“L’ altro casalese. Domenico Noviello, il dovere della denuncia” di Paolo Miggiano
L’ altro casalese. Domenico Noviello, il dovere della denuncia
di Paolo Miggiano
Ci sono storie che vanno raccontate. Per senso della memoria, perché rappresentano un pezzo importante della nostra storia. Vanno narrate anche quando accadono a Casal di Principe o a Castel Volturno. È terra del clan dei casalesi che, in un capovolgimento semantico e culturale, ha scippato il nome ad una comunità. Ma questi sono luoghi in cui vivono soprattutto tante persone perbene. Domenico Noviello era una di queste. Uno degli “altri Casalesi”. Uno dei veri Casalesi. In questo volume, Paolo Miggiano ne ripercorre l’impegno antiracket e la rettitudine morale, testimoniata oggi dai figli, che mostrano, con fragile fierezza, il loro dolore di sopravvissuti all’immane tragedia. L’altro Casalese è un libro sulla camorra e l’anticamorra, ma restituisce dignità narrativa a una persona che non si è chinata alle imposizioni dei clan. Quella di Domenico Noviello è una storia importante. Una storia non proprio troppo comune, ma che può ripetersi e accadere ovunque. La sua è la storia di un uomo che non voleva affatto diventare un eroe, ma essere solo un uomo normale. Noviello fu ucciso perché lasciato solo. Per la sua morte ci dobbiamo sentire tutti un po’ vittime, ma anche un po’ carnefici. Per questo la sua è una storia che dobbiamo conoscere.
La storia di Domenico Noviello e dell’importanza di denunciare.
Mattina 9 – 9 mag 2019
Fonte: quartaparetepress.it
Articolo del 8 luglio 2019
Paolo Miggiano e il racconto di Domenico Noviello
di Luca Signorini
La storia dell’imprenditore ucciso dalla camorra per aver denunciato i suoi estorsori, al centro del romanzo dello scrittore nominato Cavaliere “Al Merito della Repubblica italiana”, voce “controvento” che ha trasformato le parole e il linguaggio in strumenti per combattere la criminalità.
Paolo Miggiano combatte le mafie con la sua fiorente attività scrittoria. È un uomo delle forze dell’ordine, ora in pensione, e devolve i proventi delle vendite dei suoi libri ad associazioni che si occupano del contrasto sociale alle mafie. Gira l’Italia, parla dei caduti per mano di delinquenti armati, racconta come, quando, perché sono stati uccisi cittadini onesti e traccia un quadro terrificante di quale sia la situazione italiana attuale in merito al controllo di vasti territori da parte della criminalità organizzata. Miggiano spiega nel dettaglio lo svolgersi dei processi, le prove a carico, gli appostamenti, i pedinamenti. Nonostante i criminali siano in carcere nasce, leggendolo, un sentimento di paura, perché le mafie zoppe, ferite, punite, continuano a comandare.
Il motivo per cui continuano a comandare lo si potrebbe riassumere in una frase di Nando Dalla Chiesa, che Miggiano riporta nel suo libro L’altro Casalese, dedicato a Domenico Noviello, un imprenditore onesto e coraggioso ucciso perché denunciò e fece arrestare alcune delle bestie – a volte non si riesce a considerarli esseri umani – che tentarono di imporgli il pizzo. La frase di Dalla Chiesa è La forza delle mafie è fuori dalle mafie, ed è una frase che riassume esattamente ciò che i suoi libri raccontano: senza una società omertosa, costretta in parte dalla paura, in parte dal suo proprio degrado morale, ad essere collaborante con i cartelli criminali, le mafie morirebbero. Come potrebbero sopravvivere senza quell’humus territoriale che non fa andare gli abitanti di Castel Volturno al funerale di uomo onesto, ucciso perché ribelle al pizzo?
Lo stile del libro lascia trasparire la profonda indignazione, lo sconforto a volte, l’ammirazione per chi sul campo combatte questo cancro, il dolore per una politica inerte o compiacente, dell’Autore. I libri di Miggiano si leggono d’un fiato, ma il fiato bisogna fermarsi a riprenderlo, non si può incamerare tanta efferatezza, bestiale protervia, insensibilità che rasenta davvero la stupidità animale, senza arrestarsi ogni tanto. L’esposizione dei fatti, anche quando la vicenda si conclude con il successo della giustizia, lascia amareggiati.
Personalmente ho sempre avuto paura, ovunque in Italia io sia stato. Paura di essere imbrogliato, paura di perdere il posto di lavoro, paura delle dirigenze, paura di uno scippo, paura di un sopruso. Non mi sono mai fidato di nessuno occupasse posti di potere, di nessuno che avesse le chiavi della mia vita professionale e con cui io mi sia dovuto relazionare. È un sentimento immotivato il più delle volte; ma ho avuto e ho paura.
Camminando per le vie di Casal di Principe e di Castel Volturno, dove Miggiano mi conduce per raccontarmi fatti cruenti – cittadina che l’Autore tiene a riconoscere come luogo in cui l’intruso è la camorra, salvo poi citare Dalla Chiesa – non mi sento così distante dall’Italia che affronto ogni giorno. La mentalità omertosa, seppure infinitamente più sfumata, è presente ovunque. Mai si affronta una questione parlando in modo chiaro, mai si va dritti alla verità. Vedo il popolo italiano ottundersi da solo ogni volta ci sia una questione civile da definire. Può essere la questione più ovvia e semplice da definire, eppure si va per via traverse. È la nostra specialità. È il brodo primordiale nel quale la mafia, che ha appunto radici antiche, sviluppa le sue prime cellule. È la negazione di quel pensiero lucido, maestoso, che segnò la nascita della Filosofia. Ecco, la ricerca della verità, del significato dell’Essere, è l’esatto contrario del modo di pensare contorto e volutamente ottuso che ci contraddistingue tanto di frequente.
L’Autore
L’altro casalese, A testa alta, Ali spezzate, NA K14314, La guerra di Dario sono i libri di Paolo Miggiano, libri importanti. Perché raccontare tutto questo, perché rimestare nel dolore che le mafie italiane hanno prodotto e producono?
Perché nulla deve essere dimenticato, siamo d’accordo.
Perché i giovani sappiano, e questo è ancora più importante.
Ma c’è un altro motivo per cui la parola scritta da Miggiano deve essere celebrata, e per spiegarlo prenderò a prestito un pensiero di Maurice Blanchot: Il linguaggio è l’atto con cui la violenza accetta di non essere palese ma segreta, e rinuncia a prodigarsi in una azione brutale per risparmiarsi in vista di una forma superiore di dominio.
Paolo Miggiano domina e sconfigge le mafie raccontandocele. Usa il linguaggio, ciò di cui i mafiosi sono sprovvisti. Non è cronaca ma filosofia, perché la sua è parola scritta e realmente vissuta, parola espletata in una vita oggi itinerante (i numerosi premi collezionati da Paolo sono delle chiose alla sua attività letteraria, il cui motore non ne ha bisogno).
Il linguaggio e la limpidezza del pensiero sono l’arma principale per costruire una società onesta. Questo è l’importante messaggio implicito nei libri di Miggiano: il linguaggio è l’arma che va oltre il racconto dei fatti, oltre il ricordo dei morti innocenti, oltre il dipinto delle oscene figure mafiose. Con il linguaggio nasce lo straordinario destino del discorso, in cui la violenza segreta, disarmando la violenza aperta, finisce per diventare la speranza e la garanzia di un mondo liberato dalla violenza.