Nel labirinto delle mafie a cura di Attilio Bolzoni ed Enrico Bellavia
25 Luglio 2017
Prove tecniche di trattativa
Quando Paolo Borsellino parla con il colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, i due non gli rivelano un dettaglio di una certa rilevanza: hanno agganciato l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, hanno gettato l’esca e aspettano che abbocchi.
Per i giudici che se ne occupano tutt’ora, è il germe della trattativa. Per Mori e De Donno era solo un trascurabile dettaglio del quale non mettere a parte il giudice, tanto più che da Ciancimino al 25 di giugno del 1992 non c’era stata ancora risposta. Per la verità, Mori e De Donno non riveleranno neppure l’incontro con Borsellino se non tra la fine del 1997 e la fine del 1998. Per i pm della trattativa in queste omissioni risiede una delle ragioni della morte di Paolo Borsellino a soli 57 giorni dalla morte di Falcone: ovvero il proprio no a ogni ipotesi di trattativa.
In realtà mafia e antimafia come abbiamo visto e come vedremo ancora non hanno mai smesso di parlare e di intrecciare accordi: impunità per informazioni è solo il grado numero 1. La tesi seguita con tenacia da più procure è che un pezzo della trattativa sia proprio la causa della strage e non la sua conseguenza. Gli inquirenti di Caltanissetta sostengono infatti che, nei mafiosi, si radicò la convinzione che un ulteriore scossone avrebbe agevolato il dialogo. Quelli di Palermo – più direttamente, – sono invece ancorati al principio che la stessa trattativa prevedeva implicitamente l’eliminazione di chiunque si frapponesse al dialogo.
Le stragi, indubbiamente, hanno rappresentato l’inizio della fine dei Corleonesi. Totò Riina sarà catturato dai carabinieri di Mori nel gennaio del 1993. Il fautore degli eccidi per trattare non ha incassato un solo dividendo dall’impegno profuso. Lui no ma per un tempo ancora lungo – dieci anni – l’organizzazione ha potuto provare a riorganizzarsi e a prosperare sotto l’egida di Bernardo Provenzano, il “trattore” fattosi “ragioniere”, il killer diventato stratega. In un mondo segnato da una transizione profonda.
Ma Totò Riina aveva una certa urgenza per fare la strage Borsellino, ha raccontato in aula il pentito Salvatore Cancemi. Eravamo a giugno di quel 1992. “Mi possano cadere i denti – ribadiva Riina – possiamo dormire tranquilli, ho Dell’Utri e Berlusconi nelle mani, e questo è un bene per tutta Cosa nostra”. L’aveva detto nella riunione prima della strage di Capaci, lo ripeteva anche prima di uccidere Paolo Borsellino. (10 continua)