I Testimoni di Giustizia. Storia di chi ha testimoniato contro le mafie
ROCCO MANGIARDI
Articolo del 10 Gennaio 2009 dal Corriere della Sera
Calabria, la prima rivolta controchi impone il pizzo
Una vittima indica in aula ai giudici i suoi estorsori
di Giovanni Bianconi
LAMEZIA TERME (Catanzaro) — Il testimone è seduto su un lato dell’aula, i giudici alla sua sinistra e gli imputati di fronte. Racconta di quando, poco più di due anni fa, qualcuno si presentò al suo negozio per chiedere il «pizzo». Volevano 1.200 euro al mese «da destinare a zio Pasquale», dice. «Chi è zio Pasquale?», domanda il pubblico ministero. «Pasquale Giampà», risponde il testimone, che è pure parte offesa. «È presente in quest’aula?». Il testimone alza il dito indice, lo punta verso l’uomo sistemato a pochi metri di distanza, fra i due avvocati difensori, e dice: «Sì, è lui». È la prima volta che accade in Calabria: una vittima del racket che accusa pubblicamente i suoi estorsori (presunti, fino al verdetto, ma altri imputati per lo stesso fatto sono già stati condannati col rito abbreviato) in un’aula di giustizia. Non era mai successo in terra di ‘ndrangheta, e forse per questo tra i curiosi accalcati dietro i banchi degli avvocati ci sono facce note alle cronache: il prefetto di Catanzaro Sandro Calvosa, il sindaco di Lamezia Gianni Speranza, il leader delle Associazioni antiracket Tano Grasso. Gli ultimi due si sono costituti parti civili contro gli accusati, ma la loro presenza è il segno che questa testimonianza vale molto di più del singolo processo. L’uomo che accusa si chiama Rocco Mangiardi, ha 53 anni, basso di statura e piglio deciso.
Gestisce un magazzino di autoricambi in via del Progresso, il cuore commerciale della città. Spiega che dopo quella visita cercò in tutti i modi di farsi almeno ridurre la quota da pagare. Si mise in contatto con gente vicina allo «zio Pasquale », che lui sapeva essere il boss della zona, «per risolvere il problema». Uno di loro, Vincenzo Torcasio, è stato arrestato ieri insieme ad altre tre persone, in una nuova operazione antiracket della polizia, anch’essa resa possibile grazie alla collaborazione della vittima dell’estorsione. Per Mangiardi non ci fu niente da fare: «Mi dissero che potevano scendere a 500 euro, ma se non volevo pagare dovevo chiudere». Poi fu avvicinato da una persona che conosce da sempre: «Suo padre è mio cliente, mi prese da parte e mi disse che poteva organizzarmi un incontro chiarificatore con lo zio Pasquale ». Il pubblico ministero ripete la domanda: «È presente in quest’aula?». Rocco Mangiardi alza il dito per la seconda volta, indicando l’imputato Antonio De Vito, seduto accanto a Giampà e agli avvocati difensori: «Un giorno mi convocò nel suo ufficio — continua —, mi fece entrare in una stanza dove c’era Pasquale Giampà e disse che dovevamo uscire solo dopo aver trovato l’accordo ». Ma nel faccia a faccia con il boss l’accordo non si trovò: «Giampà era arrabbiato perché avevo cercato altre persone, mi disse che quando lo seppe voleva bruciarmi il magazzino, e che se volevo la protezione di altri dovevo trasferirmi nella loro zona.
Io replicai che volevo solo attenuare il danno, e proposi 250 euro al mese. Lui rispose che non chiedeva l’elemosina, e che in via del Progresso pagavano tutti, dalla A alla Z». Gli imputati fissano il testimone, che sembra sempre più piccolo ma non si ferma: «Io non voglio pagare gente che non lavora per me, e che so che userà i miei soldi per comprare proiettili, bombe e benzina. Preferisco assumere un padre di famiglia, ma subire un’estorsione no». Poco dopo l’incontro con Giampà, lavorando su un’altra indagine, la polizia ebbe il sospetto che Mangiardi fosse ricattato dal racket. Fu convocato in questura, ma negò tutto. Aveva paura. Gli misero una microspia nell’automobile e intercettarono un dialogo nel quale l’uomo confidava alla moglie la tentata estorsione. Lo convocarono di nuovo, gli contestarono quel colloquio, Mangiardi vuotò il sacco: «Non posso più negare», e raccontò la storia che ora ripete in aula. Quando tocca a loro, i difensori degli imputati tentano di farlo cadere in contraddizione, ma il testimone insiste nella sua versione. Gli chiedono se ha avuto soldi dall’Associazione antiracket, e perfino se abbia avuto una relazione sentimentale che gli dava dei problemi. Il presidente del tribunale non ammette le domande, il clima si fa pesante. Su domanda dei giudici viene fuori che il padre dell’imputato De Vito, poco tempo fa, s’è presentato al negozio di Mangiardi: «Mi ha chiesto se potevo aiutare suo figlio, per tirarlo fuori dal processo. Io lo capisco, ma non ne ho la possibilità ». La deposizione è finita, il testimone esce dall’aula accolto dagli amici dell’antiracket e dagli agenti di scorta. Glieli hanno assegnati dopo la pubblicazione di notizie su un presunto progetto d’attentato, non si sa bene a quale magistrato. Un disagio e una preoccupazione in più per Mangiardi, l’uomo che ha detto no al «pizzo» e ha puntato il dito contro chi lo pretendeva. Tano Grasso lo abbraccia: «Il nostro auspicio è che altri imprenditori seguano il suo esempio ed escano allo scoperto, com’è successo in Sicilia». E il sindaco Speranza: «Gli siamo grati, può segnare l’inizio di una nuova era». E’ quel che ripeterà giovedì prossimo a al capo dello Stato durante la sua visita in Calabria, terra di ‘ndrangheta e ora anche di qualche testimone.
Articolo del 21 Dicembre 2012 da calabriaonweb.it
Rocco Mangiardi: “Contro la mafia per sentirsi liberi…”
di Ketty Riolo
Un testimone di giustizia, che ha fatto condannare i suoi estorsori, ed un giudice, Gerardo Dominijanni, in prima linea contro le cosche. Confronto a più voci e senza reticenze a Lamezia Terme. Seguendo l’esempio di Mangiardi, che non considera eroismo l ‘indice coraggiosamente puntato contro i suoi estorsori, ma semplicemente il doveroso gesto di un cittadino onesto, la terza città della Calabria, Lamezia Terme, potrà vivere una nuova stagione.
Trent’anni di fiaccolate, di manifestazioni per la legalita’, di rabbia da sfogare per i morti ammazzati per strada, per esprimere il rifiuto di vivere in una societa’ non civile. Questo ha vissuto Lamezia Terme per troppo tempo, fino a quando qualcuno ha deciso che era il momento di voltare pagina, e dare un segnale forte a chi, da sempre oppresso, ha scelto di soffrire in silenzio. Rocco Mangiardi, ha 55 anni, e’ l’uomo che ha detto no al pizzo ed ha puntato il dito contro chi lo pretendeva. Seduto in quell’aula di tribunale, ha avuto il coraggio di raccontare la sua esperienza, la sua verita’, di indicare chi, seduto in aula a pochi metri di distanza da lui, aveva preteso i suoi onesti guadagni derivanti dall’attivita’ commerciale, un magazzino di autoricambi in via del Progresso. “Io non voglio pagare gente che non lavora per me, e che so che usera’ i miei soldi per comprare proiettili, bombe e benzina. Preferisco assumere un padre di famiglia, ma subire un’estorsione no!” Queste le sue dichiarazioni nel processo scaturito dall’operazione Progresso. Ed e’ da qui che parte tutto, da una testimonianza che vale molto di piu’ del singolo processo. Questo e’ the day after, quel giorno dopo che l’Associazione Crescere Insieme Lamezia Freedon Onlus ha voluto evidenziare in un incontro, tra chi e’ stato protagonista di un procedimento giudiziario che ha scritto una pagina di storia indelebile per Lamezia Terme, e le giovani generazioni, studenti attenti e partecipi del Liceo Classico Fiorentino e del Liceo Scientifico Galilei della citta’ della piana. Un’ incontro per costruire insieme il cambiamento ha sottolineato il presidente della Lamezia Freedom Onlus, Antonio Mastroianni, per far capire che il bene e’ la scelta giusta per continuare ad essere uomini liberi. ” Io ci sono”, io scelgo di impegnarmi a cambiare concretamente la societa’ in cui vivo ed opero, questo il motto che i relatori hanno scandito a chiare lettere.
Perche’ e’ stata cosi’ importante l’ operazione Progresso? “Perche’ nonostante da anni avessimo le prove che tutti in citta’ pagavano il pizzo, nessuno era disposto ad ammettere di essere vessato, a denunciare – ha dichiarato Gerardo Dominijanni, sostituto Procuratore di Catanzaro – fino a quando Rocco Mangiardi ha spezzato quel muro di omerta’, un uomo che appariva insignificante agli occhi delle cosche, ma importantissimo per Lamezia Terme. Quando ci incontrammo per la prima volta- ha raccontato ancora il dottor Dominijanni – mi disse che avrebbe denunciato soltanto se gli fossero state garantite tre cose: la vicinanza dello Stato, la certezza della pena, per non ritrovarsi dopo due giorni i suoi aguzzini fuori dal negozio, e nessun compenso, nonostante fosse previsto per legge. E cosi’ e’ stato. E’ importante dunque, scegliere da che parte stare, chi sceglie la ‘ndrangheta e’ gia’ un uomo finito”. Ancora Dominijanni: “In ognuno di voi – rivolgendosi agli studenti – ci sara’ il prossimo Falcone o Borsellino, soltanto se riuscirete a capire che la cultura e il merito vi possono portare lontano”.
E’ il turno di Mangiardi, che agli studenti rivela: “Ho deciso di denunciare per una questione di dignita’ personale. Perche’ la vita e’ una sola ed e’ giusto viverla liberamente. Oggi vado in giro con la scorta, ma non l’ho chiesta io, denunciando ho fatto solo il mio dovere di cittadino”. Parole semplici, ma efficaci, che commuovono quasi: “Per due anni non ho dormito – ha continuato Mangiardi – perche’ avevo dimenticato di fare il nome di un estorsore (dichiarato poi successivamente,ndr), quello di Aldo Notarianni.un sanguinario. Se l’avessi ricordato prima, se l’avessero arrestato, forse avrei salvato la vita ad un giovane, ucciso crudelmente e ritrovato carbonizzato all’interno di un’auto. Spesso mi domando – finisce Mangiardi ascoltato fino alla fine da centinaia di giovani che riempiono la sala e molti sono seduti per terra – perche’ dopo 100 anni di ‘ndrangheta, ancora non si riesce ad estirpare questo cancro. E’ la volonta politica che manca o la volonta’ civile?” La risposta è un applauso scrosciante dei ragazzi che si alzano in piedi e le parole di un di uno studente del Liceo Scientifico, che interviene per ringraziare Mangiardi.
“perché – dice – ho trovato nelle parole di Mangiardi la motivazione giusta per continuare ad impegnarmi per la mia terra, per quel bene che non e’ solo di ciascuno di noi ma di tutta la collettivita”. Giovani che non hanno bisogno di retorica e proclami, “ma di esempi concreti – ha detto il presidente del Consiglio regionale Francesco Talarico – Ero un ragazzo come voi, uno studente della Ragioneria quando ho iniziato a fare politica, per gioco, perche’ ho sempre creduto che la politica, e’ uno degli strumenti piu’ preziosi a nostra disposizione per cambiare la societa’ e dare spessore ai valori del bene comune. Se altri, seguiranno l’esempio di Rocco Mangiardi, possiamo sperare nella liberazione della nostra citta’ dalla criminalita’ organizzata, ostacolo allo sviluppo economico e sociale”. “Lamezia rimane una citta’ in bilico – secondo il sindaco Gianni Speranza – rammaricato del silenzio civile, che aleggia intorno ad un’altra importante operazione: Medusa. Squarciare il velo del silenzio, potrebbe essere il primo strumento di lotta’ alla criminalita”. “Io ci sono con chi non si compromette – ha sostenuto il deputato Doris Lo Moro – dire la verita’ crea tutto intorno solitudine, ma sono sicura che e’ molto meglio lasciare ai propri figli un’eredita’ onesta, come mio padre fece con me, prima di morire tragicamente. Io ci sono perche’ ho scelto di stare dalla parte della giustizia. Spesso i ragazzi sono attratti da modelli poco edificanti ed alcune ragazze si innamorano dei cosiddetti bulli, finendo pe piangerli sulla tomba. Cosa c’e’ dunque di edificante nel pretendere 1000 euro ad un commerciante senza esserseli guadagnati? Cosa c’è di edificante a sparare qualcuno alle spalle? Cosa c’è di divertente a fumare uno spinello, sapendo di contribuire ad alimentare il mercato criminale? Punti interrogativi su cui riflettere, secondo il maggiore Maurizio Pellegrino, comandante della Guardia di finanza di Lamezia Terme e Vito Margiotta, sottoufficiale. Evitare di frequentare negozi e locali gestiti da mafiosi, evitare particolari frequentazioni puo’ essere il primo impegno per le giovani generazioni. Giovani, dunque, protagonisti del futuro ma dentro il presente difficile che esige più partecipazione civile sia a Lamezia che in tutta la Calabria.
Lamezia TRAME Festival – Palazzo Nicotera: ROCCO MANGIARDI racconta la sua storia
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