6 febbraio 1974 Bari. Ucciso Nicola Ruffo, macchinista delle ferrovie, durante una rapina in una tabaccheria.

Foto da: lucaturi.it

Nicola Ruffo, 45 anni, Macchinista delle Ferrovie dello Stato fu ucciso con un colpo di pistola a Bari, il 6 febbraio 1974 durante una rapina in una tabaccheria in via Luigi Ricchioni, nel tentativo di difendere la proprietaria. Lasciò la giovane moglie Maria e due bambine, Pasqualina e Paola, di undici e nove anni.

Insignito della Medaglia d’oro al valor civile, con la seguente motivazione:

“Con cosciente sprezzo del pericolo interveniva in soccorso della gerente di una tabaccheria che era stata minacciata da cinque rapinatori, slanciandosi contro uno di questi. Un colpo di pistola esploso a tradimento dai malfattori al suo indirizzo, lo feriva mortalmente. Luminoso esempio di non comune coraggio e di operante umana solidarietà spinta fino all’estremo sacrificio. Bari, 6 febbraio 1974.”

 

 

Articolo da L’Unità del 13 Febbraio 1974
Arrestati tre ragazzi: hanno ucciso per rapina
Il delitto nella tabaccheria di Bari
Spararono contro Nicola Ruffo che si era opposto all’assalto banditesco — Pregiudicati per furto hanno lasciato impronte

BARI, 12 . Cinque giorni è durata la caccia ai rapinatori che mercoledì scorso in una tabaccheria di Via Ricchioni uccisero con un colpo di pistola al cuore il ferroviere Nicola Ruffo di 45 anni.

Questa notte i protagonisti dell’atroce episodio sono stati arrestati dalla squadra mobile nelle loro abitazioni al quartiere Libertà. Sono tre giovani. Dormivano tutti e tre quando gli agenti della squadra mobile, con un mandato del giudice istruttore, sono entrati nelle loro abitazioni.

Accompagnati in questura sono stati interrogati dal magistrato inquirente e nel giro di poco tempo hanno confessato. Ha sparare sul ferroviere pare sia stato il più vecchio dei tre (20 anni); come pure si è appreso che sul Ruffo, il macchinista di prima classe delle FS, il bandito non aveva sparato per aver intravisto un avventore che entrava a quell’ora (erano circa le 20) nella tabaccheria, ma perché il ferroviere appena entrato si era reso conto che si trattava di una rapina e si era lanciato coraggiosamente contro i banditi nel tentativo forse  di metterli almeno in fuga.

A facilitare le affannose ricerche che hanno condotto la squadra mobile e i carabinieri sono state le impronte che uno dei banditi, lo stesso che aveva sparato, aveva lasciato sulla macchina sulla quale era fuggito con i complici, dopo aver sparato sul ferroviere e che era stata abbandonata in una via di Bari.
Sono state queste impronte che hanno consentito alla polizia di individuare prima il 20enne e poi i suoi complici, noti alla polizia. Non è stata invece trovata la pistola con la quale è stato ucciso il ferroviere, colpendolo alcuore.

Nicola Ruffo aveva lasciato quella sera la sua abitazione – che si trova nella stessa Via Ricchioni – dicendo alla moglie che avrebbe fatto due passi e sarebbe rientrato subito. I banditi sono entrati nella tabaccheria,  in quel momento affidata alla madre dell’avventore, intimando alla donna di consegnare tutto l’incasso.

La signora terrorizzata replicava ai banditi che era stata una giornata particolarmente magra e li invitava a prendersi gli accendini espositi in vetrina.

Fu in quel momento che entrò Nicola Ruffo che, si è saputo ora, rendendosi conto di quello che stava accadendo reagì e fu ucciso con un colpo di pistola. Particolare agghiacciante, l’uccisore è figlio di un altro ferroviere. I tre assassini per rapina erano comunque conosciutissimi dalla polizia per avere, tutti, precedenti penali per furto.

 

 

 

Fonte:  lagazzettadelmezzogiorno.it
Articolo del 6 febbraio 2017
Bari, la storia dell’eroe Ruffo ucciso da rapinatori mafiosi
di Isabella Maselli
Ferroviere, intervenne durante una rapina in tabaccheria: quel colpo era il battesimo per alcuni affiliati. Ma all’epoca il reato di mafia non esisteva

Un piccolo eroe dimenticato. Un uomo comune fuori dal comune. Un figlio, un marito, un padre, un lavoratore come tanti, che ha scelto di sacrificare la sua vita per salvare quella di un’altra persona. Nicola Ruffo, 44 anni, barese, macchinista delle Ferrovie dello Stato, moriva così il 6 febbraio 1974. Colpito al cuore da un proiettile durante una rapina in una tabaccheria in via Luigi Ricchioni, nel quartiere Picone.
Quarantatrè anni dopo sua figlia, Pasqualina Ruffo, che oggi ha 55 anni ma che all’epoca era solo una bambina di 11 anni, chiede di non dimenticare.

«Lui ha avuto il coraggio di morire – dice – ma noi abbiamo dovuto trovare il coraggio di vivere e di fare memoria perché quello che è accaduto a mio padre non accada ancora».
Eppure la storia, non solo barese, ci ha tristemente abituati a parlare di vittime innocenti di mafia. Pasqualina racconta del padre ma nelle sue parole c’è la condivisione di un dolore che accomuna la sua nuova grande famiglia, quella di Gaetano Marchitelli, ucciso a 15 anni davanti ad una pizzeria, quella di Giuseppe Mizzi, ammazzato per errore sotto casa a Carbonara, e di tutti gli altri che l’associazione Libera ha raccolto negli anni attorno ad una sofferenza che si fa memoria.
A differenza degli altri, però, Nicola Ruffo non è mai stato formalmente riconosciuto vittima innocente di mafia perché il reato di associazione mafiosa è stato introdotto soltanto del 1982, anche se nei confronti del commando dei cinque rapinatori tutti i gradi di giudizio hanno confermato condanne senza sconti.

«L’uccisione di mio padre – spiega Pasqualina – fu il primo fatto di sangue di questo tipo a Bari, il battesimo della Sacra Corona Unita». Tre anni dopo la sua morte, Nicola Ruffo ottenne la medaglia d’oro al valor civile e nel 2006 il Comune di Bari con l’allora sindaco Michele Emiliano gli ha dedicato una via. «È vicina alla strada dedicata alle vittime di Nassiriya – dice Pasqualina – così mio padre può abbracciare anche tutti quei poveri ragazzi».

Il racconto di Pasqualina Ruffo, nella sua casa di Modugno, acquistata grazie ad una colletta voluta dai cittadini baresi dell’epoca, è fatta di risate, lacrime, pagine di poesia, fotografie del padre e i libri che lui tanto amava, dall’arte alla matematica, dalla filosofia alla letteratura.

Rimasto orfano a 14 anni, Nicola Ruffo aveva vissuto l’adolescenza la lavondo presso un orafo nella sua città natale, Palagiano, per aiutare la madre a portare avanti i suoi tre fratelli più piccoli. Dopo il diploma, nel 1951, era andato alla scuola per macchinisti ed era poi stato assunto, in servizio prima a Novara e poi a Bari.

Nel 1974 lui aveva 44 anni, sua moglie Maria 35 e le loro due figlie, Pasqualina e Paola, rispettivamente 11 e 9 anni. «Papà ci aiutava con i compiti, scriveva poesie per noi, ci insegnava ad andare in bicicletta. Ci ha insegnato ad amare e dopo la sua morte mia madre ci ha insegnato a non odiare. Siamo state assetate di giustizia ma mai di odio». All’inizio di quell’anno la famiglia Ruffo stava per adottare una bambina vietnamita ma il sogno di Nicola tramontò la sera del 6 febbraio. Stava tornando dal lavoro, aveva indossato il suo cappotto più bello. A pochi isolati da casa, intorno alle 19, si accorse che un gruppo di rapinatori aveva fatto irruzione in una tabaccheria. Non ci pensò due volte. Attraversò la strada e si scagliò contro uno dei cinque per proteggere la tabaccaia contro la quale stavano puntando la pistola per impossessarsi dell’incasso della giornata. Fu colpito a morte da una pallottola in pieno petto.

«La gente – dice Pasqualina – mi ripete sempre che mio padre non doveva stare là, che si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. È come ammazzarlo di nuovo: mio padre era al posto giusto nel momento giusto. Ha fatto bene a fare quello che ha fatto. Erano loro che non dovevano stare lì, non lui. La sua morte non è stata altro che l’ultimo atto di amore verso una sconosciuta».

Quella che Pasqualina racconta «è una storia fatta di uomini di coraggio». Ricorda il maresciallo Francesco De Rosalia, sparato alla testa proprio durante le indagini sull’omicidio di Nicola Ruffo, e l’avvocato Andrea Ranieri, «sempre al nostro fianco nei luoghi e dolorosi anni del processo».

Pasqualina, sua sorella Paola e la madre Maria furono ribattezzate dalla stampa del tempo «le tre donne del ferroviere». E poi ricorda l’enorme solidarietà dimostrata dai baresi di quegli anni. «Lasciavano dietro la porta di casa pacchi con latte, cibo e pasta, senza biglietti o firme, condividendo il nostro dolore in silenzio».
E dietro quella porta, sul campanello di casa, c’è ancora oggi la targhetta con il nome “Nicola Ruffo”. «Papà – dice Pasqualina – mi ha dato la forza di poter aiutare gli altri familiari delle vittime di mafia. Così, finita una vita, per me ne è cominciata un’altra».

 

 

 

A Palagiano (TA) intitolazione di una scuola a “Nicola Ruffo”
trmh24 – 14 mag 2018
Nicola Ruffo, palagianese, fu assassinato a Bari il 6 febbraio del 1974 durante una rapina in una tabaccheria del centro, nel tentativo di tutelarne la proprietaria indifesa: quel colpo era il battesimo per alcuni affiliati. Ma all’epoca il reato di mafia non esisteva. Non era un militare al servizio dello Stato, ma un semplice civile, un macchinista delle Ferrovie dello Stato, che ha prestato la sua vita alla giustizia, perdendola a soli 44 anni.

 

 

 

Articolo da:palagiano.net 
Articolo del 14 maggio 2018
Il Comune di Bari intitola una strada alla memoria del palagianese Nicola Ruffo

Questa mattina alle 11 nella sala consiliare di Palazzo di Città, il sindaco Michele Emiliano, il presidente del Consiglio Giuseppe De Santis e l’assessore alla Statistica e Toponomastica Antonella Rinella, presenzieranno alla cerimonia di intitolazione di una strada alla memoria di Nicola Ruffo, macchinista delle Ferrovie dello Stato che nel febbraio del 1974 rimase ucciso nel corso di una rapina in una tabaccheria, nel tentativo di difendere la titolare.

Lo Stato gli ha conferito la medaglia d’oro al valor civile per il suo gesto, «luminoso esempio di non comune coraggio e di operante umana solidarietà spinta fino all’estremo sacrificio», come recita la motivazione ufficiale. Alla cerimonia interverranno Andrea Ranieri, avvocato della famiglia Ruffo e Pasqualina Ruffo, figlia di Nicola. L’Amministrazione comunale ha scelto di dedicare alla memoria di Nicola Ruffo il tratto di strada nella nuova zona commerciale nei pressi del quartiere santa Rita, Terza Circoscrizione Picone – Poggiofranco.

Cenni biografici “Il Treno dei desideri”, trasmissione che nella scorsa stagione invernale ha risvegliato nell’animo degli Italiani la voglia di realizzare i propri sogni, ha invitato l’Amministrazione Comunale di Bari ad esaudire il nobile intendimento della signora Pasqualina Ruffo: vedere dedicata una strada della città a suo padre Nicola. Nato a Palagiano il 30 settembre 1928, rimasto orfano di padre a soli 14 anni, Nicola Ruffo aiuta la madre a mantenere i quattro figli più piccoli, lavorando presso un orafo.Contemporaneamente studia con impegno e determinazione e consegue il diploma di Tecnico meccanico nel 1951. Successivamente frequenta a Taranto la Scuola Macchinista e lavora nelle Ferrovie dello Stato prima a Novara e poi a Bari, dove muore il 6 febbraio 1974 durante una rapina in una tabaccheria in via Luigi Ricchioni, nel tentativo di difendere la proprietaria. Lascia la giovane moglie Maria e due bambine, Pasqualina e Paola, di undici e nove anni. A distanza di tre anni dalla sua morte, lo Stato gli ha riconosciuto la medaglia d’oro al valor civile con la seguente motivazione: «Con cosciente sprezzo del pericolo interveniva in soccorso della gerente di una tabaccheria che era stata minacciata da cinque rapinatori, slanciandosi contro uno di questi. Un colpo di pistola, esploso a tradimento dai malfattori al suo indirizzo, lo feriva mortalmente. Luminoso esempio di non comune coraggio e di operante umana solidarietà spinta fino all’estremo sacrificio». La Giunta Comunale in data 20 novembre 2006 ha deliberato di intitolare un’area di circolazione della nuova zona commerciale nei pressi di Santa Caterina (III Circoscrizione) a questo valoroso padre di famiglia che ha sacrificato la sua vita per un’altra vita, al fine di impedire un atto efferato.

 

 

 

Fonte: vivi.libera.it

Tratto da “Non a caso”, edizioni la Meridiana, 2017

Nicola Ruffo nasce a Palagiano, cittadina della provincia di Taranto, il 30 settembre del 1928. All’età di soli 14 anni inizia a lavorare presso un orafo per poter aiutare economicamente la sua famiglia, che da poco si era trovata ad affrontare la morte del padre.

Nonostante il lavoro lo tenga occupato per gran parte della giornata, Nicola non lascia gli studi e con determinazione consegue nel 1951 il diploma di tecnico meccanico. Continuerà poi il suo percorso di studi frequentando a Taranto la scuola per diventare macchinista, che gli permetterà di trovare occupazione presso le Ferrovie dello Stato, lavorando prima a Novara e poi a Bari.

Nicola è un uomo caratterizzato da forti valori morali e da un profondo senso civico, dedito al lavoro e alla sua famiglia, un uomo comune, un cittadino che nel suo ordinario ha saputo vivere lo straordinario.

È il 6 febbraio del 1974 e Nicola sta rientrando da lavoro. Percorre la strada che è solito percorrere per tornare dalla sua famiglia dopo una giornata di lavoro, quando all’improvviso qualcosa attira la sua attenzione: nella tabaccheria posta sull’altro lato della strada è in corso una rapina, una donna, la proprietaria, è minacciata con una pistola. Senza esitazione, Nicola entra per cercare di aiutare quella donna, per scoraggiare i delinquenti dal compiere un così brutale atto. Quel gesto disorienta i rapinatori, generalmente abituati ad agire indisturbati nei loro soprusi, così uno di loro, voltandosi verso Nicola, spara. Un solo colpo, che va dritto al cuore. A nulla servirà la corsa in ospedale, la sua vita viene inaccettabilmente interrotta quella sera, a 44 anni, lasciando nel dolore e nello sconforto la moglie Maria e le sue due figlie, Pasqualina e Paola, di appena 11 e 9 anni.

Poco dopo l’omicidio si scoprirà che gli uomini responsabili della morte di Nicola, sono riconducibili a quello che è l’embrione del clan Parisi di Bari; ma in città non si parla ancora di mafia perché si pensa che essa sia solo un fenomeno siciliano.

Nicola è una vittima innocente della criminalità organizzata barese. Ucciso perché non si è voltato dall’altro lato, perché, come qualcuno ha detto, “non si è fatto i fatti propri”; ma l’esempio di Nicola invece ci insegna quali siano i fatti nostri, è esempio di senso civico, è un modello di antimafia sociale.

Negli anni saranno tanti i riconoscimenti tributati a Nicola Ruffo. Nel 1977 sarà insignito della medaglia al valor civile per la sua azione coraggiosa e responsabile e nel 2006 alla sua memoria, nella città di Bari, sarà intitolata una strada.

 

 

Fonte:  vivi.libera.it
Nota del 6 febbraio 2019
Lettera a mio padre, Nicola Ruffo
di Pasqualina Ruffo

Caro papà,

è la prima volta in assoluto che ti scrivo. Tu lo sai che ogni giorno ti penso, ma scriverti non l’ho mai fatto.

Lo faccio perché Libera mi ha chiesto di scrivere qualcosa su di te in occasione del tuo 45° anniversario, ed io ho pensato di fare un qualcosa che non avevo mai fatto prima per te, “scriverti una lettera” .

Caro papà, sono passati 45 anni ma mi sembra ieri. Il dolore è fermo lì da quel giorno, anzi, per essere sincera, il dolore aumenta ogni giorno sempre di più perché, sai, i primi tempi tutti ti sono accanto poi con il tempo molti dimenticano, ma fortunatamente per chi ti ha conosciuto, per chi ti ama, il tempo sembra non sia trascorso per nulla.

Tu sai quanta fatica, quante umiliazioni, quante rinunce e quante paure abbiamo conosciuto dopo la tua dipartita. Abbiamo anche conosciuto la fame, (cosa che tu volevi non accadesse mai perché era accaduto a te), ma grazie alla forza di volontà ed alla tenacia siamo riuscite a vincere su quasi tutto ma abbiamo perso su altrettanti fronti perché la ferita che hai lasciato, sai, … è ancora aperta e sanguina.

Personalmente mi sei mancato, e tu lo sai, nel giorno del mio matrimonio, quel braccio e quella frase “come sei bella” mi sono mancati.

Mi sei mancato quando è nata tua nipote (come tu volevi, la tua terza bambina) che porta il tuo nome e che ha lo stesso tuo cuore.

Sai, il mio desiderio più grande era quello di non farti entrare nell’oblio di quegli uomini che hanno dato tanto e che il tempo li avrebbe fatto dimenticare. All’inizio, sai, non ci pensavo ma poi ho capito che dovevo essere testarda e dovevo lottare per te e, scusami se mi ripeto, anche per quelli come te. E così un bel giorno è arrivata la “strada” e poi la “scuola” ed ora il Presidio intestati a tuo nome.

Come tu ben sai, la strada era un mio grande desiderio, la scuola era un tuo desiderio ma il presidio caro papà è un riconoscimento a te ed a quelli come te. E’ un riconoscimento a tutti quegli uomini e donne che non erano famosi ma che facevano solo il loro dovere che non chiedevano nulla se non una vita tranquilla con i soliti affanni insieme ai loro cari e che invece la vita gli aveva riservato una “fine” diversa.

Tu sai papà la domanda che mi faccio ogni 6 febbraio ma “loro” ti pensano? Possono mai immaginare lo strazio che con il loro gesto hanno causato a noi? Hanno mai avuto rimorsi? Si sono mai pentiti? Domande senza risposte.

Carissimo papà non mi chiedere se sono felice perché la risposta è NO (so’ che questo ti dispiace ma è la verità). Rimpiango quei bellissimi momenti trascorsi con te, le nostre lunghe camminate a piedi che erano solo il pretesto per parlarci. Mi dicevi sempre che avevo poco tempo per apprendere e che quindi ogni istante ti serviva per darmi “lezioni di vita”, oltre che di studio. (come se intuivi che quella vita che da li a poco avresti lasciato tuo malgrado). Ricordi?

Non mi piaceva né il latino e tantomeno la storia per me erano materie inutili, e tu mi dicevi: “Sai Pasqualina la storia è importante è la base per il vivere civile”. Ed ora caro papà anche tu sei un pezzettino di quella storia che tanto amavi. Ora sei tu “la storia”. I primi tempi che non eri più con me lo sai che mi guardavo alle spalle per vedere se mi seguivi (come del resto facevi sempre), ora invece ho capito che non mi stai dietro ma accanto ed hai sempre una mano sulla mia spalla.

Quando parlo di te ritorno una bambina di 11 anni e mi sento da te ancora coccolata, riesci non so come, a far si che i miei desideri diventino realtà. Un giorno mi dicesti che non mi avresti mai abbandonato e che da lassù un padre segue sempre i suoi figli ed è per questo che ti ringrazio e ti amo per essere riuscito a mantenere la tua promessa.

Sai quando i miei figli erano piccoli e mi chiedevano ti te io gli rispondevo che eri in cielo a guidare un treno bianco con tanti bimbi dentro e che ogni tanto ti fermavi e davi a loro “lezione”, proprio come facevi quando eri sulla terra.

Quante cose che ti sto dicendo che già sai come sai che gli angeli non sempre hanno le ali, infatti ho conosciuto tanta gente che ti apprezza e che per te, pur non conoscendoti, ha fatto tanto i tuoi … “nipoti acquisiti”. Il più grande è sicuramente Michele, i Presidi ed i professori della tua scuola ed ultimi, ma non ultimi, i ragazzi del Presidio di Valenzano.

L’anno scorso il 21 marzo non ce la facevo a camminare e dissi a Nicoletta di prendere lo striscione e di non mollarlo fino alla fine del percorso perché io purtroppo mi sarei dovuta fermare.

Quest’anno, caro papà a Brindisi non avrò più questo problema se mi sentirò male mi potrò fermare e non mi preoccuperò perché tanto ci saranno i tuoi “nipoti” che cammineranno con te e per te.

Come dico sempre una pallottola non può uccidere un uomo, tu sei vivo ed ogni giorno rinasci non solo nel mio cuore ma nel cuore di tanti che ti amano per quello che sei.

Tu lo sai che per te ci siamo allontanate dalla Chiesa ma se mi fermo a pensare tu sei riuscito a mettere in pratica un dei 10 comandamenti “Ama il prossimo tuo come te stesso”.

Spero di averti scritto una bella lettera senza andare da un argomento ad un altro senza logica (ti ricordi come mi rimproveravi?) e di aver usato i verbi in maniera opportuna.

Ed ora ti saluto nella maniera in cui ti facevo arrabbiare… e non poco..

CIAO PAPI

La tua amata figlia Pasqualina

 

 

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