Progetto di ricerca sulle vittime delle mafie “Un nome, una storia” – classe 3^D della Scuola Michelangelo di Napoli a.s. 2007/2008
EMANUELE NOTARBARTOLO
raccontato da Sara DB
Emanuele Notarbartolo, marchese di San Giovanni, nacque in una famiglia aristocratica siciliana; uomo colto, esponente della Destra, onesto e combattivo divenne sindaco di Palermo per tre anni (1873-1876) nei quali riuscì a diventare nemico della mafia volendo combattere il fenomeno della corruzioni nelle dogane.
Dopo il 1876 venne eletto direttore del banco di Sicilia, dove riorganizzò il sistema bancario che era stato scosso dopo l’Unità d’Italia. Inoltre l’opera di Notarbartolo evitò di far crollare l’economia siciliana; questa sua devozione al lavoro gli costò la vita.
Durante il ritorno da un viaggio di piacere Notarbartolo il 1 febbraio 1893 venne assassinato, con 27 pugnalate, da Matteo Filippello e Giuseppe Fontana, due mafiosi siciliani. Il delitto fu ricostruito nei minimi particolari, ma non fu condannato il mandante.
Il primo indiziato fu Don Raffaele Palizzolo, anch’egli esponente della Destra, membro del consiglio d’amministrazione del banco di Sicilia e impiegato in numerose cariche pubbliche, nonostante avesse una pessima reputazione; egli aveva avuto numerosi scontri con Notarbartolo a causa delle sue truffe e amicizie con la mafia. Dopo numerosi processi voluti dal figlio di Notarbartolo, che pretendeva giustizia, Palizzolo fu condannato alla Corte d’Assise di Bologna, ma appena soli 4 anni più tardi a causa delle sue numerose amicizie con la mafia fu assolto per insufficienza di prove.
Tutte le istituzioni cercarono di deviare le indagini.
Si scoprì, inoltre, che numerosi politici ed istituzioni erano corrotti. Dopo i numerosi processi gli stimatori dell’ucciso si riunirono nel comitato pro Notarbartolo, quelli di Palizzolo nel comitato pro Sicilia; quest’ultimo segna la nascita del Sicilianismo.
Il 17 dicembre ci fu la prima manifestazione contro la mafia.
Tutti hanno il diritto di protestare contro la mafia, meno coloro che hanno la responsabilità di averli lasciati impuniti.
Pur parlando di più di un secolo fa lo scenario descritto è identico a quello odierno, vittime colpevoli di essere cittadini onesti e volenterosi e mafia sempre protagonista [http://fermicorsoa.blog.excite.it/permalink lavoro di ricerca di Sebastiano Giaquinta].
SEBASTIANO BONFIGLIO
raccontato da Enrico
Molte persone come Sebastiano Bonfiglio, opponendosi alla mafia, hanno pagato la vita per darci una speranza e lo dobbiamo a tutte le vittime, se ancora oggi abbiamo una speranza.
Sebastiano Bonfiglio nacque a San Marco, borgata rurale di Erice il 23 settembre del 1879, dovette lasciare la scuola per aiutare la famiglia, ma poi riprese gli studi da autodidatta e riuscì a prendere il diploma di insegnante elementare e di perito agrario. Ciò gli consentì di assumere nel movimento socialista posizioni rappresentative e di prestigio. Si mise subito contro la mafia scrivendo articoli contro la famiglia mafiosa dei Fontana, che in quel momento deteneva il potere. Un terzo dei consiglieri comunali appartenevano a questo clan famigliare, i latifondisti di Erice. Nel 1901 organizzò uno sciopero dei contadini che obbligò i Fontana a scendere a patti con i socialisti che organizzavano il movimento contadino, Tutto questo portò all’abbassamento degli affitti e all’aumento dei salari. Dopo questo risultato egli assunse la guida della federazione provinciale del Psi di Trapani e nel 1903 fu direttore del giornale “La voce dei socialisti”.
Visse a Milano e negli USA, dove venne chiamato a dirigere il giornale “La voce dei socialisti” di Chicago. Tornato in Sicilia guidò un nuovo sciopero dei contadini. Venne arrestato e condannato a cinque mesi di reclusione. Uscito dal carcere nel 1914 si schierò decisamente contro i fautori della guerra. Con il primo conflitto mondiale Sebastiano Bonfiglio fu arruolato nel Corpo sanitario ma, a causa delle sue idee “sovversive”, venne trasferito a Cirene in Libia, dove dette un segno concreto della sua solidarietà internazionalista e anticolonialista, aprendo una scuola per bambini arabi.
Nel 1920 i socialisti vinsero clamorosamente e in maniera schiacciante le elezioni amministrative a monte San Giuliano e Sebastiano Bonfiglio venne eletto sindaco.
Il 10 giugno 1922 mentre tornava a casa venne colpito a morte [www.ilsocialista.com] .
Secondo me è ingiusto che un uomo che voleva solo il rispetto nei confronti degli agricoltori sia morto, ma anche grazie a lui che noi crediamo ancora nella lotta contro la mafia e spero che grazie a uomini come questi, noi prima o poi saremo liberi dalla mafia.
GAETANO GUARINO
raccontato da Chiara
Gaetano Guarino nacque a Favara il 16 gennaio 1902, in una famiglia con molti problemi economici. Studiò a Palermo, ottenne la maturità classica, e si laureò in medicina nel 1928. Gaetano quando studiava all’ università, per mantenersi scriveva articoli per il quotidiano L’ AVANTI che allora non era legale. Dal 1928 al 1930 lavorò come tirocinante, a Bugno, dove conobbe la sua futura moglie. Negli anni trenta tornò nella sua città di origine, dove acquistò una farmacia e lavorò come farmacista.
Si iscrisse al partito fascista, ma probabilmente solo per non aver problemi durante il regime; finita la guerra si iscrisse al partito socialista, e divenne segretario del PSI a Favara.
Nel 1944 Gaetano venne nominato sindaco del suo paese, ma dopo breve tempo si dimise.
Guarino lottò contro i grandi proprietari terrieri che sfruttavano la locale manodopera e sostenne la gente che chiedeva l’attuazione delle leggi Gullo-Segni che destinavano alle cooperative i terreni incolti appartenenti ai latifondi: costituì anche una cooperativa agricola, che probabilmente si ispirava alla “Madre Terra” di Accursio Miraglia, ed i “baroni” del latifondo cominciarono a considerarlo pericoloso.
Il 10 marzo del 1946 si svolsero le elezioni comunali a Favara e Guarino vinse le elezioni con il 59% dei voti e fu eletto nuovamente sindaco Fu ucciso il 16 maggio 1946. nella sparatoria morì anche una passante, Marina Spinelli.I responsabili del suo omicidio non furono mai arrestati ; per protesta la vedova di Guarino ed il figlio andarono a vivere a Parigi, rifiutandosi sempre di tornare a Favara.
PASQUALE ALMERICO
raccontato da Carolina
In una sera del 25 marzo 1957 si trasmetteva nelle vecchie televisioni in bianco e nero la firma del Trattato Comune Europeo. Ma allora in pochi possedevano un televisore e quindi la maggior parte della gente si recava in piccole sale dove si proiettava o nei circoli o nelle sale parrocchiali. Cosi era anche a Camporeale una cittadina in provincia di Palermo. La cittadina era composta da circa 7 mila abitanti. Quella sera in prima fila in una delle salette c’era Pasquale Almerico, un maestro di scuola elementare, segretario della locale sezione D.C., nonché sindaco da due anni. Pasquale Almerico era un uomo di 43 anni, era un politico democratico che sognava un futuro migliore per la sua cittadina e per l’intera Sicilia.
Terminata la trasmissione, Pasquale e il fratello Liborio, decisero di andare a casa. Mentre tornavano a casa lui e il fratello si accorsero di essere circondati da cinque uomini a cavallo armati di mitra, che incominciarono a sparare senza pietà. Quegli attimi furono micidiali e dopo più di cento colpi uno dei killer si avvicinò a Pasquale e sparò ben 7 colpi a bruciapelo.
Ma purtroppo non è stato la sola vittima, oltre a lui è morto anche un passante, Antonio Pollari. Dopo quel momento la strada rimase vuota, senza luce e tanto meno sorrisi sui visi della gente.
Dopo la tragedia si seppe che Pasquale era stato colpito 104 volte dal mitra e 7 dalla pistola puntata a bruciapelo. I cittadini si chiesero il perché di tanta ferocia, naturalmente questo lo poteva confermare solo una certa persona, il capo mafia della cittadina di Camporeale Vanni Sacco. Egli disse che Pasquale Almerico gli aveva negato la tessera della Dc e se una persona intralciava il loro traffico lui la eliminava [Pasquale Almerico, eroe dimenticato, di Dino Paternostro]. In effetti Almerico aveva rifiutato l’iscrizione al boss, che avrebbe portato centinaia di voti, perché non voleva accettare compromessi con la mafia, posizione non condivisa da tutti nel suo partito. Al processo Vanni Sacco fu assolto per insufficienza di prove [Santino, U, Storia del movimento antimafia, pag 197].
Maria Saladino, operatrice sociale, che gestisce diversi centri di accoglienza per bambini disagiati, ha raccontato che riuscì ad avvicinarsi: “era pallidissimo ed aveva sangue dappertutto. Pasqualino, gli dissi, prega insieme a me: Gesù mio, misericordia, Gesù mio, misericordia. Lo udii ripetere quelle parole. Poi non disse più nulla. Gli afferrai la mano, probabilmente morì in quell’attimo E’ stata la morte così crudele, così ingiusta di Pasqualino Almerico che mi ha portato a fare tutto quello che ho fatto. Non può, non deve esistere al mondo gente tanto feroce, non si può uccidere così un essere umano, solo perché vuole lottare per gli altri esseri umani. ………Ora io sto lottando, mi illudo di lottare perché i bambini di questo paese crescano in un modo migliore, incapaci di violenza e crudeltà.”
Un’altra seconda testimonianza è del nipote di Almerico, all’epoca un bambino:
“Ricorderò sempre la sera dell’omicidio. Mio zio era in piazza ed io gli gironzolavo intorno per farmi vedere. Sapevo che, se mi avesse visto, nelle mie tasche sarebbe finito qualche spicciolo, necessario per comprarmi le figurine di Tarzan. E mi vide. Ma, qualche minuto dopo, mentre uscivo dal negozio con le figurine in mano, senti il crepitare dei mitra. Non compresi. Mi sembrò che fosse scoppiata la ruota di qualche motorino. Solo il giorno dopo appresi la tragica verità, che per tutta la notte i miei mi avevano tenuto nascosto”
Ma la chiesa, i cattolici non legati alla mafia e le associazioni antimafia non si diedero per vinte, infatti riuscirono a tenere vivo il ricordo di quest’uomo onesto e coraggioso.
Credo che se ora ne stiamo parlando, Pasquale Almerico non sia stato dimenticato del tutto… penso anche che la sua storia sia affascinante e che ci possa dare un’altra speranza, per farci capire che bisogna combattere, e la morte non ci potrà mai abbattere perché quando si chiude una porta si apre un portone… e per questo io mi riferisco alla signora Saladino che nella sua deposizione afferma che il signor Almerico le ha fatto capire che anche con piccoli gesti il mondo può cambiare…
PIERSANTI MATTARELLA
raccontato da Riccardo
Piersanti Mattarella, politico democristiano divenuto presidente della Regione Sicilia, era figlio del potente Bernardo, noto esponente politico siciliano negli anni ’50, che era stato anche ministro. A quell’epoca in Sicilia operava Danilo Dolci, che voleva aiutare i siciliani più poveri a migliorare le proprie condizioni e a rivendicare i propri diritti in forma non violenta. Egli aveva accusato il ministro, con documenti e testimonianze di essere legato alla mafia [Santino, U. Storia del movimento antimafia, pag 225], addirittura sospettato di essere il mandante della strage di Portella della Ginestra.
Il figlio, educato presso i Gesuiti, si distaccò dal padre, seguì quella tradizione cattolica che condannava decisamente la mafia e cercò di rinnovare la politica della Democrazia Cristiana, seguendo l’esempio di Aldo Moro.
Mattarella aveva capito da infiniti segnali che era in pericolo, perciò era corso a Roma, dall’amico Virginio Rognoni, allora ministro dell’Interno, per raccontargli cosa stava accadendo nel partito in Sicilia. Prima di partire aveva detto alla sua segretaria Maria Grazia Trizzino: “Se mi dovesse accadere qualcosa si ricordi di questo viaggio”. Le sue confidenze al ministro non si conoscono, probabilmente accusò il politico democristiano Vito Ciancimino* di essere legato alla mafia.
Il 6 gennaio 1980 venne assassinato in via Libertà.
Secondo le indagini collaborò al suo omicidio Giusva Fioravanti, noto neofascista, indagato anche per il delitto Pecorella, giornalista romano. Non è chiaro ancora oggi il legame fra i due delitti: si voleva far passare per un atto di terrorismo quello che era un omicidio di mafia? Il famoso pentito Buscetta non ci credeva e suggeriva che l’uccisone di Mattarella fosse dovuta alla concessione di appalti della Ragione, che dopo la sua morte andarono a dei mafiosi.
*Vito Calogero Ciancimino Diplomatosi ragioniere nel 1943, ricoprì, nella città di Palermo, la carica di assessore comunale ai lavori pubblici dal 1959 al 1964. In questo periodo egli non si oppose al cosiddetto “sacco di Palermo”, una speculazione edilizia che vide le ville liberty della città far posto ad enormi palazzi. Eletto sindaco di Palermo per la Democrazia Cristiana nel 1970 e in quegli anni venne emesso il numero record di licenze edilizie, gestite dalla mafia di Corleone Nel 1984 Ciancimino viene arrestato, e nel 2001 sarà condannato a tredici anni di reclusione per favoreggiamento e concorso esterno in associazione mafiosa. (da Wikipedia)
MARCELLO TORRE
raccontato da Stefano
Era nato a Pagani nel 1932 ed era un avvocato e un politico. Era membro della FUCI e dell’Azione Cattolica. Era un convinto aderente alla Democrazia Cristiana e frequentava la sede salernitana. Fu eletto delegato provinciale dei gruppi giovanili. Fece un convegno sulla riforma agraria, perché avevano dato ai contadini la terra della Piana del Sele, ma senza mezzi per coltivare.
Nel 1960 fu eletto consigliere comunale e nel 1970 si candidò per entrare nella commissione elettorale del comitato provinciale della DC, ma non conquistò il seggio. Uscì dal partito, diventò avvocato e divenne presidente della Paganese Calcio.
Nel 1980 fu eletto sindaco di Pagani e il 23 novembre ci fu il terremoto dell’Irpinia, che provocò gravi danni in tutta la Campania.
Torre impedì che i camorristi vincessero gli appalti. Fu ucciso per questo l’11 dicembre del 1980 mentre usciva di casa. Il 4 giugno 2002 furono condannati: Raffaele Cutolo, come mandante dell’ omicidio, e Francesco Petrosino come uno dei killer.
A Marcello Torre è dedicato lo stadio dove gioca la Paganese Calcio e un premio per chi denuncia la criminalità [wikipedia.org].
Dalla trasmissione Rai “Cominciamo bene: figli”: La figlia Annamaria parla del padre e di come lei, la madre e il fratello si sono sentiti abbandonati dopo la sua morte; il fratello è caduto nella droga ed è morto per overdose anni dopo. Annamaria, invece, è impegnata nel sociale e in questo sente di aver raccolto l’eredità del padre. Solo di recente Marcello Torre ha ricevuto una medaglia d’oro al valor civile. Anche la moglie ricorda la serietà e la preparazione del marito, di cui è molto orgogliosa.
PIO LA TORRE
raccontato da Francesca
Pio La Torre nacque nel 1927 vicino Palermo, ad Altarello di Baida.
Era molto credente e studiava con impegno fin da bambino, perciò fu scelto dalla sua famiglia per continuare gli studi. Egli aiutava i suoi fratelli più sfortunati nello studio. Pio la torre fece la scelta di diventare comunista, però per lui questa scelta era normale, perché viveva in una terra povera e sfruttata. Nel 1951 i contadini siciliani occuparono le terre e lui partecipò a queste azioni, poi nel 1958 diventò segretario regionale della CGIL e continuò gli scontri insieme agli operai siciliani. Pio diceva sempre che la mafia era dentro il potere politico e quello economico. La lotta alla mafia, senza esclusione di colpi, fu un altro punto importante nella vita di Pio.
Nel 1962 diventò segretario regionale del PCI. La sua vita andava avanti tra riunioni, manifestazioni, occupazioni.
Nel 1969 venne chiamato a Roma per lavorare nel partito, diventò un importante dirigente nazionale di alto livello, si occupava della sezione agraria e meridionale e da deputato nazionale della commissione antimafia. La sua relazione diede importanti informazioni sulla mafia in Sicilia, contemporaneamente cominciò ad elaborare la proposta di legge per punire il reato di associazione mafiosa e per la confisca dei beni. Ritornò in Sicilia e continuò la sua lotta.
Il 30 aprile del 1982 fu colpito a morte insieme al suo segretario Rosario Di Salvo. Rosario voleva proteggerlo Pio durante l’agguato e usò per la prima e ultima volta la pistola. Oggi esiste un centro di studi ed iniziative culturali dedicato a Pio La Torre. La legge che porta il suo nome, dalla sua morte ad oggi ha dato frutti molto importanti nella lotta alla mafia [http://www.sperimentaleleonardo.it/itinerari/lavoromafia1/apertura.htm].
A leggere questa storia mi sono commossa e mi sentivo anch’io una vittima della mafia.
RENATA FONTE
raccontato da Francesca
Renata Fonte viveva a Nardò, in provincia di Lecce. Renata amava la sua terra, infatti il suo impegno politico iniziò con la difesa del Parco di Porto Selvaggio dalla speculazione edilizia; vinse la sua battaglia, infatti oggi il parco è tutelato da una legge regionale.
L’anno successivo si presentò alle elezioni comunali nel Partito Repubblicano ed ebbe più voti di Antonio Soriano, che era conosciuto come procuratore di pensioni per finti invalidi. Ella era una delle poche donne interessate al campo politico e si aspettava grandi cambiamenti e poneva molte speranze nel suo partito, che non si sono realizzate.
Renata diventò assessore alla pubblica istruzione e si impegnò sempre molto nel suo lavoro, anche togliendo tempo alla sua famiglia, ma sperando di creare un futuro migliore per le figlie. Fu uccisa il 30 marzo 1986 mentre ritornava a casa.
Per il suo omicidio sono stati condannati killer e mandante, proprio Soriano, ma non furono individuati altri complici, che probabilmente esistevano. La causa dell’omicidio pare sia stata proprio la sua difesa delle terre del parco e di quelle vicine: si opponeva alle speculazioni e minacciava di denunciarle.
La vita di Renata Fonte è raccontata nel libro “La posta in gioco”, edito da Carmine De Benedittis, dal quale è stato tratto l’omonimo film, interpretato da Lina Sastri e Turi Ferro per la regia di Sergio Nasca [www.salentovirtuale.com/storiaemiti/piccolieroi.asp].
La storia di Renata è stata raccontata dalle figlie nella trasmissione Rai “Cominciamo bene: figli”. Valeria Matrangola, la più piccola, che allora aveva 10 anni, ora segue le sue orme, impegnandosi nel sociale: dice che Renata era un vulcano e amava molto la sua terra. Lei la sente particolarmente vicina quando si trova nel luogo per la cui difesa la madre diede la vita, il parco di Porto Selvaggio; ogni anno, nell’anniversario dell’uccisione, qui leggono le poesie scritte da lei.
GIUSEPPE INSALACO
raccontato da Andrea
Giuseppe Insalaco, nato il 12 ottobre 1941, era un politico italiano che denunciò come si svolgevano gli affari degli appalti in Sicilia.
Fu sindaco di Palermo, solo per tre mesi, si dimise perché non voleva cedere alle pressioni subite da Vito Ciancimino e da quelli che gli erano vicini, che ogni giorno mescolavano alla posta i mandati di pagamento che valevano decine di milioni e si aspettavano che lui li firmasse senza controllare. Denunciò tutto alla Commissione Antimafia.
Da quel giorno ci arrivarono minacce, ad esempio gli incendiarono la macchina davanti casa sua. E dopo un po’ viene assassinato a colpi di pistola lui e il suo autista il 12 gennaio 1988, per questo lui è una “vittima della mafia”.
Dopo la sua morte furono accusati diversi esponenti della DC palermitana.
Il 17 dicembre 2001 furono condannati all’ergastolo gli assassini di Insalaco, Domenico Ganci e Domenico Guglielmini [www.wikipedia.it].
RIFLESSIONI DI ANDREA
Noi stiamo ricordando le vittime di mafia, però ci sono vittime che nessuno ricorda come poliziotti, imprenditori ed altri che solo pochi conoscono, ad esempio Antonio Agostino che era un poliziotto e quando è stato ucciso purtroppo con lui si trovava anche la moglie Ida che era incinta di 5 mesi, quindi il killer non ha ucciso solo Antonino, ma ha stroncato tre vite. E poi un maresciallo, Vito Ievolella, e anche un bancario in pensione, Giuseppe La Franca. Questi nomi sono tutte vittime di mafia “dimenticate”, ma per questo motivo a inizio estate uscirà un film dedicato proprio alle vittime dimenticate. Queste notizie le ho prese da un articolo di Attilio Bolzoni, “Uccisi e dimenticati la memoria ritrovata in un film” uscito su La Repubblica del .
Ci sono delle vittime anche tra i giornalisti, alcune sono state ricordate attraverso internet, libri e film, ma alcune non hanno avuto questo privilegio e vengono ricordati nel loro paese di origine e nella loro famiglia.
Quando noi, e per noi intendo la mia classe, cerchiamo vittime di mafia su internet, escono nomi noti e poche volte riusciamo a trovare persone che non conosciamo e quando li troviamo facciamo ricerche più approfondite su quella persona, ma non capita molto spesso.
Secondo me, tutte le vittime andrebbero ricordate, però la gente ormai perde interesse a farlo. E allora noi qui a scuola facciamo un buon lavoro e abbiamo fatto anche un libro con tanti nomi, su tutte le vittime non solo della mafia, perché ricordiamoci che ci sono anche la camorra e la ‘Ndrangheta, che fanno meno vittime ma comunque le fanno, e lo stato oggi sta facendo qualcosa in più per sconfiggere queste organizzazioni malavitose. Ma prima che scompaiano ci vorranno anni e io penso molti anni, e poi ci sono gli altri paesi che ci hanno “copiato” ad esempio la Mafia Cinese, la Mafia Russa, la Mafia Americana. Ma questa è un’altra battaglia.