Progetto di ricerca sulle vittime delle mafie “Un nome, una storia” – classe 3^D della Scuola Michelangelo di Napoli a.s. 2007/2008
GIUSEPPE LA FRANCA
raccontato da Giampiero
Giuseppe la Franca era uno stimato funzionario di banca in pensione e proprietario di terre di cui la mafia si voleva impadronire. Mentre tutti gli altri scappavano davanti alle minacce mafiose lui continuava a frequentare le sue terre nonostante fossero occupate dai mafiosi e affermava il suo diritto alla proprietà.
Egli chiedeva il rispetto dei suoi diritti e della legalità contro chi occupava e utilizzava i terreni degli altri con l’intimidazione mafiosa.
Così facendo Giuseppe la Franca è andato incontro alla morte, ma almeno questo avvenimento ha scosso la popolazione, come ha detto suo figlio, Claudio Burgio, in occasione dell’ultimo anniversario della morte.
Fu ucciso nelle sue terre il 4 gennaio del 1997.
Giusi Vitale, la prima donna a collaborare con la giustizia, ha indicato il fratello Leonardo come mandante dell’omicidio. Ella ha raccontato che le decisione di uccidere La Franca fu presa perché non aveva voluto cedere le proprie terre ai fratelli Vitale.
La donna li aveva avvertiti che dopo l’omicidio si sarebbe scatenata la reazione dello stato e così fu.
Il presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro pronunciò parole dure sull’episodio chiedendo alle forze dell’ordine di riprendere il controllo del territorio [www.partinico.info].
RITA ATRIA
raccontata da Francesca
Nel libro di Sandra Rizza “Rita Atria. Una ragazza contro la mafia” lei è presentata come un’eroina, una ragazza testarda, nata nel 4 settembre 1974. Il luogo in cui si svolge la vicenda è Partanna un piccolo paese di pastori e contadini, il padre di Rita apparteneva alla vecchia mafia, Nicolaè il fratello vendicatore. La mamma Giovanna una persona inquietante. La scelta: Rita decide di denunciare “i picciotti” di Partanna
Le conseguenze: va a vivere a Roma, con la cognata di Piera.
Lì Rita cominciò a scrivere la sua biografia, raccontando il bene per il padre e l’ odio per la madre. A Roma si innamorò di Gabriele, ma il 19 luglio, Borsellino e la sua scorta furono uccisi e lei poco dopo si gettò dal 7° piano. Era il 26 luglio del 1992.
I funerali si svolsero a Partanna, presenti pochi familiari, pochi politici, molti giornalisti e reporter. Si presentarono anche dodici donne di Palermo, facevano lo sciopero della fame per protestare contro la mafia e si ribellarono alle parole del prete che condannava il suicidio di Rita, dicendo “Rita non ha peccato, ha parlato” urlando e protestando [www.girodivite.it/sherazade/006/atria.htm].
Al funerale nemmeno la mamma Giovanna, perché, dice il prof. Vincenzo Mauro, “di fronte al tradimento della figlia, che ha violato i segreti familiari, che parla con gli sbirri, Giovanna la rifiuta, l’abbandona, vuole per lei la morte. La figlia pentita disonora la famiglia e soprattutto disonora lei, la madre, che non è stata in grado di insegnarle nella vita che cosa era il bene e che cosa il male. Parlare è male, tacere è bene” [http://guide.dada.net/organizzazioni_criminali/interventi].
LA RAGAZZA TRISTE E IL GIUDICE
DEDICATO A RITA ATRIA E PAOLO BORSELLINO
Racconto del giudice Antonio Ingroia
rivisto da Carolina
Rita Atria nacque a Partanna, da una famiglia legata alla mafia. Quando aveva 11 anni fu ucciso il padre, a cui era molto legata, e poco dopo fu ucciso anche il fratello. La cognata decise di collaborare con la giustizia e di portare i figli lontano dal paese. Rita seguì il suo esempio, ma la madre non la perdonò. Andò a vivere a Roma sotto falsa identità e quando fu ucciso Borsellino, perso il suo unico riferimento, si suicidò. La madre dopo qualche mese distrusse la lapide della sua tomba.
Sulla sua storia è stato girato un film, che contiene pagine del suo diario.
[le definizioni “ragazza-triste” e “giudice-felice” stanno ad indicare Rita Atria e Paolo Borsellino]
La ragazza era andata al palazzo di giustizia per trovare qualcuno di cui lei si potesse fidare, qualcuno che le dicesse la verità. Andò in una stanza e attese qualche minuto, dopo di che arrivò Borsellino. A quel punto c fu un momento di silenzio, la ragazza-triste guardava negli occhi Paolo Borsellino per capire se si potesse fidare… perché da quando lei era nata le avevano insegnato a non fidarsi si nessuno, ma ad un certo punto il silenzio finì… perché il giudice intervenne con la sua solita risata improvvisa e contagiosa prima addirittura che si potessero presentare. Dopo delle brevi presentazioni. Ma dopo poco chiamò a sè dei suoi colleghi, anch’essi molto giovani a rassicurare la ragazza-triste: lui aveva un atteggiamento paterno con i colleghi, ma soprattutto con la ragazza-triste poiché la vedeva così sola e conosceva la su storia: . Infine le assegnò l’unica collega femmina del suo gruppo per rassicurarla ancora… Borsellino non era un uomo pieno di sé, anzi a volte rinnegava in modo scherzoso i suoi ideali. Dopo poco tempo e qualche battute di Borsellino riuscì a suscitarle un sorriso e darle fiducia. Due o tre giorni dopo lei incominciò a raccontargli della sua infanzia, di come il suo paese era stato per la maggior parte devastato da un terremoto e quindi aveva vissuto in baracche per anni. E dopo tutto ciò decise di staccarsi definitivamente dalla sua famiglia, dalla madre che la rinnegava, dal fidanzato, dal paese e dalle sue tradizioni. L’uomo-allegro la vedeva coraggiosa poiché aveva lasciata la mafia per stare con lo stato, a quel punto lui si sentiva in dovere di essere quella figura maschile mancata nei primi anni della sua adolescenza. Una o due volte la madre parlò con l’uomo – allegro perché, diceva, pensava che le aveva rubato la sua bambina. Arrivò addirittura a minacciarlo…. Ma quando poi il giudice venne ucciso da un’autobomba e lei perse per la seconda volta un padre, un fratello e uno zio, giunse a tal punto che non ce la faceva più e si uccise. L’ultima volta che il giudice la vide era rannicchiata a terra, ma stavolta in una pozza di sangue. Ma non è andata via senza lasciarci nulla. Il suo lascito sta tutto nel diario che le aveva regalato il giudice e dove la ragazza –triste aveva annotato un messaggio semplice:”forse un mondo onesto non esisterà mai, ma se ognuno di noi prova a cambiare forse ce la faremo” [“La scelta” pp 17 -25].
FRASI E PAGINE DEL
DIARIO DI RITA ATRIA
SCELTE DA FRANCESCA
“Mio Dio, perché mi togli sempre troppo presto ciò che amo.
Ti prego toglimi il cuore ma non farmi soffrire, non farmi tenere tra le mani ciò che non potrà mai essere mio.[…]
Sono quasi le 9 di sera, sono triste e demoralizzata forse perché non riesco più a sognare, nei miei occhi vedo tanto buio e tanta oscurità.
Non mi preoccupa il fatto che dovrò morire ma che non riuscirò mai ad essere amata da nessuno.
Non riuscirò mai ad essere felice e a realizzare i miei sogni. Vorrei tanto poter avere Nicola vicino a me, poter avere le sue carezze e i suoi abbracci, ne ho tanto bisogno, e, l’unica cosa che riesco a fare, è piangere, ma vorrei tanto il mio Nicola.
Nessuno potrà mai colmare il vuoto che c’è dentro di me, quel vuoto incolmabile che tutti, a poco a poco, hanno aumentato. Non ho più niente e nessuno, non possiedo altro che briciole. Non riesco a distinguere il bene dal male, tanto ormai è tutto così cupo e così squallido.
Credevo che il tempo potesse guarire tutte le ferite. Invece no. Il tempo le apre sempre più fino ad ucciderti, lentamente.
Quando finirà quest’incubo?”
Una lunga sera
“E’ una lunga sera e nel cielo ci sono milioni di stelle, una più affascinate dell’altra, in ognuna c’è un piccolo segreto, ognuna ha un lungo viaggio da compiere, e una di esse, proprio la più piccola, la più lucente, la più lontana, sta compiendo per me il più lento ed il più lungo dei viaggi, per arrivare in un luogo chiamato infinito, proprio lì sono i miei due grandi amori, proprio lì nell’infinito un giorno potrò riabbracciare le mie stelle. Quelle stelle che avranno il potere di illuminare l’immensità del cielo e che nessuno potrà più spegnere mai”.
FRANCESCO VINCI
raccontata da Carolina e Chiara
Francesco Vinci nacque il 27 gennaio del 1958 a Cittanova (Reggio Calabria), era un ragazzo, uno studente che già da piccolo voleva un futuro migliore per la sua città. Con voti alti, amato da tutti, frequentava il liceo Guerrisi ed era rappresentante di’istituto, molto stimato dai compagni, già allora era in politica nella fascia dei più giovani e all’interno della FGCI e del PCI, infatti combatté per la sua prima campagna elettorale volle viverla fino in fondo anche se si trovava in un ambiente di mafia, ma lui aveva coraggio al punto di dire queste esatte parole nel novembre del 1976 :“Bisogna spezzare questa ragnatela che opprime tutta la Calabria”. Ma un mese dopo aver avuto questo coraggio mentre stava preparando un’assemblea d’istituto sul colpo di stato in Cile, ci fu un agguato mafioso. Era il 10 dicembre del 1976, era un ragazzo con il coraggio di un adulto, forse anche di più… [http://www.studenticontrolacamorra.org].
È insolita questa storia, ma coinvolgente, un ragazzo che voleva solo un buon futuro per se stesso e per la città come può aver infastidito così tanto la mafia? ci chiediamo il perché! è una storia senza un perché.
IL LAVORO CHE STIAMO SVOLGENDO
Chiara e Carolina
Per noi questo lavoro è molto significativo per aumentare le nostre potenzialità e per conoscere storie di eroi che per la maggior parte non conoscevamo… noi non parliamo solo di Giovanni Falcone o di Rita Atria o di Paolo Borsellino, ma ad esempio vi sfido a saper conoscere il nome e la storia di Pasquale Almerico un uomo che ha combattuto per il suo paese oppure Gaetano Guarino… e tanti altri! È bellissimo secondo me saperne di più su queste persone per darci una speranza perché anche se sono morti hanno lasciato un’impronta incancellabile nel cuore nella mente di queste persone.
MATILDE SORRENTINO
raccontato da Mena e Serena
Una donna di nome Matilde Sorrentino aveva denunciato un giro di pedofilia che aveva coinvolto anche suo figlio; insieme a lei altre due madri denunciarono i casi di pedofilia che avvenivano nella scuola elementare di Torre Annunziata, nel rione Poverelli. Nel 1999 il tribunale di Torre Annunziata emise 19 condanne, ma le pene più pesanti le ebbero Pasquale Sensore e Michele Falanga. I due, però, erano usciti per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva e mentre erano ancora liberi vennero uccisi e si disse che era stata la camorra, che voleva mostrare alla gente di saper fare giustizia, meglio dello stato.
Matilde poteva andare via da Napoli, andare dai fratelli a Milano, ma non voleva sentirsi sconfitta, anche se tutti i giorni doveva affrontare gli sguardi carichi di odio dei familiari dei due pedofili, che vivevano nello stesso quartiere [www.rai.it/news/].
Questa donna purtroppo venne assassinata a Torre Annunziata davanti alla sua porta di casa il 26 marzo del 2004 Il killer era entrato nel condominio verso le 20:30 senza farsi notare ha bussato alla porta, quando la donna è uscita, credendo che a bussare fosse il figlio, le ha sparato diversi proiettili. Il primo alla faccia e gli altri al petto.
Dopo la morte di Matilde le autorità, hanno messo una guardia a protezione del marito e dei due figli della vittima. Matilde e le altre due donne denunciarono
Torre Annunziata stata il centro di un’altra inchiesta sulla pedofilia gestita da un’organizzazione russa che vendeva on line foto e video.
Il sacerdote Don Fortunato di Noto, presidente di un’associazione per la lotta contro la pedofilia, pensa che la pedofilia sia una cosa vergognosa, ma soprattutto una cosa tristissima che pedofili di qualsiasi età debbano fare certe cose a dei bambini delle elementari. Il sacerdote spiega che lui si sentiva tramite lettere con una mamma che faceva il portavoce di tutte le altre, scrivendo che dopo tutti gli sforzi fatti, dopo tutte le paure superate, ma soprattutto dopo tutti i sacrifici fatti, loro non vedevano un rispetto da parte delle autorità nei loro confronti. Si sentivano anche abbandonate da Dio, ma soprattutto i figli che esempio prenderanno da loro? Ci sono tante risposte che queste madri si davano, ma la cosa che ancora le faceva vivere era la lealtà la quale avevano iniziato e soprattutto la verità che avevano raccontato i propri figli gli dava ancora la forza per vivere, ma per credere ancora nella giustizia.
Don Francesco ha affermato che queste vittime non possono essere lasciate sole come quelle della mafia [www.repubblica.it/2004/c/sezioni/cronaca].