COSE DI COSA NOSTRA di Giovanni Falcone e Marcelle Padovani

Cose di Cosa Nostra
di Giovanni Falcone e Marcelle Padovani

Editore: Bur Rizzoli 1/01/1992 (Rizzoli), 1995 (Corsera), 2012, 2017

Un libro che ha segnato un’epoca. Le parole, indimenticabili, con cui Giovanni Falcone ha messo a nudo il sistema della criminalità organizzata, illustrandone i meccanismi e le articolazioni di potere, il perverso sistema di valori, le modalità di reclutamento dei nuovi affiliati, le attività illecite, i canali di accumulazione e di riciclaggio del denaro, le strategie di intimidazione e i rapporti con la politica. Una vibrante dichiarazione di impegno, consegnata alla giornalista Marcelle Padovani nel corso delle interviste che intaccarono per la prima volta il muro di omertà che proteggeva i boss di Cosa Nostra. E anche una testimonianza irripetibile, rilasciata in quel tempo sospeso che precedette di poco la strage di Capaci, e che ha permesso di salvare la consistenza storica delle informazioni e delle intuizioni di Falcone lasciate in eredità alla lotta contro il crimine organizzato. La documentazione più concreta dell’impegno lungimirante di un magistrato fuori dal comune, che serve a raccontare quello che è stato conquistato ma anche quello che è stato trascurato, e ci fornisce un preciso programma di azione, ancora oggi un modello imprescindibile per la lotta alla mafia.

 

 

Quando si decise a scrivere Cose di Cosa Nostra, dopo anni di sollecitazioni da vari editori, non fu per esibizionismo, per narcisismo o per spirito di vendetta, ma per uscire da un tragico isolamento: non a caso gli era capitato di sostenere che a volte aveva «più paura delle Stato che della mafia». Invidiato, attaccato, abbandonato dalla maggioranza dei suoi colleghi, non aveva altra scelta se non quella di prendere il pubblico per testimone. Scrivere un libro era l’ultima carta che potesse giocare contro la cecità della politica, del CSM, degli altri giudici.

Rivolgersi all’opinione pubblica fu dunque il suo ultimo tentativo per rialzare la testa.

Me lo ricordo: non era molto allegro Giovanni Falcone, quel giorno di febbraio del 1991 quando mi annunciò che lasciava la Procura di Palermo (dove gli davano oramai da risolvere soltanto dei problemi irrisori come i furti di elettricità nel quartiere Zen!!), per un incarico tutto da inventare al ministero della Giustizia. Non era molto allegro anche se era perfettamente conscio delle proprie capacità organizzative, e aveva le idee chiare su come riformare la politica giudiziaria.

Fu dunque in quel momento di “tempo sospeso” fra Palermo e Roma che decidemmo di scrivere Cose di Cosa Nostra, con la convinzione che sarebbe stato un “libro unico” (e in questo senso mi capitò purtroppo di dire a Falcone, in uno dei suoi momenti di stanchezza o di depressione, quando voleva rimandare una delle nostre lunghe e faticose sedute di interviste, questa frase crudele: «Un altro libro non lo scriverai mai»).

Ma col passare del tempo sono sempre più convinta che questo brutale forzargli la mano fu utile, perché permise la diffusione di informazioni inedite: Agli addetti ai lavori e ai cittadini.

Marcelle Padovani (2012)

 

 

 

Fonte: it.wikipedia.org

Struttura del libro:

Prologo
Vengono dati alcuni cenni biografici di Giovanni Falcone e si parla delle sue indagini contro Cosa nostra.

Capitolo I: Violenze
Il capitolo parla delle nuove armi di cui dispone Cosa nostra, come gli AK-47 o i bazooka e non più la lupara. Poi passa al racconto dei metodi di assassinio dei mafiosi e i grandi omicidi dei boss durante la seconda guerra di mafia. Falcone parla anche dei suoi primi anni in magistratura, quando tutti dicevano che “la mafia non esiste”.

Capitolo II: Messaggi e messaggeri
Giovanni Falcone parla del linguaggio e dei segni usati dai mafiosi. Poi passa a parlare del fenomeno del pentitismo. Soffermandosi soprattutto su Tommaso Buscetta.

Capitolo III: Contiguità
In questo terzo capitolo il giudice procuratore Falcone spiega come la Mafia e la società siciliana siano intrecciate l’un l’altra. Rilevante è una citazione del libro di Tomasi di Lampedusa, nel quale il principe di Salina definisce il popolo siciliano: stanco e vecchio, vecchissimo. Inoltre viene ridefinito il concetto di Cosa Nostra. “Il dialogo Stato/Mafia, con gli alti e bassi tra i due ordinamenti, dimostra chiaramente che Cosa Nostra non è un anti-stato, ma piuttosto un’organizzazione parallela che vuole approfittare delle storture dello sviluppo economico” [Citazione Necessaria] Sempre in questo capitolo emerge la differenza fra un normale magistrato e Falcone. Falcone nacque a Palermo, in Sicilia. Le origini di Falcone sono le stesse di molti altri uomini d’onore. Durante gli interrogatori, egli sa come affrontarli e come farli parlare mettendoli a proprio agio. Fa sì che l’interpretazione di Giovanni Falcone può arrivare fin dal principio.

Capitolo IV : Cosa Nostra
Il quarto capitolo espone le caratteristiche di questa istituzione. In Sicilia i mafiosi sono forse più di 5000. Questi però sono scelti dopo una durissima e accurata selezione. L’uomo d’onore, o meglio, il candidato a diventare uomo d’onore deve rispettare delle regole, delle leggi ferree. Alcune: essere violenti, valorosi, capaci di tenere in mano una calibro 38 e di usarla.

Capitolo V: Profitti e perdite
Nel capitolo “Profitti e perdite” Falcone parla dei commerci di droga tra Cosa Nostra residente in Sicilia e quella in America, specificandosi poi dei problemi che sorgevano tra queste due, che ormai erano diventate separate una dall’altra.

Capitolo VI: Potere e poteri
L’ultimo capitolo del saggio espone diversi atteggiamenti degli investigatori della mafia che lavoravano con Falcone e anche dei mafiosi. Secondo il giudice, lo Stato aveva le capacità di combattere i criminali mafiosi, ma non ci riusciva in quanto li vedeva più pericolosi. L’arresto e le confessioni di diversi mafiosi però convinse lo Stato a paragonarli a semplici criminali portando Falcone a dire “In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”.

 

 

 

 

 

Copertina 1ª edizione

Fonte:  archiviolastampa.it
Articolo del 8 gennaio 1992
Uno stratega contro la mafia
di Furio Colombo
Il libro-inchiesta di Falcone

Un libro con Falcone, di Falcone, su Falcone, è qualcosa di più di un libro, è un evento che lega la realtà quotidiana alla riflessione culturale e il giudizio politico a quello critico.

Il primo punto da affrontare, dunque, dopo la lettura di Cose di cosa nostra di Giovanni Falcone (in collaborazione con Marcelle Padovani, pubblicato da Rizzoli) è di rispondere alla domanda: che cosa abbiamo in mano, un documento o un ricordo, una pausa o dei flash di azione, una variazione intorno alla vita di un giudice o un punto fermo, un bilancio, una conclusione?

I lettori hanno istinto. Prima ancora delle recensioni (sono state molte, in genere buone) in tanti hanno voluto avere questo libro. Hanno accettato la chiave di lettura che Marcelle Padovani propone all’inizio, con il titolo «il metodo Falcone». Quelle due parole orientano l’intero lavoro. Siamo accanto a un vasto fenomeno in corso, di cui non vediamo né le radici né gli esiti, ma abbiamo una guida. Questa guida non propone il soprassalto della rivelazione o la pagina inedita. Propone – dicendoci come pensa e come lavora – di guidarci, al modo in cui uno scienziato cerca di comunicare il suo lavoro, soprattutto lungo il percorso del metodo.

II bello dell’introduzione di Padovani è che offre una chiave ma non la chiave. La portata pedagogica di questo libro sta nel fatto che «il metodo Falcone» si realizza di volta in volta nel rapporto fra quel giudice e i fatti. Dunque, in questo caso, anche nel rapporto di quel giudice con i suoi lettori. Ecco perché la scrittura è piana e diretta, i riferimenti non sono mai allusivi, e il racconto è estremamente chiaro benché nulla sia chiaro nella saga del crimine italiano e del suo respiro internazionale.

Dunque il lettore-recensore non deve raccomandare il libro (che è un best seller fin dalla nascita). Deve piuttosto «collocarlo», stabilire in che modo questo libro è libro, questi capitoli entrano nella biblioteca italiana contemporanea. Il discorso punta dunque sul «metodo».

Questo modo di accostarmi al libro mi interessa proprio perché sono conscio di attraversare, negli ultimi anni e più ancora negli ultimi mesi, una pianura cosparsa di macerie, sulla quale sono stati strappati tutti i cartelli indicatori. In cosa consiste il «metodo Falcone»? Una prima regola è: mai mettersi a mitica distanza dai fatti. I fatti sono qui, adesso, come i morti, come le armi, come le partite di merci e danaro. La loro vastità, l’impossibilità di vedere tutto con un solo sguardo, non deve indurre a espressioni di meraviglia che rendono non solo terribile ma anche «grandioso» l’evento criminale, attribuendogli così un dato di qualità.

È una trappola nella quale è caduta molta cultura italiana. Qui, in questo giudizio secco e diretto anche su cose immense di cui si vede appena una parte, molto dipende dalla lettura di Sciascia, da quel modo apparentemente semplice di toccare un solo punto di un groviglio e di comunicarcene l’insieme, al modo in cui a un medico basta una porzione minima di reperto per «vedere» una situazione clinica.

La seconda regola sembra essere: mai pretendere di vedere ciò che non si vede, mai cercare nel buio e nel vuoto in base a ipotesi, mai affidarsi alla «cultura» del crimine piuttosto che ai suoi esiti veri e ai suoi reperti visibili.

In questo senso Falcone mi appare «americano». Agilità, sottigliezza, coscienza dei doppi sensi e della capacità che ciascuno di essi ha di rivoltarsi in significati sempre diversi non diviene aggregazione di supposizioni, non si fa «storia». Resta nitidamente in vista la sequenza che è possibile accertare. Accanto ad essa si depositano, verso «il prima» e verso «il dopo», le supposizioni legittime, logiche. Ma esse restano in piedi, come l’imbastitura di un vestito, solo fino a quando si trova un punto fermo. Se il punto fermo non si può trovare, cadono. Leggendo questo «thriller» italiano si trova un continuo lavoro di evidenze legate da fili esposti alla valutazione critica. O reggono o non reggono.

Una terza regola, punto importante di questo metodo, è trovare il metodo della controparte, in questo caso la rete criminale di Cosa Nostra. Ecco dunque come Falcone sfugge sia all’aneddotica che alla rivelazione. Colleziona, analizza, aggancia i fatti che conosce e che sono noti, attraverso il continuo accertamento del metodo avversario. Dando, cioè, a ogni fatto la valenza che gli spetta come parte e tassello di ricostruzione di un metodo.

Perciò una serie di episodi, di eventi e di personaggi smettono di essere «colore» e diventano parte organica di una indagine che, prima di essere giudiziaria, è personale. Si vedano, per esempio, le pagine sulla «crudeltà» e quelle sulla «professionalità» del crimine organizzato.

La soggettività? Il molo del giudice come agente dell’inchiesta? Il rapporto tra materia e narratore? Qui avrebbe potuto insinuarsi il rischio più grande. E qui si realizza il piccolo capolavoro dell’identificazione del personaggio narrante, all’interno di un libro che è, in sé, un buon modello di metodo narrativo. 11 soggetto non sfugge.

Il soggetto non fa né il passo indietro dell’ombra istituzionale, né quello in avanti del protagonismo e dell’avventura. Offre invece al lettore che gli si affianca nel percorso accanto al crimine la sua conoscenza dei fatti, dividendo nitidamente le proprie «impressioni» o «ricordi» o «dati di formazione», dalle cose viste e sperimentate. Diventa una guida chiara e competente, come chi facesse strada in un grande museo indicando dove e come si deve guardare.

Esemplare, su questo punto, è la parte «Messaggi e messaggeri». È un capitolo che entra nella storia italiana, negli studi sulla comunicazione e sul linguaggio, in quelli di antropologia e – speriamo – nelle tecniche di linguaggio giornalistico. Si tratta di una rappresentazione limpida di dati, di fatti, di personaggi, di reperti della memoria, organizzati secondo un metodo. Il metodo Falcone. E questo è esattamente il carattere straordinario di un libro dedicato a fatti di cui parlano tutti. Ma senza metodo.