La camorra dalla A alla Z di Bruno De Stefano

 newtoncompton.com, 2016
La camorra dalla A alla Z
Boss, killer, pentiti, vittime e giornalisti: i nomi che hanno fatto la storia della criminalità organizzata campana

di Bruno De Stefano

Più di seicento nomi – tra boss, killer, pentiti, magistrati, giornalisti e vittime innocenti – che hanno fatto la storia della camorra.

Centinaia e centinaia di voci e di storie: sono tutti i nomi dei personaggi che, a partire dal 1860, fino ad arrivare ai giorni nostri, hanno “fatto” la criminalità organizzata campana. Dai boss ai killer, dai politici collusi ai collaboratori di giustizia; dai magistrati ai carabinieri e poliziotti che l’hanno contrastata; dalle vittime innocenti agli esponenti della società civile che l’hanno combattuta; e poi ancora i registi, i giornalisti e gli scrittori che l’hanno raccontata in decine e decine di libri e film. La camorra dalla A alla Z è un’opera da consultare per approfondire, per conoscere a fondo, ma anche per scoprire dettagli, informazioni e dinamiche nascoste di una lotta al crimine sempre in corso.

I nomi, le voci e le storie di tutti i personaggi e i fatti che hanno sconvolto e insanguinato la storia del nostro paese

Ogni nome è una storia di sangue:

• CARMINE ALFIERI, fondatore della Nuova Famiglia
• GIANLUCA CIMMINIELLO, l’omicidio di un bravo ragazzo scatenato da un’assurda storia di gelosia professionale
• CIRUZZO ’O MILIONARIO e la faida di Scampia
• TORE DE CRESCENZO, il camorrista che diventò capo della polizia
• RAFFAELE CUTOLO, fondatore della Nuova Camorra Organizzata
• ANNALISA DURANTE, assassinata a 14 anni durante una sparatoria tra camorristi
• LUIGI GIULIANO, boss di Forcella e figura storica della camorra napoletana
• WALTER MALLO, il boss dei nuovi clan

 

 

 

Fonte:  agoravox.it
6 settembre 2010
 Una vittima innocente… di serie B
di Bruno De Stefano

Dal sito StrozzateciTutti

Diciannove lettere. Nello sterminato elenco delle vittime innocenti abbattute dalla camorra, quello di Giuseppina Guerriero non è che un nome tra tanti. Diciannove lettere, appunto, che non dicono quasi nulla neppure a chi segue con attenzione le cronache dei giornali e dei tg. Una vittima di serie B, insomma, di quelle che non “tirano” sui media.

Sarà perché quando è stata ammazzata i media si stavano occupando d’altro, o perché i familiari hanno sempre preferito mantenere un profilo basso. Fatto sta che la storia di questa donna morta a 43 anni è colpevolmente poco conosciuta, se non a chi le voleva bene. E merita di essere ricordata non solo perché rappresenta uno degli esempi più atroci di come si possa morire da innocenti, ma per il gesto nobilissimo compiuto dalla sua famiglia. Un gesto e una storia che il circo dell’antimafia, quello che si mantiene in piedi solo grazie alle dichiarazioni ad effetto, ha completamente ignorato.

Né ieri né oggi, a distanza di dodici anni dall’accaduto, nessuno si è ricordato della Guerriero: il suo nome evidentemente non fa audience.

È il 2 settembre del 1998, sono da poco passate le 23 e la donna è da poco partita dal ristorante di Saviano nel quale lavora da poco come cuoca. Lei e il marito, l’operaio Nicola Quartucci, hanno quattro figli ed è necessario portare a casa almeno due stipendi.

La donna è a bordo della sua Alfa 33 e sta tornando a casa, a Faibano, una frazione di Marigliano. Nicola e i figli Rosa, Antonella, Anna e Raffaele sono impazienti perché rispetto alle altre sere, Giuseppina sta facendo tardi. Troppo tardi. Mentre l’attesta si da snervante, arriva una telefonata dai carabinieri:

«C’è stato un incidente, la signora è ricoverata all’ospedale di Nola».

Giuseppina Guerriero è in coma profondo, l’elettroencefalogramma è piatto; è solo questione di ore, poi passerà a miglior vita. Ma ad ucciderla non è stato un tamponamento o una manovra azzardata. «L’incidente» di cui parlano i carabinieri non è stato un incidente d’auto. La verità è un’altra ed è assai più sconvolgente e per questo ancora più inaccettabile: Giuseppina ha una pallottola in fronte esplosa da un killer della camorra.

Quella pallottola che ha prima sbriciolato il parabrezza e poi le ha fatto un buco sulla testa era destinata ad un’altra persona, un boss della zona condannato a morte dalla cosca rivale.

Le cose sono andate così: mentre attraversava una strada di Scisciano, Giuseppina Guerriero ha avuto la maledetta sfortuna di trovarsi sulla traiettoria di una Y10 al cui volante ci doveva essere Saverio Pianese, un esponente di primo piano del clan Capasso.

I killer in sella ad una moto, infatti, inseguono la Y10 convinti che a bordo ci sia Pianese e quando si affiancano all’utilitaria, il boia spara più volte. Quattro volte, per l’esattezza. L’uomo che guida la Y10 non viene colpito, ma i proiettili raggiungono Giuseppina, che proprio in queglio istanti è di fianco alla vettura nella quale ci dovrebbe essere Pianese. Tre vanno sfondano il parabrezza, il quarto colpisce la donna alla testa. L’Alfa 33 prima sbanda e poi finisce contro un muro. Il resto è fatto di ambulanze, ospedali, lacrime.

La donna colpita al posto del boss non ha alcuna possibilità di salvarsi.

Ma pur dovendo fare i conti con un dolore lancinante e con una morte inaccettabile, il marito e i figli fanno in modo che il sacrificio di una innocente non sia inutile e autorizzano l’espianto degli organi.

Reni, fegato e cornee di Giuseppina vengono donati a persone in attesa del trapianto. È un gesto nobile del quale, però, quasi nessuno si accorge. La storia viene archiviata in tutta fretta, senza suscitare la benché minima reazione nella cosiddetta opinione pubblica, ad eccezione di chi la paragona a quella di Silvia Ruotolo, una casalinga napoletana stroncata nel giugno del ’97 da un proiettile vagante. Un classico caso di sdegno a corrente alternata, dunque.

Tre mesi dopo gli assassini della donna verranno arrestati grazie alla collaborazione di testimoni che avevano assistito al conflitto a fuoco del 2 settembre. In quella occasione il procuratore Agostino Cordova sottolineerà come l’imboscata di Scisciano sia stata colpevolmente ignorata:

«L’uccisione di Giuseppina Guerriero non può non richiamare quella di Silvia Ruotolo. Tuttavia le sacrosante indignazioni che ci furono per Silvia Ruotolo non ci sono state per la Guerriero, che evidentemente non rientrò nel circo delle indignazioni verbali»

Si scoprirà, infine, che i killer che hanno ammazzato la Guerriero hanno sbagliato anche obiettivo: nella Y10, infatti, non c’era la vittima designata ma un pregiudicato di modesto livello.