Nel labirinto delle mafie a cura di Attilio Bolzoni ed Enrico Bellavia
3 Agosto 2017
I giochi di prestigio del piccolo Ciancimino
Cosa chiedono i boss a suon di bombe? Per rispondere bisogna familiarizzare con un altro termine, il “papello”. E provare a decifrare la contorta condotta del presunto sedicente superteste Massimo Ciancimino, ormai sbugiardato per buona parte delle sue velleitarie rivelazioni.
Ma con qualche punto fermo. Il “papello” esiste, è l’elenco delle richieste che Totò Riina e Giovanni Brusca fecero recapitare al tempo della trattativa con i carabinieri intavolata da Vito Ciancimino. Non riguardava il carcere duro che non c’era ancora, ma una soluzione politica per i boss condannati al maxiprocesso. La storia del carcere duro è successiva, oggetto forse di un altro pacchetto di richieste.
Vito Ciancimino non aveva accettato il dialogo per filantropia, voleva ritagliarsi un ruolo di partenariato con lo Stato per liberarsi degli impicci giudiziari, riavere il passaporto, dire e non dire dei Corleonesi, buttare a mare Totò Riina che non aveva mai amato e salvare Bernardo Provenzano, il suo amico, il suo riferimento. L’uomo che gli aveva assicurato una fortuna che il figlio tuttora custodisce, amministra e che con metodi analoghi, molta meno maestria e una serie di vistose contraddizioni ha tentato di conservare.
Per Ciancimino, Bernardo Provenzano era il signor Wolf. Capace di risolvergli ogni problema. Bastava che si lamentasse di un intoppo o di un guaio perché Provenzano provvedesse a rimuoverglielo.
Massimo Ciancimino fa la sua comparsa nel 2007 e tiene banco per anni. In un clima da stadio finisce per abbracciare Salvatore Borsellino alla commemorazione di Paolo Borsellino del 2014.
La procura della repubblica di Palermo gli crede e sulle sue dichiarazioni imbastisce una buona fetta del processo sulla trattativa Stato-mafia. La procura della repubblica di Caltanissetta che indaga sulle stragi (e con le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza del 2008 legge al contrario tutte le indagini precedenti fino alla revisione, nel 2011, per gli otto accusati da Scarantino) lo bolla come inattendibile. Ma Ciancimino junior va avanti. Costruisce con cura il suo personaggio: dosa rivelazioni giornalistiche sulle confidenze del padre poi serve su un piatto d’argento ai magistrati la prova regina della trattativa: la consegna del “papello” che lui stesso recapitò.
In mezzo a fandonie, mezze verità e grossolane manipolazioni, ha il merito indiretto di aver rimesso in moto però le indagini su quel che accadde prima e dopo le stragi. Per anni, tra le tante sue rivelazioni una ha preso il sopravvento: il “signor Franco”. Era il misterioso uomo dei servizi segreti interlocutore prima del padre e poi suo che, a detta sua, aveva anche provato a fermarlo sul cammino della collaborazione con la giustizia e poi a orientarne il corso, infine a farlo cadere in contraddizione quando un paio di suoi marchiani errori sono stati scoperti.
Esiste il signor Franco? E Ciancimino è davvero un figlio di papà balordo che ha solo l’interesse di conservare i piccioli? O davvero qualcuno lo istruisce e come il padre anche Ciancimino junior ci riporterà al punto di partenza, all’ingresso del labirinto? (19 fine)