Progetto di ricerca sulle vittime delle mafie “Un nome, una storia” – classe 3^D della Scuola Michelangelo di Napoli a.s. 2007/2008

 

 

 

 

 

 

 

LUCIANO NICOLETTI

raccontato da Mario

Nacque nel 1851 a Prizzi, era un contadino legato al partito socialista. E’ stato uno dei più importanti esponenti dei Fasci Siciliani, animatore della rivolte dei contadini in Sicilia. Luciano Nicoletti si trasferì a Corleone, dove si sposò ed ebbe cinque figli.

Nel 1893 fu tra i più attivi nel congresso che scrisse i Patti di Corleone e guidò gli  scioperi che seguirono. I contadini non lavoravano, perciò fu tra i promotori di una “cassa di resistenza” per mantenere le famiglie scioperanti; si trattava di una somma messa a loro disposizione per mantenersi durante il periodo in cui non lavoravano e per breve tempo riuscì ad aiutarli. Il 14 ottobre 1905 la mafia lo fece uccidere con due colpi di lupara. [http://it.wikipedia.org/wiki/Luciano_Nicoletti]

 

 

 

 

ALFONSO CANZIO

raccontato da Mena

Alfonso Canzio nacque il 30 luglio nel 1872 a  Barrafranca, e fu una persona che aiutò i contadini  per il miglioramento della loro condizione, ma soprattutto fu l’anima del movimento del movimento socialista barrese e anche consigliere comunale. Il sindaco Luigi Bonfirraro, aveva imposto l’obbligo di rivolgersi ad una certa compagnia di pompe funebri che imponeva prezzi elevati.

Anche oggi c’è questo sfruttamento, per esempio al cimitero di  Fuorigrotta, in via Terracina, si accede solo se ci si rivolge ad una particolare società. Per me così è sbagliato perché quella società incassa più soldi delle altre e questa per me è una forma di sfruttamento.

Nel primo dopoguerra, nel 1945, egli riuscì ad imporre contratti favorevoli ai lavoratori delle terre di Barrafranca, ma i proprietari terrieri si sentivano gravemente minacciati da questi dirigenti del movimento contadino, perciò reagirono con la violenza: dopo l’uccisione di Giovanni Zangara e Giuseppe Rumore fecero un agguato ad Alfonso Canzio il 13 dicembre del 1919, ferendolo gravemente con pallettoni unti d’ aglio davanti alla sua abitazione. Evidentemente questi pallettoni d’ aglio gli fecero parecchio male, gli provocarono una cancrena, oppure sarà stata la botta pesante e forte a provocare la morte, infatti una settimana dopo il ferimento Alfonso morì. Dopo di lui caddero Nicola Alongi e Giovanni Orcel [www.wikipedia.org]

 

 

 

 

 

LORENZO PANEPINTO

raccontato da Sara V.

 

Questa, è una storia, anzi, è la storia di un uomo, che iniziò la sua lotta contro il male, la mafia, nel 1865, l’anno della sua nascita, avvenuta il 4 gennaio a S. Stefano Quiquina, nelle montagne intorno ad Agrigento.

Lorenzo viveva in un ambiente dove si lottava giorno per giorno per poter portare il pane in tavola.

Quando crebbe divenne un maestro di scuola elementare, fu anche pittore e in seguito fondò uno dei Fasci Siciliani, fu direttore del giornale e membro del Comitato della Federazione Regionale Socialista.

Lorenzo Panepinto si poteva definire un uomo di giustizia. Sognava una società di eguali, si ispirava agli ideali di  Giordano Bruno, Marx, Gesù. Fondò una piccola Cassa Rurale per i contadini, di cui fu guida morale e politica.[www.fuorivista.it].

Lui prese sempre e comunque molte iniziative, lottava per il prossimo, voleva la giustizia!

Il suo maggiore scopo era combattere al fianco dei contadini sottomessi e riuscire a sconfiggere la mafia, aveva tanti sogni, tante idee che purtroppo non riuscì a realizzare. Fu ucciso dalla mafia, a fucilate, la sera del 16 maggio 1911. A lui è intitolata oggi la strada dove cadde [www.xoomer.alice.it/d_mistretta/lorenzo_panepinto.htm].

Gli è stata intitolata anche una scuola, l’Istituto tecnico Commerciale per Geometri di Bivona e sul sito si legge che Lorenzo Panepinto [/www.itcgbivona.it]

Non riuscì a sconfiggere la mafia e, a suo tempo, nessuno lo aiutò, ora però tutti, anche nel nostro piccolo, stiamo facendo il possibile per sconfiggerla e cerchiamo di ricordare ed onorare tutte le vittime.

 

 

 

 

 

BERNARDINO VERRO

raccontato da Sara DB

Bernardino nacque a Corleone nel 1866, fu sindacalista e politico. Era una persona tenace, che non si arrendeva mai. Nel 1892 definì “usurpatori e sfruttatori del popolo” gli amministratori comunali, che l’avevano assunto come impiegato ed erano i più ricchi proprietari terrieri della zona. Fondò il circolo “La nuova età”per il rinnovamento politico di Corleone, voleva renderla un posto migliore, liberarla dalla mafia  da tutte le ingiustizie; si battè anche per i contadini. Iniziò la carriera politica nel 1893, quando diventò segretario del Fascio di Corleone; nello stesso anno entrò nell’associazione dei fratuzzi, come allora si chiamava la mafia, aderì per farsi difendere dagli agrari che volevano ucciderlo, voleva far parte dell’organizzazione per neutralizzarla. Per la sua appartenenza ai Fasci finì in carcere, ma quando uscì non si arrese e continuò a combattere per i contadini e contro la mafia.

Gli spararono una prima volta senza riuscire ad ucciderlo; allora lo fecero accusare di falso in cambiali, per cui fu arrestato e scontò dieci mesi di carcere, ma quando tornò in paese i contadini lo accolsero come un eroe, convinti che le accuse fossero false, e lui riprese in pieno la sua attività di organizzatore del movimento. Fu persino eletto sindaco di Corleone, ma la mafia non tollerò più la sua presenza: fu ucciso il 3 novembre 1915, In segno di gratitudine, i contadini e i municipi socialisti d’Italia gli avevano dedicato un busto bronzeo in piazza Nascé, ma fu trafugato e non se ne seppe più nulla. Nel 1985 fu rifatto e ancora buttato giù dal piedistallo. Dopo altri dieci anni fu restaurato e rimesso al suo posto.

La sua storia è raccontata anche da Umberto Santino e nel suo libro si possono leggere brani di scritti di Verro [Umberto SANTINO, Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, pp.109 – 110].

La battaglia del gruppo consiliare comunista per rompere il silenzio che pesava su Bernardino Verro è stata raccontata in un capitolo del libro di Giorgio Bocca, “Il sottosopra”. Infine è stato collocato un busto in onore di Verro nella sala consiliare di Corleone, sala che ora porta il suo nome[www.cittàdicorleone.it].

 

 

 

NICOLA ALONGI

raccontato da Sara V

Nicola Alongi, dirigente del movimento contadino prizzese dai Fasci siciliani al biennio rosso e martire socialista, nacque a Prizzi (PA) il 22 gennaio 1863. Iniziò la sua carriera politica seguendo il leader del Fascio di Corleone Bernardino Verro e partecipando alla costituzione del Fascio di Prizzi assieme a Giuseppe Marò. Alla ripresa delle lotte contadine d’inizio Novecento, in occasione dello sciopero agrario del 1901, egli assume la direzione del movimento. Pur essendo un contadino appena alfabetizzato lesse i classici del socialismo e diventò  corrispondente locale di diversi giornali stampati a Palermo, da “La Battaglia” a “La Riscossa Socialista” a “La Dittatura del Proletariato”.

Nel primo dopoguerra realizzò assieme a Giovanni Orcel, segretario della Camera del Lavoro di Palermo, l’unità di classe fra operai e contadini. La mafia agraria locale e i suoi protettori politici cercarono di fermarlo con minacce e con l’uccisione del suo collaboratore, Giuseppe Rumore. Ma lui aveva grande coraggio e fede negli ideali, si ricorda anche che aveva chiamato i suoi figli Idea, Libero pensiero e Ribelle, perciò non si fece intimorire. Aveva scritto: e aveva dichiarato: i capi contadini, dice Santino, erano certi di andare incontro ad un destino segnato, ma restavano al loro posto fino alla fine, senza cedimenti, senza ostentazione e senza un minimo di protezione. [Umberto SANTINO, Storia del movimento antimafia, pag 116, Editori Riuniti]

I mafiosi decisero di eliminarlo uccidendolo il 29 febbraio 1920.

Ma quell’eroe della Sicilia contadina non venne dimenticato: nel secondo dopoguerra le masse contadine prizzesi guidate da Antonio Leone ne seguirono l’esempio lottando strenuamente per l’applicazione dei decreti Gullo e per l’attuazione della Riforma agraria.

Alla fine degli anni sessanta diviene un simbolo per le nuove generazioni della sinistra tradizionale e nuova [www.liberanet.org].

La sua morte non fu inutile, infatti salvò molte persone lasciando un grande messaggio dentro ognuno di noi, quel messaggio era: combattete, non fermatevi, sconfiggete la mafia senza avere mai paura.

 

 

 

 

NICOLÒ AZOTI

raccontato da Sara V e Giorgio

Nicolò Azoti era un sindacalista e musicista della banda. Venne ammazzato dalla mafia a pochi metri da casa sua, perché si batteva per la riforma agraria, cioè per i diritti dei braccianti che venivano sfruttati dai proprietari terrieri. La sua morte addolorò moltissimo la sua famiglia, che attraversò lunghi periodi di miseria, di isolamento e di vergogna perché le persone lo giudicavano colpevole, come se fosse mafioso. Anche il parroco lo riteneva colpevole e il giorno del funerale si rifiutò di portare la bara in Chiesa. A Nicolò Azoti venne restituita la sua vita solo quando la figlia Antonina, ormai grande, il giorno che tutta Palermo era radunata per la morte del giudice Falcone, salì sul palco e raccontò la vera storia di suo padre.

Nicolò Azoti si sposò con una fuga d’amore, perché la famiglia della sua innamorata, benestante, non voleva che lei sposasse un povero lavoratore; dal matrimonio nacquero due figli: Pinuccio e Antonina…Era una persona speciale, un buon padre di famiglia, un buon lavoratore ed aiutava sempre e comunque tutte le persone che avevano bisogno di aiuto. Nicolò Azoti era molto amato dalla sua famiglia, aiutava spesso in casa e seguiva il figlio maggiore Pinuccio nei compiti scolastici; cercava sempre di far felici i figli in ogni loro richiesta. Come lavoro faceva il falegname nel suo laboratorio, ma preferiva aiutare i contadini poveri sfruttati dalla mafia,voleva opporsi al suo potere, ma fu proprio questa la causa della sua morte: fu colpito il 21 dicembre e morì il 23 dicembre 1946 alla vigilia di Natale. Disonorato e mortificato dalle persone che non credevano alla sua innocenza, l’anima di Nicolò Azoti trovò la pace solo nel 1992 dopo che sua figlia Antonina trovò il coraggio di aprirsi e di raccontare la vera storia di quell’ uomo, marito e padre, morto per la sola colpa di voler aiutare il prossimo. [Antonina AZOTI. Ad alta voce, ed. Terre di mezzo]

Otto giorni prima di morire era stato avvicinato dall’avvocato Varisco, gabelloto del feudo Traversa, che i contadini chiedevano in concessione, e minacciato per aver dato molti grattacapi all’avvocato. [FONTE: Umberto Santino, Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, pag 159]

 

 

 

 

ACCURSIO MIRAGLIA

raccontato da Sara DB e Camilla

“Meglio morire in piedi che in ginocchio!”  diceva Hemimgway e ripeteva Miraglia alla moglie, ogni volta che gli agrari e i gabelloti mafiosi lo minacciavano, invitandolo a farsi i fatti propri.

Miraglia era dirigente del partito comunista e segretario della camera del lavoro di Sciacca.

Voleva far applicare anche nel suo paese i decreti di Gullo. Il 5 novembre 1945 aveva fondato “Madre Terra”, cooperativa di braccianti e contadini poveri. Questa organizzazione aveva lo scopo di appropriarsi delle terre dei latifondisti, mafiosi, come la legge prevedeva, azioni che, con il passare del tempo, fecero molto imbestialire i mafiosi, che decisero di fargliela pagare. Nel settembre del ‘46 Accursio organizzò la famosa “cavalcata”, una imponente sfilata di contadini a cavallo chiusa da un comizio.

Il 4 gennaio 1947 verso le 9:30 di sera Miraglia era appena uscito da un locale e stava dirigendosi verso casa. Insieme a lui c’erano i compagni che gli facevano da scorta: Felice Carapacca, Antonino La Monica, Tommaso Aquilino e Silvestro Interrante.

Poco prima di arrivare a casa di Miraglia, due di loro, Interrante e Caracappa, si allontanarono per raggiungere le loro abitazioni, insieme a lui c’erano solo gli ultimi due, che lo accompagnarono fino a 30-40 metri da casa sua, lo salutarono e ritornarono indietro.

Ma… passarono solo pochi secondi che il silenzio s’interruppe…

D’un tratto si udirono vari colpi di pistola, i due che solo un attimo prima si erano allontanati capirono che quei colpi erano diretti a Miraglia! Ritornarono subito indietro e uno dei due vide un giovane, una figura piuttosto esile di media statura, con cappotto e berretto, che impugnava un’ arma da fuoco lunga, da dove fece partire un’altra raffica di colpi che trafissero il povero Accursio. Morì sulla porta di casa nelle braccia della moglie russa, Tatiana.

Non era il primo omicidio di mafia, prima di lui erano già caduti tanti altri capilega, ciononostante il delitto Miraglia fece tanto scalpore in Sicilia e nell’intero Paese. A Sciacca arrivarono tutti i dirigenti sindacali e politici della sinistra, a cominciare dal segretario regionale del Pci Girolamo Li Causi. I parroci non vollero che Accursio fosse portato in chiesa, perchè era un morto ammazzato e perché era comunista. Ma i funerali furono lo stesso solenni ed imponenti, poiché  il dirigente sindacale era benvoluto ed amato.  In Sicilia, gli operai sospesero il lavoro per dieci minuti, nel resto d’ Italia, per cinque e in tutte le fabbriche suonarono le sirene. Caddero poche gocce d’acqua quando la bara arrivò davanti al cimitero e un anziano contadino disse: “Un ti vosiru benidiciri lí omini, ma ti binidiciu Diu”.

Il figlio Nicola è convinto che possa esserci stata anche la complicità della CIA americana, come per Portella delle Ginestra, in questi anni sta lavorando con la fondazione intestata al padre per ottenere una revisione storica dell’accaduto. Egli racconta che la madre, vedova con tre figli non parlava bene l’italiano e non capiva niente della gestione dell’industria del pesce che apparteneva al marito, ma per un anno intero i pescatori le vendettero il pesce migliore a prezzo equo e i dipendenti lavorarono con molto impegno e sacrificio per rilanciare l’attività. Tatiana era cugina dello zar Nicola, ucciso durante la rivoluzione del ’17; era fuggita con la famiglia in Italia, dove si era impegnata nel teatro. Aveva conosciuto il marito a Palermo, dove era in tournee [di Dino Paternostro, www.cittanuove-corleone.it].

Vennero denunciati mandante, un proprietario terriero, ed esecutori, che confessarono, ma vennero prosciolti in istruttoria perché dichiararono di essere stati torturati per avere la loro confessione. Gli ufficiali di polizia accusati per le torture furono assolti perché il fatto non sussisteva, ma il processo non fu mai svolto e la morte di Accursio rimase impunita come la maggioranza delle altre in quegli anni. [FONTE: Umberto Santino, Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, pag 159]

Un metru e novanta era Miraglia:

bonu di cori, forti e ‘ntelligenti,

un coraggiusu omo chi si scaglia

contro l’agiri di lu priputenti.

Facia giustizia contru li canaglia

stu prutitturi di provira genti.

Sempre primu, di nullu si scantava,

e pri chissu lu populu l’amava>>

di Ignazio Russo

 

 

 

 

 

PLACIDO RIZZOTTO

raccontato da Andrea

Placido Rizzotto da piccolo aveva assistito all’arresto del padre per associazione mafiosa. Poi, durante la seconda guerra mondiale, si trovò con l’esercito nel nord Italia e si unì ai partigiani, maturò una sua coscienza sociale e si  iscrisse al Partito Socialista [http://it.wikipedia.org/wiki/Placido_Rizzotto].

Finita la guerra, tornò a Corleone, ma non poteva stare più a guardare mentre la mafia compiva atti di prepotenza nel paese. E così organizzò una rivolta con i cittadini per far ottenere a loro le terre incolte, che poi erano dei mafiosi. Quindi praticamente Placido Rizzotto attacca la mafia e si trova contro anche Lia, che non è una donna politica, ma semplicemente la sua fidanzata, che non condivide la sua scelta. Come  segretario della Camera del Lavoro,  poi Placido si scontra con un boss locale un po’…. diciamo più forte, cioè Luciano Liggio, che purtroppo diventerà un grande boss. Tra lui e Rizzotto ci fu un primo confronto finito male per il boss, poi però i padroni mafiosi e alcuni pezzi dello stato decisero di farla finita con tutti quei sovversivi, che pretendevano l’applicazione  dei “Decreti Gullo'” che prevedevano l’obbligo di cedere in affitto alle cooperative contadine le terre incolte o mal coltivate dai proprietari agrari.

Il 1 maggio del 1947 con la strage di Portella della Ginestra iniziarono a cadere molte vittime e negli anni successivi i mafiosi catturarono e uccisero quasi tutti i capi sindacalisti [http://www.reti-invisibili.net/placidorizzotto/
Fonte: ASSALTARE IL CIELO Associazione culturale per la promozione e la tutela dei diritti umani].

Purtroppo Placido andava verso una sorte non molto diversa dagli altri sindacalisti e infatti il 10 marzo 1948 viene sequestrato e ucciso, il suo corpo, gettato in una foiba, non venne  più trovato.

Pio la Torre sostituì Rizzotto, Carlo Alberto dalla Chiesa condusse le indagini che  portarono all’ arresto di Luciano Liggio, come mandante dell’omicidio.

La verità è che la mafia esiste ancora, però oggi la polizia è più furba, infatti ha smascherato intere famiglie mafiose in pochi anni e ha fatto molti arresti.

La sua vita è stata raccontata al cinema nel film Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca (2000).

La cooperativa siciliana “Libera Terra” produce e commercializza due vini denominati Placido Rizzotto Bianco e Placido Rizzotto Rosso, provenienti da vigneti confiscati alla mafia.

IL FILM

VISTO DA RICCARDO

Il mio parere su questo film è assolutamente positivo. Fino ad ora quelli che ho visto mi risultavano sempre un po’ pesanti, scontate le loro scene, ma questo mi è piaciuto per il suo tono calmo e autoritario, per come la vicenda è  narrata alla fine dal cantastorie come una favola antica, quindi piacevole da sentire per noi giovani. Sentire da me, che trovo noioso tutto, che un film è molto interessante è insolito, quindi vuol dire che questo colpisce veramente, anche perché non ci sono molte scene violente come in altri film riguardanti la mafia, ce n’ è soltanto una, che riguarda una ragazza, della quale abbiamo discusso in classe e della quale mi farebbe piacere discutere ancora perché questo è anche un argomento di attualità di estrema importanza.

Mi ha tenuto col il fiato sospeso questo film, mi è rimasta impressa la vita di quest’ uomo e il suo impegno per l’ occupazione delle terre ed è questa la ragione fondamentale; se i film li facessero tutti così!

E DA ENRICO

All’ inizio non è che ero tanto convinto, un po’ per l’argomento, un po’ perché gli attori non mi piacevano tanto, ma poi seguendo la storia ho incominciato ad apprezzarlo.

Io credo che la morte di Placido non ha condizionato la città, perché dopo la sua morte  in pochi hanno saputo reagire alla mafia, ma per me rimane sempre un eroe. Questo film mi è piaciuto molto perché mi ha fatto capire come si viveva in Sicilia allora, e credo ancora oggi, con la mafia che condiziona tutto un paese e tutte le persone, addirittura condiziona una madre che permetteva che la figlia venissero violentata solo perché frequentava persone che alla mafia davano fastidio. Il film mi è piaciuto molto, solo che ho capito ancora di più che la mafia fa schifo.

 

 

 

 

 

PAOLO BONGIORNO

raccontato da Giorgio

Paolo Bongiorno è un’altra vittima di mafia, un altro delitto impunito. Egli nacque nel 1922 e malgrado la povertà imparò a leggere e a scrivere. Durante il fascismo fu obbligato ad essere un “balilla”, ma delle regole fascista non gli rimase proprio niente. Nonostante lui fosse un contadino era molto attratto dalla politica e acquisì un grande senso di partecipazione alla vita della società. Gli anni della sua gioventù erano gli anni in cui i contadini lottavano per ottenere un pezzo di terra da coltivare e lui organizzò delle manifestazioni con questo scopo insieme a Giuseppe Spagnolo e Francesco Renda, nonostante la riforma agraria che ridistribuì il latifondo, non tutti riuscirono ad ottenere l’assegnazione di terre e cominciarono gli anni delle emigrazioni. Anche Paolo scelse l’emigrazione che durò molto poco, preferì tornare  a casa a lavorare in campagna nonostante  le condizioni e la paga fossero misere, ma lui continuava a cercare di migliorare la sua vita. Si avvicinò così al Partito Comunista di Lucca Sicula, ben presto fu nominato segretario della camera di lavoro locale ( CGIL), incominciò la sua lotta per aiutare i braccianti e chiedeva paghe più alte e orari di lavoro dignitosi, cos facendo si inimicava i datori di lavoro.

Paolo organizzava scioperi, guidava i lavoratori nelle loro richieste, svolgeva le pratiche per la pensione, era onesto e lavorava gratuitamente.

Cresceva, così, il suo impegno nella camera del lavoro e allo stesso tempo diminuivano le possibilità di trovare lavoro, perché tutti i datori di lavoro evitavano di assumerlo e lui si arrangiava come poteva. Continuava fortemente il suo impegno sindacale e politico  fino a quando nel 1960 Paolo Bongiorno si presentò alle elezioni comunali e stava organizzando lo sciopero generale dei lavoratori di Lucca Sicula, ma non fece in tempo a guidare i lavoratori nella lotta perché fu ucciso con due colpi di lupara, il 20 settembre 1960.

Si presentò alle elezioni la sorella, che fu eletta.

I suoi assassini non sono mai stati trovati, ma furono sicuramente mandati da quegli uomini-mafiosi che non tolleravano la presenza di un uomo che ne organizzava altri per rivendicare diritti e lottare contro quel mondo che opprimeva. Si cercò di insinuare che si trattasse di un delitto d’onore, ma la stampa ne parlò a lungo e la discussione continuò in Parlamento; l’uccisione di questo sindacalista stimolò la nascita della Commissione Antimafia. [http://paolobongiorno.ilcannocchiale.it/ è un sito a lui dedicato, ricco di immagini e filmati d’epoca. Si può anche scaricare un libro sulla sua vicenda].

La vita di Paolo Bongiorno è una vita da ammirare, era un uomo la cui voglia di lottare per i più deboli e riuscire a vincere gli oppressori non si è mai esaurita. E’ per me un uomo onesto e ciò viene sottolineato dalla testimonianza del figlio, il quale racconta che il padre rifiutò la ricompensa da parte di un’anziana, che aveva aiutato per ottenere la pensione, mentre avrebbe potuto accettarla, vista la sua numerosa famiglia e le sue misere condizioni economiche. Mi viene da pensare che oggi ci sono poche persone (o forse non ci sono proprio) che si occupano di aiutare gli altri gratuitamente.

 

 

 

 

 

SALVATORE CARNEVALE

raccontato da Stefano

Salvatore, detto Turi, era stato allevato da una madre sola, Francesca Serio, prima abbandonata, poi  rimasta vedova.

Era nato a Sciara ed era bracciante e sindacalista, capo della lotta dei braccianti agricoli contro il latifondo.

Nel 1951 aveva fondato la sezione socialista di Sciara ed aveva organizzato la camera del lavoro. Si scontrò con  i mafiosi che amministravano le proprietà della principessa Notarbartolo.

Carnevale per questo fu arrestato e, uscito dal carcere, si trasferì per due anni a Montevarchi in Toscana, dove scoprì una cultura dei diritti dei lavoratori più forte e radicata.

Nel 1954 tornò in Sicilia, e cercò di portare nella lotta dei contadini le sue esperienze settentrionali. Fu nominato segretario della lega dei lavoratori edili di Sciara. Riuscii ad ottenere le paghe arretrate dei suoi compagni e il rispetto della giornata lavorativa di otto ore. Il 16 maggio 1995 mentre Salvatore andava a lavorare nella cava gli spararono due colpi di lupara in faccia. I tre imputati del suo omicidio vennero  condannati all’ergastolo. Nel collegio di difesa degli imputati compariva anche Giovanni Leone, futuro presidente della repubblica, mentre l’accusa era sostenuta da Sandro Pertini, anche lui in seguito presidente della repubblica [Santino, U, ibidem, pag. 172].

Alla sua morte la madre si battè per avere giustizia e il suo è uno dei pochi casi in cui gli assassini furono processati e condannati; furono, però, assolti nei successivi processi. Di questa donna parlò con ammirazione anche Carlo Levi [www.centroimpastato.it].

I fratelli Taviani nel 1962 hanno diretto il  film “Un uomo da bruciare” liberamente ispirato alla vita del sindacalista con gli attori Gian Maria Volontà, Didi Perego, Spyros Fokas, Turi Ferro, Lydia Alfonsi e Marina Malfatti [http://www.megachip.info].

Umberto Orsetta ha scritto il libro pubblicato per “l’Unità” nel 2005.

Salvatore Carnevale ha ispirato Ignazio Buttitta che ha scritto “U lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali”. Le  musiche di questa storia sono state scritte da Nonò Salamone ed la quale è stata cantata a lungo dai cantastorie siciliani.

Ecco un estratto del testo, che si può trovare intero sul sito indicato in nota:

È arrivato Cicciu Busacca
per farvi sentire la storia
di Turiddu Carnivali
lu sucialista che morì a Sciara
ammazzato dalla mafia
Ppi Turiddu Carnivali
chianci so’ matri
e chiancinu tutti li puvureddi nella Sicilia
perché Turiddu Carnivali
murì ammazzato
ppe difendere lu pane de li puvureddi
Ed ora
sèntiri
perché c’è di sèntiri
nella storia
di Turiddu Carnivali
La storia vi dici:

Ancilu era e nun avia ali
nun era santu e miraculi facìa,
‘n cielu acchianava senza cordi e scali
e senza appidamenti nni scinnia;
era l’amuri lu so’ capitali
e ‘sta ricchizza a tutti la spartìa:
Turiddu Carnivali nnuminatu
ca comu Cristu nni muriu ammazzatu.

Di nicu lu patruzzu nun canuscìu,
appi la matri svinturata a latu
campagna a lu duluri e a lu pinìu
ed a lu pani nivuru scuttatu;
Cristu di ‘n cielu lu binidicìu
ci dissi: «Figghiu, tu mori ammazzatu,
a Sciara li patruna, armi addannati,
ammazzanu a cu voli libirtati».
…. Turiddu avia li jorna cuntati,
ma ‘ncuntrava la morti e ci ridìa
ca videva li frati cunnannati
sutta li pedi di la tirannia,
li carni di travagghiu macinati
supra lu cippu a farinni tumìa,
e suppurtari nun putìa l’abbusu
di lu baruni e di lu mafiusu.
…….
Dissi: «La terra è di cu la travagghia,
pigghiati li banneri e li zappuna».
E prima ancora chi spuntassi l’arba
ficiru conchi e scavaru fussuna:
la terra addiventau una tuvagghia,
viva, di carni comu ‘na pirsuna;
e sutta lu russiu di li banneri
parsi un giganti ogni jurnateri.
…….. «Sono pronto a morire
per i contadini
Anche io sono un contadino
Ho avuto la fortuna
di leggere qualche libro
e so quello che ce dovete fare ai contadini:
quello che ce spetta
E voi padroni glielo dovete dare».
«Turiddu
stai attento a quello che fai
t’abbiamo avvertito tante volte
stai attento»
Turiddu quella sera
si era ritirato a casa
con quella minaccia
ancora incisa nel cervello
e non appena arrivò a casa
la madre ce fa trovare la menestra pronta
come tutte le sere
Non appena lo vede arrivare
è contenta
«Turiddu
sei arrivato
figlio mio
La menestra è pronta
mangia».
Ma Turi
quella sera
non aveva fame
«Mamma
lascia perdere
Questa sera
ho tante cose
da pensare
Non ho fame»
La madre ha capito
che
Turiddu l’avevano minacciato
ancora una volta.

«Figghiu, cu fui t’amminazzau?
Sugnu to’ matri, un m’ammucciari nenti».
«Matri, vinni lu jornu»; e suspirau:
«a Cristu l’ammazzaru e fu ‘nnucenti!».
«Figghiu, lu cori miu assincupau,
mi ci chiantasti tri spati puncenti!».
Genti ca siti ccà, faciti vuci:
dda matri si lu vitti mortu ‘n cruci.

‘Sta volta
i mafiusi
hanno mantenuto la promessa
L’indomani mattina
mentre Turiddu andava a lavorare
nella cava
durante la trazzera
ci hanno sparato due colpi di lupara
in faccia
che l’hanno sfigurato
Non si dimentica mai quella mattina:
sedici maggio
millenovecentocinquantacinque
(inviata da Riccardo Venturi)

[http://www.prato.linux.it/~lmasetti/antiwarsongs/canzone]

 

 

 

 

 

 

FEDERICO DEL PRETE

raccontato da Chiara

Federico faceva l’ambulante, vendeva vestiti ed era un sindacalista, originario di Frattamaggiore; aveva lavorato in diversi mercati. Ovunque si trovava cercava di difendere i piccoli commercianti dalle prepotenze, a Taverna del Ferro li aveva spinti a non pagare la tangente alla camorra; distribuiva volantini, informava, sosteneva. Raccolse le testimonianze di tutti e fece un esposto firmato solo da lui; scriveva in un italiano un po’ zoppicante, perché aveva studiato poco, ma sapeva essere chiaro e deciso nelle sue denunce. Denunciò anche  un vigile che a Mondragone riscuoteva il pizzo per il clan La Torre. Dichiarò ad un giornalista che gli chiedeva se aveva paura: [www.internapoli.it].

Fu promotore di manifestazioni contro il pizzo. Fu ucciso nella sede del sindacato mentre era al telefono, proprio il giorno prima del processo al vigile, contro cui doveva testimoniare.

Ha confessato il killer del clan dei Casalesi, pentito da alcuni mesi, che si è autoaccusato dell’omicidio di Federico Del Prete.

Antonio Corvino ha ammesso davanti ai magistrati di averlo ucciso a Casal di Principe il 18 febbraio 2002. Tramite il suo legale ha chiesto perdono per l’uccisione del sindacalista, ordinata dai casalesi. La replica di un fratello a nome dei familiari della vittima è Il fratello ebbe l’occasione di sentirlo una settimana  prima dell’assassinio: Federico gli raccontò delle minacce che gli venivano fatte, il fratello cercò di aiutarlo, voleva che se ne andasse in Venezuela, ma lui disse che cosi facendo  non avrebbe avuto il coraggio di guardare in  faccia le persone che fino ad allora avevano creduto in lui [da La Repubblica 4/1/2008 di R. Sardo].

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