I Testimoni di Giustizia. Storia di chi ha testimoniato contro le mafie

LUIGI COPPOLA

Articolo del 20 Gennaio 2011 da  ilfattoquotidiano.it

Testimoni di giustizia al macero: tocca a Coppola

di Sonia Alfano

Nell’Italia dei pentiti di mafia che parlano di Berlusconi come uno di famiglia, dei condannati per mafia come Dell’Utri e Cuffaro in Parlamento e dei condannati per traffico internazionale di droga come Ganzer a capo del Ros, una persona normale non fa in tempo a gioire per il potenziamento della scorta al testimone di giustizia Ignazio Cutrò e alla sua famiglia, che qualcosa finisce per rovinare tutto.

Il “qualcosa” in questo caso è un “qualcuno”. Si chiama Luigi Coppola ed è un testimone di giustizia. Nel 2001, Luigi, che commerciava auto, denuncia le estorsioni e l’usura subite facendo scattare decine e decine di arresti che portano a quasi trenta condanne definitive. In pratica, grazie alle sue testimonianze, viene decapitato il clan di Boscoreale, i Pesacane, e quello dei Cesarano della zona di Pompei e Castellammare di Stabia.

Come in tutte le fiabe, viene subito protetto e coccolato dallo Stato, e nel 2002 viene inserito nel programma di protezione testimoni assieme alla sua famiglia, moglie e due figlie che attualmente hanno 13 e 16 anni. A riportare con i piedi per terra Coppola è quel sistema per cui chi denuncia non viene obbligato a rimanere nella sua terra per dare un segnale forte ai clan, ma viene sradicato e portato in giro come un pacco postale, assieme alla sua famiglia, come un pentito di mafia da nascondere.

Solo nel luglio 2007 riesce a tornare nella sua terra, la Campania, precisamente a Pompei. E proprio allora quel che che sembra un lieto fine si trasforma in un incubo: la sua concessionaria d’auto viene disertata dagli acquirenti, la gente del suo paese fa persino una petizione al sindaco per cacciarlo da Pompei e quando si reca dal Prefetto di Napoli, quest’ultimo quasi giustifica chi non lo vuole a Pompei. E siccome le vergogne viaggiano sempre in compagnia, i proprietari dell’abitazione presso cui era in affitto con un giro di valzer lo buttano fuori di casa; Luigi ne cerca un’altra, prova anche a comprarne una, ma la risposta è sempre la stessa: a lei non si loca né si vende.

Nel frattempo accade ciò che per un testimone di giustizia è l’inizio della fine: la sua ultima deposizione è nel marzo 2007 e i processi, nel 2009, arrivano alla Cassazione, dunque Coppola non serve più e può essere avviato allo smaltimento rifiuti. Così, magicamente, nel gennaio 2010 il Viminale gli notifica la decisione di revoca, seduta stante, della scorta e della vigilanza fissa sotto la sua abitazione. Nella delibera della commissione centrale del Ministero dell’Interno si legge che anche la Prefettura ha comunicato che la posizione di Coppola è stata esaminata e visto che i suoi “impegni giudiziari sono da tempo terminati” e che le persone da lui denunciate sono attualmente detenute, Luigi non rischia niente. Tutto ciò, è bene dirlo, non è uno scherzo.

La commissione, in considerazione di ciò, ha deliberato quindi “di non prorogare le speciali misure di protezione nei confronti del testimone di giustizia e del suo nucleo familiare”. L’imprenditore presenta subito un ricorso al Tar, e se la revoca della scorta si ferma, la vigilanza viene subito rimossa. La camorra apprezza e gli lascia il proprio messaggio: qualche giorno dopo ritrovano accanto alla casa della famiglia Coppola una bottiglia con liquido infiammabile e un proiettile inesploso, lasciati lì chissà perché.

Mentre scrivo, Luigi e la sua famiglia vivono in un hotel. Non hanno più una casa e solo per pernottare, in quattro, spendono circa tremila euro mensili. Coppola, che da buon napoletano non molla, è tutt’ora membro della consulta anticamorra del comune di Boscoreale e coordina uno sportello antiracket. Ha fatto una cosa coraggiosa, tra le tante: ha denunciato alla procura di Roma i comportamenti del sottosegretario Alfredo Mantovano, che un giorno, tra le altre cose, gli disse: “Cerchiamo di non prenderci il dito, la mano e il braccio”, come se Coppola pretendesse qualcosa in più di quello che gli spetta, ovvero sicurezza e lavoro.

Il 27 gennaio il Tar deciderà se revocare o no la scorta a Luigi e alla sua famiglia. Noi aspetteremo al suo fianco.

Video Youtube

Intervista al TESTIMONE DI GIUSTIZIA LUIGI COPPOLA al Tg2 del 23/12/2011

Articolo del 21 Gennaio 2012 da malitalia.it

Sono disposto a darmi fuoco

di Paolo De Chiara

“La camorra ha iniziato, ma le Istituzioni stanno continuando il lavoro”. Non usa mezzi termini il testimone di giustizia Luigi Coppola per spiegare la sua situazione. Difficile e drammatica per lui e per la sua famiglia. La famiglia Coppola, per una scelta coraggiosa e dignitosa, è costretta ad elemosinare un posto per dormire. Tutto è cominciato nel 2001. Luigi era un commerciante di auto a Boscoreale, in provincia di Napoli. Stanco delle vessazioni della camorra, denuncia le estorsioni e l’usura. Grazie alle sue denunce si aprono le porte del carcere per alcuni esponenti camorristici locali. Oggi la famiglia Coppola è stata abbandonata dallo Stato. Ritornati nella loro terra, dopo aver girato il Paese, hanno toccato con mano la diffidenza della gente comune. “Un giorno sono entrato insieme alla mia scorta in un noto ristorante di Pompei. A me e mia moglie è stato impedito di sederci a tavola”. Nel gennaio del 2010 il Viminale ha revocato la scorta e la vigilanza fissa. Per lo Stato l’imprenditore Coppola non rischia nulla. Solo per un ricorso al Tar viene risparmiata la scorta. Non è facile, nel BelPaese, la vita dei testimoni di giustizia. Per l’europarlamentare Sonia Alfano: “le loro storie, purtroppo, sono tutte uguali: eroi civili che hanno denunciato i fatti criminosi che hanno subito o di cui sono venuti a conoscenza e che, dopo i processi (le cui sentenze quasi sempre si soffermano sulla nobiltà del loro gesto) sono stati abbandonati dallo Stato, estromessi dai programmi di protezione, lasciati senza sicurezza e senza mezzi di sostentamento”. Luigi Coppola, membro della consulta anticamorra del comune di Boscoreale e coordinatore di uno sportello antiracket, continua la sua solitaria battaglia. “Sono anche disposto a darmi fuoco davanti al Viminale. E’ un mese che ho lasciato l’albergo per motivi economici e nessuno si è curato di noi”.

Coppola, a chi si riferisce?
“Allo Stato”.

Cosa chiede allo Stato?
“Di essere ricevuto e di cercare una soluzione al mio grosso problema. Nel momento in cui lo Stato mi abbandona definitivamente sotto il profilo della sicurezza la camorra metterà in atto il proprio atto criminale”.

Ha ricevuto altre minacce?
“Sto vivendo temporaneamente presso l’abitazione di mio fratello. Ultimamente si sono registrati degli sgradevoli episodi. Qualcuno, scambiando mio fratello per me, gli ha dato del cornuto. C’è stata una regolare denuncia fatta da mio fratello”.

Esiste una petizione promossa dal comitato per la tutela dei testimoni di giustizia, tra i firmatari Salvatore Borsellino, Sonia Alfano, Angela Napoli, Giuseppe Lumia, Elio Veltri. A che punto siamo?
“Non ricordo bene se siamo a 1300 o 1400 adesioni. C’è l’intenzione, entro questo mese, di portarla all’attenzione del Capo dello Stato per vedere se almeno lui ci riceva”.

Nel luglio scorso Sonia Alfano ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica per illustrare la situazione dei testimoni di giustizia. Siete stati ricevuti dal Capo dello Stato?
“No, l’incontro non c’è mai stato. A parte la lettera dell’onorevole Alfano, mi ci sono recato personalmente al Quirinale. Insieme a mia moglie abbiamo fatto lo sciopero della fame, ma in tre giorni e tre notti nessuno si è visto. Ho avuto una sola risposta dal Quirinale. In quei giorni sono scesi dei funzionari che mi hanno comunicato che il Capo dello Stato non può interferire in decisioni che devono essere prese da altri organi dello Stato”.

Il neo ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri, ha dichiarato che “si interesserà al caso”.
“Il ministro ancora non si è interessato. L’altro giorno sono stato ricevuto dal senatore Giuseppe Lumia e prima dell’incontro sono riuscito ad ascoltare le dichiarazioni della Cancellieri alla Camera dei Deputati, un’interrogazione a risposta immediata sull’altro caso del testimone di giustizia Cutrò. Il ministro ha risposto anche sugli altri testimoni, affermando che il Viminale si è sempre preso cura dei testimoni e nulla sarebbe stato lasciato al caso. Io sono la prova che tutto ciò è falso e sfido la Cancellieri a smentirmi”.

Lei era un rivenditore di automobili a Boscoreale. Nel 2001 denuncia l’estorsione e l’usura della camorra…
“E viene decapitato definitivamente il clan Pisacane di Boscoreale, vengono tratti in arresto un reggente del clan Cesarano, più due suoi cognati. In più vengono arrestati appartenenti al clan Gionta di Torre Annunziata e numerose persone che avevano fatto usura nei miei confronti. In totale 30 persone. Per pagare la camorra fui costretto ad acquisire denaro a tassi usurai. Grazie alle mie dichiarazioni è stato anche sciolto il Comune di Boscoreale per infiltrazioni camorristiche”.

Nel 2002 venite inseriti nel programma di protezione per i testimoni di giustizia…
“Grazie al sostituto procuratore Giuseppe Borrelli, che lavora attualmente presso la Procura di Catanzaro. Prima stava alla Dda di Napoli. Prima di lui, chi aveva preso la situazione in mano non aveva ritenuto opportuno attivare nessuna misura di sicurezza. In quel periodo ho subito due aggressioni e ci sono i referti ospedalieri che lo provano”.

Nel 2007 la famiglia Coppola rientra in Campania, precisamente a Pompei.
“Avevamo scelto Pompei perché ritenuta tranquilla”.

E come siete stati accolti dalle Istituzioni, dalla gente?
“Peggio della camorra. Al sindaco sono state portate delle petizioni che sono state girate alla Direzione Distrettuale Antimafia e all’ex prefetto di Napoli. Il sindaco non ha mai dimostrato sensibilità nei nostri confronti, anche quando siamo stati costretti a vivere nelle auto blindate”.

Come spiega la frase “a voi non si loca e non si vende…”.
“Mi auguro che sia solo un fattore di paura, ma non credo che il Comune di Pompei possa avere paura. Questa è discriminazione”.

Dopo i vari gradi di giudizio, nel 2009, i processi aperti grazie alla sua testimonianza arrivano in Cassazione.
“Ventitre di loro vengono definitivamente condannati per associazione di stampo mafioso. Da un mesetto è uscito il reggente, il braccio destro del clan Pisacane. Stiamo parlando di un clan che fino ad oggi non ha prodotto pentiti e che ha tutta la voglia di rimettersi in piedi, di riprendersi il territorio per continuare con la droga, con le estorsioni e con l’usura”.
Per lo Stato la famiglia Coppola non rischia nulla. Viene revocata la vigilanza fissa e la scorta.
“Alla revoca mi oppongo con un ricorso al Tar. La scorta viene mantenuta, ma la vigilanza non viene rimessa. La camorra dà il proprio segno di apprezzamento con proiettili inesplosi e una bottiglia incendiaria. Attualmente ho ancora la scorta, ma so che stanno operando per eliminarla”.

Oggi come vive la famiglia Coppola?
“A carico di mio fratello e di mia madre, senza un centesimo. Il 24 gennaio le banche mi iscriveranno al recupero crediti e sarà per me la morte civile. E se tutto questo avverrà mi darò fuoco davanti al Viminale”.

Lei ha due figlie.
“Frequentano il liceo”

A scuola come vengono trattate?
“Non bene. Vengono viste come degli appestati dai loro amici, sicuramente condizionati dai genitori”.

L’ex sottosegretario Mantovano le disse: “cerchiamo di non prenderci il dito, la mano e il braccio”.
“Ho presentato regolare denuncia alla Procura di Roma”.

Esiste lo Stato nei suoi territori?
“Stato è una parola troppo grossa. La camorra ha preso il posto dello Stato”.

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