La storia della Mafia Siciliana – Tra i due secoli nasce il Socialismo.
Fonte: alkemia.com
1984 John Dickie – Cosa Nostra, Storia della mafia siciliana – Editori Laterza, 2006
Il dramma delle campagne
Le drammatiche condizioni di vita a cui erano costretti i contadini di ogni regione, era una delle emergenze nazionali ereditate dal secolo XIX.
La Sicilia non si sottraeva ad una realtà che vedeva questa categoria ridotta ad una povertà assoluta. Le forze politiche più riformiste, stilarono rapporti che descrivevano le famiglie dei braccianti, in preda a malnutrizione, analfabetismo e vittime della malaria.
Il quadro della situazione diveniva ancora più terribile nello scorgere nel dettaglio quanto riportavano documenti dell’epoca al riguardo. Viaggiando per le campagne dell’isola, si incontravano “ …uomini e donne pallidi, anemici, con gli occhi infossati, … e stuoli di ragazzini vestiti di stracci che elemosinavano un tozzo di pane “.
Le cause di questa piaga erano da ricercare nelle profonde disparità sociali. I proprietari terrieri, fedeli ad una cultura feudale mai scomparsa, risiedevano spesso nelle grandi città come Palermo. Le loro terre erano affittate con contratti di breve durata ai gabellotti. Questi dovevano per la natura del contratto, sfruttare al massimo poderi e contadini. I metodi usati non prevedevano limiti di violenza, intimidazione o sopruso. I lavoratori finivano in balia dei debiti e rapinati da avvocati svenduti ai proprietari terrieri e ai nobili. Lo sfruttamento da parte della violenza mafiosa poi, costituiva una componente fisiologica dell’azione gabellotta, perché mafia e gabellotti erano in pratica la stessa cosa.
Prendono vita i Fasci siciliani
Nel corso dell’ultimo decennio dell’800, i contadini e i braccianti danno vita a forme di ribellione che pur improvvisate, costituiscono un segnale che si estende di area in area. Queste azioni mosse dalla disperazione e dalla fame, si concretizzano nella formazione dei Fasci: organizzazioni che riunivano queste masse oppresse nella lotta contro i proprietari terrieri, e che nulla avevano a che fare con i movimenti fascisti di alcuni anni dopo.
La Sicilia si distinguerà come una terra in cui il loro attivismo raggiungerà l’apice nazionale e a Corleone nascerà uno dei Fasci più noti di tutto il paese. Alla sua guida salirà Bernardino Verro, impiegato comunale stanco di vivere in una realtà fatta di imposizioni e di posti di lavoro conquistati solo grazie ai favori dei potenti: lavori umilianti con cui spesso non si guadagna quanto serve a sfamare la famiglia.
Verro conquista la gente, e i suoi discorsi in dialetto siciliano infuocano le folle. Nascono nuovi fasci ovunque egli vada a tenere comizi. Parla di uguaglianza inneggiando al socialismo, di cooperazione e di diritti alle donne. Riuscì a dirigere il primo sciopero di massa dei contadini in Italia, coinvolgendo oltre 6000 tra uomini e donne. Le richieste erano semplici, chiare e misurate: nuovi contratti con una suddivisione più equa di raccolto e guadagni, tra Proprietari terrieri e contadini. Lo straordinario successo di questi movimenti è fortificato dal clima che li anima. I membri dei Fasci si aiutano e sostengono nel quotidiano: chi sa leggere e scrivere insegna agli analfabeti. Aldilà delle ideologie socialiste comunque in forte ascesa, la gente voleva semplicemente condizioni di vita più sopportabili e per la prima volta provava la forza regalata dal senso di appartenenza ad una causa comune .I Fasci e l’infiltrazione mafiosa
E’ faticoso prendere atto da parte della sinistra che all’origine dei movimenti socialisti, aderissero anche degli affiliati ai clan mafiosi, ma è difficile essere dei rivoluzionari in una terra come la Sicilia. La mafia è ovunque e anche all’interno dei Fasci. Dopo la sua morte si scoprirà che pure Bernardino Verro era un membro della cosca dei Fratuzzi, un’adesione che pagherà cara per tutta la vita. Una scelta compiuta in un momento difficile, dove la sopravvivenza per se e la famiglia erano la priorità. Egli accettò la protezione della mafia sentendosi minacciato di morte da chi i Fasci voleva troncare con forza.
Negli anni che vennero la mafia avrebbe assassinato tanti sindacalisti, comunisti, socialisti, con l’intento di controllare e stroncare la insurrezione del popolo delle campagne, ma all’inizio cercò di introdursi nei movimenti, per sfruttare i vantaggi che potevano giungere da una forza in ascesa; il tutto in linea con l’opportunismo privo di ideologie politiche che per sempre la distinguerà.
Secondo inchieste del governo, i Fasci rimarranno liberi dall’influenza mafiosa, ma quanto accadde a Corleone non fu isolato. Del resto la povera gente, non era nelle condizioni di sottilizzare se l’appoggio veniva da socialisti puri, o da socialisti e mafiosi. L’estensione di questa infiltrazione costituirà un ulteriore minaccia per i movimenti. Il pericolo che questo aspetto venisse sfruttato come pretesto per un attacco militare alla ribellione, come stava già accadendo ai moti socialisti in altre parti d’Italia con pestaggi e brutalità, si tramuta in realtà. Dal 1894 gli scontri tra forze del governo e i movimenti si inaspriscono fino a culminare con l’imposizione della legge marziale. Vengono inviati 50 mila soldati, si istituisce lo scioglimento dei Fasci, l’esercito spara sui dimostranti. Tra le loro file decine e decine di morti, centinaia di arresti, compreso quello del leader di Corleone Verro. Seguiranno per lui oltre 10 anni di prigione ed esilio e quando nel 1907 ritorna nella sua città, accolto dalla folla in festa, sarà pronto a ributtarsi nella mischia.
La Chiesa e la Mafia: una alleanza d’interessi
A 13 anni dalla eliminazione dei Fasci, un governo più liberale approva una legge che consente alle cooperative di ottenere finanziamenti dal Banco di Sicilia per affittare i terreni direttamente dai proprietari, escludendo l’azione gabellotta. La mafia si sente minacciata perchè rischia di perdere l’arma per il controllo del territorio più potente in sua mano. Verro sostiene le cooperative e intorno a Corleone sorgono ben 9 tenute da loro controllate.
L’avvento del Socialismo in Italia, induce la Chiesa a tornare ad occuparsi direttamente della vita politica per arrestare la scalata della sua dottrina materialista. Un ritorno dopo il distacco del post 1870, nel quale a seguito della conquista di Porta Pia aveva preso le distanze da “ Uno Stato senza Dio “. In Sicilia questo si materializza anche con le difficoltà che gli istituti bancari controllati dai cattolici, creano alle cooperative socialiste. Mafia e clero, da sempre in stretti rapporti, uniscono le forze sul terreno comune dell’odio verso il socialismo e tutte le sue connotazioni sociali, ma soprattutto nel nome della vasta catena d’interessi da tutelare. Verro attacca l’alleanza, arrivando a denunciare che in molte zone della Sicilia si respira un’aria che puzza di “ Mafia e incenso “. Sopravvive ad attentati che non partoriscono indagini con colpevoli e nel 1911 lascia Corleone sconvolto dall’uccisione di un caro amico, Lorenzo Panepinto, leader sindacale contadino.
Dopo 3 anni di traversie, accetta l’appello della sua Corleone a candidarsi alle elezioni di Sindaco per una lista socialista. Il suffragio universale maschile introdotto nel 1912, gli consentì la vittoria. Si oppose con coraggio e forza al potere mafioso e all’entrata nel primo conflitto mondiale dell’Italia. Un evento che costituì un nuovo freno allo sviluppo dei movimenti operai e socialisti siciliani, perché sarà proprio tra le file della povera gente, che verranno arruolati tanti giovani da spedire in trincea: saranno oltre 400.000 le reclute inviate dalla Sicilia.
Dopo la legge marziale del 1894, gli intrighi mafioso ecclesiastici del 1910, ora è il fronte ad ostacolare il diritto dei contadini ad aspirare ad una società più giusta.
L’antico debito d’onore mai saldato con la cosca dei Fratuzzi, sarà pagato con la vita da Verro il 3 novembre 1915. Il Sindaco di Corleone viene crivellato di colpi all’uscita del municipio, ed il suo cadavere verrà martoriato di colpi alla nuca ed al viso ad ammonimento per chiunque.
Uno “Stato” di rassegnazione
Il fallimento del processo istituito dal questore Sangiorgi nel 1900 e l’assoluzione di Palizzolo e Fontana nel 1904, resero molto difficile il risveglio d’interesse dell’opinione pubblica nella guerra alla mafia. Prevaleva un sentimento di scetticismo e passività. Le notizie che giungevano dalla Sicilia su crimini e omicidi, generavano indifferenza e disgusto. Anche nel caso dell’omicidio di Bernardino Verro, vi era la consapevolezza di un delitto che sarebbe finito nel buio, senza colpevoli. La realtà fu infatti questa, ma l’aspetto più drammatico risiede nella rassegnazione con cui le istituzioni, incluse le porzioni oneste, ritennero inevitabile che l’assassinio brutale di un sindaco perbene che combatteva la mafia, sarebbe terminato senza giustizia.
Nel periodo spalmato tra la prima e la seconda guerra mondiale, furono tanti gli omicidi politici tra i membri dei Fasci. Quando l’associazione mafiosa falliva la sua intromissione nelle organizzazioni operaie per manipolarle, ricorreva alla violenza ed al terrore. Negli anni prese vita anche un cattolicesimo di moderna concezione, attivo nel sociale, e anche diversi preti suoi esponenti, finirono morti ammazzati dal fuoco mafioso.
Tra questi ricordiamo i nomi di don Filippo Di Forti ( San Cataldo, 1910 ), don Giorgio Gennaro ( Ciaculli, 1916 ), don Costantino Stella ( Resuttana, 1919 ), don Gaetano Millunzi ( Monreale, 1920 ) e don Stefano Caronia ( Ghibellina, 1920 ).
Nel 1917 i cittadini di Corleone innalzarono un busto alla memoria di Verro. Scelsero piazza Nascè, il luogo dove i braccianti andavano ad elemosinare ai gabellotti una giornata di lavoro. Nel 1925 il busto fu rubato e mai più ritrovato. Fu necessario attendere il 1992, perché il coraggio della memoria riservasse un omaggio a questo uomo. Il nuovo monumento eretto a simbolo dei sacrifici della collettività nella lotta alla mafia, fu distrutto nel 1994. Un emblema di quanto la violenza mafiosa si accanisca ben oltre la morte fisica delle sue vittime.