I Testimoni di Giustizia. Storia di chi ha testimoniato contro le mafie
PIETRO DI COSTA
Fonte: tropeaperamore.myblog.it
Pietro di Costa scrive a Napolitano: “Ho denunciato facendo nomi e cognomi ma non sono stato mai chiamato da chi di dovere”
di Nicola Lopreiato tratto dalla Gazzetta del Sud dell’8 Gennaio 2011.
Chiude l’Istituto di vigilanza perché stanco di subire minacce e intimidazioni e si rivolge al Presidente della Repubblica al quale chiede di essere ricevuto per rappresentare la sua vicenda. Pietro Di Costa, 42 anni, di Tropea, già titolare dell’Istituto di vigilanza “Sycurpol”, chiuso da circa due mesi dopo aver restituito la licenza, non si dà per vinto e vuole andare fino in fondo. Non si piega ai soprusi e alle minacce.
Nella lettera inviata al Capo dello Stato lamenta, ancora una volta, di esser stato abbandonato dalle istituzioni contro le quali ha dovuto combattere, e non poco, prima di ottenere l’autorizzazione per aprire l’Istituto di vigilanza. Ma per lui la strada è stata subìto in salita: ottenuto il permesso e aperta l’attività sono subito iniziate le ritorsioni. «Le minacce – dice Di Costa – sono arrivate subito. Prima nei miei confronti, successivamente contro le guardie e la mia famiglia. Episodi che ho sempre denunciato fin dal 2008. Ma ogni mia rimostranza non ha avuto alcun seguito, forse neanche alcuna considerazione. Mi chiedo perché, visto che sono stato sempre un uomo vicino alle istituzioni e alle forze dell’ordine, informandole anche di situazioni molte spesso delicate».
Di Costa riferisce, inoltre, al Capo dello Stato di essere stato minacciato da un noto mafioso della zona, che attualmente è in carcere. «Tutte situazioni – annota ancora nella lettera inviata al presidente Napolitano – che ho dichiarato su Gazzetta del Sud nell’ottobre scorso affinché ognuno conoscesse la mia storia. Ma, nonostante tutto, nessuno mi è venuto incontro».
Una storia come tante, purtroppo, in una terra dove molto spesso prepotenza e arroganza prendono il sopravvento su chi, invece, opera nel pieno rispetto delle regole e della legalità. Pietro Di Costa, padre di quattro figli, chiede al presidente Napolitano di poter essere ascoltato, per una situazione che «solo apparentemente potrebbe sembrare privata ma che in effetti ha dei risvolti sociali piuttosto drammatici perché testimonia, ancora una volta, che in Calabria per gli onesti non c’è spazio. «Mi viene piuttosto difficile – scrive ancora Di Costa – spiegare ai miei figli che sono stato costretto a chiudere la mia attività per non cedere alle pressioni mafiose».
In passato il titolare della Sycurpol è stato più volte vittima di minacce, attentati e danneggiamenti. Nelle sue denunce ha sempre indicato nomi, cognomi e circostanze. Cose piuttosto rare da queste parti, ma nonostante ciò non è successo nulla. Così la vita della sua azienda, quella di Sycurpol, è stata breve. Da subito costellata di tante difficoltà. Le minacce si sono alternate ai danneggiamenti ai mezzi e lo stesso Di Costa, nell’agosto dello scorso anno anno è stato fermato mentre si trovava a Vibo Valentia e minacciato.
L’ultima “perla” in ordine di tempo è stata quella dell’ottobre scorso. Una “perla” dal sapore di piombo che per Di Costa ha avuto l’effetto della classica goccia che ha fatto traboccare un vaso ormai colmo di vessazioni e soprusi.
Da qui la decisione la decisione di restituire la licenza e di aspettare tempi migliori. In una sua dichiarazione alla Gazzetta del Sud il 15 ottobre dello scorso anno lo stesso titolare della Sycurpol chiedeva scusa ai suoi dipendenti e agli abbonati, ma non avevo altra scelta.
Una vicenda desolante, di fronte alla quale Di Costa più di ogni altro si rende conto che l’appello al Capo dello Stato rappresenta per lui l’ultima spiaggia per fare valere i suoi diritti e la sua dignità, quella di uomo onesto che stanco di subire ha deciso di non mollare e raccontare la sua vicenda al Capo dello Stato.
Dalla sua parte solo il sindacato di categoria.
Il sindacato nazionale delle guardie giurate, nei giorni successivi la protesta di Pietro Di Costa aveva preso subito posizione a sostegno dell’istituto di vigilanza Sycurpol. In quell’occasione il sindacato tramite il responsabile nazionale Marco Di Fusco aveva, tra le altre cose, evidenziato: «Di Costa non è uno che si sveglia la mattina e racconta di avere denunciato; se l’ha fatto significa che qualcosa si è verificato. Denunce pesanti quelle del titolare di Sycurpol che meritano risposta, davanti alle quali questo sindacato non starà certamente a guardare. La situazione è di una gravità tale che non la si può far passare inosservata».
Ma lasolidarietà del sindacato di categoria per il momento è stata la sola iniziativa concreta che si è registrata in tutti questi mesi a favore di Di Costa. Per il resto silenzio. Nessun ha ritenuto di assumere iniziative e, tantomeno, chiedere al titolare dell’Istituto di vigilanza cosa fosse accaduto. Da qui la decisione di riconsegnare la licenza.
L’unica voce sembra essere già pervenuta dal Quirinale che avrebbe già contattato telefonicamente l’interessato.
La denuncia di Pietro di Costa al Tgr Calabria
“Lo stato mi ha abbandonato”! Questa l’amara denuncia del testimone di giustizia di Tropea Pietro Di Costa rilasciata al TGR del 04.02.2012. Una testimonisnaza “sconcertante” e sotto molti aspetti assai provocatoria per tutti coloro che credono ancora oggi, malgrado tutto, alla giustizia, ai suoi rappresentanti, alla legge e all’amore per la legalità.
Articolo del 1 Dicembre 2013 da tv.ilfattoquotidiano.it
Testimone di giustizia: “Stato e ‘ndrangheta mi hanno distrutto e tagliato le gambe”
di Lucio Musolino
Cinque persone arrestate in provincia di Vibo Valentia, in Calabria, per usura, corruzione, violenza privata e intestazione fraudolenta di beni. Un’operazione che ha portato all’arresto anche di un poliziotto accusato di concussione e corruzione. Fondamentali per la squadra mobile di Catanzaro, che ha condotto le indagini, le dichiarazioni rese dal testimone di giustizia Pietro Di Costa di Tropea, un imprenditore titolare di un istituto di vigilanza che ha denunciato l’usura subita da personaggi legati alla cosca Mancuso. Il politiziotto arrestato, Stefano Mercadante, nel 2008 avrebbe costretto il testimone di giustizia a rimettere una querela nei confronti del responsabile di un altro Istituto di vigilanza. “Mi hanno distrutto e tagliato le gambe”, dice Di Costa ai microfoni de ilfattoquotidiano.it. “Non solo la ‘ndrangheta, che gestisce il territorio, ma – aggiunge – anche le istutuzioni. Ci sono uomini corrotti affiliati alla mafia. Delle mie denunce venivano informati i mafiosi”
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