I Testimoni di Giustizia. Storia di chi ha testimoniato contro le mafie

TIBERIO BENTIVOGLIO

 

Fotocopertina e Articolo del 16 Aprile 2012 da 19luglio1992.com

La vera storia di Tiberio Bentivoglio: uomo libero.

di Francesca Munno

Ci sono storie che vanno raccontate, storie che entrano nella nostra vita e ci lasciano segni, esempi di coraggio e di grande dignità umana. Storie che parlano di uomini e donne che hanno scelto da che parte stare, storie fondate su scelte. Una storia con mille sfumature, con mille ostacoli, una storia che inizia con una scelta, ma questa scelta viene alimentata ogni giorno dalla testardaggine,  difendendo la propria libertà.

Questa è la storia di un uomo, di una famiglia e di un coraggio travolgente, che ha determinato non solo la storia di un nucleo familiare, ma anche la storia di una città, Reggio Calabria, di tante persone perbene, ma anche di alcune persone che hanno contribuito in maniera vergognosa,scegliendo di stare dalla parte sbagliata, di intralciare la storia di Tiberio Bentivoglio e della sua famiglia.

Questa non è solo una storia che si racconta e si dimentica, questa è una storia reale, che ancora oggi vive vicissitudini, di promesse mancate, di parole al vento, ma che ha una sola strada da percorrere: la speranza, da questa storia si può trarre l’insegnamento che nulla può bloccare una scelta di coraggio, di amore verso se stessi e verso la propria terra.

Il libro di Tiberio Bentivoglio “Colpito, la vera storia di Tiberio Bentivoglio” scritto da Daniela Pellicanò racconta la sua storia, di una scelta, quella di non pagare il pizzo, quella di non piegarsi alla criminalità organizzata, quella di non abbattersi di fronte all’ingiustizia,  alle tante assenze dello Stato. Una storia che ha il sapore a tratti amaro, ma in tutta la vicenda prevale la forza di resistere, perché non c’è bufera, non c’è vento che riesce a far piegare un uomo come Tiberio e la sua famiglia.

Il 25 Aprile 1992 Tiberio decide di allargare il suo negozio di articoli sanitari, ortopedici e puericultura. Il 25 Aprile ricorre la giornata della liberazione, e per lui è un sogno che si concretizza. Ma non sarà cosi per lui e la sua famiglia: è l’inizio di una battaglia senza linee di demarcazione, è una lotta contro chi dovrebbe tutelare le persone che denunciano il pizzo, è una lotta contro i suoi estorsori.

Il libro inizia dal 9 Febbraio 2011, giorno in cui Tiberio subisce un attentato in campagna, nel suo frutteto. Spari, 6 spari contro Tiberio, miracolosamente il marsupio che indossa ne ferma uno alla schiena, un secondo, gli trapassa la gamba destra, mentre gli altri rimangono incastonati nelle lamiere del suo furgone dove cerca e trova il riparo che gli salva la vita. Il libro continua con date, ma soprattutto con stati d’animo, sentimenti di sofferenza, solitudine, tradimento di amici, di parole pronunciate da politici che arrivano e si fermano alla solidarietà, tipico di chi non vuole affrontare davvero il problema e  aiutare chi denuncia. Sono anni difficili per Tiberio, ma che non molla neanche un secondo, che non ritratta la sua scelta e la sua denuncia. Il suo negozio viene devastato da furti, bombe e incendi, ma lui continua a denunciare, a raccontare le cose e non si ferma neanche quando pezzi delle istituzioni intralciano la sua voglia di verità, ma i danni economici sono tanti, perché lo stato arriva sempre tardi, molto tardi o a volte non arriva affatto, ma  lui testardamente va’ avanti.

C’è una persona importante nella vita di Tiberio, una donna non una qualsiasi, ma sua moglie, Enza Falsone. Una donna che ha alimentato  il coraggio di Tiberio, quel coraggio che trascinerà Tiberio ad andare avanti. Una donna determinata. Una donna che avrà la forza di prendere tutto quello che di buono era rimasto nel negozio  incendiato, e assieme alle sue collaboratrice, aiutate dai pochissimi amici rimasti, ricominciano ancora una volta, senza cedere, anche se la rabbia mista alla sofferenza è nei loro cuori. Ma sarà quella rabbia, quella sofferenza condivisa con sua moglie, con i suoi figli, a dare coraggio, determinazione a Tiberio, perché quella scelta iniziale è come un seme che non muore, ma che produce il frutto più importante, quello della “ Speranza “.  La paura c’è, ma non prevale. Il senso di solitudine c’è, ma non vince.

“.. nove avvertimenti anonimi, tre telefonate e sei lettere, più un ‘regalo’, il tutto nell’arco di tre anni, ma con assiduità”. Si legge a pag. 55.

Ma Tiberio ha scelto da che parte stare, e in una città come Reggio Calabria che è stata violentata ferocemente negli anni non solo dalla ‘ndrangheta, ma anche da quella parte di politica che con la ‘ndrangheta ci andava a braccetto, a pranzo e a cena, stare dalla parte della legalità, dalla parte della giustizia non è una cosa scontata.

Tiberio continua ad andare avanti, si costituisce parte civile nei processi dove lui ha contribuito con le sue denunce, non cede neanche per un secondo alla sconfitta, una sconfitta che come si deduce dalla sua storia, non è una sconfitta sua, ma dello Stato. Perché se da una parte la ‘ndrangheta continua a farsi sentire in maniera violenta, lo Stato tace. Anzi no pretende.

“18 Aprile 2008. Nuovo attentato ai danni della Sanitaria S. Elia. “ Scrive Tiberio Bentivoglio << questa volta però non è stata la ndrangheta, ma lo Stato! io posso attendere di essere risarcito ma lo Stato no!”

506.000.00 euro!!! Lo stato (minuscolo è più appropriato) chiede a Tiberio il doppio del danno subito dalla ‘ndrangheta!!! Un pizzo raddoppiato?

Ma non basta questo. Ritardi delle Istituzioni, mancate convocazioni ai processi dove Tiberio Bentivoglio si era costituito parte civile. Silenzi, silenzi e ancora prese in giro. Promesse, parole, tante parole. Parole di circostanza, promesse che si dissolvono in un giorno.

La scelta di denunciare, sembra avere un percorso tortuoso, come se fosse stato uno sbaglio,come se  parte delle Istituzioni, parte della società civile, piccola parte della Chiesa inveissero contro quella scelta di libertà che ha un nome Tiberio Bentivoglio, Vincenza Falsone.

Questo libro non insegna la rassegnazione, non insegna l’omertà, non ci da quel senso eroismo,di cui forse qualcuno ne ha bisogno. Questa è una storia di vent’anni di resistenza, di amore. Questa è la storia di un uomo semplice, umile, determinato e testardo.

Tiberio Bentivoglio, reggino, orgoglio della Calabria, insieme a quei pochi commercianti e  imprenditori, che hanno denunciato e che  rendono questa terra degna di chi ha scelto da che parte stare, rendono questa terra libera dai soprusi, liberi dai vigliacchi.

Loro sono testimoni di giustizia, ma anche testimoni di una resistenza che dovrebbe far vergognare chi si piega alla ‘ndrangheta, chi ha venduto e sta vendendo la  propria libertà e dignità e anche quella dei loro figli,  chi ha fatto un’altra scelta e cioè quella di farsi incatenare dal male più atroce della nostra società: la ndrangheta.

Il libro “Colpito” è a tratti un pugno allo stomaco, ma il senso di questo libro è un grido di libertà, di dignità che dona la speranza che tutto è ancora possibile, perché quella scelta di non piegarsi è e rimane una scelta di un uomo che ha trovato la forza nella scelta di denunciare, e in quella scelta Tiberio, lungo questo travagliato cammino, incontra Associazione Libera. Un abbraccio vero, concreto che porterà Tiberio e la sua famiglia a trovare più forza e a sentirsi meno solo in questa lunga battaglia.

Io ringrazio Tiberio, sua moglie Enza per il loro coraggio e determinazione, perché attraverso le loro scelte quotidiane, rendono questa terra libera.

 

 

Pubblicato in data 25/feb/2013

Lottare contro la ‘ndrangheta per non restare un uomo libero. Questa è la storia di Tiberio Bentivoglio, commerciante di Reggio Calabria che ha deciso di non sottostare alle minacce delle cosche cittadine.
Da anni lotta contro il potere delle ‘ndrine di Reggio per non sottostare al loro controllo messo in atto tramite la riscossione capillare del pizzo tra le attività commerciali della città.
La scelta coraggiosa di Tiberio Bentivoglio non si è fermata alla denuncia, ma è continuata con il tentativo di associare – grazie alla costituzione di “Reggio Libera Reggio”- tutti gli imprenditori che come lui vogliono liberarsi dal racket.

 

 

 

Foto e Articolo del 16 Ottobre 2013 da  strill.it

Regione, l’appello di Tiberio Bentivoglio alla Commissione contro la ‘ndrangheta: ”Se andrò via da qui è perchè le istituzioni sono state assenti”

E’ un accorato appello quello rivolto dall’imprenditore reggino Tiberio Bentivoglio nei confronti delle istituzioni nell’ambito della sua audizione in Commissione Regionale contro la ‘ndrangheta.
Bentivoglio, titolare della Sanitaria Sant’Elia, imprenditore simbolo della lotta al racket a Reggio Calabria, elenca di fronte alla Commissione presieduta dal Consigliere Salvatore Magarò, una serie di misure che secondo l’elaborazione avviata anche con il supporto dell’Associazione Libera, dovrebbero essere applicate nel caso di imprenditori colpiti dalla ‘ndrangheta.

Anzitutto, tra le richieste di Bentivoglio, l’esenzione dai tributi regionali per chi denuncia estorsione, usura e per i testimoni di giustizia. Secondo le richieste dell’imprenditore tra i tributi da sospendere la tassa automobilistica, addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche-Irpef, imposta regionale sulle attività produttive – Irap, addizionale regionale all’imposta di consumo sul gas metano usato come combustibile -Arisgam, tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, imposta regionale sulle concessioni statali dei beni demaniali e del patrimonio indisponibili, tasse di concessione regionale-Tcr, tassa per l’abilitazione professionale, tassa per il diritto allo studio universitario, tassa fitosanitaria Bollo di circolazione.

A ciò si aggiunge la cancellazione delle ipoteche sui beni immobili denuncianti e testimoni di giustizia, il diritto all’assunzione per chiamata diretta presso l’amministrazione regionale o enti e società strumentali o controllati per il denunciante, il testimone di giustizia ovvero, in alternativa, per il coniuge o per i suoi figli,  la costituzione di parte civile della Regione e di enti e società strumentali o controllati a sostegno delle vittime della criminalità organizzata, condizioni di maggior favore per il rilascio del certificato Durc, la possibilità per l’imprenditore denunciante o testimone di giustizia di usufruire, con priorità, di un bene sequestrato o confiscato  per poter riorganizzare l ‘attività distrutta o danneggiata dalla criminalità organizzata ed infine la creazione di un fondo regionale per le vittime che possa intervenire anticipando l’elargizione governativa e fornire un pronto intervento per riavviare l’attività imprenditoriale.
Una serie di misure che secondo quanto dichiarato da Tiberio Bentivoglio rappresenterebbero un solido incentivo agli imprenditori che vogliono opporsi alla piaga del racket ma che al momento non denunciano per paura di ritorsioni fisiche o per evitare le difficoltà economiche.

La storia di Tiberio Bentivoglio in effetti da questo punto di vista rappresenta un esempio concreto di quanto sia complicato ed in salita il cammino che deve affrontare un imprenditore che denuncia. E’ lui stesso a ricordarlo durante il lungo intervento di fronte ai componenti della Commissione regionale contro la ‘ndrangheta. Tra gli altri erano presenti i consiglieri Tilde Minasi, Gianluca Gallo, Giuseppe Giordano, Aurelio Chizzoniti e  Gesuele Vilasi.

”La mia attività – ricorda –  è stata oggetto di numerosi e devastanti attentati di evidente matrice estorsiva e intimidatoria, da me sempre denunciati. Furti, incendi, bombe e distruzione di automezzi, hanno messo in crisi la mia piccola ma sana azienda. I numerosi clienti di un tempo sono svaniti:  per paura di farsi vedere nel mio locale; per lo scarso rifornimento di prodotti a cui sono stato costretto a causa dei tempi troppo lunghi che sono trascorsi  prima di ricevere i risarcimenti spettanti per legge;  per la netta chiusura che le banche hanno adottato nei miei confronti, infatti non usufruisco più di alcun affidamento, ne di elasticità da parte degli istituti di credito, per giunta i fornitori oggi pretendono  pagamenti anticipati o  assegno allo  scarico della merce. Anche per loro sono diventato un cliente a rischio”. Una vicenda tristissima che si è consumata in questi anni sotto gli occhi inermi dei tanti, tantissimi cittadini ed associazioni, che non hanno mai fatto mancare la loro solidarietà nei confronti dell’imprenditore vessato dalla ‘ndrangheta e abbandonato dallo Stato.

”Tre anni fa – continua Bentivoglio –  in seguito alla condanna  in  primo grado di alcuni malavitosi da me accusati, sono rimasto vittima di un tentato omicidio, gli autori tuttora restano ignoti, mentre io continuo a trascinarmi su una sola gamba in quanto l’altra riporta lesioni permanenti causati dai  proiettili che mi hanno colpito, uno dei sei proiettili, quello probabilmente fatale, è stato trattenuto dal marsupio di cuoio che portavo a tracolla sulle spalle. Terminata la degenza fatta in parte in ospedale, mi è stato assegnato un dispositivo di tutela, per questo motivo oggi vivo con due carabinieri al fianco. In conseguenza a tali condotte lesive la mia attività ha subito un’ ulteriore e notevole battuta d’arresto, e ai danni economici si sono aggiunti quelli psicologici e fisici scaturiti dal ferimento, gli stessi disturbi mentali si sono riversati anche sull’ intera famiglia, pregiudicando quindi, non solo il lavoro ma anche la vita di relazione. Vivo in un continuo stato di allarme e di tensione. E per questo, con urgenza, ho chiesto in base alla legge 44/99 un aiuto allo Stato per poter far fronte anche al pagamento dei debiti contratti con i dipendenti, con i fornitori, col proprietario dell’immobile dove ha sede la mia attività, nonché quelli verso l’Inps, con l’Agenzia delle Entrate, col Comune e con questo Ente Regione Calabria. Sono trascorsi quasi tre anni, ed ancora non ho ricevuto neanche un centesimo”.

”Tutti i ritardi dovuti al farraginoso e confuso iter hanno provocato non solo la completa paralisi del mio negozio – prosegue Bentivoglio – ma un ulteriore accumulo di debiti e per questo Equitalia ha provveduto prontamente ad ipotecare il mio bene immobile, peggiorando e accrescendo la già faticosa situazione di tutta la mia famiglia. Oggi  con i miei familiari condividiamo ansia e preoccupazione: da un momento all’altro la mia casa potrà essere venduta all’asta, per l’appunto ieri  è iniziato il procedimento contro di noi per lo sfratto dai  locali adibiti a negozio il cui canone da diversi mesi non riesco più a rispettare. E sempre oggi mi trovo senza la possibilità di pagare i debiti per riscattare la mia casa, quindi senza soldi, senza lavoro e senza una famiglia serena,  i miei figli aspiravano ad ereditare una impresa sana e legale che avevo creato con grandi sacrifici, invece oggi sono dei disoccupati perché l’attività lavorativa familiare è ormai una chimera  e per questo che tantissime volte ho cercato una sistemazione per loro, ma come senza dubbio comprenderete, a chi si è opposto al sistema mafioso in questa città si chiudono facilmente le porte”.

”Quando ho deciso di denunciare – conclude Bentivoglio –  mi sentivo un uomo forte, certo d’aver fatto la scelta giusta, non sono scappato neanche dopo che hanno tentato di uccidermi, continuo a combattere, cercando anche di convincere altri commercianti a denunciare, sperando che il mio esempio diventasse contagioso, ma non è stato così. E lo Stato che si preoccupa di sostenere la cultura alla legalità, non può sentirsi assolto solo perché promuove qualche iniziativa nelle scuole. I convegni, le fiaccolate e i cortei contro i criminali non possono bastare. Io  spero di ricevere immediatamente quello che mi spetta per riattivare ancora una volta  la mia azienda, ma se un giorno sarò costretto ad abbandonare la mia terra non sarà per paura, l’avrei fatto prima altrimenti. La fuga l’avranno voluta le istituzioni, con la loro assenza”.

 

 

Tiberio Bentivoglio, imprenditore antimafia

Intervista a Tiberio Bentivoglio imprenditore e testimone di giustizia calabrese e Sofia ragazza siciliana durante un’esperienza di volntariato in un campo di Libera Parma.

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