QUELL’ ORA FATALE SUL TRENO DEL SUD di Enzo Biagi

QUELL’ ORA FATALE SUL TRENO DEL SUD
di Enzo Biagi

CONOSCO quei posti. Ci sono stato durante la guerra. Ricordo il capostazione di Ca’ di Landino, che costruiva treni in miniatura, il velluto rosso nei sedili delle prime classi, e la locomotiva fischiava cupa imboccando la galleria. So com’ è il paesaggio di questi giorni: la galaverna imbianca gli alberi, l’aria tersa odora di legna bruciata, nella notte di Natale si usa accendere i falò: e c’è quasi sempre la luna sui monti. Sono paesi dell’Appennino emiliano, e quella che si ritrova in piazza o all’osteria è la mia gente: di là dal crinale, la Toscana. Immagino quel rapido che corre sulla Direttissima; è domenica 23 dicembre, quando già la sera è calata, e il convoglio fugge su binari lucidi di brina, lasciandosi dietro festoni di lampadine, la campagna assorta in queste ore di presagio, e i viaggiatori tacciono, inseguendo pensieri nascosti: una donna, i vecchi mobili di una vecchia casa, altri giorni, profumi, immagini e rumori che si perdono nella confusa ricerca della memoria.

IL 904, così lo chiamano le ferrovieri, è partito dal Sud, da Napoli: e come nei racconti di Vittorini, si porta dietro sentore di bucce d’ arancia e di corpi accaldati. Il monotono andare concilia la sonnolenza e i ricordi. Non so che cosa è accaduto alle 19,15: c’ è sempre, nella storia della mia terra, un’ora fatale.  Diciannove e quindici, un giorno d’ inverno, dieci e trentacinque, una asfissiante mattina d’agosto, una e ventitré di un’alba d’estate: poi, gli urli dei feriti e il caldo umore del sangue, e l’acre nuvola di polvere o di gas. Si mescolano le parole e i sentimenti, e sui discorsi, ancora una volta, dominano gli accenti della mia infanzia: protagonista è sempre la città di Bologna. Stazione di Bologna: punto d’incontro tra le due Italie, luogo di transito per la speranza e per il dolore.

Ritornano così scene che sembravano cancellate dalla coscienza e dalla mente, come gli incubi e i sogni cattivi: le barelle con gli infermieri che corrono, e sussultano i corpi inanimati delle vittime; facce sconvolte dai grumi e dal terrore; i racconti smarriti di chi ha vissuto una trama inconcepibile e misteriosa, e ha ancora negli occhi lo sbigottimento del risveglio, e l’angoscia del mistero; quei medici dell’Ospedale Maggiore, qualcuno lo riconosco, perché fu ragazzo con me, che sembrano quasi rassegnati alla loro parte; la televisione che parla di continuo, cercando qualche certezza in un incubo, e si sentono chiacchiere incredibili, come se la prima e la seconda classe dividessero anche l’umanità, signori che andavano in vacanza a sciare, lavoratori, nei vagoni di coda, che volevano raggiungere le loro famiglie, e la morte malandrina si accanisce sempre contro i più deboli.

Stazione di Bologna: l’altoparlante che ha annunciato, con quella parlata che tanto si presta alle battute comiche, tradotte militari, gite verso il mare, carovane sportive, parla di uno “speciale” che sta arrivando da San Benedetto, località della Val di Sambro, che porta viaggiatori senza biglietto, i volti bendati, lo sguardo perduto. Sono i superstiti: una esplosione, il buio, una pioggia di schegge, dei lamenti. Chi cerca invano, chi tace per sempre. Poi cominciano le ipotesi, le macabre fantasie, i confronti: di che colore è il filo che si dipana attorno a questa follia? Che cosa muove Caino? Si può cercare una logica in un gesto che non rispetta nessun principio, che non può condurre ad alcun traguardo? Si trovano e decidono: metteremo lì la scatola di latta, studieremo gli orari, vedremo in faccia quelli che si affollano negli scompartimenti, c’ è anche un padre con due bambini che giocano nel corridoio, c’è una vecchia che va a trovare i figli che stanno al Nord, non capisce che è arrivata la sua ora, calcoleremo tutto, scoppierà quando le carrozze saranno immerse nel tunnel, un faro giallo che avanza precedendo tanti destini. Che cosa c’è dietro questa pazzia, che non è lucida, ma imbecille?

Diciassette bare, allineate sui tavoli di marmo di Medicina legale, per cercare un perché: perché il fulmine che brucia le messe, perché il fiume che straripa sul villaggio, ma davvero Dio è sempre simpatico? Ha respirato o ha tossito sul viso dell’uomo? Perché la morte, e in questo modo? Quali colpe ha questo popolo, che quando riacquista fiducia, viene ributtato nello sgomento?

Anche nel male c’è una misura: San Benedetto in Val di Sambro mi sembra ancora peggio di Marzabotto. Perché alla violenza crudele si aggiunge la viltà. Le truppe di Reder avevano una divisa, e firmavano i loro delitti: questi sono fantasmi che vogliono nascondere la loro bassezza, e la paura, anche a se stessi.

 

ENZO BIAGI

 

 

Articolo da La Repubblica del 25 Dicembre  1984

 

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *