dei 15.000 euro a settimana previsti dalla legge, senza la segnalazione alle autorità competenti.
La dimensione del debito pubblico fa ritenere che lo Stato non alzerà la guardia e non aumenterà il proprio potere di controllo. Ed è per questo che lanciare un forte allarme, legato ad un effettivo approfondimento della materia in questione, appare urgente quanto inderogabile e doveroso. Sottolinea il ricercatore Maurizio Fiasco: “Il fenomeno va tallonato con prassi quasi quotidiana per tamponare l’obsolescenza forzata delle valutazioni. Ma quando si constata che il 9% dei consumi degli italiani è fondato sull’azzardo o che la dimensione economica dell’affare alla fine del millennio era pari all’8 % del movimento attuale, è chiaro che ci si può anche aspettare una bolla finanziaria del tipo di quella che ha collassato l’economia americana.
L’influenza del gioco è sempre più profonda e significativa sulle abitudini degli italiani”. Osserva ancora Fiasco: “Mi pare non trascurabile notare che il 5 ottobre 2011 il Senato in sessione plenaria (e l’ultima volta un evento del genere si era verificato nel 1987) ha approvato all’unanimità con specifiche e motivate dichiarazioni di voto le linee guida della Relazione Antimafia sul gioco d’azzardo, dunque veicolando un atto prescrittivo e vincolante di grande importanza.
Ebbene, l’accaduto, pur nei marosi della crisi istituzionale ed economica del paese, è passato assolutamente sotto silenzio presso l’opinione pubblica. E credo che il fatto meriti qualche significativa riflessione”.

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