Nel labirinto delle mafie a cura di Attilio Bolzoni ed Enrico Bellavia

22 Luglio 2017
Omicidi politici e convergenze di interessi

Sappiamo che incassato il successo del primo maxi che aveva edificato le basi per il futuro della lotta a Cosa nostra, rivelando la struttura dell’organizzazione, l’intimo processo delle sue decisioni, il ruolo del vertice, Giovanni Falcone non si era fermato.
Nelle sue agende elettroniche sparite c’era traccia del suo ultimo lavoro. Al ministero, arrivato sul finire del 1991, dopo l’ennesima cocente sconfitta inflittagli dal Consiglio Superiore della Magistratura, si era messo a organizzare quella che avrebbe dovuto essere la cornice del futuro della lotta alla mafia.
Aveva per questo smesso di fare indagini? Nella sostanza sì, glielo impediva il ruolo di direttore degli Affari Penali. Ma era con lui che i collaboratori di giustizia volevano parlare, era lui, inevitabilmente il terminale dei primi segnali di cedimento successivi all’effetto dirompente delle condanne del maxi.
Dopo l’omicidio di Salvo Lima, a gennaio del 1992, aveva certamente drizzato ancora più le antenne, convinto che da lì a poco la fine del luogotenente di Andreotti in Sicilia avrebbe determinato nuovi lutti. Qualcosa stava cambiando. Nelle memorie sparite dei suoi computer sono rimasti indizi della sua ultima curiosità prima di lasciare Palermo: l’affare Gladio, la struttura paramilitare nata in funzione anticomunista, la cui esistenza – attirandosi le ire di Francesco Cossiga – Giulio Andreotti rivelò a sorpresa in Parlamento il 24 ottobre 1990.
A Gladio, Falcone guardava in connessione con i delitti cosiddetti politici di Palermo: Piersanti Mattarella, Michele Reina, Pio La Torre, ovvero degli omicidi del Presidente della Regione Siciliana, del segretario provinciale della Democrazia Cristiana e del parlamentare comunista, segretario regionale del Pci, autore della legge sulla confisca dei patrimoni mafiosi, entrata in vigore quattro mesi dopo la sua morte. Il procuratore Pietro Giammanco però non gli assegnò mai il fascicolo.
Aveva capito che qualcun altro si era mosso per quei delitti? Che non bisognasse soltanto guardare alla mafia o solo alla mafia? Immaginava la convergenza di interessi ipotizzata nella controversa istruttoria su quegli omicidi?
Dopo la morte di Salvo Lima, si ipotizzò che Falcone fosse andato negli Usa per incontrare Tommaso Buscetta, convinto a verbalizzare le sue accuse sui rapporti mafiosi del sette volte presidente del Consiglio. Buscetta lo avrebbe fatto ma solo dopo la strage di Capaci. E sul viaggio americano di Falcone, di ufficiale restano solo smentite. L’ultima indagine interrotta, invece, da procuratore aggiunto di Palermo fu l’inchiesta sugli appalti, originata da un rapporto dei carabinieri del Ros, il generale Antonio Subranni, l’allora colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, che il procuratore Pietro Giammanco, uomo di Lima, liquidò come un adempimento burocratico da sistemare in fondo a un cassetto. (7 continua)

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