Vi racconto il mio Cosimo Cristina La vita e il coraggio di un uomo senza peli sulla lingua – di Enza Venturelli

Vi racconto il mio Cosimo Cristina
La vita e il coraggio di un uomo senza peli sulla lingua
di Enza Venturelli
Edito da Roberto Serafini, (Youcanprint), 2015

In una bella giornata di fine agosto, nella magica Caltanissetta, Cosimo e Enza s’incontrano per la prima volta nel bar Duomo dove lei lavora, dando inizio alla loro amicizia che poi diventerà amore. Attraverso una fitta corrispondenza epistolare, Cosimo le rivela i suoi sentimenti e gli sfoghi su come abbia trovato, nell’impegno sociale, le difficoltà e le delusioni. Cosimo, infatti, non si dedica solo a scrivere articoli per altri giornali, ma fonda una sua testata “Prospettive Siciliane”, dove senza mezzi termini denuncia i reati, i mandanti e gli esecutori dei crimini efferati avvenuti nella sua terra: la terra di Sicilia che lui commemora esaltandola e mettendo a nudo la sua fragilità di luogo afflitto dal cancro della mafia.
È nella ricostruzione dei fatti, seguendo la cronologia delle lettere ricevute e inviate dalla casella postale “168”, che possiamo immedesimarci nel periodo in cui si svolse la loro storia d’amore. Periodo dove un bacio era una conquista, ma dove anche la libertà di espressione era un azzardo. Enza e Cosimo sognavano una vita assieme, giovani sposi pronti al futuro, ma gli eventi, in modo precipitoso e quasi inspiegabile, si accaniscono sul giornalista, che viene ritrovato morto all’interno di una galleria ferroviaria. A Enza rimane così il compito di conservare memorie, di essere una teca protettrice delle emozioni passate, di tramandare a un narratore il ritratto di un giovane temerario, sensibile e giusto che ha preferito rimanere sulla breccia, piuttosto che sparire vigliaccamente dal palcoscenico.

 

 

 

Fonte:  braviautori.it

Recensioni:

Enza Venturelli. Vi racconto il mio Cosimo Cristina non è un libro sulla mafia, nonostante se ne parli anche ed essa ne abbia purtroppo stabilito il tragico epilogo; piuttosto una storia d’amore, quello tra Cosimo e la sua fidanzata Enza Venturelli, voce narrante e ispiratrice di questa opera, in cui Roberto Serafini ha saputo fondere sapientemente ricordi personali, lettere, cartoline, articoli e cronache dell’epoca.

Racconta gli ultimi anni di vita del giornalista siciliano ucciso dalla mafia il 5 maggio 1960, un ritratto privato che ne mette in luce i sentimenti, i sogni, i progetti oltre all’impegno civile, un giornalista scomodo di cui solo negli ultimi anni si sta recuperando la memoria.

 

Una storia d’amore d’altri tempi

Il primo incontro tra Cosimo Cristina ed Enza Venturelli avvenne il 31 agosto del 1958 nel Caffè Duomo di Caltanisetta, dove la ragazza lavorava come cassiera. Una storia d’amore d’altri tempi, quando per poter anche solo parlare con una ragazza occorreva chiedere prima il permesso ai suoi genitori.

Cosimo appare fin dall’inizio una persona gentile, educata, colta, con un carattere deciso, ma ligio alle regole. Enza è subito affascinata, ma teme anche di non poter essere alla sua altezza dal punto di vista culturale.

Molto bella la prima cartolina, scritta poco dopo il loro primo incontro, in cui Cosimo chiede a Enza di poter essere suo amico. Amico è un termine forse oggi abusato, che ha assunto un significato molto diverso con l’uso dei social network, spesso ridotto al semplice conoscente su internet, perdendo quel carattere di familiarità e fiducia che implicava in passato. Righe che fanno riflettere su come siano cambiati i rapporti umani, forse oggi più veloci e meno formali, ma spesso privi di contenuto e di reale interesse. Spesso si collezionano “amici” pensando più al numero che alla qualità dei rapporti.

Nella prima stesura della cartolina, Cosimo usa inizialmente il “lei” di rito, in forma di rispetto, poi corretto timidamente tra parentesi in un “tu” desiderato, ma non dato per scontato o preteso.

Purezza d’animo, attenzione alle formalità dell’epoca, ma anche decisione nel proporsi a Enza, chiedendo da subito il consenso dei genitori per frequentarla. Cosimo fin dal loro primo incontro aveva compreso che Enza non poteva restare una semplice conoscente, fin da subito si era stabilita un’intesa particolare, un legame speciale.

 

 

La struttura del libro

I ricordi di Enza Venturelli, voce narrante del libro, si alternano a cartoline e lettere originali dei due innamorati, che l’autore Roberto Serafini, nipote di Enza Venturelli, ha saputo miscelare sapientemente per ricostruire la loro storia d’amore e il clima politico e sociale del periodo. Elementi che aiutano il lettore a calarsi piano piano nella storia, a imparare a riconoscere i luoghi, a provare le loro stesse emozioni, senza appesantire il tono generale della narrazione.

Le lettere appassionate di Cosimo mettono anche in luce le sue notevoli capacità letterarie, che ne fecero un bravo e purtroppo scomodo giornalista.

La storia si svolge nell’arco di meno di due anni, tra Caltanisetta, dove Enza vive e lavora al Caffè Duomo e Termini Imerese (Palermo) dove Cosimo abita e si occupa di cronaca nera per vari giornali nazionali: Il Giorno di Milano, Il Messaggero di Roma, il Gazzettino di Venezia, l’agenzia ANSA e prima ancora l’Ora di Palermo.

Molto bella la copertina, volutamente in bianco e nero, che raffigura una ragazza con una macchina da scrivere, quasi sdraiata sui binari della ferrovia. Un quadro che riassume la vita di Cosimo Cristina: l’amore per Enza, la passione per il giornalismo e il tragico epilogo della sua vita sui binari della ferrovia.

Alcune lettere del titolo del libro appaiono stranamente in rosso; leggendo oltre scopriamo che Co. Cri. Era la sigla che il giornalista usava abitualmente per i suoi articoli da inviato, in attesa di poter un giorno firmare le sue inchieste giornalistiche per esteso.

Concludono il libro alcuni stralci del processo per diffamazione subito nel 1960, una raccolta di lettere di Cosimo Cristina e tre articoli che offrono un quadro del suo amore per Enza e del suo talento letterario.

Sentimenti veri che forse oggi non siamo più in grado di esprimere e di apprezzare.

 

 

Contro la mafia, senza peli sulla lingua

Cosimo Cristina era un bravo giornalista, che riusciva a essere sempre nel posto giusto quando accadeva qualcosa da raccontare, a essere sempre il primo a dare la notizia. Non aveva una macchina, ma riusciva sempre a raggiungere i luoghi dei fatti, anche con i mezzi più improbabili

Un professionista puntuale, di una precisione maniacale, molto benvoluto dai colleghi. Un uomo coraggioso che andava a testa alta davanti ai mafiosi.

Scrisse per l’Ora di Palermo, diretta da Vittorio Nisticò, un lungo articolo sulla storia della “Banda dei senza documenti”, che si era macchiata di numerosi reati nelle Madonie (omicidio, furto, rapina e ricettazione).

Il 15 ottobre 1959 l’Ora avviò una grande inchiesta sulla mafia, allora capeggiata dal boss di Corleone Luciano Liggio. Il giornale ricevette delle minacce e tutta la scarna redazione visse con ansia quel periodo di pericolo e superlavoro.

Sicuramente anche Cosimo era preoccupato però non raccontò mai a Enza le sue paure o i rischi che correva, forse per proteggerla o non farla stare in ansia, lamentandosi solo vagamente per gli orari estenuanti in redazione.

 

 

Baci, lettere e progetti futuri

I due innamorati scrivevano spesso dei loro primi baci, prima solo desiderati e poi vissuti con ardore.

Il bacio, un gesto d’amore semplice, forse oggi un po’ trascurato, ma molto importante nella vita di una coppia, forse il primo segno di intesa reciproca.

Allora segnava anche un momento importante per l’intimità di una coppia, ostacolata da tanti fattori esterni (genitori, parenti, le chiacchiere della gente, il non poter quasi mai stare davvero da soli).

Un altro fattore importante di quegli anni erano le lettere d’amore scritte rapidamente ogni tre/quattro giorni e poi affidate celermente al servizio postale.

L’attesa di una lettera, l’ansia per una risposta che non arriva nei tempi voluti, sono emozioni che forse non ci appartengono più, sommersi dalla velocità e spesso vacuità dei nuovi mezzi d’informazione

Ma anche la delusione per non aver ricevuto una rapida risposta, le incomprensioni causate dai ritardi postali, allora molto più frequenti.

Si imparava soprattutto il valore dell’attesa, concetto forse considerato obsoleto nell’era della comunicazione veloce, delle email e degli sms.

A Natale del 1958 Cosimo ed Enza ufficializzano il loro fidanzamento, incontrando i rispettivi genitori e l’anno seguente Enza viene ospitata dai suoceri per un breve periodo.

Nel 1959 la famiglia di Enza si trasferisce a Roma per lavoro e per un lungo periodo i due innamorati comunicano solo per lettera.

Entrambi sperano di potersi presto rivedere, condividono il sogno di potersi sposare.

 

 

Nasce Prospettive Siciliane

Enza porta con sé a Roma anche un altro sogno di Cosimo, il primo numero del settimanale Prospettive Siciliane, uscito pochi giorni prima, il 25 dicembre 1959.

Un nuovo giornale fondato insieme all’amico Giovanni Cappuzzo, critico d’arte, per raccontare la Sicilia “senza peli sulla lingua”, denunciando ogni danno al bene pubblico e superando la tradizionale reticenza e prudenza delle altre testate.

Cosimo indaga sull’omicidio di Agostino Tripi, ucciso dalla mafia; racconta la sua storia, fa indirettamente i nomi dei responsabili, chiedendo di riaprire l’inchiesta.

Arrivano i primi avvertimenti, le telefonate anonime. Nonostante la preoccupazione di Enza e di tutti i suoi familiari per la sua sfida aperta alla mafia, Cosimo continua la sua coraggiosa missione di giornalista.

Il 23 febbraio 1960 scrive un articolo sull’intricata vicenda dei frati di Mazzarino, parlando apertamente del presunto capo della banda, indicato come un noto avvocato e corrispondente di un famoso giornale.

Riceve una querela da un professionista che si sente chiamato in causa dall’articolo e viene condannato per diffamazione a 1 anno e 4 mesi più due milioni di lire di risarcimento.

 

 

Suicidio? Una sentenza discutibile

Un duro colpo. Cosimo dopo la sentenza, cerca di allontanarsi da Enza, le chiede di lasciarlo per non coinvolgerla nei suoi guai giudiziari. E forse per proteggerla anche da altri rischi, viste le gravi minacce che Cristina e Cappuzzo avevano ricevuto.

Chiude provvisoriamente il suo giornale e va a lavorare per un periodo come addetto pubblicitario alla Moka Termini, una nota ditta di caffè palermitana che aveva sostenuto finanziariamente il suo giornale.

Improvvisamente Cosimo viene licenziato, probabilmente su pressioni dei poteri mafiosi che aveva sfidato, parla con Enza e le chiede di dimenticarlo, amareggiato per la perdita del lavoro.

Il giorno seguente esce di casa per una passeggiata, contro il parere dei parenti che temevano che qualcuno potesse fargli del male, e sparisce per due giorni.

Viene trovato morto il 05/05/1960 sui binari, sotto una galleria, con addosso un biglietto d’addio indirizzato a Enza e all’amico Cappuzzo.

Suicidio, dissero subito tutti, archiviando rapidamente la vicenda, senza neanche fare l’autopsia.

Senza un funerale, allora vietato dalla chiesa ai colpevoli di suicidio. La stessa chiesa che ancora oggi tributa a volte tanti onori ai capi mafia, facendo addirittura sostare le processioni davanti alle loro case.

Solo dopo 6 anni il caso viene riaperto dal vice questore Angelo Mangano che studia tutte le carte, individuando movente, mandanti ed esecutori dell’omicidio, probabilmente legato al caso Tripi.

Anche Enza viene chiamata a testimoniare. Durante il tragitto verso la sicilia si sente seguita, minacciata, ha paura che qualcuno voglia farle del male.

Viene riesumata la salma, ma è trascorso troppo tempo e i medici non riescono a trovare indizi decisivi.

Nonostante la ricostruzione dei fatti e le prove dell’uccisione di Cosimo Cristina, la sentenza conferma ancora l’ipotesi del suicidio.

Il caso viene chiuso definitivamente e per molti anni dimenticato.

Questo libro ha il merito di ricordare questo coraggioso giornalista, forse il primo “suicidato dalla mafia”, come avverrà anni dopo anche a Peppino Impastato e tanti altri.

Ucciso l’uomo bisogna cancellare il ricordo della sua opera scrive amaramente in un suo libro il giornalista Calogero Giuffrida, commentando l’uso frequente della mafia di infangare la memoria o far sparire ogni ricordo delle sue vittime, perché la loro memoria non dia fastidio.

Una lezione che non dovremmo mai dimenticare perché il ricordo di Cosimo Cristina e di tante altre persone coraggiose che hanno perso la vita lottando contro le mafie, ci danno la forza per andare avanti insieme senza paura.