3 Luglio 1981 Torino. Lorenzo Crosetto, Imprenditore 61enne, rapito, il suo corpo trovato sepolto in un campo

Foto da La Stampa del 30 dicembre 1981

Lorenzo Crosetto, 61 anni, venne rapito la sera del 3 luglio 1981. Stava giocando a scopa nel bar Ponte Barra, in barriera di Casale, locale con atmosfera anni Cinquanta nella vecchia Torino di Cesare Pavese schiacciata tra il Po e la collina. Un mese e mezzo dopo era morto, esaurito dagli stenti e dal calore: lo avevano nascosto in una baracca di lamiera nelle campagne di Asti dove sotto il solleone di luglio la temperatura saliva anche a 50 gradi. I banditi vollero lo stesso il denaro: 672 milioni. Poi più niente. Solo silenzio fino al 31 maggio 1983, quasi due anni dopo, quando un pentito della ‘ ndrangheta avrebbe portato il sostituto procuratore della Repubblica di Torino Marcello Maddalena sulla tomba di Crosetto: quattro palmi di terra tra una vigna e un campo di granoturco, a Sessant, alla periferia di Asti. (Fonte La Repubblica)

 

 

 

Articolo di La Stampa del 4 Luglio 1981
Lorenzo Crosetto trascinato via ferito da un commando di tre uomini armati
di Alessando Rigaldo

Si cercano sulla collina di Gassino e San Mauro i rapitori dell’impresario stradale Lorenzo Crosetto, 62 anni, rapito ieri sera mentre giocava a carte nel caffè ristorante Ponte Barra in corso Casale 238. L’auto usata per il sequestro è stata abbandonata a poche centinaia di metri dal luogo del rapimento, sempre sul corso Casale da due individui che si sono eclissati a piedi, verso la riva del Po. Sono stati visti dal guardiano di uno stabilimento mentre rientravano già verso il centro città.

Una circostanza questa, significativa, tale da indicare la possibilità che i sequestratori, dopo aver portato via l’industriale, abbiano subito puntato verso San Mauro per consegnare ad altri l’ostaggio e al ritorno abbiano incrociato una delle numerose volanti che passavano nella zona, abbandonando quindi l’auto. Si tratta di una «128» bianca, targata K 71827, rubata quindici giorni fa a Pasquale Fortunato nella zona di Madonna di Campagna. Aveva ancora il motore acceso e sul pavimento posteriore dell’autovettura c’era molto sangue.

L’azione compiuta dal commando pone molti interrogativi, il sequestro potrebbe essere opera delle Brigate rosse come di una banda calabro-siciliana legata all’Anonima sequestri. La prima eventualità si può ricollegare alla testimonianza portata durante il processo alle Brigate rosse da un ex dipendente della ditta Crosetto. Nella sua deposizione aveva confessato l’intenzione dell’organizzazione di rapire Lorenzo Crosetto, il geometra Italo Colella, condannato nel recente processo alle Br delle Vallette, a 4 anni e 3 mesi per partecipazione a banda armata. Di questo pericolo l’industriale era al corrente, ma non aveva particolare preoccupazione. Tanto che continuava la vita di sempre, ignorando anche le numerose minacce da parte di individui poco raccomandabili.

È un uomo deciso e sicuro, Lorenzo Crosetto. Temprato a ogni sacrificio. Aveva cominciato come cavatore di sabbia nel Po. La sua fortuna iniziò con le svendite militari degli alleati alla fine della guerra. Andava nei depositi a comprare draghe ed escavatori e li rimetteva a posto. “Ogni tre, me ne faccio una nuova” era solito vantarsi, e così nacque il piccolo impresario che oltre a dragare il fiume cominciò anche a liberare le macerie delle case crollate e poi a costruire strade. Ora conta un centinaio di dipendenti. Molto importanti lavori stradali di questi anni fra cui la costruzione della Torino Saint Vincent, la tangenziale di Moncalieri, la superstrada per Caselle e parte della stessa pista dell’aeroporto, sono state “firmate” da lui.

Un uomo di successo, finito però anche in qualche scandalo, come quello dei petroli; l’anno scorso fu arrestato e rimase per alcuni giorni in carcere. Non per questo aveva abbandonato i vecchi amici e l’abitudine di passare con loro le serate a giocare a carte. Lorenzo Crosetto abita in una villa in via Borgofranco 62. Gli uffici dell’impresa sono in corso Casale 295. Con lui operano anche il figlio Giuseppe, di 37 anni e il genero Aldo Bruno che ha sposato l’altra figlia Mariuccia di 27 anni.

Ma appena gli impegni lo lasciano libero, specialmente la sera e nei giorni di sabato e domenica, andava nella sua vecchia piola, ora rimodernata a caffè ristorante, per bere un buon bicchiere di vino, incontrare gli amici, fra cui il proprietario, ingaggiare con loro lunghe partite a scopa o a tresette. anche ieri sera ha pranzato e poi si è messo a giocare a carte. Con la moglie in vacanza a Courmayeur, dopo una giornata di lavoro, aveva tutta la serata libera.

È nella sala al fondo del locale che l’hanno sorpreso i rapitori. Non hanno avuto riguardo per i numerosi avventori. Sono entrati in tre, mascherati, impugnando un mitra e due pistole. Erano da poco passate le 22,30. Poteva essere una rapina e i banditi non hanno fatto nulla per far conoscere le loro intenzioni. Uno si è fermato sulla porta vicino al banco del caffè, gli altri due sono andati dritti al tavolo dove sedeva Lorenzo Crosetto e lo hanno afferrato per le braccia.

La vittima ha reagito. Ha tentato di opporsi ma è stato subito colpito alla testa con il calcio della pistola da un malvivente. Uno, due, tre colpi, con ferocia. Perdeva sangue, è semisvenuto. Decisi i due mascherati (sui 25, 30 anni, statura normale, ma piuttosto tarchiati), lo hanno afferrato per le ascelle e l’hanno trascinato via.

Nessuno ha avuto il coraggio di intervenire, tutti hanno cercato in qualche modo di nascondersi, ci sono state scene di panico, un avventore è svenuto. Un bandito per evitare reazioni, ha sparato un colpo in alto che s’è conficcato nel soffitto del locale. Non ci sono testimonianze precise sulla fuga.

Alcuni hanno indicato la “128” bianca verso San Mauro altri una “2000” Alfa Romeo sulla strada del Pino.  Una “volante” ha cercato di rincorrerla, ma è stata coinvolta in un incidente. Le auto della polizia e dei carabinieri che puntavano sulle strade di collina sono state chiamate dal custode della “Photovox”. Questi ha raccontato: “Ho visto la “128” bianca fermarsi sul piazzale davanti a me. Due giovani sono scesi di corsa, senza nemmeno fermare il motore, e sono fuggiti lungo la scarpata del Po.” La società rappresentante dell’Afga è al 447 di corso Casale. Un particolare non sfugge però agli inquirenti: l’auto stava già ritornando indietro e senza l’ostaggio, preso sicuramente da qualcuno che è sparito per le strade della collina dove potrebbe anche trovarsi il “covo” dei rapitori.

Da stanotte polizia e carabinieri, compresi gli uomini del reparto mobile e cinofili, controllano ogni casupola o caava. Il questore Fariello è rimasto fino alle 4 negli uffici della “mobile” con il dott. Fersini e gli altri funzionari. Ha lavorato anche la Digos per il possibile risvolto politico. Manca però finora la solita telefonata di rivendicazione e l’annuncio del volantino. L’operazione, se compiuta da brigatisti, avrebbe probabilmente lo scopo dell’autofinanziamento come era già stato fatto per l’armatore Costa. In questo caso non ci sarebbe altro scopo per il terrorismo che assicurarsi altri capitali per riorganizzarsi.

 

 

Articolo di La Stampa del 2 Giugno 1983
Per domani i funerali di Crosetto Ucciso subito dopo il sequestro?
di Alessandro Rigaldo
Ormai non ci sono più dubbi sull’identificazione del corpo trovato nella fossa di Sessant –  L’imprenditore era stato portato via dai rapitori, due anni fa, mentre giocava a carte nel ristorante «Ponte Barca» di corso Casale – Si era difeso, forse è stato subito assassinato.

La fossa scavata nei boschetto di Sessant vicino ad Asti conservava i resti di Lorenzo Crosetto, il costruttore edile torinese rapito due anni fa nel bar ristorante «Ponte Barca» di corso Casale. La famiglia ha dovuto rinunciare anche all’ultimo, sottile filo dì speranza, mai spento.

La protesi che il cadavere portava ancora intatta è stata determinante per il riconoscimento. L’hanno potuta indicare i familiari e il medico che l’ha costruita. Ieri pomeriggio il professor Gatti ha eseguito l’autopsia su un corpo in parte mummificato, alla presenza del magistrato e di alcuni degli investigatori che con un paziente lavoro sono riusciti ad individuare l’organizzazione criminale responsabile in questi anni di diversi sequestri di persona non solo a Torino ma anche in Lombardia.

Il riserbo sulle indagini impedisce di stabilire quanti siano già stati individuati e arrestati e quanti, in qualche modo, siano riusciti a sottrarsi alla cattura. Una cosa pare certa: anche il muro di assoluta omertà che aveva contraddistinto gli uomini dell’Anonima si è incrinato, e c’è anche chi è diposto a collaborare con la giustizia.

La famiglia Crosetto, chiusa nel dolore, ha evitato ieri ogni dichiarazione. S’è fatta viva soltanto con gli avvisi che annunciano i funerali de congiunto cosi barbaramente ucciso, per domani venerdì alle 15,30 nella parrocchia Madonna delle Rose di piazza delle Bande Nere, all’inizio della strada Nuova del Pino che Lorenzo Crosetto aveva realizzato con la sua impresa: a meno di cento metri da dove, la sera del 3 luglio di due anni fa, era stato rapito mentre faceva la sua consueta partita a «tresette» con gli amici.

Era forse il suo unico, vero, svago alla fine di intense giornate di lavoro. Lorenzo Crosetto non aveva mai perso l’abitudine di alzarsi all’alba, da quando, ragazzo, col cavallo attaccato al carretto a due ruote scendeva le strade dì corso Casale che portavano al Po per caricare sabbia. Era un lavoro modesto e faticoso, che nel dopoguerra l’ha portato alla costruzione di case e strade fino alle grandi opere quali la tangenziale per Caselle, l’autostrada Torino-Saint Vincent, la stessa via per Chieri attraverso il traforo del Pino.

Sono soltanto alcuni dei lavori svolti dall’impresa Crosetto che, lui, Lorenzo, aveva creato arrivando ad occupare oltre un centinaio di dipendenti. I suoi guadagni li aveva investiti soprattutto nella costruzione della bella villa con parco di via Borgofranco.

La partita a carte serale e qualche volta il gioco delle bocce gli permettevano di rivedere gli amici di sempre, cui era rimasto comunque legato anche se alcuni erano rimasti poveri. Non faceva pesare la sua florida posizione sociale anche se non disdegnava chi lo chiamava commendatore.

Sono stati gli amici gli ultimi a vederlo vivo, ad assistere impotenti, davanti alla minaccia delle armi, al suo rapimento. Il ricordo drammatico di quella sera è ancora presente nella mente di chi l’ha visto, incancellabile. Le pistole e il mitra spianati; Crosetto mentre cercava di divincolarsi per non farsi portare via; lo sparo; le sue urla; il sangue.

La strada che Lorenzo Crosetto ha fatto con i suoi rapitori non deve esser stata molta. Il suo ostinato rifiuto alla resa gli deve essere stato fatale. Saranno gli esiti dell’autopsia a chiarire se sia morto per le botte ricevute, se sia stato deliberatamente ucciso o anche se sia semplicemente deceduto per gli choc subiti.

E se, come sembra, Lorenzo Crosetto è deceduto subito dopo il suo rapimento, trova giustificazione il ritardo col quale è stato chiesto il riscatto. La trattativa iniziò sulla base di una somma relativamente modesta, da pagarsi però senza prove tangibili che l’ostaggio stava bene ed era effettivamente nelle mani di chi voleva incassare il riscatto. I famigliari, disperati, puntavano soltanto al ritorno a casa del loro caro, e non hanno voluto perdere tempo e si sono rassegnati a versare i 672 milioni, lasciandoli vicino a Sestri Levante.

È stato un sacrificio inutile. L’Anonima, che forse aveva già sotterrato la sua vittima a Sessant, a quanto sembra non si era accontentata. Rivolse contro altri il gioco perverso del ricatto. I nuovi tentativi non sempre riuscirono, ma portarono sulla buona strada gli inquirenti. L’organizzazione di uffici dell’Antimafia nelle prefetture, l’assegnazione a magistrati specializzati dei vari casi di sequestro di persona; la collaborazione fra le diverse forze dell’ordine hanno portato agli arresti di responsabili di rapimenti in Lombardia, e dei sequestratori di Giuseppe Scaglione, il grossista di scarpe rapito in via Leini liberato prima  del pagamento del riscatto.

Il successo sta nei risultati, ancora gelosamente custoditi per non compromettere le indagini, ma che hanno nel ritrovamento del corpo di Lorenzo Crosetto un segno inoppugnabile che qualcuno ha cominciato a parlare e il fronte dell’Anonima s’è rotto.

 

 

Articolo di La Repubblica del 26 Luglio 1985
PER TRE ANNI DI SEQUESTRI ALLA SBARRA IN OTTANTUNO
di Cesare Martinetti

TORINO – Lorenzo Crosetto, 61 anni, venne rapito la sera del 3 luglio 1981. Stava giocando a scopa nel bar Ponte Barra, in barriera di Casale, locale con atmosfera anni Cinquanta nella vecchia Torino di Cesare Pavese schiacciata tra il Po e la collina. Un mese e mezzo dopo era morto, esaurito dagli stenti e dal calore: lo avevano nascosto in una baracca di lamiera nelle campagne di Asti dove sotto il solleone di luglio la temperatura saliva anche a 50 gradi. I banditi vollero lo stesso il denaro: 672 milioni. Poi più niente. Solo silenzio fino al 31 maggio 1983, quasi due anni dopo, quando un pentito della ‘ ndrangheta avrebbe portato il sostituto procuratore della Repubblica di Torino Marcello Maddalena sulla tomba di Crosetto: quattro palmi di terra tra una vigna e un campo di granoturco, a Sessant, alla periferia di Asti.

È il capitolo più drammatico della storia dell’ ultima anonima sequestri radiografata e ammanettata dai giudici di Torino. Ottantuno persone, tutti calabresi, una decina di capi e organizzatori, il resto manovali e truppa.

Quattro sequestri di persona riusciti, uno fallito, la morte del povero Crosetto e anche un omicidio, quello di Carmelo Marabello, regista della banda, assassinato con nove colpi di pistola dai luogotenenti per un diverbio sulla spartizione del denaro. Un’ altra inchiesta conclusa sul grande business dei sequestri di persona con nomi e volti schiacciati dalle prove di accusa e dalle confessioni dei pentiti, ma un’ altra inchiesta che non viene a capo della pista di riciclaggio del denaro.

I giudici istruttori torinesi Maurizio Laudi e Paolo Tamponi stanno per rinviare a giudizio carcerieri e assassini, ma dei riscatti non hanno raccolto che le briciole. Quasi due miliardi di profitti sono scomparsi nel nulla. I principali imputati hanno nomi che fanno risalire alle grandi famiglie da sempre sospettate di governare la ‘ ndrangheta. C’ è Francesco Grasso, 31 anni, di Reggio Calabria, Vincenzo Marando, Giovanni Giampaolo, 30 anni di Locri, Giovanni Nirta di Locri, Michele Ieraci, 48 anni, di Anoia, Reggio Calabria.

Il primo rapimento organizzato da questa banda (che secondo la ricostruzione compiuta dagli inquirenti ha rimpiazzato quella dei Racca-Facchineri che a metà degli anni Settanta rapirono Carla Ovazza, consuocera di Gianni Agnelli) è stato quello di Marcellino Talladira, 20 anni, figlio di un impresario edile venuto su dal nulla. Sequestrato sul finire del ‘ 79, Talladira fu liberato nella primavera dell’ 80. Riscatto: settecento milioni tondi.

Nel luglio ‘ 81 i banditi rapiscono Lorenzo Crosetto, miliardario self-made man, con imprese edili e cantieri aperti in tutto il Piemonte. Di come sia finito il sequestro s’è già detto. Nel dicembre ’82 i malviventi tentano di rapire un altro impresario, Tommaso Arletto. Ma l’uomo è pronto, reagisce, mena le mani sui rapitori che dopo qualche strattone lo lasciano libero.

I banditi tornano all’attacco il 24 febbraio 1983 quando rapiscono Giuseppe Scaglione, commerciante all’ingrosso di scarpe. Per la banda è un altro buco: meno di un mese dopo, mentre lo stanno trasferendo in Calabria adagiato nel portabagagli di una “127”, il commerciante viene rilasciato nei pressi di Piacenza. I corrieri della ‘ ndrangheta hanno visto un po’ troppi movimenti di polizia lungo la strada e hanno preferito desistere. Pochi giorni dopo però mettono a segno un altro sequestro. Il professor Luigi Giordano, medico e uno dei maggiori azionisti della clinica privata torinese “Cellini” è sequestrato. Dopo qualche mese il professor Giordano torna a casa. La famiglia ha pagato 500 milioni.

Ma nel frattempo, il 26 gennaio 1983, sul marciapiede di via Oropa, alla periferia di Torino, muore crivellato di proiettili il quarantanovenne Carmelo Marabello, di Bovalino, Reggio Calabria. Ufficialmente è commerciante di legnami; in realtà è un uomo di rispetto della malavita organizzata, ex autista della società per il traforo del Frejus e prima ancora ex proprietario di un supermercato di alimentari a New York. Le indagini portano subito sulla pista della vendetta e in qualche modo gli inquirenti riescono a collegare il Marabello con le tracce che provengono dal sequestro Scaglione.

Vengono arrestati Francesco e Michele Ieraci. Il primo (74 anni) muore di infarto in carcere. Il secondo inizia la sua collaborazione con gli inquirenti. Porta il giudice Maddalena sulla tomba di Crosetto, la cui famiglia nel frattempo aveva offerto una taglia di 50 milioni per ritrovare il cadavere del congiunto. Poi Ieraci conduce gli inquirenti nelle varie sedi e nascondigli della banda: una cascina a Villa Miroglio (Alessandria), un’ altra a San Mauro alle porte di Torino, un’ altra ancora a Vaie, in Val di Susa. E si scopre anche il presunto assassino di Marabello: Gaetano Perna, 32 anni titolare di un night a Torino. E il denaro dei riscatti? Nulla. C’ è una traccia che porta al casinò di Saint Vincent dove si dice sia stato riciclato parte del sequestro Crosetto. Ma i riscontri non ci sono.

 

 

 

Fonte:  archiviolastampa.it
Articolo del 7 dicembre 1986
Omicidio Crosetto, 3 ergastoli
Concluso alle Vallette il processo alla banda che sequestrò l’impresario.

Gli imputati erano 57, dovevano rispondere anche di altri tre rapimenti e dell’assassinio di un complice – Dopo tre mesi di udienze, il Pm aveva chiesto 9 condanne a vita – Il ruolo dei pentiti.

TORINO — Tre ergastoli e condanne per oltre cinquecento anni di reclusione. Si è concluso così alle Vallette il processo contro il clan dei calabresi che rapi e fece morire, tenendolo segregato in modo bestiale, l’industriale Lorenzo Crosetto.

Il carcere a vita è stato inflitto ai fratelli Francesco e Domenico Grasso ed a Gaetano Perna. Hanno evitato l’ergastolo Giovanni Nirta (ha avuto 37 anni), Giovanni Codispoti (30 anni), Vincenzo Marando (30 anni), Giovanni Grasso (26 anni), Giovanni Perna (24 anni). È andata meglio a Sebastiano Pelle, assolto per insufficienza di prove (il Pm aveva chiesto l’ergastolo). È andata male anche al pentito Ieraci: ha avuto 14 anni (la richiesta era stata di 9).

La sentenza è stata letta nell’aula bunker dal presidente della prima corte d’assise Zagrebelsky. I giudici si erano ritirati in camera di consiglio venerdì mattina. Ai primi di novembre il Pm Maria Del Savio Bonaudo aveva proposto 9 ergastoli e oltre 300 anni di carcere.

Oltre al sequestro Crosetto, la banda della ‘ndrangheta calabrese (in tutto 57 persone) doveva rispondere di altri tre rapimenti, di un fallito sequestro, dell’omicidio del complice (o presunto tale) Carmelo Marrabello.

Reati compiuti nel quadriennio ’79 -’83. Miliardario il «fatturato» della gang: lo studente Marcello Talladira (22 anni, figlio di un impresario edile, rapito nel novembre 79 a Cascine Vica e liberato nell’aprile ’80 in cambio di 700 milioni), il commerciante Giuseppe Scaglione (24 febbraio ’84, liberato il 16 marzo, senza riscatto), il medico Luigi Giordano (60 anni, titolare della clinica Cellini, bloccato a metà marzo ’83 e liberato dopo aver versato un riscatto di 530 milioni) sperimentarono, la ferocia dei banditi. Furono però più fortunati di Crosetto (in piena estato l’industriale fu tenuto rinchiuso, e incatenato in un capanno di lamiera in aperta campagna, e morì dopo due mesi in questo •forno»). Più fortunato ancora il costruttore Tommaso Arlotto che sfuggi all’agguato nel dicembre ’82.

Al processo solo i famigliari di Lorenzo Crosetto hanno deciso di costituirsi parte civile, con il prof. Lozzi. L’impresario venne rapito mentre giocava a carte con amici, in un bar di corso Casale, vicino Sassi. I banditi, giocando sulla disperazione dei famigliari, riuscirono lo stesso a far soldi anche con questo delitto: intascarono 682 milioni. Solo due anni dopo un pentito indicherà agli inquirenti il campo di Sessant, vicino ad Asti, dove era sepolto.

Un importante contributo all’inchiesta è venuto dai cinque pentiti della banda: Michele Ieraci, Natale Mazza, Rocco Inserra, Vincenzo Cataldo e Angelo Neirotti.

Dei rapiti, il solo Scaglione fu rilasciato senza pagare il riscatto. I sequestratori lo stavano portando al Sud, legato nel baule di una Ritmo: nei pressi di Piacenza, credendo di essere inseguiti dai carabinieri, lo liberarono. Infine l’omicidio di Carmelo Marrabello (26 gennaio ’84, killer, per l’accusa, sarebbe Giovanni Nirta): un mese prima era fallito il sequestro Arlotto e Marrabello, secondo gli accertamenti istruttori, la prese male, rimproverò gli autori di quell’insuccesso, minacciò di estrometterli dalla banda. I complici lo eliminarono.

 

 

 

Leggere anche:

 

civico20news.it
Articolo del 3 giugno 2020
3 giugno 1983: il funerale di Lorenzo Crosetto, costruttore torinese rapito dalla Anonima Sequestri
Articolo di Milo Julini

 

 

 

 

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *