“Un morto ogni tanto. La mia battaglia contro la mafia invisibile” di Paolo Borrometi

Editore: Solferino, 2018

«Ogni tanto un murticeddu, vedi che serve! Per dare una calmata a tutti!» Nelle intercettazioni l’ordine è chiaro: Cosa Nostra chiede di uccidere il giornalista che indaga sui suoi affari. Ma questo non ferma Paolo Borrometi, che sul suo sito indipendente La Spia.it denuncia ormai da anni gli intrecci tra mafia e politica e gli affari sporchi che fioriscono all’ombra di quelli legali. Dallo sfruttamento e dalla violenza che si nascondono dietro la filiera del pomodorino Pachino Igp alla compravendita di voti, dal traffico di armi e droga alle guerre tra i clan per il controllo del territorio. Le inchieste raccontate in questo libro compongono il quadro chiaro e allarmante di una mafia sempre sottovalutata, quella della Sicilia sud orientale. Il tutto filtrato dallo sguardo, coraggioso e consapevole, di un giornalista in prima linea, costretto a una vita sotto scorta: alla prima aggressione, che lo ha lasciato menomato, sono seguite intimidazioni, minacce, il furto di documenti importantissimi per il suo lavoro, sino alla recente scoperta di un attentato che avrebbe dovuto far saltare in aria lui e la sua scorta. I nemici dello Stato contano sul silenzio per assicurarsi l’impunità, e sono disposti a tutto per mettere a tacere chi rompe quel silenzio. Il primo libro di Paolo Borrometi è una denuncia senz’appello su un fenomeno ritenuto in declino e in realtà più pervasivo di sempre, da combattere anzitutto attraverso la conoscenza del nemico. Perché il potere della mafia, come diceva Paolo Borsellino, è anche un fenomeno sociale, fatto di atteggiamenti e mentalità passive contro cui l’unico antidoto è l’esempio della resistenza e della lotta.

 

«QUESTO PAESE NON HA BISOGNO DI EROI, MA DI CITTADINI CHE FACCIANO IL LORO DOVERE.
LA LEGALITÀ NON È UN CONCETTO ASTRATTO LEGATO ALLA GIUSTIZIA O ALLA MORALE, È UN PERCORSO FATTO DI COSTANTE IMPEGNO.»

 

Fonte:  huffingtonpost.it  
Articolo del 8 novembre 2018
In “Un morto ogni tanto” la battaglia civile ed umana di Paolo Borrometi contro la mafia invisibile.

di Milene Mucci
Fondazione “Antonino Caponnetto”, libera-mente a Sinistra

Uscito da neanche due settimane è, ad oggi, praticamente quasi introvabile il libro di Paolo Borrometi, “Un morto ogni tanto”, per il successo che sta avendo. Qualcosa che rende omaggio alla stesura di un lavoro di inchiesta forte e coraggioso. Un’ opera che ha portato fin dai primissimi giorni della sua uscita nuove minacce al suo autore, già sottoposto ad una vita ormai blindatissima da cinque anni.

Cinque anni di continue minacce, non ultima quella nell’aprile di quest’anno in cui avrebbe dovuto saltare in aria nella sua macchina, insieme agli uomini della sua scorta. Plateale attentato sventato solo grazie all’azione del Commissariato di Pachino tramite l’ascolto di alcune intercettazioni.

“Bum a terra! Devi colpire a questo, bum, a terra! … Ogni tanto un murticeddu, vedi che serve! … Per dare una calmata a tutti! Un murticeddu, sai, cosi… un murticeddu…”

Ed è nonostante tutto questo che Borrometi va avanti.

Libro di inchiesta il suo, ma anche di umanissimo racconto di una scelta di vita certamente non facile.

Pagine che fanno con nomi e cognomi raccontando anche la vicenda giornalistica e personale di questo giornalista, oggi presidente di Articolo 21 l’associazione che si batte per la libertà di stampa e di opinione.

“La mia vita cambiò drasticamente il 16 aprile del 2014. Quel giorno mi presero a calci fino a massacrarmi. Ora u capisti? T’affari i cazzi tuoi. U capisti?

Mi lasciarono a terra in una pozza di sangue, e con una spalla rotta in più punti “.

E, nonostante tutto questo, Borrometi va avanti.

Avanti facendo nomi e cognomi. Pagine che sono un prezioso reportage su quanto accade in una Sicilia sud orientale fino a poco tempo fa “provincia Babba”, erroneamente considerata “mite, tranquilla”.

Zona, invece, di traffici milionari che vanno dal viaggio dell’oro rosso, il pomodoro ciliegino principe delle nostre tavole a tutto quello che gira intorno al settore agroalimentare, ambito di cui si descrive il volume di affari come uno dei business oggi più remunerativi per la criminalità organizzata, secondo solo al traffico di droga.

Pagine di nomi dei protagonisti dalla parte degli aguzzini, ma anche storie di chi è stato vittima o lo è ancora. Dal ricordo della storia di Carla venticinquenne rumena, simbolo di tutte le braccianti schiavizzate dai caporali, sottoposte dopo una giornata massacrante di lavoro anche a festini di violenza, stupri e ricatti, a quello malinconico e tenero del messaggio di solidarietà ricevuto da una già affermata giornalista proprio a lui, Borrometi ancora sconosciuto cronista. Quello di Daphne Caruana Galizia, lei, la giornalista che verrà uccisa nel 2017 da un’autobomba a Malta proprio per le sue indagini e le sue denunce.

Cosi come il ricordo di Giovanni Spampinato, giornalista ventiseienne ucciso nel 1972 con sei colpi di pistola. Giovanissimo cronista che con le sue inchieste aveva iniziato a portare alla luce connessioni fra criminalità mafiosa ragusana e gli ambienti politici, omicidio che colpì profondamente Paolo Borrometi, allora al liceo, facendogli desiderare di voler venire a capo di quel ” prendersi cura della propria Terra” che contraddistingue la sua vita e vicenda di oggi.

“La Sicilia “scrive Borrometi” non ha bisogno di eroi, ma solo di essere raccontata, e di una coscienza solida, di cittadini che non si voltino più solo dall’altra parte”.

Anche perché la Sicilia che racconta Borromenti nel suo libro, aggiungiamo noi, è ormai l’Italia tutta, essendo dimostrato ampiamente ormai come certe indagini e certe conclusioni si spostino ed allunghino oggi fino all’ultimo dei nostri confini, in un modo ormai per cui nessun territorio può’ dirsi indenne da corruzione e criminalità.

Racconto, però, anche in positivo, di chi sarebbe stato vinto se fosse stato lasciato solo mentre, invece, ha trovato forza e capacità di reagire grazie alla solidarietà di tanti.

Perché si sa, la mafia vince dove riesce ad isolare, dove riesce a instillare il sospetto della svalutazione, dove si fa spazio la calunnia, la delegittimazione… il mascariamento, di cui anche Giovanni Falcone subì le conseguenze in un momento pesantissimo della sua vita.

 

Cinque anni sotto scorta, di inchieste e di una vita blindata e, nonostante questo, la rinuncia di Borrometi alla etichetta di “giornalista antimafia” perché scrive: “Non può esistere nessun giornalista antimafia, anticorruzione, anti illegalità. Alcuni cittadini di professione fanno i giornalisti. E’ solo il loro dovere. Tutto qui”. Tutto qui, semplicemente.

“Educare alla legalità è educare alla Bellezza, come diceva Peppino Impastato”, ci racconta Borrometi.

E allora nei suoi articoli sempre riferimenti precisi a chi quella bellezza vorrebbe cancellare.

“Mettendo le loro facce sempre … perché i nostri ragazzi quelle persone le incontrano per strada, al bar, in piazza ed è giusto che possano decidere se abbassare la testa o guardarle negli occhi con fierezza, far intendere loro Io non sono come voi “.

“Un morto ogni tanto”… parole dette in una intercettazione che riportano ad un sistema che vorrebbe tenere a bada coscienze, alimentare paure. Isolare, punire.

Qualcosa che, invece, è diventato un titolo di un libro che descrive ben altro. Duecento pagine di coraggio, cittadinanza attiva, idea di legalità. Un libro che distingue male e bene, senza dubbi su dove siano o “cosa ” siano.

Un libro che ci rende “partigiani dei valori”, come diceva il Giudice Caponnetto di chi fa propria l’idea di legalità quotidiana, che ci fa scegliere da che parte stare, senza incertezze e si chiude con una straordinaria lettera ai nostri giovani.

Perché: “… loro sono il Presente, non il Futuro” e devono diffidare da quelli che li rimandano ad un domani perché loro sono qui e, “qui e ora”, devono imparare ad essere vigili e consapevoli, pronti a crescere, disponibili a cambiare e a migliorare.

“Perché – scrive Borrometi- “a morire di mafia non sono solo le vittime che cadono riverse per strada, i morti ammazzati, ma tutti coloro che si rassegnano a vivere nell’illegalità e nell’ingiustizia. Chi chiude gli occhi, chi si gira dall’altra parte”.

Chi fa affari con i mafiosi ci dice Paolo… ma anche chi in fila alla posta allunga lo sguardo per vedere se allo sportello c’è l’amico per fagli saltare qualche passaggio.

“Provano a farmi tacere dal 2014, quattro anni dopo volevano farmi saltare in aria. Eppure io volevo fare solo il giornalista”, scrive Borrometi che oggi arriva a noi con questo suo lavoro in cui c’è dentro tutto.

Chi vince e chi perde, ad oggi, è chiaro, fortunatamente.

Ha vinto Borrometi, e anche il Giornalismo.

 

 

 

 

“Un morto ogni tanto”, nel libro di Paolo Borrometi le sue inchieste sulla mafia

“Il pomodorino ciliegino come metafora di quanto la mafia o meglio ancora le mafie, si siano ormai create un posto d’onore persino nei nostri piatti, tra la frutta e la verdura”. Paolo Borrometi lo racconta nelle sue inchieste – anche nel nostro Tg – e ora – insieme ad altre storie – anche in un libro dal titolo “Un morto ogni tanto”. Servizio di Luigi Ferriauolo