4 Maggio 1977 Napoli. Pasquale Polverino, 23 anni, cameriere, viene ucciso durante una rapina nel ristorante in cui prestava servizio..

Foto da: L’Unità del 6 Maggio 1977

Pasquale Polverino, 23 anni, è cameriere presso il ristorante “La Taverna del Ghiotto”, al Corso Vittorio Emanuele, Napoli. La sera del 4 maggio Pasquale sta mettendo a posto i tavoli, quando due uomini a volto scoperto entrano nel ristorante per rapinare i clienti e il proprietario. I due malviventi minacciano con un fucile a canne mozze sia Pasquale che il proprietario del locale e, proprio quando stanno avvicinandosi alla cassa per portare a termine la loro azione criminale, un complice fa irruzione nel locale invitando i due a scappare via velocemente perché sta arrivando qualcuno a disturbare la loro azione. È proprio in quel momento che dal fucile, puntato dietro la schiena di Pasquale, parte un corpo mortale.
Pasquale Polverino lascia la moglie e 2 figli in tenera età.
Dopo alcuni giorni vengono arrestati due uomini: Francesco Leonardo, 29 anni, e Maurizio Tango, di 26, già noti alle forze dell’ordine.
Il processo a loro carico si svolge rapidamente. I due vengono condannati in 1° grado a 31 anni di reclusione, condanna confermata anche in appello.
Nel 1981, una donna, Maria Speranza, si presenta dalla polizia e confessa di conoscere i veri colpevoli dell’omicidio Polverino, scagionando così Leonardo e Tango, ingiustamente incarcerati già da 5 anni.
La donna, spinta da un sacerdote con il quale si era confessata, rivela alla polizia che ad uccidere Pasquale è stato il genero, Vincenzo Muzzico di 26 anni, insieme a Salvatore Variale, un napoletano ventiquattrenne.
Muzzico è già in carcere per un altro reato, mentre Variale si costituisce spontaneamente alla polizia.
La storia di Pasquale Polverino è raccontata nel libro “Come nuvole nere” di Raffaele Sardo, edito da Melampo e promosso dalla Fondazione Polis.
Fonte: fondazionepolis.regione.campania.it

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Articolo da L’Unità del 6 Maggio 1977 «Spara anche a quell’altro» ha detto uno dei due banditi prima di fuggire
Il giovane cameriere ucciso lascia moglie e due figli: uno ha tre anni, l’altro appena un mese — I due assassini non hanno nemmeno guardato se c’erano soldi nella cassa — Nessuno ha fatto gesti che potessero provocare la feroce reazione — Il dolore dei familiari

Aveva 23 anni, e due bambini — uno è nato appena un mese fa — il cameriere ucciso nella «Taverna del Ghiotto» al corso Vittorio Emanuele 170 l’altra notte.
Ma che sia stata una rapina diventa difficile crederlo, in base agli elementi che abbiamo potuto acquisire ricostruendo i fatti nel loro svolgimento e soprattutto parlando con i parenti della vittima La «Taverna del Ghiotto» non è affatto un ristorante alla moda né era assai frequentato: aveva aperto da poco — un mese e qualche giorno — e l’altra notte non c’erano che due avventori: i fidanzati Claudio Trombetti e Tiziana Monaci, entrambi studenti e peraltro non visibili subito entrando perché il loro tavolo era dietro un pilastro. Giù in cucina c’era il cuoco e nel gabinetto il figlio del proprietario che si sono accorti del fatto solo quando hanno udito lo sparo.
Qualsiasi bandito avrebbe rinunciato, qualunque teppista avrebbe capito che non c’era nulla o quasi in cassa di un ristorante deserto. Ma i due sono entrati armati di lupara e pistola con il volto coperto da calze scure, non hanno puntato alla cassa, non si sono comportati come banditi che cercano denaro.
Appena entrati, deci minuti prima di mezzanotte, hanno subito messo con la faccia al muro il gestore del locale, Marco Abenante di 51 anni, e il cameriere Pasquale Polverino. Uno ha strappato al gestore la catenina d’oro che questi aveva al collo quindi i due sono arretrati di poco, non più di un metro, ed hanno sparato nella schiena del giovane. Poi uno dei due ha detto come se desse un ordine «Spara pure a quest’altro …» e in quel momento il clacson del complice s’è fatto sentire e sono fuggiti temendo qualche imprevisto.
La frase agghiaccinate e le circostanze che descriviamo sono state confermate anche da altre persone che non hanno assistito ai fatti ma hanno ascoltato il racconto dei diretti protagonisti.
Il giovane è morto sul colpo, con la schiena squarciata. Da ieri la salma è al nuovo policlinico per l’autopsia. Se le cose sono andate così quella dell’altra notte non è una rapina, ma una esecuzione. E gli obiettivi a questo punto possono essere solo due: o si è trattato di un sanguinoso avvertimento da parte di un racket dei locali pubblici o di qualcosa che rientra nei piani eversivi di gruppi terroristici. Che anche le rapine nei ristoranti facessero parte di un piano tendente a seminare il panico e specificatamente studiato per la città di Napoli, che sembra diventata un obiettivo dell’eversione è cosa che trapelò tempo fa nel corso delle indagini su  ( Illeggibile)
[…]

Pasquale Polverino lavorava alla «Taverna del Ghiotto» da appena due settimane ed era conosciuto come un ragazzo serio ed onesto; prima era alla trattoria «Alba» di piazza Immacolata e sempre in società con il fratello Giuseppe di 26 anni. Si alternavano al lavoro, ci raccontano i parenti, dividendo alla pari tutti i guadagni. L’altra notte era di turno alla «Taverna del Ghiotto» proprio Pasquale, mentre suo fratello era andato in un altro ristorante, visto che c’erano pochi clienti. Lo stesso avrebbe fatto Pasquale l’indomani seguendo una specie di turno.
Il giovane abitava con la moglie Maria Rosaria Silvestro, di 20 anni, in traversa Grazia a Secondigliano: due i figli, Carmine di 3 anni e Vincenzo nato appena un mese fa.
Abbiamo parlato a lungo con la signora Teresa Polverino, la zia che fin da quando erano piccoli ha tenuto in casa Pasquale, suo fratello Giuseppe e la sorella Lucia, crescendoli come una madre e con i cugini che considerano Pasquale come un loro fratello «Un giovane meraviglioso che ha sempre lavorato, affezionato alla famiglia. S’era sposato a 18 anni e lei ne aveva 15, non ha mai dato fastidio a nessuno e mi ha sempre portato il pane a casa» dice tra le lacrime la zia, raccontanto che Pasquale aveva sposato una lontana cugina dopo una storia d’amore iniziata quando erano appena ragazzi. Adesso è rimasta vedova in quel modo, ad appena vent’anni, con due bambini piccoli. I familiari non sanno darsi pace, sono andati a parlare col padrone del ristorante, hanno voluto sapere come si è svolta la tragica vicenda, chiedono che questo orribile delitto non rimanga impunito come tanti altri.
Chiedono soprattutto – ci hanno pregato di scriverlo – che nella nostra città la sicurezza pubblica sia seriamente difesa con un’opera di prevenzione, con una presenza più efficace e capillare nelle strade … (illeggibile).

 

 

 

Articolo da L’Unità del 16 Aprile 1980
In Assise gli assassini del cameriere della «Taverna del ghiotto»

Gli assassini della «Taverna del ghiotto» sono comparsi ieri davanti alla seconda assise. Francesco Leonardo, Maurizio Tango e Attilio Colonna rispondono della barbara uccisione di Pasquale Polverino cameriere appunto della Taverna al corso Vittorio Emanuele.
Erano da poco passate le 23 il 4 maggio ’77; nel locale vi era solo una coppia di avventori; il gestore, Mario Abenante, parlava con il cameriere Pasquale Polverino.
Irruppero due giovani mascherati. E mentre uno di essi teneva a bada il Polverino puntandogli alla nuca un fucile a canne mozze, l’altro strappava dal collo del gestore una medaglina d’oro e s’impossessava dell’orologio. Senza alcuna ragione apparente il giovane che teneva a bada il Polverino fece partire un colpo.
La inutile e barbara esecuzione destò una reazione così sdegnata negli ambienti dei «quartieri» — donde evidentemente provenivano gli assassini — che la stessa mala fece arrivare ai carabinieri una soffiata che fece identificare gli assassini.

 

 

 

Articolo dalla Stampa del 13 Agosto 1981
Va a confessarsi e scagiona condannati per omicidio
Napoli: gli innocenti erano in carcere da cinque anni . Va a confessarsi e scagiona condannati per omicidio. La donna, tormentata dai rimorsi, ha fatto anche il nome di uno dei veri responsabili del crimine, avvenuto nel 1977 in un ristorante

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NAPOLI — Condannati a 31 anni per rapina e omicidio, ne hanno trascorsi cinque in prigione prima che la loro innocenza fosse riconosciuta. Una storia che ha dell’incredibile: ci sono tutti gli ingredienti che caratterizzano un -feuilleton dell’Ottocento. Ad accusare i veri responsabili dell’omicidio è stata una donna, che ha rivelato il suo segreto in confessionale ad un prete, il quale le ha consigliato di recarsi dal magistrato per la denuncia. Lo stesso sacerdote ha anche convinto uno dei colpevoli a costituirsi.

Francesco Leonardo, 29 anni, e Maurizio Tango, di 26 — condannati in seguito ad un processo indiziario — erano accusati della sanguinosa rapina compiuta alle 23.30 del 4 maggio ’77 nel ristorante «La taverna del ghiotto», nel cuore di Napoli Due individui fecero irruzione nel locale ma uno di essi, mentre prelevava i soldi dalla cassa, lasciò partire una scarica di lupara. La rosa di pallettoni raggiunse un cameriere, Pasquale Polverino, 25 anni, che mori poco dopo il ricovero.

Cominciarono le indagini della polizia che  in base ad una “soffiata’, arrestò Maurizio Tango e Francesco Leonardo. A loro carico furono trovati numerosi indizi, ma niente di più. In un ripostiglio di casa Leonardo la polizia sequestrò una lupara: forse – si dissero gli inquirenti  –  l’arma del delitto. La posizione dei due si aggravò ancora quando si scopri che Leonardo e Tango — due «vecchie conoscenze» della questura — avevano partecipato alcune settimane prima dell’omicidio ad una rapina durante la quale era stato ferito un loro complice. Ci voleva subito un medico, ma un  sanitario compiacente, disposto a curare un paziente che per ovvi motivi non può recarsi in ospedale, costa tanto. Quale modo migliore per procurarsi i soldi se non compiere un’altra rapina? La conclusione del processo (indiziario) fu la condanna a 31 anni a ciascuno per omicidio a scopo di rapina. La sentenza venne confermata in appello. Francesco Leonardo e Maurizio Tango hanno trascorso cinque anni nel carcere di Poggioreale prima che venisse resa loro giustizia.
È accaduto alcuni giorni fa, tutto grazie ai rimorsi di coscienza di Maria Speranza, 50 anni, e ad un gesuita, padre Ernesto Santucci, che da anni lavora a stretto contatto con malviventi ed ex detenuti per il loro reinserimento nella società. La donna ha confessato al sacerdote che a compiere quella sanguinosa rapina era stato il genero. Vincenzo Muzzico, 26 anni, con Salvatore Variale, un napoletano ventiquattrenne. «Per cinque anni — ha detto la donna — ho vissuto nell’inferno. Ero continuamente minacciata, ma ora non ne posso più».
Padre Santucci ha convinto la donna a denunciare i fatti al magistrato, tanto più che Vincenzo Muzzico e già in galera per un altro reato. Non basta: il sacerdote è riuscito anche a mettersi in contatto con Salvatore Variale che, pentitosi, si e costituito alla polizia. A questo punto la scarcerazione di Francesco Leonardo e Maurizio Tango dovrebbe essere soltanto una questione di ore.   a.l.

 

 

 

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