Don Peppe Diana – Un martire in terra di camorra – di Raffaele Sardo

Don Peppe Diana Un martire in terra di camorra
Autore: Raffaele Sardo

Fonte digirolamoeditore.com

Collana: Linea di difesa

Prefazione di Gian Carlo Caselli

Questo appassionante libro racconta la storia di don Giuseppe (Peppino) Diana. Una storia suggestiva e drammatica: di coraggio, impegno e sacrificio.
Essa ci ricorda che per venire a capo del fenomeno mafioso è necessario intervenire su tre livelli:
1) potenziare e affinare la risposta investigativo-giudiziaria;
2) rendere la gente consapevole della realtà della mafia sul piano socio-politico, dei suoi effetti nefasti sulle regole di civile convivenza, sulle libertà, sui diritti, sulla democrazia;
3) aggredire non solo le manifestazioni criminali del fenomeno, ma anche le sue radici, gli spazi e le condizioni che ne favoriscono l’azione pervasiva.

Sul secondo e terzo versante l’azione della Chiesa è decisiva e insostituibile. A tal fine ovviamente occorre che i preti conoscano il fenomeno mafioso, che ne studino la natura e la portata. Per contro, rilevanti componenti della Chiesa (come della società civile) hanno a lungo sottovalutato la realtà della mafia, sono riusciti a conviverci senza articolare una reale opposizione, rendendo debole la parola profetica della Chiesa nella società. E non si fatica a capire perché la Chiesa abbia saputo mostrare tanta severità – anche giusta – nei confronti di un’ideologia totalitaria come quella comunista, manifestando invece debolezza e tolleranza verso la perversa sacralità atea della mafia.

[…]

Don Diana ha cercato in ogni modo, con lo studio e con l’azione, di capire la realtà del suo territorio, per evitare errori e articolare una presenza incisiva, aprendosi a prospettive culturali e spirituali di più ampio respiro.

In questo modo don Diana ha saputo realizzare una significativa presenza anche sulla questione mafiosa. Presenza che per lui ha significato obbligo di denunzia ferma, chiara e non equivoca, puntuale e credibile, perciò autorevole.

[…]

Don Diana era, poi, significativamente presente sulla questione mafia con la ricerca di una società più giusta e più umana, più equa nella distribuzione dei beni. Credeva nel principio che denunzia e prassi […] devono andare nella stessa direzione e che questa deve essere riconoscibile. Perché denunziare l’immoralità e il clientelismo, e nello stesso tempo servirsene come chiunque altro, vuol dire aiutare la mafia, la sua cultura, il suo potere. Don Diana non era certamente uno di quelli che lamentano la crisi della legalità e poi predicano e praticano indifferenza e privatismo, così perpetuando i guasti del sistema e aiutando di conseguenza la mafia. Perché la mafia non è frutto soltanto di cattivo funzionamento dell’ordine pubblico, ma è segno visibile che tutto il sistema – appunto – è malato. E come ogni malattia non può che essere combattuta in tutte le sue manifestazioni, anche per toglierle sempre più spazio.

Ancora, don Diana cercava di muoversi secondo un piano pedagogico progettato intorno a valori democratici e di libertà, di rispetto della dgnità umana, dei diritti civili di ogni persona e della collettività. Non si limitava ad inseguire emergenze, pronunziando condanne occasionali ed isolate in risposta ad ansie ed emotività che non superano il tempo e lo spazio della superficialità. Si sforzava di progettare, cercava di costruire la casa sulla rocci8a. Tendeva a procedere con lungimiranza. Per essere capace di profgezia. Per rileggere l’oggi affinché il domani fosse migliore.

[…]

Per tutti questi motivi ( che nel libro sono diffusamente illustrati raccontando la sua straordinaria storia) don Diana è diventato incompatibile con la mafia, che alla fine lo ha vigliaccamente ucciso. Ma don Diana è morto anche per la latitanza di molte, troppe persone. Tutte quelle che a differenza di don Diana si sono accontentate della ipocrisia civile o del devozionismo religioso. Finendo così per subire e praticare – invece di spezzarlo – il gioco delle mediazioni e degli accomodamenti, alla ricerca del quieto vivere. Mentre don Diana (pur lasciato solo) proprio non ce la faceva a non scandalizzarsi dell’ingiustizia, della sopraffazione, della compravendita della democrazia, dello scialo di morte e violenza, del mercato delle istituzioni, dei giovani abbandonati alla strada. Per questo ha dato la sua vita, in segno d’amore, come testimonianza della sua fede religiosa e sociale.

La morte di don Diana segna una stagione di troppi silenzi, troppi ritardi, troppe paure e collusioni – anche della Chiesa – di fronte alla mafia. Se una nuova coscienza ha poi cominciato a nascere – pure nei cristiani – è anche grazie a testimonianze come quelle di don Diana. Questo libro ne scolpisce assai bene la memoria. E sarà ancor più utile se servirà a far sì che questo barlume, questo inizio di nuova coscienza non si affievolisca, ma anzi si consolidi e si espanda.

Articolo del 19 Marzo 2015 da ilmattino.it

Don Peppe Diana a 21 anni dalla morte, nel ricordo di Raffaele Sardo

di Gigi Di Fiore

Sono passati 21 anni da quel terribile 19 marzo del 1994. Sono arrivate sentenze, fiction televisive, ricordi, commemorazioni. E la figura di don Peppe Diana è diventata parte della memoria collettiva. Come don Puglisi in Sicilia, don Peppe di Casal di Principe fu esempio di una Chiesa che si sporca le mani nella società, denunciandone storture e crimini, esempio di resistenza contro le mafie.

Un testimone attento, cronista preciso e coraggioso come Raffaele Sardo che vive da sempre nell’area aversana, era l’unico a poter fare il punto sulla figura di don Diana. Il suo nuovo libro “Don Peppe Diana, un martire in terra di camorra”, edito da di Girolamo, racconta in 138 pagine serrate il sacerdote ucciso, inserendolo nel contesto storico di allora, dominato dalla pesante cappa della mafia Casalese.

Sardo ricorda e fa il punto 21 anni dopo, aggiorna la salute di quella terra bella e martoriata per anni da criminali, con le speranze alimentate dal ritorno a sindaco di Casal di Principe del medico Renato Natale. Fu lui, 21 anni fa, tra i primi ad accorrere nella chiesa dove don Peppe era stato ucciso dai killer.

Oggi Renato ripete: “Vorremmo che casalese indicasse l’origine di un cittadino del paese, un termine di speranza, non una condanna negativa”. Di questa speranza si fa partecipe, da testimone civile, Raffaele Sardo, che fu tra i primi a scrivere, quasi in presa diretta, un libro su don Diana: 21 anni dopo, registra gli arresti dei boss latitanti, come Michele Zagaria e Antonio Iovine, il nuovo impegno sociale contro la camorra, ma anche i segnali di ritorni criminali da non sottovalutare.

“Il clan storico dei Casalesi, come lo abbiamo inquisito, è sconfitto dopo il pentimento di Iovine. Non esiste più, bisogna vedere quali forme criminali sono ancora su quel territorio” ha più volte ripetuto il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. E i recenti blitz del 10 marzo, con la scoperta che i figli di Francesco Schiavone sandokan reggevano ancora le fila del clan, è un monito a non cullarsi sugli allori.

Le estorsioni rendevano ancora 200mila euro, ai familiari degli affiliati venivano versati di stipendi un totale di 60mila euro. Una chiamata a raccolta di affiliati superstiti, stroncata dai carabinieri. La cultura del distacco da certe degenerazioni ha bisogno anche della Chiesa. E, nella sua introduzione al libro di Sardo, scrive Gian Carlo Caselli: “Se una nuova coscienza ha cominciato a nascere, pure nei cristiani, è anche grazie a testimonianze come quelle di don Diana”.

I libri che ricordano e raccontano vicende di mafie servono ancora? Sì, se bisogna ampliare la conoscenza, che non è mai troppa, anche a ciò che accade oggi, partendo da quello che si verificò ieri. E Raffaele Sardo prosegue il suo costante cammino, con un prezioso blog e con i suoi scritti. Nella terra difficile, dove continua a vivere, non è poco.

Fonte: NARCOMAFIE maggio/giugno 2015

Un martire in terra di camorra

di Giulia Panepinto

Chissà se nel paradiso immaginato da Raffaele Sardo in Don Peppe Diana. Un martire in terra di camorra, libro edito da Di Girolamo, i ricordi di dolore si cancellano. Chissà se si viva senza delusioni, senza vaghe nebbie di malinconia per quello che sarebbe potuto essere e non è stato. Chissà se, in questo paradiso, Gennaro e Peppe Diana, ricongiunti, abbiano ritrovato pace davvero.
Di certo, nonostante tutto, nel paradiso come lo descrive Sardo, i loro pensieri sono profondamente radicati ai fatti di questa Terra. E a quel giorno del 1994, il 19 marzo, quando nella parrocchia di San Nicola di Bari un commando camorrista spense a colpi di armi di fuoco la vita del giovane prete, uccidendo l’uomo, ma dando corpo all’idea e fiato alla speranza.
Il libro sintetizza bene questo cambiamento, se ne fa in parte voce e lo rappresenta attraverso le parole di padre e figlio, in un continuo flashback.
Ne viene però anche fuori un racconto cruento e rabbioso, di cui protagonista assoluto è la camorra: quella di Antonio Bardellino prima e poi del cartello criminale di Francesco Schiavone, Francesco Bidognetti, Mario Iovine e Vincenzo De Falco.
Con tutto l’amore di padre, Gennaro racconta a Peppe di come le indagini sul suo omicidio siano state lunghe e difficili, dei depistaggi, di quella macchina del fango azionata per screditare e delegittimare l’operato del prete di Casale che si è opposto a quel sistema di violenza e ingiustizia sociale. Ma gli racconta anche dell’evoluzione avvenuta all’interno dello Stato, che ha iniziato a prendere sul serio la questione dell’antimafia, presentandosi ai cittadini in modo diverso: più credibile e sensibile.
A testimonianza di ciò si possono citare alcuni avvenimenti scritti nel libro grazie ai quali viene smentita l’idea cardine dell’impossibilità di arrestare i boss più potenti e violenti e di confiscare i loro beni, un gesto che rappresenta un colpo basso allo status quo di ogni affiliato, come l’operazione Spartacus e la cattura di ‘Sandokan’. Il padre racconta ancora al figlio della sentenza, 4 marzo 2004, che ha visto coinvolti i suoi sicari e gli spiega il perché del suo omicidio. Nel Paradiso, padre e figlio incontrano anche personaggi del loro mondo terreno. Possiamo riconoscere alcune vittime innocenti di mafia come Attilio Romanò, Federico Del Prete, Domenico Noviello, Salvatore De Falco, Rosario Flaminio, Alberto Vallefuoco, Gigi Sequino, Paolo Castaldi, Daniele del Core, Loris Di Roberto, Gianluca Cimminiello, Dario Scherillo, Tonino Cangiano e la piccola Simonetta Lamberti.
La genesi camorristica di Casale è descritta nei suoi momenti fondamentali, in modo semplice ma incisivo, e per questo il libro di Sardo è raccomandato
soprattutto a quei ragazzi che nel ’94 forse neanche erano stati concepiti, ma che hanno voglia di conoscere questa realtà o di avvicinarsi alle battaglie portate avanti da don Diana.
Il libro che dunque si muove su due livelli. Livido, nel descrivere la cappa di odio imposta dai sistemi criminali; gioioso, quando descrive l’universo sfaccettato dell’altra faccia partenopea, quella delle associazioni e della rete economica sociale, delle iniziative nelle scuole e del ruolo importante dei giovani nell’ostacolare attraverso la cultura ogni forma di criminalità organizzata.
Durante la sua battaglia morale contro la Camorra don Diana si è appellato alla Chiesa e ai cristiani, non sempre ha ricevuto risposte da entrambi. Nel libro di Sardo viene descritta la figura del Profeta come quella di una sentinella, che vede l’ingiustizia e non può rinunciare a denunciarla, ma anche di colui che vuole inseguire la via della giustizia e nel suo cammino trasmette solidarietà fra la sofferenza. Proprio come ha fatto don Peppe per amore del suo popolo.

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