Una storia siciliana fra Ottocento e Novecento. Lotte politiche e sociali, brigantaggio e mafia, clero e massoneria a Barrafranca e dintorni – di Salvatore Vaiana
Una storia siciliana fra Ottocento e Novecento. Lotte politiche e sociali, brigantaggio e mafia, clero e massoneria a Barrafranca e dintorni – di Salvatore Vaiana
“Vaiana dedica questo suo libro alla memoria di Alfonso Canzio, ultimo protagonista del riscatto di Barrafranca il cui assassinio conclude l’interessante periodo esaminato e pieno d’iniziative e di realizzazioni per il progresso sociale. Un martirio senza quel tributo di gloria che spetta a chi dà la vita a conclusione di una sfiancante guerra di liberazione.
Alfonso Canzio, vicepresidente della Lega di miglioramento, stimato per la sua irreprensibile condotta e per l’intransigenza nell’affermare la legalità viene descritto dall’Autore come la figura più autorevole del movimento contadino. Egli nacque il 3 luglio 1872. Socialista componente della Congregazione di carità, fece aderire la Lega di Barrafranca alla “Federazione delle cooperative agricole siciliane”.
La data del suo assassinio è significativa, il 27 Dicembre 1919, quando aveva appena cinquant’anni. Come avvenne per Alongi e Rumore a Prizzi, l’attività di Canzio fu stroncata da mano omicida in una piccola strada di Barrafranca.”
Fotocopertina e nota da: canicattimia.it
Fonte canicattimia.it
Articolo di Gabriella Portalone
Una storia siciliana fra Ottocento e Novecento.
Lotte politiche e sociali, brigantaggio e mafia, clero e massoneria a Barrafranca e dintorni
di Salvatore Vaiana
Salvo Bonfirraro Editore
palermo 2000, pp. 255
Presentazione di padre Ennio Pintacuda
Salvatore Vaiana, attento studioso del fenomeno mafioso in Sicilia, su cui ha condotto varie ricerche, dà vita, in questa sua ultima opera, ad un rilevante esempio di microstoria, riguardante il comune di Barrafranca tra il 1892 e il 1922, che, pur arricchendo la storiografia concernente gli studi locali, si inserisce a pieno diritto nel contesto più vasto degli studi storici relativi al periodo postunitario del Mezzogiorno d’Italia.
L’autore ricostruisce la storia di questo centro agricolo dell’ennese, inserito nel triangolo economicamente più depresso dell’Isola, rifacendosi quasi esclusivamente a minuziose e pazienti ricerche condotte su documenti d’archivio.
Gli avvenimenti che caratterizzarono il quarantennio di cui l’autore si occupa, si svolgono sullo sfondo di un ambiente immutabile, quello della Sicilia agraria, del latifondo arido e per lo più incolto o malcoltivato, delle lotte di potere tra famiglie rivali, della corruzione del clero e degli amministratori, della forte componente mafiosa e brigantesca. È quell’ambiente che mantiene inalterati la forma e i colori, pur vedendo cambiare i protagonisti e i loro ruoli e che rimane purtroppo sempre caratterizzato dall’individualismo proprio del siciliano, dalla sua resistenza al cambiamento, quando esso comporti sconvolgimenti dell’equilibrio sociale esistente e il sorgere di nuovi gruppi di potere.
Perciò in questa nostra magnifica Isola, ogni volontà di modernizzazione si infrange nell’opposizione dei potentati locali che, pur di mantenere lo statu quo, non esitano ad allearsi alla mafia o ai briganti o di ricorrere alle minacce, alla violenza e all’omicidio.
Non importa da chi provenga l’aiuto, purché sia valido al controllo della situazione e all’immutabilità della stessa. Mi viene da pensare che questo modo di essere dei siciliani, l’individualismo della sua classe dominante, la mentalità mafiosa, riuscirono a sconfiggere un avvenimento di portata mondiale come la stessa Rivoluzione francese che si fermò, appunto, a Pizzo Calabro, perché il baronaggio siciliano non esitò ad allearsi con gli inglesi, agevolando la loro occupazione dell’Isola, e con l’odiato sovrano borbonico, pur di tenere lontana dallo stretto ogni novità atta a sovvertire l’ordine costituito.
Nella Barrafranca raccontata da Vaiana, manca, peraltro, un elemento che in gran parte della regione tentò di portare un vento di rinnovamento sociale economico. Parlo del movimento cattolico, della propaganda sturziana, della diffuzione delle Casse Rurali, efficace strumento creditizio contro l’usura dilagante, delle altre iniziative portate avanti dagli apostoli della Rerum novarum, per favorire il mondo contadino ed elevarlo culturalmente, moralmente ed economicamente. Nelle diocesi di Palermo, di Piazza Armerina, di Noto, di Acireale, ma soprattutto di Girgenti, l’opera di vescovi illuminati e di sacerdoti intelligenti ed attivi, diede vita ad un’imponente organizzazione cooperativistica che, attraverso le affittanze agricole, le cooperative di credito e quelle di consumo, riuscì a dare alla classe contadina una vera e propria coscienza sociale, preparandola, peraltro, all’accoglimento dei principi democratici, sanciti nel 1913 dall’approvazione della legge sul suffragio universale maschile.
A Barrafranca, invece, il clero locale si presentava spesso corrotto, contiguo alla mafia, vicino alle stesse logge massoniche, interessato alle manovre del potere, spesso addirittura mandante di omicidi, schierato con l’una o l’altra delle due fazioni che dividevano il paese, quella facente capo all’avvocato Bonfirriato e quella guidata da Benedetto Giordano.
In tale clima, chi avesse voluto forzare la situazione dirigendola verso forme di cambiamento e di evoluzione sociale, era destinato a pagare con la vita. Tale fu la sorte del socialista Alfonso Canzio, ucciso nel 1919, seguendo la sorte di Panepinto, di Alongi, di Orcel, combattivo protagonista del movimento contadino barrese, a cui l’autore dedica il suo libro.
(In “Rassegna Siciliana di Storia e Cultura” – N. 15 – Aprile 2002)