Progetto di ricerca sulle vittime delle mafie “Un nome, una storia” – classe 3^D della Scuola Michelangelo di Napoli a.s. 2007/2008

 

 

 

COSIMO CRISTINA

raccontato da Francesca

Cosimo Cristina viveva a Termini Imprese, a vent’anni già collaborava con il giornale L’Ora, pagato pochissimo, e come molti giornalisti di provincia rischiava la sua vita per amore della verità.
Nel 1959 fondò Prospettive Siciliane, in cui scriveva articoli contro la mafia e metteva i nomi dei mafiosi, in un’epoca in cui  nessuno parlava di mafia, non si ammetteva nemmeno che esistesse. Cosimo non si fermava mai nella sua ricerca della giustizia, era un cronista libero, ma anche una persona allegra, non si abbatteva di fronte alle difficoltà. Era un tipo estroso, vestiva sempre con eleganza, portava un papillon e andava in giro in bicicletta.
Cominciò a ricevere minacce, restò isolato; un pomeriggio uscì di casa e non tornò più. Dopo due giorni il suo corpo fu trovato sui binari, con due biglietti di addio; si stabilì che si era suicidato e per questo non ebbe nemmeno i funerali in chiesa, ma non fu fatta una perizia calligrafica sui biglietti né l’autopsia. Aveva 24 anni, nessun motivo per uccidersi e molti motivi per essere ucciso dalla mafia [da “Giornata delle memoria dei giornalisti uccisi dalla mafia” a cura dell’Unione Nazionale dei Giornalisti].

 

 

 

 

 

 

MARIO FRANCESE

raccontato da Susy

Mario Francese nacque a Siracusa il 6 febbraio del 1925. Quando finì il ginnasio nella sua città decise di trasferirsi a Palermo per completare i suoi studi e iscriversi così alla facoltà di ingegneria. Ben prestò sentì il bisogno di rendersi indipendente e iniziò a lavorare come telescriventista all’agenzia dell’ANSA, ma dopo poco tutti si resero conto che lì era sprecato, e iniziò a scrivere articoli di cronaca nera e giudiziaria per il giornale “La Sicilia”.
Dopo essere entrato nella Regione e aver lavorato come capo ufficio all’assessorato ai Lavori pubblici venne chiamato per lavorare al Giornale di Sicilia. Qui iniziò a lavorare alla cronaca giudiziaria e dopo qualche tempo divenne uno dei più esperti conoscitori sulle vicende mafiose.
Nel 1969 dovette prendere un’importante decisione: restare a lavorare nella Regione o continuare con il Giornale di Sicilia. Coraggiosamente scelse il giornalismo.
Iniziò così a crescere sempre più in questo campo: fu l’unico che intervistò la moglie di Totò Riina, l’unico che riuscì a scoprire le evoluzione di strategie e i maggiori interessi della mafia corleonese. Fu il primo che riuscì a capire la pericolosità della mafia di Totò Riina, perciò, hanno raccontato i collaboratori di giustizia, fu ucciso.
Dopo l’uccisione del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo continuò a scrivere i suoi articoli che andavano sempre più a fondo e rendevano sempre più conosciute le vicende mafiose, il suo interesse principale. Indagò sulla diga Garcia, evidenziando il legame tra mafia e politica per arricchirsi con questa opera pubblica. Poco prima di morire, pubblicò nel 1979 sul “Giornale di Sicilia” un articolo dal titolo “La repubblica dei mafiosi”. I suoi articoli svelavano  e spiegavano l’organizzazione della mafia in tutti i suoi aspetti, cose che prima, essendo nascoste, nessuno conosceva e che uscendo fuori avrebbero creato qualche problema alle persone direttamente interessate. Mario Francese non esprimeva i suoi giudizi sulla mafia, ma mostrava solo i fatti, con la sua memoria riusciva a collegare avvenimenti che non sarebbero mai stati collegati da altri. Fornì agli organi investigativi  prove dei cambiamenti che avvenivano in quegli anni nelle cosche. La sua analisi della mafia degli anni ’70 è sorprendentemente attuale. Alcuni pentiti raccontano  che lui non andava  proprio giù alla mafia, perché in un certo senso la attaccava. Per questo motivo lo hanno ucciso il 26 Gennaio del 1979. Quella sera aveva lasciato la redazione con il saluto che usava sempre: “Uomini del Colorado, vi saluto e me ne vado!” [da “La Scelta”: “Mio nonno Mario” di Silvia Francese, pp 104 – 107].
Sua nipote Silvia nel libro “La Scelta” afferma con chiarezza che per tutte le persone che l’hanno conosciuto e amato lui non è morto, vive ancora oggi.
Di lui scrive: “Amo i tuoi occhi neri, le tue mani grandi capaci di gesti duri e delicati, amo quel tuo modo particolare di parlare che sa di Sud, di casa; amo le tue favole, i racconti delle tue quotidiane giornate che sei capace di trasformare, con la tua abilità oratoria, in grandi gesta eroiche; e mi fai ridere, perché con la tua aria stralunata, con la tua testa immersa in mille pensieri, sembri un personaggio uscito da un universo parallelo; sei un po’ filosofo, stratega, veggente; sei un cacciatore che col suo fiuto riesce a seguire e a classificare tracce infinitesimali… vedi cose che altri non vedono, che ignorano, eppure tu sai dov’è la verità..
Sei puro, anticonformista, non ti importa di come vesti e di quello che pensano gli altri; tu sei come sei e ti offri generosamente agli altri mettendoti al servizio di quelli più deboli, lottando contro le ingiustizie, i soprusi …
Le tue dita battono incessantemente sulla tastiera della macchina da scrivere e danno voce anche a chi voce non ha …. Ami così tanto la tua terra e il tuo mestiere che ti spingi a indagare, a ricercare..”

Dopo la sua morte si aprì una catena di delitti chiamati “eccellenti”: infatti solo in quell’anno furono uccisi Michele Reina, Boris Giuliano, Cesare Terranova.
Il processo per l’uccisione di Mario Francese venne chiuso e poi riaperto dietro richiesta della famiglia della vittima. Vennero condannati nell’aprile del 2001: a 30 anni Totò Riina e gli altri componenti della cosiddetta “cupola”, tra cui Leoluca Cagarella, esecutore materiale. Nel processo bis è stato condannato all’ergastolo Bernardo Provenzano.

Mario Francese lasciò al mondo un figlio,  che ha curato la sua memoria, anche attraverso un sito [www.fondazionefrancese.org/articoli1.htm], in cui è possibile leggere i suoi articoli più significativi e ha istituito un premio in sua memoria, che nel 2004 è stato assegnato a Carlo Lucarelli, autore di importanti indagini su mafia, camorra e misteri italiani.
LE SUE INCHIESTE ED INTERVISTE
Nel corso della sua carriera da giornalista quando lavorava al Giornale di Sicilia, Mario Francese, ha seguito varie inchieste ed interviste a persone che nella mafia hanno avuto un ruolo tra le quali:
    Dal più arido latifondo la mafia sa cavare l’ “oro” – 4.9.1977
    Quali interessi mobilita un’opera da 350 miliardi – 6.9.1977
    Alla mafia  i privilegi ai “piccoli” le briciole – 9.9.1977
    Gli obiettivi della mafia in un rapporto di Russo – 13.9.1977
    Perché il Belice è un terreno minato – 18.9.1977
    Nel Belice la mafia al suo terzo tempo – 21.9.1977
    Parla la madre di Giuseppe Impastato – 18.5.1978
    Intervista a Luciano Liggio – 8.4.1978
    Parla Antonietta Bagarella, per la quale ieri il pubblico ministero ha chiesto quattro anni di soggiorno obbligato – 27.7.1971
    Dopo la condanna alla sorveglianza speciale.
Ninetta chiusa in casa respinge i giornalisti –  6.8.1971

RIFLESSIONI DI SUSY

In questi tre anni la nostra classe, ma anche il resto della nostra scuola, si è interessato di legalità. E’ una parola che si sente molto spesso nominare, soprattutto negli ultimi tempi.  Si parla di legalità quando si nominano i diritti dei minori, quando si parla di rifiuti, quando si parla di mafia e camorra.
Da questi argomenti abbiamo sviluppato diversi percorsi di lavoro. Il più interessante secondo il mio parere è stato quello sulle vittime.
Forse anche perché è un lavoro che mi coinvolge molto di più rispetto agli altri due sia emotivamente che sentimentalmente.
Prima  di conoscere la vera  realtà che moltissime persone vivono ogni giorno, non mi avrebbe mai interessato questo argomento.
Ma oggi che conosco questa realtà, ho scoperto che è giusto combattere questo mostro, che apparentemente sembra invincibile, ma se noi lo combattiamo tutti insieme, può essere sconfitto.
Anche grazie a questo lavoro, per come e quanto ne abbiamo parlato, è come se mi sentissi in dovere di fare qualcosa. Però è una scelta molto difficile da fare e ora non è il momento giusto.
Anche se da grande non mi occuperò di questo, mi sento comunque di aver dato il mio contributo. Penso che ognuno di noi dovrebbe provare a riflettere su quello che non ci colpisce in prima persona, perché serve a capire il punto di vista degli altri e questo può  cambiare le opinioni e il modo di pensare, cosa che servirebbe a molte persone nel mondo.

 

 

 

 

 

 

PEPPINO IMPASTATO

raccontato da Giovanni

Peppino Impastato nacque a Cinisi, in provincia di Palermo e fu un attivista e giornalista italiano. Era  nato in una famiglia mafiosa e quando era ancora ragazzo il padre lo cacciò di casa perché lui non voleva essere un mafioso. Nel 1965 fondò il giornale “L’idea socialista”. Dal 1968 partecipò alle attività della  nuova sinistra e condusse le lotte dei contadini contro gli espropri per la costruzione della terza pista dell’ aeroporto di Palermo. Nel 1975 costituì il gruppo “Musica e cultura” che svolge attività culturali. Fece dei programmi radio e il più seguito era Onda Pazza, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici. Da Radio Aut attaccava Tano Badalamenti, suo parente e capo mafioso della cittadina di Cinisi. Nel 1978 si candidò nella lista di democrazia proletaria alle elezioni comunali. Fu assassinato nella notte del 9 maggio 1978, con una carica di tritolo posta sotto il corpo.
Grazie all’ attività del fratello e della madre, che si distaccarono dai parenti mafiosi, venne individuata la matrice mafiosa del delitto e l’ inchiesta giudiziaria fu riaperta. Il 9 maggio 1979 si svolse la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia,  a cui parteciparono 2000 italiani. Nel 1984, in seguito alle indagini di Chinnici venne riconosciuto che Impastato era stato ucciso dalla mafia. La sentenza fu firmata da Caponnetto.
Il Centro Impastato pubblica, nel 1986 la storia della sua vita scritta dalla madre di Giuseppe Impastato [F. Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia. Intervista di A. Puglisi e U. Santino. La Luna, Palermo, 1986. Ristampa 2000, 2003. 69 pagine. Eu. 9.], ma senza escludere un possibile omicidio. Nel 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato chiedono la riapertura del caso per indagare su fatti non chiariti, riguardante il comportamento dei carabinieri dopo il delitto. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti incriminato come mandante del delitto. Il 5 marzo 2001 la corte ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L’ 11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all’ ergastolo.
Il Centro siciliano di documentazione è il primo centro studi sulla mafia sorto in Italia. Il centro Impastato, fondato nel 1977 da Umberto Santino e Anna Puglisi. Il Centro ha formato una biblioteca, un’emeroteca e un archivio specializzati sulla mafia e altre forme di criminalità organizzata; ha prodotto studi e ricerche, bibliografie e materiali di documentazione, che abbiamo utilizzato anche noi nelle nostre ricerche. Ha svolto attività di informazione e di educazione nelle scuole e in istituti universitari, in Italia e all’estero [http://www.centroimpastato.it/].

Lettera di Giovanni Impastato ai figli di Bernardo Provenzano:

“Caro Angelo, caro Francesco Paolo,
sono stato anch’io ragazzo come voi e ancora prima di me lo è stato mio fratello Peppino, che ha pagato con la vita la sua scelta. Siamo tutti figli partoriti dalla stessa mafia. Una mafia che distrugge la vita, sempre, anche quando non lo fa con le armi o con le bombe. Una mafia fatta di uomini che diventano padri e dicono ai loro figli che sono vittime innocenti della giustizia costretti a vivere nascosti come talpe. E la confusione comincia pian piano ad insinuarsi nelle nostre viscere più profonde, ci assorbe il cuore e la mente e la ragione fa fatica a distinguere la verità dalla menzogna. Sono sentimenti che hanno segnato a lungo la mia esistenza, ancora prima quella di Peppino e credo attraversi anche la vostra.
Quando mio padre morì provai un dolore atroce, ricordo che il fazzoletto, grande come un tovagliolo che mi diede mia madre, non riusciva a contenere le lacrime ma contemporaneamente non riusciva neppure a contenere quel senso di liberazione dal vincolo di mafiosità che mi aveva lacerato fino a quel momento. Due sentimenti uguali ed opposti che provenivano uno dal cuore e l’altro dalla ragione.
Anch’io da ragazzino, avevo circa dieci anni, ho conosciuto la latitanza seppure di riflesso. Mio padre mi portava con sé quando andava a fare le iniezioni a Luciano Liggio malato, latitante nella tenuta di nostro zio, il boss Cesare Manzella a cui è succeduto Tano Badalamenti, boss che ha provveduto anche alla latitanza di vostro padre quando era qui a Cinisi dove conobbe Saveria Palazzolo, divenuta poi vostra madre.  Ricordi che custodisco ancora ma che mi sono lasciato alle spalle quando il mio sguardo ha deciso di guardare avanti per fare di me stesso un uomo libero dalla schiavitù mafiosa, che vive e lavora nel rispetto della legalità.  E i miei figli per questo mi amano, come io amavo mio padre, ma loro sono anche fieri di me e della mia scelta. Per questo con delicatezza, con umiltà, senza la spocchia di chi è riuscito a vincere dentro di sé e fuori di sé la battaglia più difficile della sua vita, mi rivolgo a voi, ora che la fine della latitanza di vostro padre apre un nuovo capitolo.
A te Angelo, che tra poco ti sposerai con una ragazza che mi dicono essere graziosa e gentile, che diventerai come ti auguro padre, chiedo di trovare la forza della verità e il coraggio per sostenerla. Nessuno vuole, tantomeno io, che rinneghi l’amore profondo che ti lega a tuo padre. Ma tacere è condividere. Il tuo silenzio, il vostro silenzio vuol dire condividere seppure non le eserciterete mai, le sue azioni sanguinarie e quelle dell’organizzazione di cui è il capo.  Ecco perché il giudizio deve necessariamente essere severo, chiaro anche se l’amore che nutri per lui non potrà mai impedirti di stargli vicino nei momenti del bisogno.
Miei cari ragazzi non ci sono strade alternative: solo dicendo “no”  a quella mafia che vostro padre incarna, come ha fatto mio fratello, potrete essere cittadini a tutti gli effetti  di questo Stato, parte di questa società pronta ad accogliervi nella verità non nella doppiezza. Anche a te Francesco che ti sei impegnato nello studio laureandoti, vincendo una borsa di studio, auguro di trovare la forza per esprimere un giudizio chiaro.  Maggiormente a te che sei preso dalla responsabilità di insegnare e dunque di trasmettere dei valori autentici auguro di farlo libero dalla finzione e dalla suggestione negativa di un codice d’onore che si fonda su dei disvalori.
Dimostrate a vostro padre, con i fatti, che c’è un altro modo di vivere, diverso da quello incondivisibile suo, l’unico che ha avuto la sventura di conoscere, sarà un modo per amarlo ancora di più” [dall’Unità del19/04/06].

Il film “I cento passi”

commentato da Giovanni

Ho visto il film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana e penso che Peppino era un ragazzo molto coraggioso, lui prendeva in giro la mafia chiamandola Mafiopoli , accusava Tano Badalamenti di essere mafioso, chiamandolo Tanu seduto. Faceva delle manifestazioni insieme ad altri giovani e denunciava in piazza, davanti alla sede del Comune, che l’autostrada appena costruita aveva delle curve inutili  e dannose solo per farla passare nei terreni dei mafiosi, tra cui il padre, che avevano avuto espropri vantaggiosi. È un bel film, anche perché il protagonista è serio, ma fa sempre tutto in maniera scherzosa, specialmente il programma alla radio e le manifestazioni.

 

 

 

 

 

 

MAURO DE MAURO

raccontato da Vincenzo

Mauro De Mauro nacque a Foggia nel 1921. Nel 1943 ebbe l’incarico di vice questore di Pubblica Sicurezza, a Roma.
Dopo la seconda guerra mondiale si trasferì a Palermo e ricoprì l’incarico di cronista in giornali come il “Tempo di Sicilia”, “Il mattino di Sicilia” e ”L’ora”.
Venne rapito la sera del 16 settembre del lontano 1970, mentre stava entrando nel giardino di casa, a Palermo; il suo corpo non fu mai ritrovato.
Era una serata molto calda a Palermo. La famiglia De Mauro si stava incontrando a cena per festeggiare il matrimonio della figlia che sarebbe avvenuto dopo due giorni.
All’ingresso del giardino del palazzo si fermò una BMW con all’interno alcuni mafiosi.
De Mauro salì in quell’auto che andò via veloce. L’auto venne ritrovata alcune settimane dopo, ma di De Mauro nessuna traccia.
Il movente di questo rapimento non è molto chiaro, ma si pensa che sia stato rapito a causa dei suoi articoli sul traffico di droga che infastidiva i mafiosi. Aveva condotto anche alcune inchieste giornalistiche sul golpe Borghese.
La sua morte venne accertata dopo alcune testimonianze di pentiti di mafia.
Il luogo dell’ omicidio non è mai stato trovato e neanche il corpo del giornalista venne mai ritrovato. Nel 2006 è iniziato il processo per la sua morte e l’unico imputato è Totò Riina [www.repubblica.it].

Un altro giornalista ucciso perché diceva la verità, la mafia non uccide solo ma ti fa capire anche che devi stare in silenzio. La mafia ti restringe i diritti.
Mi sono appassionato alla sua storia e mi sono chiarito un po’ le idee sulla sua morte guardando su internet un’inchiesta di Blu Notte, condotta da  Carlo Lucarelli, dedicata al giornalista scomparso. La  trasmissione mi ha dato tutte le informazioni sulla sua vita, usando un metodo di racconto molto chiaro.

 

 

 

 

 

 

GIOVANNI SPAMPINATO

raccontato da Sara V.

Siamo a Ragusa, in questo ultimo periodo i cittadini si comportano in modo strano, molto strano, sembra quasi che abbiano timore di qualcosa o qualcuno, però¼ sembra quasi che stiano isolando qualcuno, non lo sostengono e chi lo conosceva adesso non lo conosce più¼
Adesso è sera, è la sera del 27 ottobre 1972, tutti stanno chiudendo le finestre, ma come mai?
Le cose sembrano tranquille, quando¼¼¼ Booom!!!  Ma cosa è successo? Si sentono pianti e grida!!
Ora è tardi per piangere, è tardi per urlare, è tardi per aiutare, è morto!
In questa sera, 27 ottobre 1972, qualcuno ci ha lasciato, il suo nome è, ma oramai, era Giovanni Spampinato; era un giornalista, lui lavorava nel campo giornalistico, precisamente a  “L’Unità” e “L’Ora”.
Sembrava che avesse scoperto qualcosa riguardo a intrecci tra mafia e malavita; voleva mettere alla luce le sue scoperte. Proprio per questo lo allontanarono, avevano paura, lo lasciarono solo¼
27 ottobre 1972, è sera, Giovanni Spampinato perde la vita!
Giovanni aveva pubblicato diverse inchieste sui neofascisti del sud est siciliano, sui loro rapporti con la mafia e gli affari del contrabbando, aveva scoperto un canale che collegava Siracusa alla Grecia dei colonnelli.
Si costituì come responsabile del delitto Roberto Campria, figlio del presidente del tribunale di Ragusa, ma l’inchiesta non andò avanti e molte cose restano poco chiare.
Su L’Ora di Vittorio Nisticò hanno scritto  tanti cronisti coraggiosi e tre sono morti ammazzati dalla mafia: Cosimo Cristina, Mauro De Mauro e Giovanni Spampinato [www.girodivite.it].

«Nessun paese ha avuto tante vittime tra i giornalisti come l’Italia. Le mafie vivono di omertà e silenzio e la lotta contro le mafie vive invece di parola e di trasparenza e di inchieste sociali perché i poteri occulti dei criminali vanno cercati là dove non si vedono» Lo  ha affermato il presidente della Commissione Antimafia, Francesco Forgione, il 26 aprile 2007, inaugurando la mostra fotografica “Il giornalismo che non muore” a Ragusa nell’ambito delle iniziative del premio Mario Francese, che quest’anno si svolgono nel capoluogo ibleo per ricordare i 35 anni dall’uccisione del cronista Giovanni Spampinato.

 

 

 

 

 

GIUSEPPE FAVA

raccontato da Camilla e Stefano

Giuseppe Fava [detto Pippo] è stato un giornalista italiano apprezzato dai propri collaboratori. È stato direttore responsabile del Giornale del Sud e fondatore de “I Siciliani“, giornale antimafia in Sicilia. E’ considerato il primo intellettuale ucciso da Cosa nostra.

Giuseppe Fava nasce a Palazzo Acreide, in provincia di Siracusa, il 15 settembre 1925.
Visitava spesso il suo paese natale. Negli anni ’40 si trasferì a Siracusa per frequentare il Ginnasio ed il Liceo. Visse a Siracusa gli anni della guerra, dedicando a quel soggiorno splendide pagine.
Dopo il Liceo si trasferì a Catania e si laureò in Giurisprudenza. Diventò giornalista anziché avvocato iniziando come cronista di un giornale sportivo.
Alla fine degli anni ’50 aveva già collezionato esperienze con parecchi giornali e ne ebbe ancora in seguito.
Nel 1966 vinse un premio e negli anni successivi furono pubblicati parecchi suoi scritti.
Nel 1980 fu chiamato alla direzione del “Giornale del Sud“. La reazione al pericolo rappresentato da Fava e dal Giornale del Sud fu immediata: la censura, le minacce, gli attentati ed infine il licenziamento.
Nel 1982 Giuseppe Fava fondò la cooperativa editoriale Radar e registrò una nuova testata con il nome “I Siciliani”. Con quel mensile Fava aveva scelto di raccontare la Sicilia, la devastazione dell’ambiente, la trappola nucleare di Comiso, la sfida della mafia. Un libro scritto giorno per giorno
Nel 1966  vinse il premio Vallecorsi con “Cronaca di un Uomo“, e nel 1970 il premio IDI con la “Violenza“, da cui Florestano Vacini trasse il film di successo “Violenza quinto potere“..
Giuseppe Fava amava scrivere, più in particolare del problema del suo paese: la mafia. Ne scriveva come per dare cultura agli abitanti della Sicilia, per aprire gli occhi a chi non sapeva più farlo. Iniziarono poi anche ad andare in scena suoi drammi sulla mafia.
La successiva ed ultima reazione al ‘pericolo Fava’: cinque pallottole in una sera di pioggia il 5 gennaio 1984, ore 21.30… [www.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Fava]
È possibile vedere e sentire Giuseppe Fava che parla di mafia, intervistato da Enzo Biagi nel 1985  all’indirizzo: www.youtube.com

 

 

 

 

 

 

GIANCARLO SIANI

raccontato da Giorgio

Giancarlo Siani nacque a Napoli il 19 Settembre 1959. Frequentò il liceo Giovambattista Vico partecipando ai movimenti studenteschi del 1977. Iscrittosi all’Università, iniziò a collaborare con alcuni periodici napoletani mostrando particolare interesse per le problematiche dell’emarginazione: sosteneva che proprio all’interno delle fasce sociali più disagiate si annidava il principale serbatoio di manovalanza della criminalità organizzata. Scrisse i suoi primi articoli per il periodico “Osservatorio sulla camorra”, appassionandosi ai rapporti ed alle gerarchie delle famiglie camorristiche che controllavano Torre Annunziata e dintorni. Poi iniziò a lavorare come corrispondente da Torre Annunziata per il quotidiano “Il Mattino” e compì le sue importanti indagini sui boss locali; le sue inchieste scavavano sempre più in profondità e con un suo articolo accusò il clan Nuvoletta, alleato con i Corleonesi di Totò Riina, e il clan Bardellino, che faceva parte della “Nuova famiglia”, di aver venduto alla polizia il Boss Valentino Gionta per porre fine alla guerra tra le famiglie.
Con l’articolo del 10 giugno 1985 Siani scrisse altre rivelazioni le quali indussero la camorra a sbarazzarsi di lui. Siani spiegò che Gionta alleato di Nuvoletta doveva essere giustiziato per voler di un altro potente boss e Nuvoletta non poteva sottrarsi,per non scatenare una guerra tra famiglie e per non tradire l’onore mafioso anziché uccidere il suo alleato Gionta lo fece arrestare. L’articolo scatenò i fratelli Nuvoletta perché li fece apparire come “infami” che avevano rapporti con la polizia; da quel momento i boss iniziarono a riunirsi per decidere come eliminare Siani, così il 23 Settembre 1985 poco dopo aver compiuto 26 anni, Giancarlo Siani, appena giunto sotto casa fu ucciso e fu ucciso proprio quando in Campania piovevano i miliardi per la ricostruzione post-terremoto.
Per chiarire i motivi che hanno determinato la sua morte ci sono voluti oltre 10 anni e l’ultima sentenza è giunta dopo 18 anni dall’omicidio. Il fratello Paolo ricorda Giancarlo come un ragazzo carismatico, capace di grandi sacrifici, ma anche come una persona solare, pronto a dare sostegno a tutti; in un’intervista egli afferma:”Di noi due, insieme, conservo l’immagine di una giornata a Roma, a una marcia per la pace. Io col gesso che gli dipingo in faccia il simbolo della libertà. E lui mi sorride” [http: www.wikipedia.org].
Nel 2004 è uscito nelle sale cinematografiche il film “E io ti seguo” di Maurizio Fiume, ispirato alla vicenda di Giancarlo Siani ed interpretato da Yari Gugliucci. Nello stesso anno è stato istituito il Premio Giancarlo Siani dedicato a giornalisti impegnati sul fronte della cronaca. Abbiamo visto a scuola la puntata de “La storia siamo noi” in cui i suoi colleghi e il fratello parlano di lui.
Si può vedere Giancarlo all’indirizzo: www.youtube.com

Pensando a Siani,sapendolo un’altra vittima di mafia, mi viene in mente la libertà, la legalità, l’uguaglianza,mi viene in mente l’ultimo argomento di storia, quando durante il fascismo fu eliminata la libertà di stampa e di parola  e dico anche se abbiamo ottenuto la libertà di espressione a cosa ci serve?Il fatto è successo nel 1985, ma oggi se un giornalista denuncia, cosa gli succede? Rischia la stessa identica cosa! Perché, anche se sono passati diversi anni, la situazione mafia-politica-malaffare non è ancora cambiata nonostante molte persone si adoperino per migliorare le cose.

“Caro Giancarlo”
lettere dai ragazzi della Campania a Giancarlo Siani

presentato da Giovanni

In biblioteca abbiamo un libro con delle lettere di alcuni ragazzi della Campania che hanno scritto a Giancarlo Siani dopo aver conosciuto la sua storia.
La prima lettera è del fratello Paolo che dice che Giancarlo aveva scritto quasi mille articoli e tutti descrivevano molte cose della camorra. Quando l’inchiesta sul suo omicidio si era fermata molti ragazzi manifestarono con striscioni con scritto molto grande il nome di Giancarlo Siani.
Alcuni ragazzi delle elementari e delle medie hanno scritto delle lettere e quelli delle medie hanno scritto che era un eroe e che la sera della sua morte “le speranze di un’intera città andarono in frantumi”.
Un bambino delle elementari ha scritto che persone come lui, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e altri dovrebbero essere immortali.
Un’altra dice che si sta combattendo una guerra a Napoli, anche se non ci sono bombe che cadono dal cielo e neanche case distrutte.

 

 

 

 

 

 

MAURO ROSTAGNO

raccontato da Camilla

Nacque a Torino nel 1942, divenne sociologo e fu tra i fondatori del movimento politico Lotta Continua. Visse lontano dall’Italia, in diversi paesi europei. Si recò in India con la compagna e al ritorno fondò vicino Trapani la comunità Saman, centro di meditazione e comunità terapeutica per il recupero dei tossicodipendenti. Lavorò anche per l’emittente televisiva locale Radio Tele Cine insieme ad alcuni ragazzi della Saman e denunciò sempre con forza le collusioni tra mafia e politica locale. Il 26 settembre 1988 fu ucciso.
Vincenzo Virga, un miliardario,  ne sa qualcosa sulla morte di Rostagno. Questo  lo ha confessato il pentito Vincenzo Sinacori nel 1997 ai magistrati: “è stato lui a organizzare tutto… dopo che i suoi amici di Mazara del Vallo gli chiesero la cortesia di farlo fuori perché stava sulle scatole a Mariano Agate… non sopportavano Rostagno per i commenti che faceva ogni giorno dalla sua televisione… dissero a Virga di uccidere Rostagno, toccava a lui perché Trapani era il suo territorio”. Da allora per la prima volta l’investigazione sulla sua morte si sviluppa verso Cosa Nostra.
Le figlie lo ricordano nella trasmissione “Niente di particolare” della rete La 7 del 30 marzo 2008, dicono che Mauro ha vissuto molte vite; uomo del nord andò in Sicilia per sostenere le lotte dei senzatetto, non “voleva trovare un posto nella società, ma lottare per una società in cui valesse la pena di trovare un posto”. La comunità Saman usava una tecnica di recupero morbida, non  punitiva, voleva dare sollievo alla sofferenza, far vivere “una vita che significhi vita”. Si sentiva più siciliano di chi era nato nell’isola, perché lui aveva scelto di viverci. Le figlie concludono dicendo che per lui mafia significava sopravvivere Antimafia significava Vivere.
Mauro Rostagno era un giornalista. Uno come tanti uccisi dalla mafia di cui non conosciamo il nome, ma non perché non lo meritino.
Pensandoci un buffo e scuro pensiero ci attraversa la testa: “Perché è stato ucciso?… forse perché ha detto la verità?!…” Si esatto, proprio per questo. Sembra buffo pensare che sia così facile pensare al ‘giusto’ quando in fondo in fondo anche noi sappiamo che non lo è… e Mauro Rostagno era uno di coloro che… non hanno fatto niente di male. Lui non aveva bisogno di inventare cose per essere dalla parte della giustizia, e non ficcava il naso nei fatti altrui… semplicemente diceva le cose come stavano. Oggi le informazioni che abbiamo su di lui sono state date in parte dal documentario “Una Voce nel vento”. .”Non aveva mai smesso di sognare una società di eguali”, dice nel film la sorella Carla. Ed è morto lo stesso [www.avvenimenti.it].

 

 

 

 

 

 

BEPPE ALFANO

raccontato da Andrea e Riccardo

Era un professore di educazione tecnica della scuola media del suo paese, Barcellona Pozzo di Gotto, e come hobby praticava il giornalismo ed era un corrispondente del giornale “La Sicilia”, quotidiano di Catania; era uno al quale piaceva la verità.
Il suo omicidio ha messo in luce la condizione dei giornalisti di provincia che spesso, senza nemmeno una tutela sindacale, si sovrespongono e restano vittime della criminalità. Lui non era nemmeno iscritto all’ordine, gli fu dato il tesserino dopo la morte [www.ateneonline-aol.it].
Beppe Alfano venne ucciso l’8 gennaio 1993 mentre era al posto di guida della sua Renault 9. Erano appena passate le 22.
Sono stati ben 4 i processi celebrati, ma non c’è nessuna verità definitiva.
“È una vergogna – dichiarò Sonia Alfano, figlia del giornalista-sono nove anni che chiediamo giustizia. I primi a dimenticarsi di mio padre sono stati proprio i responsabili della “Sicilia” ma noi abbiamo cercato di sollecitarli nel processo di Reggio Calabria.”
Beppe Alfano è stato probabilmente ucciso da Cosa Nostra perché aveva scoperto che dietro alla vendita degli agrumi della zona tirrenica messinese si nascondevano gli interessi della mafia di Nitto Santapaola e di insospettabili imprenditori legati alla massoneria. Aveva anche intuito che il capo mafia si nascondeva proprio a Barcellona.
Ha confessato il delitto Maurizio Avola, pentito di Cosa Nostra, uno fra gli 80 omicidi ammessi, tra cui anche quello di Pippo Fava, altro giornalista. In realtà i mandanti dell’omicidio di Beppe, secondo un testimone, si chiamavano Sindoni, un massone potente, con amicizie influenti, e il boss Gullotti.

dalla trasmissione “Ballarò” del 25 gennaio 2005

La figlia di Beppe Alfano racconta: “Mio padre fu il primo nel dicembre ’92 a capire che a Barcellona Pozzo di Gotto si nascondeva il boss Nitto Santapaola. E sapeva pure che a causa delle sue denunce sui giornali sarebbe stato ucciso. Dopo Natale disse lui stesso in famiglia che mancavano pochi giorni. Era solo. Gli amici si facevano negare, gli dicevano “Lascia stare, hai famiglia”. Lui chiedeva aiuto ad amici e istituzioni e nessuno gli dava risposte. C’era silenzio intorno al suo lavoro, forse oggi c’è  più attenzione. Il suo killer è in attesa di giudizio, ma si devono ancora individuare i mandanti di terzo livello”.

 

 

 

 

 

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