10 Luglio 1988 Gioia Tauro (RC). Ucciso in un agguato Pietro Ragno, giovane carabiniere di 28 anni.

Foto dal libro “Dimenticati. Vittime della ‘ndrangheta” di D. Chirico e A. Magro

Pietro Ragno era un giovane carabiniere di 28 anni, sposato e padre di una bimba, Vanessa, di appena 11 mesi. Originario di Messina era in servizio a Gioia Tauro da tre anni. Il giovane, il 9 luglio 1988 aveva cenato presto, salutato la moglie Stefania Lopresti, una ragazza di appena 19 anni, e baciato la figlioletta, per effettuare un servizio notturno assieme al commilitone Giuseppe Spera, 32 anni, campano di San Cipriano Picentino, anche lui sposato e padre di due figli. Poco dopo mezzanotte, dallo svincolo di Losarno, i due carabinieri hanno imboccato l’autostrada per fermarsi a fare rifornimento di benzina e quindi rientrare in caserma. Si stavano per immettere a bassa velocità sulla Statale 111 che congiunge Gioia Tauro all’Aspromonte, quindi al versante ionico della provincia di Reggio Calabria quando, da dietro un cespuglio, hanno incominciato a sparare con fucili automatici calibro 12 caricati a pallettoni. Pietro Ragno che era alla guida riuscì a estrarre la pistola ma morì prima di poterla usare. Il suo compagno si salvò solo perché si trovava chino sull’apparecchio radio per avvertire la centrale operativa del loro rientro. (Liberanet.org)

 

 

 

Articolo di La Repubblica del 10 Luglio 1988
MASSACRANO UN CARABINIERE
di Sergi Pantaleone

GIOIA TAURO La ‘ndrangheta lancia una nuova drammatica sfida, per riaffermare il proprio potere. Spara alto, mira alle istituzioni, assassina un giovane carabiniere e ne ferisce un altro, con il chiaro intento di rispondere all’offensiva degli inquirenti che, in questa triste capitale mafiosa, hanno attaccato le connivenze tra clan e politica, hanno svelato intrecci ibridi tra affarismo, malavita e amministrazione pubblica, hanno arrestato e inquisito decine di personaggi fino a ieri veramente al di sopra di ogni sospetto.

Non esistono altre piste su cui lavorare, afferma perentorio il colonnello Sabato Palazzo, che comanda il gruppo carabinieri di Reggio Calabria, con questo agguato hanno voluto colpire le istituzioni. È caduto un giovane carabiniere, ma per chi ha ordinato di uccidere poteva essere ammazzato indifferentemente un poliziotto oppure un magistrato.

Fa caldo a Gioia Tauro dove l’afa africana arriva violenta attraverso l’imbuto dello Stretto di Messina. Ma c’è più tensione e nervosismo tra gli uomini del capitano Rocco Amoroso, alla compagnia dei carabinieri in via Vittorio Emanuele, a due passi dalla piazzetta su cui affaccia il municipio. Per oltre ventiquattr’ore nessuno in caserma è andato a riposare. Uno di loro è stato ucciso, scatta la molla dello spirito di corpo. Li prenderemo, assicura un sottufficiale riferendosi agli assassini li dobbiamo prendere.

L’agguato è avvenuto poco prima dell’una di ieri notte. Pochi attimi, un volume di fuoco impressionante, una esecuzione preparata nei minimi dettagli. È morto Pietro Ragno, un giovane carabiniere di 28 anni, sposato e padre di una bimba, Vanessa, di appena 11 mesi. Originario di Messina era in servizio a Gioia Tauro da tre anni.

Aveva preso parte a diverse operazioni antimafia, ma era sempre stato uno dei tanti. Impensabile quindi che il gruppo di fuoco delle cosche abbia voluto uccidere proprio lui. Il giovane ieri sera aveva cenato presto, salutato la moglie Stefania Lopresti, una ragazza di appena 19 anni, e baciato la figlioletta, per effettuare un servizio notturno assieme al commilitone Giuseppe Spera, 32 anni, campano di San Cipriano Picentino, anche lui sposato e padre di due figli.

Poco dopo mezzanotte, dallo svincolo di Losarno, i due carabinieri hanno imboccato l’autostrada per fermarsi a fare rifornimento di benzina e quindi rientrare in caserma. Non era ancora l’una quando, lasciata alle spalle l’autostrada, si stavano per immettere a bassa velocità sulla Statale 111 che congiunge Gioia Tauro all’Aspromonte, quindi al versante ionico della provincia di Reggio Calabria. Qui è accaduta la tragedia. Da dietro un cespuglio hanno incominciato a sparare con fucili automatici calibro 12 caricati a pallettoni. Quindici cartucce sono state trovate sul terreno. Una lunga sequela di colpi, sparata da almeno tre persone, che hanno colpito davanti, di fianco, di dietro l’auto dei carabinieri.

Pietro Ragno che era alla guida è riuscito ad estrarre la pistola, ma è morto prima di poterla usare. Il suo compagno si è salvato solo perché si trovava chino sull’apparecchio radio per avvertire la centrale operativa del loro rientro (ha avuto così il tempo di dire: Ci stanno colpendo, c’è un agguato). Quando è arrivata un’auto diretta in autostrada, Spera si è lanciato sull’asfalto per bloccarla. I sicari, forse disorientati, sono fuggiti. E sono scattati i soccorsi.
Per Pietro Ragno non c’era nulla da fare, Spera se la caverà in trenta giorni.

Gioia Tauro nella notte si è svegliata così sotto le sirene di carabinieri e polizia giunti da ogni punto della Calabria. È scattata la caccia ai killer. E in giornata nella cappella dell’ospedale civile di Gioia Tauro, è giunto anche il generale Roberto Jucci, comandante dell’Arma, per rendere omaggio alla salma del carabiniere ucciso. Sul fronte delle ricerche e delle indagini non ci sono novità di rilievo.

Siamo convinti, ha spiegato il colonnello Palazzo, che tutto quello che sta avvenendo ha avuto inizio con l’assassinio del sindaco Vincenzo Gentile avvenuto nel giugno dell’anno scorso. Il sindaco, hanno accertato gli inquirenti, è stato eliminato dalla mafia degli appalti, controllata da una famiglia alleata dei potenti Piromalli (un nipote del boss don Peppino è stato accusato dell’ omicidio). E nell’inchiesta sviluppatasi per diversi mesi dopo il delitto, con accuse diverse sono stati ammanettati due sindaci democristiani, numerosi amministratori.

Grandi affari, con l’inizio dei lavori per la centrale a carbone dell’Enel, sono in arrivo e le cosche cercano di attrezzarsi alla bisogna raggiungendo nuovi e delicati equilibri, mettendo da parte i vecchi mammasantissima che hanno gestito la mafia negli anni passati.

 

 

 

Articolo di La Stampa del 10 Luglio 1988
Carabiniere ucciso in un agguato
Gioia Tauro, killer della ‘ndrangheta sparano contro un’auto dell’Arma.

GIOIA TAURO — Un giovane carabiniere in servizio nella compagnia di Gioia Tauro. Pietro Ragno, di 28 anni, è stato assassinato nella notte tra venerdì e ieri in un agguato nel quale un suo collega, Giuseppe Spera, 32 anni, è rimasto ferito (ne avrà per trenta giorni).

Un agguato “in diretta”, poco prima dell’una di notte, che è stato seguito via radio dall’operatore della centrale operativa della caserma di Gioia Tauro, con la quale l’Alfetta dei due militari era in contatto nel momento in cui, contro di loro, da almeno due fucili a ripetizione sono stati sparati 15-20 colpi, tutti caricati a pallettoni.

Gli inquirenti sono convinti che l’agguato sia stato preparato ed eseguito da “professionisti” che da tempo controllavano i tragitti seguiti dalle Alfette dei carabinieri nei loro giri di perlustrazione notturna. Anche il luogo dell’agguato è stato scelto con cura: il tratto discendente dello svincolo per Gioia Tauro dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, due strette corsie che, sopraelevate sul terreno circostante, si devono percorrere necessariamente a velocità limitata.

Gli assassini — almeno due, secondo i carabinieri che hanno trovato sul luogo dell’agguato una ventina di cartucce per fucile calibro 12 — hanno atteso che l’Alfetta si avvicinasse (l’auto aveva appena fatto rifornimento alla stazione di servizio di Rosarno e, sbucando da un fitto cespuglio di tuie che costeggiano la strada, hanno aperto il fuoco. I pallettoni hanno fracassato il parabrezza, raggiungendo alla testa Pietro Ragno, che era al volante del mezzo, ed uccidendolo sul colpo. È stato in questo frangente che alcune “rosate” di pallettoni hanno raggiunto anche Spera che, in quel momento, per sua fortuna, essendo in contatto radio con la centrale operativa della compagnia, si era leggermente piegato in avanti verso il cruscotto. I killer hanno poi continuato a sparare anche quando la macchina, ormai priva di controllo, è sfilata davanti a loro. Gli ultimi colpi, che hanno mandato in frantumi il lunotto posteriore, sono stati sparati mentre un’altra automobile stava giungendo sul luogo dell’agguato percorrendo in senso contrario lo svincolo.

Probabilmente è stato l’arrivo improvviso di questa seconda automobile ad indurre i killer a smettere di sparare e ad allontanarsi.

I soccorsi sul posto sono giunti nel giro di pochi minuti dopo che, attraverso la radio, l’operatore della centrale operativa aveva ascoltato i drammatici momenti dell’agguato. Cosa può avere spinto la ‘ndrangheta (sulla matrice mafiosa ben pochi dubbi si nutrono al momento) ad alzare il tiro, a colpire direttamente i carabinieri? È un interrogativo intorno al quale sono state subito incentrate le indagini, che fin dal primo momento si sono presentate molto complesse. Soprattutto perché i due bersagli dell’agguato erano militari che non avevano incarichi particolari non impegnati in specifiche indagini, in compiti ben determinati che non fossero quelli dei normali servizi.

Quindi perché una gragnuola di colpi di lupara contro due semplici carabinieri? La spiegazione è una: chi ha sparato ha voluto non colpire Pietro Ragno e Giuseppe Spera, ma l’Arma, per quello che sta facendo, per quello che ha fatto. Un ufficiale dei carabinieri e andato oltre dicendo che la ‘ndrangheta ha voluto colpire le istituzioni, nel momento in cui, proprio nella piana di Gioia Tauro, magistratura, carabinieri e polizia sono impegnati in una massiccia offensiva non solo contro il crimine organizzato ma anche contro quei settori della pubblica amministrazione pericolosamente vicini alla ‘ndrangheta, insomma contro gente che con la ‘ndrangheta e per conto della ‘ndrangheta fa affari. d. m.

 

 

 

Articolo da L’Unità del 10 Luglio 1988
Imboscata mafiosa a Gioia Ucciso un carabiniere
di Aldo Varano
Il commando ha sparato più di venti colpi contro la gazzella – Ferito un altro milite
Gli inquirenti: «Siamo tutti nel mirino, è una dichiarazione di guerra allo Stato»

Tiro al bersaglio della mafia su una gazzella dei carabinieri. Un milite ucciso ed uno ferito. Gli inquirenti non hanno dubbi: le più potenti cosche della Piana di Gioia Tauro hanno deciso un agguato  terroristico-mafioso. Obiettivo: inginocchiare chi le combatte. La posta in gioco è se qui debba comandare lo Stato o la mafia. Vertice a Reggio con il comandante generale dell’Arma.

GIOIA TAURO. Nella piccola cappella dell’ospedale di Gioia Tauro dove è stato ricomposto il corpo martoriato  del carabiniere Pietro Ragno, un ragazzo di 27 anni originario di Messina, l’alto ufficiale dell’Arma si lascia andare «È una dichiarazione di guerra contro lo Stato. Qui siamo tutti nel mirino carabinieri, poliziotti e, forse, soprattutto i giudici del tribunale di Palmi, a partire dal procuratore e da quelli della Procura e dell’ufficio istruzione» Anche al commissariato di polizia il discorso è lo stesso «Hanno ammazzato quel ragazzo perchè è arrivato per primo, poteva capitare a uno di noi. Avevano deciso di lanciare un avvertimento» Ormai agli inquirenti è chiaro che si e aperto uno scontro per stabilire chi deve governare questo territorio o lo Stato o la mafia. Nella cappella e nel corridoi intorno, l’isolamento degli inquirenti si avverte in modo quasi fisico.
Fino alle 11, l’agguato è stato all’una della notte tra venerdi e sabato, c’erano solo due uomini politici Mommo Tripodi, senatore comunista della Piana del Tauro e Quirino Ledda, vicepresidente comunista del Consiglio regionale.

La dinamica dell’agguato sembra dar ragione a chi parla di simbologia terroristico-mafiosa. Dall’autostrada, dove aveva fatto rifornimento, l’Alfetta si è mossa verso la Centrale di Gioia con cui era in contatto radio. Allo svincolo  ha rallentato per imboccare la curva che porta alla statale 111. La tempesta di fuoco si è scatenata appena l’auto ha rallentato. Oltre venti colpi, da dietro i cespugli dove il commando era appostato. In caserma, dalla radio i colleghi di Pietro Ragno hanno sentito per l’ultima volta la sua voce «Ci sparano addosso». Poi, niente più.

Ragno, sposato e papà di un bambino di un anno, è morto subito. I killer lo hanno inchiodato al posto di guida con un pallettone in testa.
L’altro carabiniere che viaggiava sulla gazzella con lui, Giuseppe Spera, 32 anni, di San Cipriano Picentino in Campania, è stato colpito ad una gamba, alle spalle e, per fortuna di striscio, in testa. Ne avrà per trenta giorni. I killer, che hanno sparato direttamente contro il parabrezza, hanno continuato a scaricare pallettoni dietro la macchina. Pare fossero almeno in tre e tutti con fucili automatici calibro 12.

Perche un omicidio cosi spettacolare e consumato con tutta evidenza sparando nel mucchio? «Pochi minuti dopo – dice il colonnello Sabato Palazzo che comanda gruppo reggino – è passata la polizia. Se arrivavano prima avrebbero sparato su di loro. L’agguato, e questo è più grave, non era mirato». Insomma, la mafia ha deciso di terrorizzare tutti quelli che dalle istituzioni «in questi ultimi tempi – sono le parole dette all’Ansa da un ufficiale deil carabinieri – hanno scatenato una imponente offensiva contro la criminalità comune e mafiosa e certi intrecci – ha continuato l’ufficiale – tra potere politico e ‘ndrangheta. Un’offensiva concretizzatasi con arresti e Comunicazioni giudiziarie».

Quindi, una sfida diretta allo Stato. Il sindaco democristiano di Gioia Tauro, Cento, è in galera. Gli fa compagnia l’ex sindaco dc Nino Pedà. Entrambi sono accusati di aver distribuito centinaia di milioni per lavori mai fatti su una discarica Per la stessa discarica, in un complicato giro di appalti e ricatti, sarebbe stato ucciso il sindaco Gentile. Dell’omicidio, proprio venerdi è stato formalmente accusato Carmelo Stillitano, astro nascente del potere mafioso della Piana, nipote del vecchio patriarca don Peppino Piromalli, già condannato ad otto ergastoli.  La segreteria regionale del Pci denuncia «gravi sottovalutazioni ed irresponsabili inerzie». Marco Minniti, segretario dei comunisti reggini, espressa solidarietà ai carabinieri, plauso alle forze dell’ordine ed alla Procura di Palmi, avverte «che a Gioia come a Reggio c’è un tentativo di imporre un dominio mafioso sull’intera società, bisogna che tutti ne prendano atto – aggiunge – perché la risposta dello Stato democratico deve essere a questo livello e, purtroppo, ancora non lo è».

 

 

Fonte: strettoweb.com
Articolo del 22 giugno 2016
10 luglio, l’omicidio di Pietro Ragno a Gioia Tauro: per non dimenticare
di Cosimo Sframeli

10 luglio 1988.
È sistemato nella cappella dell’ospedale di Gioia Tauro il corpo del Carabiniere Pietro Ragno, 27 anni di Messina. In quei corridoi pieni di amici e colleghi si avverte un silenzio quasi fisico alla presenza degli unici politici: Girolamo “Mommo” Tripodi, senatore della Repubblica e sindaco di Polistena, e Quirino Ledda, vicepresidente del Consiglio regionale.

La dinamica dell’agguato.
Verso l’una di sabato notte, l’Alfetta del Radiomobile di Gioia Tauro, in contatto radio con la Centrale operativa, si dirige verso il Comando. Allo svincolo dell’autostrada rallenta per imboccare la curva quando si scatena una tempesta di fuoco. Sparano più di venti colpi contro la gazzella da dietro i cespugli, dove il commando si era appostato. Ragno, sposato e papà di una bambina di quasi un anno, riesce ad uscire la pistola dalla fondina, ma muore prima di poterla usare. Lo immobilizzano al posto di guida con un pallettone in testa. Il Capo equipaggio, seduto a fianco dell’autista, l’Appuntato Giuseppe Spera, 32 anni di San Cipriano Picentino provincia di Salerno, anche lui sposato e padre di due figli, viene colpito ad una gamba, alle spalle e, per fortuna, di striscio alla testa. Ne avrà per trenta giorni. I killer, pare fossero in tre tutti armati di fucile automatico, sparano con fucili caricati a pallettoni contro il parabrezza, il fianco, il dietro della macchina dei carabinieri. Da lì a poco transita un’auto verso l’autostrada, Giuseppe Spera si lancia sull’asfalto per bloccarla e gli assassini disorientati fuggono. Scatta l’allarme e i soccorsi. Per Pietro Ragno non c’è nulla da fare. Giuseppe Spera se la caverà. E’ così che Gioia Tauro si sveglia nella notte, sotto le sirene di carabinieri giunti da ogni luogo della Calabria. Una tragedia. Un omicidio spettacolare e consumato con tutta evidenza contro chi rappresenta lo Stato sul territorio calabrese, in Provincia di Reggio Calabria, nella Piana di Gioia Tauro. La mafia tenta di intimidire e far retrocedere coloro che «in questi ultimi tempi hanno scatenato una imponente offensiva contro la criminalità comune e mafiosa e certi intrecci tra potere politico e ‘ndrangheta», commenta il Procuratore Agostino Cordova. Una sfida diretta allo Stato, per riaffermare il potere mafioso. Si mira e si spara sull’Arma che, non solo nella tirrenica, attacca le connivenze tra clan e politica, svelando intrecci ibridi tra affarismo, malavita e amministrazione pubblica. Si arrestano ed inquisiscono personaggi fino a ieri al di sopra di ogni sospetto.

Nel mese di maggio del 1987, dalla mafia degli appalti, venne assassinato il sindaco di Gioia Tauro, Vincenzo Gentile, un medico di 55 anni amato dalla gente, un amministratore chiacchierato. Era arrivato a dire al primo processo contro i sessanta boss della provincia di Reggio, celebrato davanti al Tribunale di Reggio Calabria nel 1979, che a Gioia Tauro la mafia non esisteva. Assassinato in una vera e propria esecuzione mafiosa. Il killer lo attese sotto casa, quando giunse alla guida della sua auto, si avvicinò e gli esplose contro cinque colpi di revolver. Le indagini portarono agli intrecci con la potente mafia dei Piromalli. Mandati di cattura emessi dall’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palmi contro amministratori, consiglieri comunali, imprenditori. Politici accusati di aver dato appalti per lavori pubblici ad imprese collegate alla mafia. Grandi affari, anche con i lavori per la centrale a carbone dell’Enel. Le cosche cercavano nuovi e delicati equilibri, abbattendo ogni forma di ostacolo. In tale contesto s’intreccia il sacrificio di Pietro Ragno, un giovane Carabiniere di 27 anni, sposato e padre di una bimba, Vanessa, di appena 11 mesi, originario di Messina ed in servizio a Gioia Tauro da tre anni, che la notte del 10 luglio 1988 s’incontra con la morte.

 

 

 

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