L’enigma di Attilio Manca Verità e giustizia nell’isola di Cosa Nostra di Joan Queralt
Terrelibere.org editore
Sullo sfondo di una terra dove la mafia ammazza e umilia, la lotta per la verità e la giustizia fa emergere un segreto inconfessabile, legato alla latitanza di Bernardo Provenzano. Una rete di complicità. Un intervento chirurgico che non esige testimoni.>
Disponibile anche in formato elettronico
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Recensione da Micromega
Attilio Manca, un caso ancora aperto
di Benny Calasanzio
“L’Enigma di Attilio Manca” (traduzione della versione spagnola, Terrelibere.org editore) non è un libro che cerca la verità ad ogni costo sull’omicidio dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto. E’ un libro incredibilmente asettico ed imparziale, a volte brutale nei confronti dei familiari di Attilio, non certo per deliberata malizia, ma proprio per la metodica serietà della ricerca di Queralt, che di lavoro non fa il trascrittore di verità acquisite ma lo scrittore. Ascolta, verifica e mette in dubbio. E poi scrive.
Prende i fatti, sterili ed incontestabili, li mette nell’esatta sequenza e li offre al lettore. Poi prende le parole di Angela, la mamma, del padre Gioacchino e di Gianluca, il fratello, e le analizza. Mette in rilievo i punti di forza delle loro argomentazioni, ma anche gli aspetti che secondo lui sono deboli con un lavoro di estrema terzietà, senza timori reverenziali.
Il punto di congiunzione, il verdetto letterario, però, alla fine non può che confermare un fatto, incontestabile: Attilio Manca è stato ucciso. Come, da chi e perchè sono interrogativi a cui ovviamente Queralt non può dare risposte. “Di sicuro c’è solo che è stato ucciso”, riadattando la frase di Tommaso Besozzi di fronte al corpo del bandito Giuliano.
Certo, c’è la versione ufficiale, il frutto delle indagini quantomeno “superficiali” condotte dal pm Renzo Petroselli e curate dalla Squadra mobile di Viterbo: Attilio si è suicidato con un mix di eroina, medicinali e alcool. Attilio era un eroinomane. Attilio forse spacciava o faceva il corriere della droga. Poi però c’è l’autoevidente, che non può essere scalfito da indagini scadenti e da volontà insabbiatrici: c’è che Attilio e il suicidio erano concetti distanti anni luce, c’è che oltre ai buchi delle punture delle iniezioni che lo uccideranno, l’urologo non avesse altri fori, il che è molto strano per un tossicodipendente. C’è che Attilio ha i buchi delle iniezioni sul braccio e sul polso sinistro, lui che era “estremamente” mancino, incapace di usare la destra per gesti di precisione. C’è che in casa non ci fossero gli strumenti del drogato, cucchiaini anneriti, carta stagnola e altri attrezzi per predisporre le dosi. C’è, infine, che non c’è nulla che torni.
Ad Angela non fanno vedere il corpo del figlio perchè – le dicono – è irriconoscibile: cadendo sul letto si è sfracellato sul telecomando; c’è che il telecomando era sotto al braccio e non accanto o sotto la faccia, e c’è che i telecomandi ad oggi non vengono costruiti in cemento armato. C’è un setto nasale palesemente deviato al solo vederlo in fotografia, ci sono ecchimosi per tutto il corpo. C’è che di un suicidio quella scena del crimine non ha nemmeno l’odore.
Poi, ma solo infine, c’è un piccolo dettaglio, ovvero che Attilio Manca era un luminare dell’urologia, uno dei pochissimi in Italia già nel 2001 ad operare la prostata per via laparoscopica. E che Provenzano aveva un tumore alla prostata. E che Attilio Manca nell’autunno del 2003 si recò nel nel sud della Francia, per assistere a un intervento chirurgico, come disse ai suoi genitori. In quello stesso periodo, come fu accertato, lì c’era anche Provenzano. Coincidenze, certo, come il fatto che storicamente cosa nostra, dopo aver “utilizzato” qualcuno, poi lo faccia sparire.
Queralt, con una scrittura che ricorda quella di Gabriel García Márquez in “Crónica de una muerte anunciada”, si sorprende dei fatti, del cugino Ugo Manca la cui impronta viene ritrovata a casa di Attilio e che si presenta nell’immediatezza nell’ufficio del pubblico ministero per chiedere, tanto insistentemente quanto irritualmente, il dissequestro della casa di Viterbo. Si sorprende di Barcellona Pozzo di Gotto, ne indaga il tessuto, studia quella mafia “babba” e micidiale, parla, inaspettatamente, del verminaio giudiziario che ha a capo della procura generale Franco Cassata, animatore del circolo “Corda fratres”, insieme a numerosi esponenti della massoneria barcellonese e ad alcuni personaggi in odor di mafia, come Rosario Cattafi e capimafia come Giuseppe Gullotti.
Alla fine, l’enigma iniziale non è risolto, ne tantomeno svelato; ma i fatti, quelli sterili ed incontestabili sono a disposizione di tutti, magari anche di un pm che per la prima volta potrebbe capire qualcosa di questo caso.