Volete vedere che è tutta colpa dei Maya e delle loro previsioni sbagliate (Rino Giacalone)
Volete vedere che è tutta colpa dei Maya e delle loro previsioni sbagliate
di Rino Giacalone
Accade a Trapani. Perché è possibile dire di “no” alla mafia ma nessuno però lo può far sapere in giro?
Perché è possibile essere tacciati di “professionisti dell’antimafia”, quasi fosse una frase d’offesa o che comunque prefiguri una attività in qualche modo remunerativa, facendo finta di non sapere che fare i mafiosi lo è molto di più redditizio? Si è “professionisti” magari solo perché si raccontano fatti e cronache giudiziarie, il contenuto delle sentenze, le malefatte della nuova mafia che spesso vanno assieme a quelle della politica e della burocrazia e quel professionisti non è il riconoscimento di abilità professionali, ma semmai un dispregiativo per smontare quello che viene scritto. Perché tutto questo? Perché oggi la mafia è buona, ma lo era anche prima per tanti, perchè non spara e sa gestire imprese e appalti, emette false fatture, ottiene finanziamenti pubblici, compie reati che secondo il codice non sono così gravi e una turbativa d’asta viene punita meno del furto di una bottiglia di alcolici in un supermercato. Capite allora perché non si può parlare di mafia soprattutto di quella che viene sconfitta e di quella che viene rinnegata? Perché non va messa in dubbia la forza che la mafia continua ad avere, è forte, si è parecchio infiltrata, la mafia serve, serve ancora a tante cose, altro che otto criminali al giorno assicurati alle patrie galere dal Governo, come un giorno si e l’altro pure vanno dicendo i ministri del vecchio e nuovo governo.
La provincia di Trapani per adesso dovrebbe essere quella con tutti i riflettori accesi addosso. E’ la patria di Matteo Messina Denaro, super latitante, ricercato dal 1993, 50 anni, eppure qui l’intelligence investigativa sembra essere stata lasciata in libera uscita. La regia investigativa è stata spostata a Palermo, a dispetto di quello che invece un tempo andavano dicendo Paolo Borsellino e Giovanni Falcone che era a Trapani che volevano rafforzare le strutture investigative per un semplice ragionamento: dicevano infatti che se a Palermo esisteva l’anima militare di Cosa Nostra, la cupola, a Trapani c’era ben altro, c’era la mafia infiltrata nell’economia, nelle impresa, nelle banche, dentro le istituzioni, c’è la cassaforte di Cosa Nostra. E allora cosa perpetua il Governo in carica? Smobilita gli apparati di intelligence a Trapani e porta tutto a Palermo, lasciando per strada memorie storiche, professionalità, per non fare proprio brutte figure nei gruppi di ricerca coinvolge alcune professionalità trapanesi, i “cacciatori” esperti, quelli che da un dialogo intercettato anche di pochi secondo percepiscono subito cosa può accedere. La mafia percepisce le debolezze e da qualche tempo ha cominciato a far sentire il suo puzzolente fiato sul collo di chi lavora contro: cose sono successe dentro e fuori gli apparati istituzionali, giornalisti “intimiditi” quasi “in nome della legge”, cioè direttamente da certi palazzi istituzionali se non all’interno delle stesse redazioni, sindacalisti licenziati per essersi occupati di lavoro nero, magistrati e giudici intimiditi fin dentro le loro stanze, inseguimenti in autostrada, effrazioni nelle blindate. E la città che ha fatto dinanzi a tutto questo? Ha girato le spalle, se ne è quasi disinteressata, pochissima indignazione se non fosse stata per l’associazione Libera non se ne sarebbe sentito tanto parlare.
Il messaggio è chiaro. “Non disturbate il manovratore”. La mafia trapanese vive alla luce del sole e nel contempo stesso viene indicata come sommersa, ma in realtà è facile incontrarla, ancora dentro le imprese, essa stessa è impresa, una volta faceva eleggere i politici, oggi elegge mafiosi destinati a diventare politici, un paio di consiglieri sono finiti in manette durante l’ultimo anno, l’ultimo un consigliere provinciale di Castelvetrano Santo Sacco che tra una seduta consiliare e un’altra andava in giro a mettere bottiglie molotov per intimidire, la mafia trapanese è stata certamente rappresentata da mafiosi dalle grandi possibilità imprenditoriali, manager del commercio e del cemento, come Giuseppe Grigoli, Mariano Saracino, Tommaso Coppola, Francesco Pace, Vincenzo Virga, Mariano Agate, ci sono due maxi procedimenti in corso contro il patron della valtur Carmelo Patti e l’ex deputato Pino Giammarinaro, fortune e ricchezze le loro accumulate nel tempo grazie a Cosa nostra secondo la magistratura. A Trapani si sta celebrano il processo per l’omicidio antico di 24 anni di Mauro Rostagno, sta emergendo la Trapani di ieri che sembra essere quella di oggi, mafia, massoneria, politica e impresa, dal 1988 ad oggi si rincorrono i nomi degli stessi mafiosi delinquenti e degli stessi politici corrotti, tutti pacificamente ancora oggi ammessi nei salotti della buona società, loro si, chi attacca la mafia…no, quelli sono considerati professionisti (del’antimafia) e untori.
Comune denominatore di tutto è lo stesso di sempre, Matteo Messina Denaro, il boss latitante dal 1993, quello che con l’ex fidato gioielliere Ciccio Geraci, ora pentito, si vantava che da solo aveva riempito un intero cimitero per i suoi morti ammazzati, adesso con le mani pulite dal sangue delle sue vittime, comprese quelle delle stragi mafiose del 1993 di Roma, Milano e Firenze, Matteo Messina Denaro, adesso indagato a Caltanissetta anche per la strage di via D’Amelio, guida la mafia che è diventata impresa, capace di intercettare quei fondi pubblici che nel tempo sono arrivati in una provincia povera che invece di diventare ricca si è ritrovata ogni giorno sempre più povera nonostante i finanziamenti pubblici che arrivavano in maniera ricca e copiosa. Per completare la descrizione di questo territorio non si possono non citare i tanti, sindaci compresi, che hanno mostrano sottovalutazione al fenomeno: in provincia di Trapani c’è un paese del Belice, Campobello di Mazara, il paese dove era andato ad abitare il fratello del capo mafia latitante, Salvatore Messina Denaro, e dove facevano base i favoreggiatori del boss che smistavano i suoi “pizzini”, che solo ora è stato sciolto per inquinamento mafioso, c’era un sindaco Ciro Caravà, oggi del Pd, ma in passato è stato anche esponente di Forza Italia, che recitava la sua antimafia, parlando nemmeno tanto di nascosto con i boss, uno se le teneva nella sua anticamera. A Salemi è arrivato gridandop contro l’antimafia ed è andato via urlando così semrpe allo stesso modo il sindaco Vittorio Sgarbi nelle mani del puparo Pino Giammarinaro, la sindaca tura di Sgarbi ha lasciato debiti da mettere in crisi per un decennio il Comune e lo scioglimento per inquinamento mafioso. A Castelvetrano il neo sindaco Fli Felice Errante da quando si è insediato non fa che dire che “Messina Denaro non è il principale dei problemi”, li elenca pure le problematiche e sottovaluta che crisi, disoccupazione, lavoro nero, soprattutto dalle nostre parti sono state frutto dell’arroganza e della ingordigia mafiosa. A Valderice è in carica un sindaco, Camillo Iovino, Pdl, che è stato condannato per avere favorito un imprenditore mafioso. A Trapani c’è stato un sindaco, Girolamo Fazio che ha negato la cittadinanza onoraria ad un prefetto, Fulvio Sodano, perché questi non andò a raccontare a lui, ma si recò a Palazzo di Giustizia, di un paio di imprenditori che si erano presentati nel suo ufficio con l’intento di comprare la Calcestruzzi Ericina, una impresa confiscata alla mafia. Sodano capì che quegli imprenditori non parlavano per proprio conto e la Polizia scoprì che all’epoca a Trapani la mafia era governata da una cupola di imprenditori, che questa cupola gestiva una cricca di altri imprenditori, controllava uffici pubblici. Ecco Sodano tutto questo a Fazio non lo andò a dire e questi la prese male, e quando nel 2005 il Consiglio comunale propose la cittadinanza onoraria per il prefetto nel frattempo “cacciato” via da Trapani (Governo Berlusconi, ministro dell’Interno Beppe Pisanu) il sindaco ha preso tutto e ne ha reso carta straccia. Oggi il nuovo sindaco di Trapani, un generale dei carabinieri, Vito Damiano, sostiene che di mafia a scuola non se ne deve parlare e che se proprio di mafiosi bisogna parlare meglio chiamarli malandrini. Oggi c’è una indagine che vede accusato di concorso esterno in associazione mafiosa il senatore Antonio D’Alì. Agli atti ci sono anche i rapporti di lavoro eccellenti mantenuti dal suo casato, i campieri dei terreni dei D’Alì erano proprio i Messina Denaro, padre, don Ciccio, e figlio, Matteo, preposto della Banca Sicula, la banca di famiglia, poi venduta alla Comit, era l’altro figlio di don Ciccio, Salvatore Messina Denaro, anche lui finito in manette di recente, il nome di d’Alì entra ed esce dai più grandi appalti, e da quando è sotto inchiesta non c’è occasione pubblica che lui non si faccia vedere in giro per la città, è stato presidente della provincia, è presidente del Consorzio Universitario, agli studenti dà affettuose pacche sulle spalle anche quando c’è da dare una semplice borsa di studio da 500 euro, grande organizzatore di eventi, dalla Coppa America alle “copie” dei quadri di Caravaggio, fino al piccolo crocifisso ligneo attribuito a Michelangelo che il Governo ha pagato milioni di euro salvo ora scoprire che forse proprio di Michelangelo non è. Il senatore dei Grandi Eventi, quelli che dovevano far ricca Trapani e invece oggi il Comune è sull’orlo di un maxi dissesto e non ha nemmeno i soldi per mettere le luminarie natalizie.
Ci sono poi a Trapani i politici sfortunati, quelli che si sono ritrovati (sic) i giardinieri che di notte facevano i guardiaspalle dei mafiosi. E successo ad Alcamo, al senatore del Pd Nino Papania. Un suo factotum, Filippo De Maria è finito dentro per mafia, tra le intercettazioni quelle nelle quali si preoccupava delle sorti del Pd in occasione delle primarie e delle riunioni indette dal senatore Papania. Ma ad essere intercettate anche le invocazioni di aiuto di chi a lui chiedeva mediazione per affrontare qualche estorsione mafiosa. Ora il gip nella ordinanza ha scritto che non c’è un solo indizio che possa permettere di dedurre che Papania sapesse di avere a che fare con un mafioso, ma tutto il resto della città di Alcamo sapeva che se bisognava risolvere una richiesta estorsiva era con De Maria che bisognava parlarne e lo cercavano anche presso la segreteria del senatore Papania. Per non allungare troppo, Trapani è la città che nel periodo più recente è stata attraversata da fiumi di denaro pubblico, 488, finanziamenti per patti territoriali, ma la maggiorparte, afferma uno studio della Cgil, è finito dentro casse vuote, o in casseforti in Svizzera, Soldi sporchi di sangue, come quello dei bresciani Cottarelli, Angelo, il capofamiglia, aveva conosciuto un paio di trapanesi, hotel e ristoranti di lusso, gite in barca, in cambio di fatture false per ottenere soldi facili. Avevano messo su una holding che doveva produrre vino dalle etichette nemmeno tanto ammiccanti, una di queste era “baciamo le mani”, ma quando i soldi cominciarono a mancare da Trapani partì una spedizione punitiva verso Brescia, Angelo Cottarelli, sua moglie e il figlio di 17 anni, furono barbaramente uccisi, sgozzati come animali, sotto processo a Milano sono due cugini di Paceco, Vito e Salvatore Marino, figlio e nipote di un boss della mafia, Mommo u nano, Girolamo Marino, che a metà degli anni ’80 si era rifiutato di eseguire un ordine di Matteo Messina Denaro.
Sono pagine di indagini diverse, ma il filo è lo stesso. E’ quello che parte dall’omicidio nel 1983 del giudice Ciaccio Montalto, dalla strage di Pizzolungo del 1985, dall’omicidio del giudice Giacomelli nel 1988, dal delitto Rostagno, settembre 1988, nell’assassinio barbaro dell’agente di custodia Giuseppe Montalto, antivigilia di Natale del 1995, la mafia che spara, uccide, riempie del sangue delle sue guerre città come Marsala ed Alcamo, e mentre fa affari. E’ una mafia che non ha pentiti e se qualcuno decide di collaborare passa per untore, come succede all’ex patron del Trapani Calcio Nino Birrittella. In poco meno di due anni ci sono già cinque sentenze che condannano la mafia diventata impresa grazie alle sue confessioni. Ma in città lui passa per untore, soprattutto da quando ha messo nei guai l’ex vice presidente della Regione Bartolo Pellegrino, assolto per concorso esterno, prescritto per una mazzetta spartita con imprenditori e mafiosi per un programma costruttivo. Pellegrino quando uscì indenne dal processo per il Capodanno a ridosso della sua assoluzione decise di andare a far festa ad Arcore, a casa del presidente Berlusconi. Pellegrino conferma di avere bussato ma non gli fu aperto, Berlusconi ha detto di non sapere nemmeno chi è Pellegrino, ma guarda caso a qualche giorno da quella visita il premier ebbe la pensata di dire che tra le riforme da introdurre nella giustizia c’era quella di impedire al pm di appellare sentenze di assoluzione e di prescrizione, giusto giusto come succedeva a Pallegrino.
A Trapani non sono i mafiosi che vivono nascosti, ma deve stare nascosto, evitare di gustarsi anche la più piccola soddisfazione che la vita può dargli, chi la mafia la combatte, con le indagini, con le cronache giornalistiche, chi le cose non le manda a dire. Nel 1985 davanti ai corpi straziati delle vittime della strage di Pizzolungo, Barbara Rizzo e dei suoi due gemellini, Giuseppe e Salvatore Asta, i cui corpi fecero da scudo al tritolo mafioso destinato al pm Carlo Palermo e alla scorta di questi, rimasti illesi, c’erano sindaci che andavano dicendo che la mafia non esisteva, oggi dinanzi agli arresti, alle condanne, si dice che la mafia è sconfitta, fateci caso dall’85 ad oggi continuano a dirci che la mafia non esiste. Ma non è così.
Perché nel frattempo si è scoperta la mafia che dal carcere manda messaggi , pilota società, intesta beni, manda a dire i suoi desideri a senatori e politici, ricorda gli impegni presi, si rivolge a prefetti, non come Sodano, ma quelli più malleabili. In questo scenario è comprensibile, ma non giustificabile, ci si sente dire che tra la mafia e l’antimafia è meglio stare in mezzo, come se l’antimafia fosse lei stessa un male, in questo territorio spesso si sente citare Sciascia e il suo articolo sui professionisti dell’antimafia ma spesso per dimenticare i morti ammazzati per mafia e semmai offrire compassione ai familiari dei colpevoli. Insomma sono passati oltre 30 anni dalla morte di Peppino Impastato nella vicina Cinisi, ma la voglia di mafia che Peppino incontrava per le strade del suo paese non è diversa da quella che si incontra per le strade di Trapani. E allora capiamo benissimo come mai il nome di Rita Atria, la giovanissima donna che a Borsellino svelò i segreti appresi dal padre sulla mafia belicina, che a 17 anni scriveva temi dedicati a Falcone, e suicidatasi nel 1992 per il dolore della strage di via D’Amelio, venga oggi celebrato a Udine e nel trapanese solo per poche ore, nel giorno dell’anniversario della sua morte. Adesso ci prova Libera a lasciare indelebile il nome di Rita Atria anche nella terra che le appartenne per pochi anni. Le terre confiscate ai mafiosi tra Castelvetrano e Partanna porteranno il nome di Rita Atria, qui lavoreranno nuove cooperative, si spera tanti giovani.
Tutto questo accade a Trapani: dove la mafia ammazza giudici e bambini, ma per il sindaco non esiste, uccide ancora un altro giudice che aveva confiscato la casa a Riina, ma in giro per anni si dirà che quel giudice era un usuraio brutto e cattivo, poi ammazzano Rostagno che ogni giorno denunciava il malaffare ma si dirà che era per questione di corna e di “fimmini”, poi uccidono un agente carcerario ma quasi quasi era giusto così perché era solito fare il suo dovere, la mafia riesce a fare cacciare via un prefetto ma quando si propone per questi la cittadinanza onoraria il sindaco preferisce farla ai giornalisti che hanno osannato le buone arancine che si fanno in città, si fanno le elezioni e vengono eletti pregiudicati, condannati riabilitati e soggetti prossimi al giudizio di tribunale, il nuovo sindaco dice che non bisogna parlare di mafia a scuola e chiama malandrini i mafiosi, si scopre che la mafia controlla aziende e casseforti ma per il Consiglio comunale il vero problema e’ dividere sugli autobus i bianchi dalle persone di colore….si perché come diceva Benigni nei panni del mafioso Stecchino dalle nostre parti il problema vero è il traffico…e anche gli immigrati”…Quasi quasi viene da imprecare contro i Maya per le loro previsioni sbagliate….
Rino Giacalone
Fonte nomafia.laperfettaletizia.com
Articolo del 7 Gennaio 2013